Skip to main content

Full text of "Il Giorno;"

See other formats


1 


:iiìSÌ!ii 


(Jimv.oF 
Toronto 

Ubraiw 


iililii 


BINDING  LIST  AUG  1  5 


Digitized  by  the  Internet  Archive 

in  2011  with  funding  from 

University  of  Toronto 


littp://www.arcliive.org/details/ilgiornOOpari 


IL  GIORNO  DI  GIUSEPPE 
PARINI  *  Con  introduzione  e 
COMMENTO  DI  GIUSEPPE  ALBINI. 

NUOVA   TIRATURA. 


Firenze,  G.  C.  Sansoni,  Editore  -  mcmx.v. 


l'ROrRIETA    LETIERAHIA 


Firenze  -  Stab.  G.  Carnesecchi  e  figli  -  Piazza  Mentana. 


PREFAZIONE 


Sono  grato  al  direttore  di  questa  Biblioteca.,  che  mi  fu 
e  mi  è  sempre  caro  maestro,  dell'avermi  offerto  di  prepa- 
rare per  essa  II  Giorno  del  Parini,  con  ciò  dandomi  occa- 
sione a  meglio  studiare  in  tutti  i  suoi  particolari  l'opera 
insigne. 

Lavorare  utilmente  a  un  autore,  intorno  al  quale  molti 
già  hanno  speso  cure  diligenti  e  sagaci,  non  è  agevole  ;  né, 
sopra  tutto,  la  parte  di  Ruth  —  che  vien  le  saighe  raccat- 
tando Da'  lassi  mietitor  lasciate  in  via  —  vuol  facilmente 
riuscire  di  molto  profitto  per  una  via  dov'è  passato  il  Car- 
ducci. Ma,  perché  la  dichiarazione  seguita  del  poema  è 
naturalmente  altra  cosa  dallo  studio  e  dalla  storia,  pur 
compiuti  e  minuti,  di  esso,  e  ne'  modi  poi  del  commento 
avanza  altro  che  trarre  indiscretamente  da'  lavori  altrui, 
il  mio  compito  era  piuttosto  sovrabbondante   che   scarso. 

Non  farò  qui  lungo  discorso  né  sul  poeta  né  sul  poema. 
Del  Parini  ogni  cólto  italiano,  ogni  giovine  non  imprepa- 
rato a  leggere  II  Giorno,  ha  sufficienti  notizie;  saperne  di 
più,  imparare  a  conoscere  vero  e  intiero  il  poeta  sarà  ap- 
punto l'effetto  della  lettura  del  poema.  Intorno  al  quale, 
tra  gli  altri  scritti  in  vario  grado  e  per  varie  ragioni  pre- 
gevoli, il  libro  di   Giosuè   Carducci  Storia  del   «  Giorno  » 


tv  PREFAZIONE 


di  G.  P.^  è  il  più  informato  e  sapiente,  opera  di  amorosa 
diligenza  e  di  alto  intelletto.  Non  posso  io  qui  né  debbo 
compendiarla,  contento  a  registrarla  sùbito  e  a  richiamarmi 
ad  essa  tra  il  lavoro  assai  volte.  Sole  due  cose  mi  bisogna 
dicliiarare  incominciando:  la  lezione  del  testo  clie  ho  se- 
guita, con  le  ragioni  che  me  l'han  fatta  seguire  e  accom- 
pagnare insieme  di  tutte  le  varianti;  e  ih  modo  che  ho  te- 
nuto, con  gl'intenti  che  mi  son  proposto  e  le  idee  a  cui 
s'informano,  nel  commentarlo. 

* 
*  * 

Il  Paiini  in  sua  vita  non  pubblicò  se  non  i  due  primi 
poemetti^  Il  Mattino  in  Milano  del  1763  nella  stamperia  di 
Antonio  Agnelli,  U  Mezzogiorno  in  Milano  del  1765  ap- 
presso Giuseppe  Galeazzi;  maraviglie  in  modeste  sem- 
bianze,- e  senza  il  suo  nome.  Postumi  furono  pubblicati 
nel  1801  //  Vespro  e  La  Notte  da  Francesco  E-eina,  ^  sco- 
laro e  amico,  poi  editore  e  biografo  del  poeta.    Ma,  oltre 


'  Bologna,  Zanichelli,  1892.  (Ne  diedi  una  notizia  nella  iVfwm  Antologia 
del  1°  luglio  di  quell'anno,  pp.  146-55).  Ora  si  ristampa,  e  sarà  il  voi.  XIV 
delle  Opere  di  G.  6'.,  che  studia  II  Parini  maggiore;  gli  altri  Studi  su 
G.  P.  —  Il  Parini  minore  —  sono  il  voi.  XIII,  1903.  —  Di  altri  scritti  e 
scrittori  non  credo  necessaria  qui  la  lunga  e  facile  enumerazione.  Il  libro 
di  Cesare  Cautii,  L'  abate  Parini  e  la  Lombardia  nel  secolo  passato,  Mi- 
lano, Giac.  Gnocchi  1851,  importante  per  gli  studi  e  più  per  il  testo,  ebbi 
innanzi  in  quella  prima  edizione;  vidi  la  torinese  del  '64  (in  Storie  minori), 
non  la  milanese  del  '92.  Tra  i  commenti  al  Giorno  (de'  quali  certo  avrei 
potuto  giovarmi  di  più,  ed  è  tra  le  cose  che  mi  propongo  fare,  se  circo- 
stanze propizie  e  il  benemerito  editore  vorranno  ch'io  torni  su  questo  la- 
voro) consultai  molto  spesso  quello  di  Guido  Mazzoni  {Le  Odi,  il  Giorno 
e  altre,  poesie  minori  di  G.  P.  annotate  da  G.  M.,  col  dialogo  «  della  no- 
biltà» in  appendice,  Firenze,"  Barbèra,  1897),  e  lo  cito  per  la  iniziale  M.: 
gli  altri  citai  di  volta  in  volta. 

2  Della  stampa  dell'Agnelli  non  m'è  riuscito  vedere  se  non  quella  che 
porta  in  fine  Edizione  seconda:  è  seconda  veramente?  Certo  è  del  1763 
anch'  essa,  e  in  tutto  conforme  verisimilmente  alla  prima. 

3  Nel  1°  de'  sei  volumi  delle  Opere  di  Giuseppe  Parini  pubblicate  ed 
illustrate  da  Francesco  Eeina,  Milano,  presso  la  Stamperia  e  Fonderia 
del  Genio  Tipografico,  1801-1804. 


PREFAZIONE 


all'aver  composti  in  maggiore  o  minor  parte,  senza  darli 
fuori,  i  due  poemetti  ultimi,  il  Parini  aveva  assiduamente 
rilavorati  i  due  primi  ;  e  senza  dubbio,  non  meno  che  quella 
composizione,  questa  elaborazione  dovea  figurare  in  istampa, 
se  egli  si  fosse  indotto  mai  a  jìoneì'  fine  al  Giorno  e  pub- 
blicarlo finito.  Tra  gli  studiosi  pertanto  e  i  critici  furono 
già  e  più  sono  oggi  i  quali  pensano  e  professano  doversi 
il  poema  ristampare  tuttavia,  per  le  parti  edite  dall'  autore, 
quale  egli  lo  stampò,  soggiungendo  l'inedito.  Ciò  in  appli- 
cazione di  un  principio  generale  a  un  caso  singolarissimo. 
Il  principio  è,  che  ha  sempre  da  prevalere  e  andare  in- 
nanzi a  tutto  come  sola  legittima  e  sicura  norma  la  vo- 
lontà dell'  autore,  la  quale  non  apparisce  mai  cosi  netta  e 
precisa  come  da  un'  edizione  curata  da  esso.  E  il  caso  è 
quel  di  un  poeta  che,  avendo  pubblicato  parti  dell'opera 
sua  circa  il  mezzo  del  cammin  di  nostra  vita,  voglio  dire 
della  sua  vita  che  fu  a  punto  settant'anni,  visse  l'altra 
metà  correggendo  sempre,  e  quasi  sempre  migliorando, 
senza  più  nulla  pubblicare.  Altri,  non  pochi  e  di  grande 
autorità,  vogliono  che  il  testo  si  ricavi  e  dalla  stampa  e 
da  queir  ampio  apparato  inedito  di  revisione. 

Ora,  io  penso,  un'  edizione  che  voglia  esser  compiuta, 
sia  poi  stréttamente  critica,  o  pure  sia  preparata  non  senza 
critica  per  le  scuole,  deve  mettere  innanzi  e^  quello  che 
l'opera  era  nelle  stampe  originali  e  quello  che  secondo  la 
maggior  probabilità  sarebbe,  venuta  a  essere  dopo  i  ri- 
tocchi e  gli  ampliamenti.  E,  dove  all'edizione  critica  con- 
verrebbe, salvo  che  uno  studiati  gli  autografi  si  persua- 
desse altrimenti,  riprodurre  il  testo  delle  stampe,  a  cui 
le  emendazioni  e  aggiunzioni  inedite  fossero  complemento, 
neir  edizione  scolastica  meglio  è  che  prevalga  il  testo 
lungamente  rilavorato,  quando  esso  è,  come  è  nel  Giorno^ 
migliore  d'  assai.  Quod  qui  non  sentiunt,  quas  aures  ha- 
heant  nescio,  se  fosse  lecito  dire  (al  Parini,  credo,  sem- 
brerebbe lecito)  come  quel  grande  antico.  Che  se  a  ciò 
non  fossi  stato  disposto  per  convincimento  mio,  l'avrei 
fatto  per  conformarmi  agl'intendimenti  del  Carducci.  Del 


VI  4^^^P  PKEFAZIONE 


quale  mi  giova  qui  riferire  una  pagina  (op.  cit. ,  247). 
«  Tra  le  carte  del  Parini  furono  trovati  sette  esemplari  a 
«  stampa  del  Mattino  e  tre  del  Mezzogiorno,  tutti  e  varia- 
«  mente  di  sua  mano  corretti;  del  Vespro,  un  manoscritto, 
«  con  due  foglietti  di  varianti  e  note  ;  sette  manoscritti 
«  della  Notte,  con  più  foglietti  staccati  (Cantù,  266).  Il 
«  Reina  credè  non  dovere  scegliere  tra  le  molte  correzioni 
«  mutazioni  e  giunte  de'  primi  due  poemetti  e  tra  le  va- 
«  rianti  degli  ultimi:  de' primi  due  ristampò  il  testo  come 
«  era  nelle  edizioni  del  1763  e  65  fatte  dall'  autore,  am- 
«  mucchiando  a  pie  di  pagina  le  copiose  e  diffuse  emen- 
«  dazioni  e  aggiunte  autografe;  die  il  Vespro  dall'unico 
«  manoscritto,  die  dai  diversi  quaderni  la  Notte.  Ma  le 
«  correzioni  e  segnatamente  le  giunte  il  Parini  le  aveva 
«  fatte  con  la  intenzione  certo  di  metterle  a'  lor  luoghi, 
«  quando,  finito  il  lavoro  di  prosecuzione  e  rimaneggia- 
«  mento  a  cui  s'era  messo  per  compiacere  a  Maria  Bea- 
«  trice,  pubblicasse  intiero  il  poema.  Tant'è  vero  ciò,  che 
«  il  Vespro  rimane  per  gran  parte  composto  di  pezzi  stac- 
«  cati  dal  Mezzogiorno.  Primo  Luigi  Bramieri  in  una  edi- 
«  zione  del  Giorno  data  in  Parma  del  1805  intese  a  ricom- 
«  porre  di  tra  la  moltitudine  de'  concieri  accumulati  dal 
«  Reina  il  testo  de'  poemetti  come  gli  parve  dovesse  resul- 
«  tare  dalla  mente  ultima  dell'  autore  :  riprodusse  la  recen- 
«  sione  del  Bramieri  con  qualche  novità  l'ab.  Mauro  Co- 
«  lonnetti,  traduttore  non  indegno  d'Orazio,  in  una  stampa 
«  milanese  del  1841  :  meglio  di  tutti  fece,  del  54,  il  Cantù  ^ 
«  nel  suo  libro  su  '1  Parini  ;  e  alla  lezione  fermata  da  giu- 
«  dice  si  autorevole  io  mi  sono  tenuto  sempre  in  questa 
«  storia.  Il  Borgognoni  questi  ultimi  giorui  ha  oppugnato 
«  vigorosamente   le   nuove    recensioni,   sostenendo   doversi 


1  L' importauza  di  queste  tre  edizioni,  onde  piti  stampe  belle  e  diffuse 
derivarono,  m'indusse  a  raccogliere  le  lor  varianti  aggiungendole^allo  spo- 
glio delle  pariniane  sotto  al  testo  ;  fatica  non  necessaria  certo,  ma  che  non 
parrà  superflua  a  cui  giovi  essere  informato  dell'origine  di  talune  varietà 
0  singolarità  di  lezione. 


PREFAZIONE  VII 


«  stare  a'  vecchi  testi,  a  quelli  dati  alla  stampa  dall'autore 

«  [Borgognoni,  La  vita  £  l'arte  nel   G. ,  pp.   15   e   segg.]. 

«  Ma  allora  perdio   non   rese   al   Mezzogiorno   le    spoglie 

«  onde  usci  poi  adornato  il  Vespro,   certamente  per  man 

«  del  poeta?  ». 

Si  potrebbe  aggiungere:   e    percbé   ne'  luoghi  che  dal 

Mezzogiorno  passarono  al  Vespro  non  tenne,   egli  e  ogni 

altro  che  pensa  con  lui,  la  lezione  della  stampa  ma  si  quella 

del  manoscritto?  Se  si  risponda:  perché  sono   entrati  per 

man  dell'  autore  a  far  parte  di  un  tutto  organico  ;   non  è 

men  vero  che  ne  resta  infirmato   il   cànone    dell'  ossequio 

assoluto   alla   stampa  originale.    E   il   passo    mirabile  che 

venne  a  essere  l'inizio  del  Vespro   può   anche    dare  buon 

saggio  di   quel   che   sono    e   che   valgono   le   emendazioni 

pariniane. 

Già  de  le  fere  e  degli  augelli  il  giorno 
E  de'  pesci  notanti  e  de'  fior  varj, 
Degli  alberi,  e  del  vulgo  al  suo  fin  corre. 
Di  sotto  al  guardo  dell'  immenso  Febo 
Sfugge  l'un  mondo. . . . 

Cosi  nel  Mezzogiorno  a  stampa.  E  il  Vespro  manoscritto  : 

Ma  degli  augelli  e  de  le  fere  il  giorno 
E  de'  pesci  squanimosi  e  de  le  piante 
E  dell'  umana  plebe  al  suo  fin  corre. 
Già  sotto  al  guardo  de  la  immensa  luce 
Sfugge  l'un  moudo  : 

ove  tutte  e  singole  le  mutazioni  sono  in  meglio',  stupenda 
è  l'ultima.  L'immenso  Febo  qui  non  dicea  bene:  a  propo- 
sito di  un  grande  cappello  del  Giovin  signore  (è  un  par- 
ticolare aggiunto,  un  particolare  che  compie  una  carica- 
tura, il  Matt.  1093-95),  il  disco...  Del  gran  lume  febèo  era 
citato  in  paragone  argutamente  ;  ma  qui  eh'  era  da  espri- 
mere il  sole  davvero  in  tutta  la  sua  smagliante  magnifi- 
cenza, oh  quanto  più  proprio  e  più  efficace  quell'  astratto 
de  la  immensa  lucei  Intorno  al  quale  io  ho  anche  per 
fermo,  giacché  in  una  lenta  e  lunga  elaborazione  gli  emen- 
damenti   non    considerano   solo   i   luoghi    particolarmente 


vili  PREFAZIONE 


presi  ma  in  rapporto  altresì  gli  uni  con  gli  altri,  clie  il 
Parini  nella  originale  comparazione  che  fa  nel  Mezzogiorno 
dello  scudo  d'Atlante  mutasse  poi  Vimmensa  luce  in  ba- 
gliore immenso  (v.  867),  non  tanto  perché  in  somma  fosse 
più  conveniente,  quanto  per  serbare  più  nuovo  a  questo 
luogo  quel  largo,  significantissimo  emisticliio  finale. 

Le  descrizioni  del  tramonto  e  del  corso,  anticipate  già 
nel  Mezzogiorno,  trasferite  poi  per  mano  del  poeta  nel 
Vespro,  ci  fanno  per  analogia  argomentare  ch'egli  non 
avrebbe  lasciate,  sussistere  in  fine  del  Mattino  quelle  pic- 
cole anticipazioni  che  già  ci  avea  poste  (v.  i  versi  recati, 
in  nota  dopo  il  1142),  ammonimenti  al  suo  alunno  di  ciò 
che  avesse  a  fare  alla  mensa, 

E  poiché  il  discorso  è  a  questo,  vien  qui  opportuno 
esemplificare  le  ineleganze  di  prima  rijjarate  poi,  per  usar 
parole  del  Cantù  il  quale  di  simili  riparazioni  {pentimettti  li 
diceva  il  Eeina)  die  già  un  saggio  buono  e  copioso  (pp.  285- 
'95):  ora  i  più  degli  esempi  saranno  in  aggiunta  a  quelli 
del  Cantù  e  scelti  da  luoghi  a  cui  io  non  abbia  apposta 
particolare  osservazione  nel  commento. 

Diceva  nel  Mattino,  v.  66  : 

....  Tu  col  cadente 
Sol  non  sedesti  a  parca  mensa,  e  al  lume 
Dell'  incerto  crepuscolo  non  gisti 
Ieri  a  corcarti  in  male  agiate  piume, 
Come  dannato  è  a  far  l'umile  vulgo. 


E  mutò 


Ieri  a  posar,  qual  ne'  tuguri  suoi 
Tra  le  rigide  coltri  il  mortai  vulgo: 


utilmente  e  sottilmente,  si  perché  male  agiate  e  piume 
discordavano  e  si  perché  a  quella  maniera  il  confronto 
parca  cadere  su  l'agiatezza  del  letto,  eh'  è  solo  una  circo- 
stanza di  più,  e  non  su  l'ora  del  coricarsi.  Poco  appresso, 
dov'  era  stampato,  v.  81  : 

....  Alfine  il  Sonno 
Ti  sprimacciò  le  morbide  coltrici 
Di  propria  mano, 


PREFAZIONE  IX 


emendò 

Di  propria  man  ti  sprimacciò  le  coltrici 
Molle  cecleuti,  ' 

non  che  utilmente,  direi  necessariamente,  non  potendosi 
accogliere  la  difesa  che  il  Borgognoni  fece  di  quella  prima 
lezione  con  quel  ^^iaiio  coltrici^  che  la  licenza  di  spostare 
l'accento  non  va  al  di  là  d'un  certo  numero  di  casi  e  di 
parole  :  non  mancherebbe  altro.  Tre  varianti  in  fatti  il 
Parini  segnò,  e  l'ultima  probabilmente  con  più  soddisfa- 
zione, nelle  quali  tutte  coltrici  torna  a  essere  sdrucciolo 
come  deve.  Né  qui  è  luogo  a  opporre,  a  chi  scelga  una 
variante,  il  «  criterio  subbiettivo,  superbo,  ingannevole  », 
di  cui  parlava  quel  valentuomo  :  poiché  si  potrà  ammettere 
che  il  Parini  fosse  per  accogliere  un'  altra  lezione  (quelle 
eh'  egli  scrisse,  noi  rechiamo  tutte),  ma  non  già  eh'  ei  fosse 
per  conservare  la  lezione  della  stampa  con  quell'  erronea 
licenza  che  appunto,  mi  par  certo,  l'avea  mosso  a  variare. 
Giustificabile  in  vece  era,  al  v.  224, 

Con  piacevoli  detti  il  vano  occupi, 

ma  la  variazione 

Con  piacevol  motteggio  il  vano  adempia 

risparmia,  oltre  a  quel  detti  un  po'  generico,  (\vìq\V  occilpi 
a  ogni  modo  né  bello  né  utile  (a  cui  basta  di  trovar  luogo 
altrove,  la  Notte  337;. 

E  sùbito  innanzi  al  passo   penultimo  citato,  dove   noi 
leggiamo,  v,  81  : 

....  l'ungaresc 
Bottiglia  a  cui  di  verdi  ellcre  Bromio 
Concedette  corona, 


'  Il  Cautù,  per  manifesto  errore,  ripetuto  anche  nelle  ristampe  (almeno 
in  quella  ch'io  vidi  del  1864)  e  nella  piccola  edizione  Barbèra  del  '58  che 
segue  il  testo  del  Cantù,  legge  «  coltrici  Molle  cadenti  »  :  solo  se  si  trat- 
tasse di  coltri  potrebbe  andare. 


X  PREFAZIONE 


la  stampa  diceva  : 

....  a  cui  di  verde  edera  Bacco 
Concedette  corona; 

ma  dava  noia  al  poeta  il  succedersi  di  tre  dentali  in  di 
verde  edera  e  più  il  cococo  in  Bacco  concedette  corona  (più 
lieve  altrove,  e  inevitabile,  la  gotica  caligine  e  con  la  clas- 
sica ascendenza  del  caeca  caligine  virgiliano).  Allo  stesso 
modo,  là  dov'  era  scritto,  v.  Ili  : 

....  coir  indice  destro  lieve  lieve 
Sopra  gli  occhi  scorrendo  indi  dilegua 
Quel  che  riman  de  la  cimmeria  nebbia, 


vano  : 


Sovra  gli  occhi  trascorri,  e  ne  dilegua. 


Piccolezze  che  un  gran  poeta  non  teme  se  inevitabili  ma 
che  un  buon  artista  leva  via  volentieri. 
Diceva  il  v.  101  : 

Già  i  valetti  gentili  udir  lo  squillo 
Del  vicino  metal  cui  da  lontano 
Scosse  tua  man  col  propagato  moto; 


e  dice 


De'  penduli  metalli  a  cui  da  lunge 
Moto  improvviso  la  tua  mano  impresse, 


con  finitezza  e  vivezza  nuova,  dove  prima  la  perifrasi  del 
campanello  era  si  e  no  propria  e  giusta,  e  quell'  antitesi 
tra   vicino   e  da   lontano   sapeva  di  pedantesco.  Appresso, 

V.  108, 

....  ti  appoggia 
AUi  origlieri  i  quai  lenti  gradando..., 

diviene 

AHI  origlier  che  lenti  degradando, 

tolto  via  quel  gradando  più  insolito   e  forse  inesatto  ;  e, 

V.  125, 

....  il  ben  pettinato  entrar  di  novo 
Tuo  damigello  i'  veggo, 


PREFAZIONE 


vien  più  naturale 

Tuo  damigel  vegg'io. 
Al  V.  130 

Scegli  qual  più  desìi, 
si  muta  in 

Libra  i  consigli  tuoi  ; 

e,  poiché  la  scelta  è  tra  la  cioccolata  e  il  caffè,  ognun 
sente  quanto  aggiunga  l'espressione  solenne,  e  viepiù  op- 
portuna per  seguire  dopo  tre  versi  un  altro  Scegli.  Il  v.  233 

De'  palpitanti  Italici  mariti 

perde  un  cattivo  suono  e  acquista  un  pensiero  mutan- 
dosi in 

De'  vaghi  palpitanti  e  de'  mariti  : 

e  cosi  al  v.  247 

....  basta  a  stamparvi 
Novelle  idee 

dice  più  e  suona  meglio  cangiato  in 

....  nove  scienze 
Vale  a  stamparvi. 

E  dove  in  una  comparazione  son  menzionate  le  donzelle 
della  corte  di  Artù,  v.  1165, 

Ornar  di  piume  e  di  purpuree  fasce 
I  fatati  guerrieri,  onde  più  ardenti 
Gisser  poi  questi  ad  incontrar  periglio, 

l'espressione  guadagna  correttezza  e  franchezza  modifican- 
dosi in 

....  si  che  poi  lieti 
Correan  mortale  ad  incontrar  periglio.... 

Né  sempre  le  modificazioni  spettano  alle  parole  soltanto. 

Diceva,  v.  295  : 

....  Sai  che  compagna 
Con  cui  divider  possa  il  lungo  peso 
Di  qnest'  inerte  vita  il  ciel  destina 
Al  giovane  Signore: 


PREFAZIONE 


ma  Vinerte,  poiclié  ùierzia  non  ha  come,  ozio  due  suoni  né 
può  come  noia  o  tedio  ammettere  scusa,  usciva  fuori  di 
ciiiave,  e  ottima  è  la  correzione  : 

Con  cui  partir  de  la  giornata  illustre 
I  travagli  e  le  glorie. 

(Cf.  anche  le  varianti  e  le  note  ai  vv.  669  e  681).  E  un 
esempio  che  spetti  alla  competizione  offrono  i  versi  che 
sono  per  noi  164-'81  :  dopo  il  villano  sartor  nessun'  altra 
visita  importuna  il  poeta  aveva  da  prima  pensata,  poi  ag- 
giunse quel  tratto.  Ora  i  versi  sono  bellissimi,  e  l'econo- 
mia dell'insieme  se  ne  vantaggia  d'assai  perché,  come  sono 
parecchi  in  appresso  i  visitatori  graditi  e  bene  accolti, 
giovava  che  fosser  parecchi  gli  uggiosi  ed  esclusi,  e  quel 
sartor  unico  e  solo  faceva  in  verità  una  figura  un  po'  magra. 

Di  tali  aggiunzioni  utili  e  convenienti  sono  altre  di- 
verse. Nel  Mattino  stesso  vedi  il  tratto  su  gli  apparecchi 
della  toilette  (490-536),  pieno  di  bellezze  finissime  e  che 
variano  da  graziosita  di  settecento  a  motivi  eroici  :  e  vedi 
il  Giovin  signore  che  considera  ogni  parte  dell'abbiglia- 
mento tra  un  cerchio  di  specchi,  come  un  gran  re  d'oriente 
a  consulta  su  un  grave  caso  tra  i  suoi  satrapi  dalle  fronti 
lucide  e  calve  (878-'94)  :  e  vedi,  nell'enumerazione  degli 
oggetti  che  il  cavaliere  ha  da  prender  con  sé,  aggiunto  il 
cammeo  che  passa  per  greco  e  i  due  orologi  (1014  sgg., 
1030  sgg.).  Vedi  nel  Mezzogiorno  i  versi  (1098-1106)  che 
precedono  l'appartarsi  della  coppia  felice  al  tavoliere  del 
trictrac. 

E,  per  iscegliere  anche  dal  Mezzogiorno  alcuni  esempi 
minuti,  al  v.  148  è  tolto  via  un  sovvenir  faratti  non  bello 
di  certo,  e  al  v.  229 

....  Il  tuo  Signor  farasji 
Campion  de  le  tue  glorie 

si  muta  in 

.  .  .  .  fìa  tosto 
Campion  : 


PREFAZIONE  XIII 


che  quelle  forme,  venute  a  esser  grevi,  il  Parini  fuor  di 

rima  tende   a   eliminarle.    E   nel   verso   sùbito   innanzi  al 

citato. 

Chi  fia  che  ardisca  di  trovar  pur  macchia 
Nel  tuo  lavoro?, 

dato  il  genere  del  lavoro,  ciò  è  quello  del  cuoco,  macchia^ 
direi  quasi,  faceva  ridere,  e  non  sottilmente  come  al  so- 
lito ;  menda  né  pure  soddisfaceva  ;  meglio,  di  trovar  mai 
fallo.  Al  V.  503 

....  [l'cihna  Natura]  all'Arte  disse: 
Compisci  '1  mio  lavoro, 

la  emendazione 

Tu  compi  il  mio  lavoro, 

non  tanto  rende  miglior  suono,  quanto  aggiunge  efficacia, 
con  quel  tu  innanzi  all'imperativo,  di  si  schietto  e  largo 
uso  classico,  nel  caso  di  azione  contrapposta  all'  altrui.  E, 
V.  540: 

....  luvaa  s' adopra  e  suda 
Chi  'i  genio  lor  bituiniuoso  e  crasso 
Osa  destar, 

bituminoso  era  strano  e  sforzato  ;  invece  l'espressione  è  cor- 
rettissima, senza  per  nulla  riuscir  meno  efficace,  cosi  : 

Chi  la  lor  mente  sonaoleata  e  crassa 
Cerca  destar. 

(E  vedi  le  note  ai  versi  11,  19,  32-34,  54,  59  sg.,  98  sgg., 
154,  386  sgg.,  391,  395). 

Non  sempre  le  varianti  sono  cosi  manifestamente  mi- 
gliori del  testo  edito,  né  tutte  rappresentano  forme  in  cui 
il  poeta  si  sia  verisimilmente  acquietato.  Ve  n'ha  che  sono 
ricerche,  tentativi,  ondeggiamenti  ;  ve  n'ha  ancora  che  sono 
scrupoli,  e  quasi  vestigi  dell'effetto  che  si  produce  dal  guar- 
dar troppo  fìtto  e  intento,  che  quel  oh' è  diritto  e  fermo 
sembra  pendere  e  balenare.  Sembra  che  parta  il  lido,  E 


XIV  PREFAZIONE 


pur  cosi  non  è,  dicea  il  Metastasio.  Nel  passo  più  celebre 
del  poema  {Il  Mezzog.  644-703),  maraviglia  d'ispirazione 
e  di  fattura,  le  varianti  segnate  poi  son  poclie  e  tenui,  e 
anch'  esse,  direi,  nate  piuttosto  da  incontentabilità  che  pur 
vuole  trovar  sempre  il  meglio  che  non  da  convinzione  di 
alcun  difetto.  Vedi  p.  es.  All'uom  riserbi:  forse  perché  se- 
gue ribrezzo,  il  poeta  notò  Serbi  per  l'uomo  ;  ma  a  toglier 
quel  minimo  e  nient' affatto  molesto  ripetersi  di  sillaba 
(quanti  sono  nel  poema  i  ritocchi  per  simili  cause!,  e  i  più, 
del  resto,  felicissimi),  mette  conto  di  sostituire  a  quel  primo 
un  modo  men  vibrato  e  di  giacitura  più  prosaica? 

In  tali  casi  ho  lasciato  il  testo  qual  era  nella  stampa  ;  ^ 
e  allo  stesso  modo  che  accettando  la  variante  annoto 
con  esattezza  la  lezione  originale,  tenendo  questa  registro 
quella.  Una  cosa  non  ho  voluto  far  mai,  che  il  Bramieri 
e  più  il  Cantù  venner  facendo,  cioè  accogliere  una  variante 
solo  in  parte  ;^  la  lezione  seguita,  fosse  di  prima  o  di  poi. 


'  Vedi  p.  63.  il  Matt.  118  sg.  e  la  variante:  questa  fu  zelo  di  maggior 
proprietà  ma  a  scàpito  di  franchezza  e  d' efficacia  di  suoni.  E  cosi,  al  v.  134, 
perché  avrà  scritto  Tu  il  cioccoìatte  o  II  cioccolatte  eZe^f^i  dov' era  stam- 
pato, assai  meglio,  Scegli  'l  brun  cioccolatte?  Il  verso  innanzi  finiva  con 
un  ti  vaglia:  e  vaglia  -  Scegli  non  danno  bel  suono.  (Potrebbe  credersi 
altresì  che  questa  variazione  fosse  pensata  quando  non  avea  ancor  mutato 
in  Libra  lo  Scegli  di  quattro  versi  innanzi).  Il  v.  951  Lette  serpendo  per 
le  membra  acqueti  non  fini  di  piacergli  per  l'incontro  degli  a;  ma  gli  sa- 
rebbe seguitato  a  piacere  per  li  membri  acquete  A  te  gli  spirti  e  ne  la 
mente  induca. . .  ?  Nel  Mezzog.  274  ...  a  variar  la  terra  perché  il  variar 
cosi  classico,  cosi  bello,  che  vuol  dire  screziare,  spargere  di  colori  diversi 
(gr.  jTOiKÌXÀetv),  viene  a  perdere  tal  senso  correggendo  a  variar  lor  sorte  F 
Per  uno  scrupolo  :  si  trattava  di  modificare  Lhiniforme  degli  uomini  sem- 
bianza, e  però  non  la  terra  ma  più  determinatamente  lor  sorte  era  da  va- 
riare. E  cosi  al  V.  373  annotò  un  3Ializioso  dove  avea  stampato  quel  vi- 
vace Maliziosetto,  in  un  momento  di  pili  afifetto  alla  dieresi  che  alla  sine- 
resi,  egli  anche  in  questi  usi  correttissimo  e  sapiente  ma  libero  e  franco. 
Il  Bramieri,  al  v.  465  Che  le  alleviaro  il  delicato  fianco,  leggendo  Glie 
alleviaro  mostra  V  esigenza  della  dieresi. 

2  Un  esempio,  che  non  voglio  ripeter  qui  l' apparato  che  va  col  testo. 
Nel  Matt.  v.  130  il  Cantù  legge  Libra  i  consigli  tuoi.  Ami  tu  forse ...  : 
e  i  due  emistichi  son  pariniani,  ma  non  appariscono  composti  dall'autore 
in  una  stessa  lezione.  Cosi  ne  la  Notte  (non  rileva  se  ivi  le  variazioni  bono 
tra  rannoscritto  e  mauoscritto,  non  tra  le  stampe  e  V  inc(«ito  come  sono  le 


PREFAZIONE  sv 


volli  elle  sempre  rappresentasse,  tutta  insieme  e  non  solo 
negli  elementi,  nn'  integra  lezione  del  poeta,  per  quanto  se 
ne  può  indurre  dagli  spogli  clie  ne  abbiam  sotto  mano  e 
die,  i  più,  provengo!!  dal  Reina.  E  dove  la  lezione  stam- 
pata recava  il  segno  dell'animo  clie  dettò  prima  il  poema, 
né  l' espressione  scadeva  j^er  nulla,  l'ho  lasciata  stare  nel 
testo  (cf.  Il  Matt.  355  e  629,  Il  Mezzog.  1054).  Qualche 
cosa  d'incerto  v'è,  non  nego,  anche  in  questa  maniera, 
come  nelle  altre;  e,  se  diletta  e  giova  il  raffronto  qua  e 
là  di  singoli  emendamenti,  non  sempre  è  agevole  né  quasi 
mai  piacevole  (non  necessario,  del  resto,  se  non  a  studi 
affatto  speciali)  il  raffrontare  e  ricomporre  di  su  gli  spogli 
le  varie  redazioni.  Ma  di  ciò  qualche  colpa  è  giusto  che 
risalga  all'  autore  che  ci  lasciò  un  po'  in  disordine  la  sua 
eredità  stupenda.  E  pur  ci  conforta  che,  dopo  nuovi  studi, 
con  qualche  varietà  di  criteri,  il  testo  ci  risulta  pochis- 
simo dissimile  da  quello  che  usci  dalle  cure  di  precedenti 
editori,  del  Bramieri  del  Colonnetti  del  Cantù,  e  che  al 
Carducci  parve  buono  a  seguire.  ^  Sarà  molto  dissimile  da 
quello  che  si  tragga  dagli  autografi  compiutamente  e  cri- 
ticamente esaminati?  Non  credo. 


emendazioni  dei  due  primi  poemetti)  il  v.  472  ha,  secondo  gli  spogli  noti, 
tre  lezioni  di  mano  del  P.  mira  ed  apprendi  —  mira  e  conosci  —  vedi  ed 
apprendi;  e  il  Bramieri  ne  compone  una  quarta  vedi  e  conosci:  cfr.  per 
un  altro  es.  ivi  68.  Del  resto,  son  pochissimi  gli  arbitri,  e  taluno  può  an- 
ch' essere  svista  (airaé,  umana  cosa)  :  p.  es.  nel  Cantiì  il  Meszog.  641  scarse, 
la  N.  64  degni.  Forse  il  solo  e  minuscolo  arbitrio  del  B.,  e  da  lui  passato 
al  C,  è  ne  la  Notte  114  e  sg.  ;  il  motivo  n'  è  dichiarato  nella  mia  liota. 

'  Né  a  ogni  modo  è  lecito  imputare  sul  serio  a  tali  studiosi  e  rive- 
renti e  intelligenti  editori  qualcosa  di  simile  a  ciò  che  il  Parini  a  gran 
ragione  riprese'uel  p.  Bandiera  (ma  che!  né  pure,  e  né  pur  lontanamente, 
a  ciò  che  1'  Orlandini  praticò  per  le  Grazie  del  Foscolo)  :  il  Bandiera  ri- 
faceva di  suo  il  Segneri  e,  credendosi  innestargli  il  Boccaccio,  lo  imban- 
dierava-, questi  hanno  atteso  a  dare  il  Parini  più  che  mai  pariniano.  Che 
se  esso  il  poeta  avesse  pubblicato  co'  due  nuovi  i  due  poemetti  primi  cor- 
retti, variati  i}i  qualche  parte,  ed  accresciuti,  quali  profferiva  al  Bodoni 
con  la  lettera  de'  18  nov.  1791,  o  vogliam  creder  davvero  che  le  correzioni 
le  variazioni  e  gli  accrescimenti  sarebbero  stati  altra  cosa  da  quelli  che  i 
benemeriti  editori  hanno  poi  raccolti  dalle  carte  di  lui?  Di  quella  lettera 
appunto  osservava  giustamente  il  Bertaiia  che  la  pubblicò  (.Set  lettere  ine- 


XVI  PREFAZIONE 


* 
*  * 


Nel  commento,  oltre  a  quello  che  è  esposizione  scola- 
stica di  sensi  e  di  erudizioni  (nella  quale  studiandomi  a 
esser  sobrio  e  sufficiente,  non  avrò  certo  evitato  disegua- 
glianze e  difetti,  quasi  fatali  in  simili  lavori),  attesi  con- 
tinuamente a  porre  in  rilievo  il  pensiero  del  poeta,  a  farne 
considerare  l'arte  e  l'eloquio. 

Innanzi  tutto  mi  giova  dichiarare  che  io  non  dubito 
affatto  del  motivo  sociale  nella  ispirazione  del  Giorno, 
quale  tennero  ed  esposero  lo  Gnoli  il  Guerzoni  il  Borgo- 
gnoni il  Carducci.  Mi  pare  che  sia  fermarsi  alla  buccia  e 
non  penetrare  all'intima  vita  e  potenza  dell'opera  il  guar- 
darla solo  come  una  satira,  per  quanto  superiormente  fatta, 
dello  scadimento  della  nobiltà  la  quale  il  Parini  amico 
ad  essa  non  già  assalisse  per  vincerla  ma  riprendesse  per 
emendarla.  Oh,  davvero  è  questo  Vunico  scopo  di  si  helV  ire  ? 
è  tutto  qui  il  significato  del  Giorno?...  Veda,  chi  crede 
di  potersi  acconciare  in  questa  opinione;  ma  non  vi  si 
adagi  senza  prima  avere  ascoltato,  con  purgato  orecchio  e 
libera  coscienza,  il  poeta.  Qui  riaffermiamo  intanto  che  il 
Giorno  è  contro  quella  irragionevolezza  e  ingiustizia  so- 
ciale da  cui  scendevano  per  li  rami  il  privilegio  e  la  pre- 
potenza. Grande  visione  del  secolo  decimottavo  si  riconosce 
essere  stata  questa  :  1'  uomo,  e  la  digni  tà  umana  in  ogni 
uomo;  onde  poi,  per  diritto,  la  libertà  e  l'eguaglianza  dei 
cittadini.    A  vendicare  e   attuare  ciò  altri  altro  diede;  la 


dite  del  P.,  in  Rass.  crit.  della  Lett.  it.  VI  81-1898-):  «secondo  me,  ne 
risulta  anche  la  certezza,  o  quasi  certezza,  che  delle  aggiunte  preparate  il 
P.  faceva  gran  conto  e  intendeva  innestarle  nel  vecchio  testo  del  Mattino 
e  del  Mezzogiorno  ».  E  già  venticinque  anni  prima,  nella  lettera  de'  IO 
sett.  1766  al  Colorabani  tipografo,  mentre  si  esibiva  di  dargli  con  la  Sera 
nuova  gli  alti-i  due  poemetti  corretti  in  violti  luoghi  e  migliorati,  si  do- 
leva che  glie  li  avessero  qua  e  là  ristampati,  senza  lasciarmi  luogo  a  cor- 
reggervi pur  un  errore.  E  cosi  li  avremmo  da  ristampar  noi  ?  Ben  è  vero 
che  il  Borgognoni  faceva  eccezione  per  quelle  che  fossero  emendazioni  di 
errore  manifeste,  ma  in  verità  è  troppo  poco. 


PltEFAZIONE  XVII 


Francia,  teoriche  e  libri  a  cui  seguiron  gran  fatti;  l'Italia, 
tra  le  prime  e  più  alte  cose,  questo  poema. 

Al  quale  l'oziosa  dappocaggine  de'  Giovini  signori  (non 
tanta  poi  né  cosi  universale  come  si  potrebbe  supporre),' 
prestò  non  già  la  ragione  e  la  sostanza  ma  si  l'occasione 
e  i  modi,  e  fece  esser  satira,  satira  singolarissima  di  am- 
piezza e  di  atteggiamento,  ciò  che  altrimenti  poteva  essere 
nuda  invettiva:  il  ridicolo  esteriore  si  ritorse  come  arma 
contro  la  intrinseca  falsità.  Che  sia  cosi  veramente,  n'  è 
conferma  autentica  il  dialogo  pariniano  della  nobiltà]  esso 
ben  dice  qual  fosse  il  pensiero  dell'autore  del  Giorno.  Se 
non  che  il  dialogo,  pur  con  la  forza  e  le  verità  di  che  è 
pieno,  e  con  le  eleganze  della  prosa  talvolta  alla  cinque- 
cento (quale  il  Parini  abbandonò  poi,  lasciandosi  piuttosto 
andare  a  quella  scolorita  e  sciatta  del  suo  secolo),  ha  troppo 
di  astioso.  Per  solito,  chi  ha  ragione  non  ringhia,  fors'  an- 
che per  non  somigliare  a  chi  ha  torto.  Né,  del  resto,  a 
dir  meglio,  ringhia  il  bel  dialogo,  anzi  ragiona,  e  con  la 
ragione  finisce  a  soggiogare  le  riluttanti  utopie.  Ma,  se 
abbonda  facondia  e  acutezza,  ancor  manca  una  tale  in- 
venzione che  alzi  la  materia,  bisogna  la  poesia  che  la  pu- 
rifichi ,  ci  vogliono 

Versi  che  all'  acre  foco 

Dell'arte  imponga  la  sottil  Camena; 


1  Non  mi  indugio  a  raccontare  la  storia  o  storiella  di  particolari  per- 
sone che  si  supposero  ritratte  dal  P.  nel  Giovin  signore;  che  non  fu  nò 
potè  essere  il  princ.  Alberico  di  Belgioioso,  né  altri  nessuno,  vedi  in  Car- 
ducci p.  208-'18.  Dove  invece  si  tratta  non  di  costumi  ma  di  opinioni,  non 
di  personalità  ma  di  teoriche,  gli  accenni  determinati  sono  ben  altrimenti 
probabili  o  certi.  L' economista  colbertiano  che  alle  mense  alto  grida  Com- 
mercio !  commercio!  (Il  Mezsog.  558)  —  e  a  cui  par  consuonare  l'altro  grido 
(li  Matt.  737)  Il  lusso,  il  lusso...  in  quanto  sia  fautore  di  socievolezza 
e  coltura,  diffonditore  di  ricchezza,  stimolo  di  operosità  —  si  raffigura  nel 
conte  Pietro  Verri:  il  quale  si  adontò  allora  e  mostrò  spregiare  il  Parini, 
e  treut'anni  di  poi,  avutolo  collega  nella  municipalità  di  Milano,  ne  disse 
cosi  alte  parole.  Ed  è  assai  verisimile  ipotesi  (cfr.  Scherillo,  Poesie  di  G.  P., 
Milano  1900,  a  p.  201  sg.)  che  il  P.  conoscesse  il  libro  del  Galiani  Della  mo- 
nda, stampato  nel  1750,  ove  del  commercio  sono  idee  contrarie  a  quelle 
del  Verri,  e  un  passo    simile  al  pariniano:  «L'agricoltura  è  la  madre  di 


XVIII  PREFAZIONE 


occorre  in  somma  che  quel  dialogo  diventi  questo  poema. 
Ed  ecco  il  Parini  precetto)'  di  amahil  rito,  a  quel  modo 
ch.e  neir  arguta  pagina  oraziana  il  savio  Tiresia  è  maestro 
all'errabondo  Ulisse  di  mettersi,  tornato  in  patria,  a  cac- 
cia di  testamenti  per  rifare  la  roba  disfatta  a  la  facil 
mensa  de' proci]  ed  ecco  il  poema  apparentemeìite  didat- 
tico, come  disse  il  Eeina,  cioè  satiricamente  didattico,  epi- 
camente satirico. 

Ma  questo  vero,  per  esser  tale,  va  inteso  con  giusta 
determinazione.  Oggetto  della  satira  è  la  casta,  mezzo  il 
costume  ;  ma  di  tale  efficacia  è  il  mezzo  e  di  tanto  rilievo 
che  apparisce  e  riesce  quasi  un  fine  subordinato.  Il  Parini, 
eh' è  insigne  per  la  discrezione  sensata  pur  tra  gl'ingegni 
lombardi  de'  quali  suol  essere  abito,  ammetteva,  se  non 
una  giustificazione,  una  scusa  alla  classe  soverchiatrice, 
finché  ella  si  accampasse  operosa  e  fiera,  magari  brutale  ; 
fatta  oziosa  e  frolla,  non  più.  E  per  questa  via  venne  an- 
che a  riconoscere,  non  che  le  ragioni  storiche,  i  meriti  e 
le  virtù  della  nobiltà  guerriera  cittadina  e  togata,  rinfac- 
ciandoli ai  nipoti  incuriosi  e  inetti  dai  quadri  o  ritratti  de- 
gli antenati;  celebre  passo ^  aggiunto  al  Mattino  (vv.  1175- 
1212),  mirabile  di  fattura  e  di  equità,  il  quale  è  naturale 
che  nel  concepimento  primo,  nel  primo  fervido  sentimento 
non  si  affacciasse  al  pensiero  del  poeta,  o  non  vi  si  fermasse 
almeno,  ma  non  è  per  altro  tanto  mal  conciliabile  con  gì'  in- 
timi spiriti  del  poema  quanto  al  Borgognoni  ne  parve. 

Caldi  spiriti  ma  senza  nulla  mai  di  faziosa  o  incom- 
posta demagogia.  Del  fatto  quasi  inesplicabile  che  il  Pa- 


esso  ...   tauti  e  tanti  questa  voce  coìiimcrcio  commercio  replicano  mecca- 
nicamente» ecc.  (I,  p.  185  dell'ediz.  Silvestri  1831). 

*  Di  esso  è  ben  naturale  che  si  ricordasse  il  Manzoni,  I  protri.  Sp. 
e.  VII,  ove  tratteggia  alcuni  de'  ritratti  di  famiglia  di  Don  Rodrigo  :  e'  è 
V  antenato  guerriero,  e'  è  il  magistrato;  poi  \2i' matrona,  V abate \  ma  «  tutta 
gente...  che  aveva  fatto  terrore  e  lo  spirava  ancora  dalle  tele  »,  e  li  serve 
a  punto  per  incitare  viepiù  il  nipote  a  vendicarsi  del  frate.  A  noi  torna 
anche  a  mente  qual  parte  abbia  Za  galerie  des  portraits  de  la  famille  de. 
Stiva  nel  3"  atto  di  Hernani, 


TREFAZIONE 


ri  ni  in  tanti  anni  non  compiesse  e  pubblicasse  compiuto 
il  poema  —  inesplicabile  veramente,  si  cbe  alcuna  volta 
ci  porterebbe  a  pensare  cbe  l'autore,  pur  tra  la  fama  e 
l'ammirazione,  e  con  la  grande  coscienza  sua  d'uomo  e  di 
artista,  non  vedesse  la  sua  opera  cosi  luminosa  e  alta  come 
la  vediam  noi  dopo  oltre  a  un  secolo  di  storia  e  di  con- 
quista — ,  di  quel  fatto  la  ragione  ultima  viene  a  essere 
ch'ei  non  voleva  stravincere  e  che  forse  teme  non  si  an- 
dasse da  vero  più  in  là  del  pensiero  suo.  Da  principio  si 
diceva  svogliato  da  continuare  per  le  sopercliierie  de'  li- 
brai, e  s'intende  bene,  specialmente  ch'ei  lo  diceva  scri- 
vendo a  un  libraio:  che  se  il  Oolombani  avesse  accettato 
i  patti  dal  poeta  propostigli  in  quella  stessa  lettera  de'  10 
settembre  1766,  ei  gii  dava  a  primavera  la  Sera  compiuta, 
la  quale  cosi  sarebbe  seguita  serbando  l'intervallo  di  un 
biennio  ai  due  primi  poemetti.  Mancata  quell'  opportunità 
che  tutti  i  frutti  avrebbe  maturati  alla  loro  stagione,  l'arti- 
sta interruppe  e  s' impelagò  nel  lavoro  :  modificato  il  primo 
disegno  dell'  opera  qual  era  proposto  nel  Mattino,  suddi- 
videndo la  Sera  in  Vespro  e  Notte  ;  ritoccati  più  e  più  volte 
i  due  primi  poemetti,  scritti  in  parte  gii  altri  due  e  per  il 
resto  pensati  ;  non  pubblicò  altro.  Oh  si  fosse  attuato  il 
pensiero  che  il  Parini  con  garbata  discrezione  significava  al 
Bodoni  nella  lettera  de'  18  novembre  1791  !  Ben  sarebbe 
stata  compensata  la  iattura  di  tanti  anni  prima,  e  avremmo 
in  edizione  bodoniana  il  Giorno  compiuto.  Ohe  l' ispira- 
zione non  languiva,  dicono  le  due  parti  uscite  postume  ;  che 
la  materia  abbondava,  e  bella  e  idonea,  mostrano  le  carte 
autografe  pariniane.  Dalle  quali  per  altro  è  ben  vero  che 
si  possono  anche  argomentare  incertezze  grandi  che  tardas- 
sero il  poeta,  allargamenti  ed  episodi  nuovi,  né  sempre 
felici,  che  lo  tentassero.  *  Né  si  può  ricusare  a  testimonio 
il  Reina,  affermante  che  del  Vespro  e  della  Notte  sospese 
pili  volte  il  lavoro;   tanto   lo   rendette  difficile   la   tema  di 


1  V.  a  pag.  190  in  nota  il  frammento  su  la  discesa  all'Averno, 


XX  PREFAZIONE 


non  parer  minore  di  sé  nella  pubblica  opinione.  Cosi  inter- 
corsero gli  anni  fino  alla  rivoluzione:  presso  la  quale  il 
Parini  sdegnò  infierire  contro  il  nemico  vinto.  E  poi  di- 
chiarò aperto  «  sé  aver  cominciato  fin  dal  decimoquarto 
giorno  di  maggio  dell'  anno  millesettecentonovantasei  a 
riguardare  qual  pretta  viltà,  niente  men  tui'pe  che  V  in- 
saevire  in  mortuum,  l'acconsentir,  dopo  tanto  procrastinare, 
all'  edizion  d'  un  scritto  ove  si  pungono  di  sarcasmo  quelli 
singolarmente  che  nel  gran  corpo  sociale  formavano  una 
classe  distinta,  di  cui  i  politici  cangiamenti  sopraggiunti 
allora  nel  proprio  paese  facean  veder  manifesta  la  total 
decadenza  »  (Lettere  dì  due  amici,  37). 

L'aver  fieramente  investito  l'ingiustizia  e  l'ignavia  non 
portò  mai  l'alto  poeta  a  farsi  lusingatore  di  quelli  eh'  ei 
vendicava  dall'  umiliazione  e  dal  sopruso.  L'eguaglianza 
degli  uomini  è  da  natura,  né  può  la  società  disconoscerla  '. 
l'uomo  senta  l'uomo  e  lo  rispetti  in  sé  e,  negli  altri.  Ma 
ciò  importa  che  alle  condizioni  esterne  si  accompagni 
l'opera  della  coscienza  ;  che  l'uomo,  in  qualsiasi  parte  col- 
locato dell'umana  famiglia,  abbia  sua  dignità  virtuosa,  né 
altri  demeriti  l'eguaglianza  rendendosi  per  propria  colpa 
inferiore,  come  il  Giovin  signore  l'offendeva  volendo  pas- 
sarle di  sopra.  E  il  poema  cinge  di  benevolenza  il  buon 
vilian  con  la  fedel  moglie,  il  buon  cultore,  V industre  artiere; 
compatisce  il  calzolar  diserto  e  il  drappiere,  pagati  della 
stessa  moneta  che  usa  spendere  un  gabbamondo  goldoniano 
ove  dice  «  L'onore  della  mia  protezione  paga  bastantemente 
una  partita  di  un  bottegaio  »,  e  con  ossi  il  cocchiere  fatto 
aspettar  lungamente  al  sole  e  alia  pioggia.  Sorride  innanzi 
all'insegna  àeW opulento  sartor,  su  la  quale  il  titol  di  Mon- 
sieur  s'intreccia  a  un  bel  paio  di  forbici;  e  sorride  del 
servo  che  s'accosta  alla  dama  per  dirle  i  gelati  diversi 
mozzicando  le  parole  per  somigliare  al  padrone.  Non  ride 
più,  o  in  tutt' altro  modo,  quando  accenna  al  troppo  com- 
piacente minia tor  di  belle,  o  al  libraio  arricchito  per  libelli 
osceni  o  famosi,  o  all'  impresario  di  teatri  stranieri  al  quale 
certi  mecenati  raccomandano  la  fortuna  delle  giovani  vir- 


PREFAZIONE  XXI 


ttcose.  Par  che  si  compiaccia  del  giudeo  che  vende  per  greci 
i  suoi  cammèi,  del  merciaiuolo  che  dà  per  inglese  il  suo 
panno  paesano,  solo  per  ciò  che  la  frode  va  a  colpir  chi 
la  merita.  Anzi,  l'ultimo  passo  ricordato  {Il  Matt.  731-'40) 
è  pieno  di  significato  morale:  l'unico  uomo  al  quale  il  semi- 
dio è  cortese  e  liberale,  l'unico  che  si  parte  da  lui  trion- 
fante e  dicendo  ingiuria  ai  laboriosi  onesti  che  son  ribut- 
tati senza  mercede,  è  l'impostore,  l'indegno. 

Alla  fiera  rettitudine  son  pari  la  sagacia  e  la  misura, 
sicché  nessuna  esagerazione  turba  i  giudizi,  nessun  pen- 
siero ubbioso  opprime  la  discreta  equità.  Osservava  Giu- 
seppe Giusti^  che  non  era  da  tutti  nel  1763  dire  di  Vol- 
taire scrittoi'  troppo,  a  torto,  lodato,  né  far  precedere  le  altre 
parole  troppo  (s'intende,  a  torto)  biasmato:  era  di  uomo 
superiore,  sereno  e  severo,  e  il  Parini  che  odiavr.  sopra 
ogni  credere  le  sette  letterarie  _ì,eina),  non  ne  amava  per 
verità  nessun'  altra.  Ma,  poiché  con  ciò  si  tocca  a  un  punto 
assai  rilevante,  è  da  porre  mente  alla  ben  jDrecisa  distin- 
zione che  il  Parini  volle  fare  e  fece  a  proposito  delle  teorie 
di  quegl'  insigni  informatori  della  coscienza  delle  genera- 
zioni susseguenti  e  precursori  di  ogni  moderna  libertà  {Il 
Mezzog.  934-1010).  Tutto  ciò  che  è,  o  parve  essere,  irri- 
sione di  fede  e  rilassatezza  di  costume,  egli  rigetta;  ciò 
che  è  affermazione  di  egualità  umana,  persuasione  di  ca- 
rità e  rispetto  scambievole,  tutto  egli  abbraccia.  S'intende, 
in  forma  satirica,  e  cosi  ancor  più  efficace;  mostrando  cioè 
come  il  Giovin  signore  abbocchi  a  quell'amo  e  da  questi 
veri  rifugga,  anzi  insegnandogli  a  imbeversi  tutto  di  quelle 
morbide  dottrine  e  ad  aborrire  da  queste  sai-te  rivendica- 
zioni. E,  per  me,  non  esito  a  soggiungere  che,  cospirando 
a  fare  l'eccellenza  di  questo  poema  tuttoquanto  l'essere  del 
poeta,  non  vi  manca  né  pure,  singolare  in  verità  nel  Pa- 
rini, il  cristiano  e  a  qualche  momento  il  sacerdote:   ed  è 


1   Versi  e  prose  di  G.  P.  con  un  discorso  di  G.  G.,  Firenze,  Le  Mou- 
nier, 1846;  poi  1850. 


XXII  PREFAZIONE 


bene;  giacclié  egli  era  (se  per  vocazione  o  no,  qui  non  ri- 
leva), ciò  conferisce  a  sincerità  più  intiera. 

Or  d'avi  or  di  cavalli  ora  dì  Frinì 
Instancabile  parla,  or  de'  Celesti 
Le  folgori  deride  (Il  Mezzocj.  720): 

cosi  dice  di  quel  grande  illustre  piovuto  da  oltremare  o 
da  oltremonti,  cui  già  aveva  figurato  brutto  e  ripugnante. 
E  nel  passo  dianzi  citato  ove  campeggia  a  tavola  la  scienza 
del  Giovin  signore  non  si  può  non  vedere  sotto  il  velo 
della  satira  l'omaggio  alla  religione,  l'ossequio  al  sovru- 
mano e  al  misterioso,  il  fastidio  delle  facili  negazioni; 
specialmente  ai  versi  (958  sgg.)  die  mi  piace  trovar  già 
avvertiti  dal  Giusti  : 

Qui  segnalar  ti  dèi  co'  novi  sofi, 
Schernendo  il  fren  che  i  creduli  maggiori 
Atto  solo  stimar  l'impeto  folle 
A  vincer  de'  mortali,  a  strigner  forte 
Nodo  fra  questi  e  a  sollevar  lor  speme 
Con  penne  oltre  natura  alto  volanti. 
Chi  por  freni  oserà  d'inclita  stirpe 
A  l'animo,  a  la  mente  ?  Il  vulgo  tema 
Oltre  natura  ;  e  quei  cui  dona  il  vulgo 
Titol  di  saggio,  mediti  romito 
Il  ver  celato,  e  al  fin  cada  adorando 
La  sacra  nebbia  che  lo  avvolge  intorno. 
Ma  tu,  come  sublime  aquila,  vola 
Dietro  ai  sofi  novelli. 

Qui,  dicevo,  il  Parini  è  presente  con  tutta  la  dignità  e 
severità  sua.  E  severissimo  è  nel  riguardo  de'  costumi  : 
riprensore  fiero,  rappresentatore  vivo,  non  ammise  qui  lu- 
bricità nessuna.  E  delle  altrui  fu  giudice  in  verità  poco 
amabile,  quando  trovò  a  dirittura  il  fedo  loto  da  imputare 
al  Boccaccio  e  all'Ariosto.  Se  in  sue  cose  minori,  o  mi- 
nute, indulse  alcuna  volta  a  moHezze  e  indecenze,  queste 
sono  cosi  lontane  dagli  spiriti  del  Giorno,  come  certe  mi- 
sere quisquilie  eh'  ei  mettea  su'  ventagli  {poesia  da  ven- 
tarole dicesi  ap23unto)  sono  alle  mille  miglia  da  questa  su- 
perbissima arte.    A  rendere  perfetta  la  figura  del  Parini 


PREFAZIONE  xxill 


uomo  e  scrittore,  clie  nobilissima  è  pur  sempre,  occorie 
dimenticare  e  tergere  qualcosa  ;  idealizzare  :  alla  grandezza 
dell'autore  del  Giorno  nulla  è  da  aggiungere  perché  non 
le  manca  nulla.  E  il  Parini  vero,  il  Parini  immortale  è 
pur  questo.  Bastava  un  suo  libretto  di  odi,  anzi  direi  l'in- 
dice o  i  titoli  di  esse,  a  mutar  l'aria  del  mondo  poetico 
italiano;  e  a  inaugurare  la  poesia  nuova  d'Italia,  a  mo- 
strar la  via  a  un  manipolo  di  poeti  degni  degli  antichi, 
valse  su  tutto  il  Giorno^  ove  a  un'idea  saiiita  si  spende 
un'  arte  stupenda.  Oh,  il  Mattino  fu  nome  in  verità  di 
buono  e  non  fallace  augurio. 

Non  per  mettere  a  nuovo  cose  vecchie,  ma  perché  la 
parola  di  poeti  rari  e  cari  come  il  Leopardi  non  invecchia, 
mi  conviene  osar  riaffermare  che  quando  egli ,  scrivendo 
nel  1820  la  canzone  ad  Angelo  Mai,  piena  di  molte  belle 
cose  tra  le  quali  è  anche  la  bella  retorica,  diceva  rivolto 

al  Tasso: 

•  Da  te  fino  a  quest'  ora  uom  non  è  sorto, 

O  sventurato  ingegno, 
Pari  all'  italo  nome,  altro  eh'  un  solo. 
Solo  di  sua  codarda  etate  indegno, 
Allobrogo  feroce, 

il  Leopardi  aveva  torto,  ^  e  ragione  il  Griordani  e  quanti 
altri  si  dolsero  di  veder  dimenticato,  non  che  altri,  il  Pa- 


'  Trovo  che  Alfredo  Straccali,  nel  suo  commento  ai  Canti  di  Giac. 
Leopardi  eh'  è  de'  belli  di  questa  Biblioteca,  lo  scusa  osservando  che  «  il 
poeta  non  ha  gli  uffici  e  i  doveri  dello  storico  »  e  che  il  Leopardi  con  evo- 
care, «  cosi  sola,  la  maschia  figura  del  suo  caro  Alfieri  che  tutta  l'opera 
volse  a  uno  scopo  nazionale,  ha  giovato  al  fine  suo,  e  artisticamente  e  ci- 
vilmente, meglio  che  se  ce  l' avesse  presentata  in  compagnia  di  altre  ». 
Ma  per  me  (e  l' amico  mi  corregga  se  sbaglio),  altro  è  quando  il  poeta 
imagina  e  inventa,  libero  tra  la  fantasia  e  l'affetto,  e  altro  è  quando  giu- 
dica e  discorre,  che  allora  si  può  richiedere  anche  da  lui  giustezza  e  ve- 
rità intiera.  Non  però  che  il  Leopardi  intendesse  imputabile  anche  il  Pa- 
rini della  colpa  ch'ei  designa  per  il  brutto  silenzio;  ma  fu  peccato  che 
l'opportunità  poetica,  dirò  cosi',  non  gliel  lasciasse  proclamare  Pari  al- 
l'' italo  nome.  Del  resto,  ognuno  ricorda  che  il  ragionamento  leopardiano  . 
Il  Parini  ovvero  della  gloria  comincia  cosi  :  «  Giuseppe  Parini  fu  alla 
nostra  memoria  uno  dei  pochissimi  Italiani  che  all'  eccellenza  nelle  lettere 


XXIV  PREFAZIONE 


rini  ;  curiosa  dimenticanza  nell'  atto  di  prendere  proprio  al 
Parini  quella  abbastanza  singolare  denominazione  di  Allo- 
hrogo  feroce.  Ben  più  giusto  era  stato  Francesco  Reina, 
quando  intitolando  il  volume  delle  Liriclie  pariniane,  2^* 
delle  opere,  a  Vittorio  Alfieri,  gli  scriveva:  «  Tu  solo,  fra' vi- 
venti scrittori,  sei  reputato  pari  a  lui  nella  poetica  eccel- 


congiunsero  la  profondità  dei  pensieri...»:  bel  passo,  (vedilo  ne  Leprose 
morali  in  questa  Biblioteca  tanto  bene  commentate  da  Ildebr.  Della  Gio- 
vanna), ma  né  in  cui  pure  è  tutto  il  Parini.  —  E  qui  in  nota  mi  sia  anco 
permesso  di  soggiungere  che  strano  mi  è  sempre  sembrato  un  passo  del 
Manzoni  su  la  fine  della  Storia  della  colonna  infame,  ove  dice:  «Chi  non 
«conosce  il  frammento  del  Parini  sulla  colonna  infame?  Ma  chi  non  si 
«  maraviglierebbe  di  non  vederne  fatta  menzione  in  questo  luogo  ?  Ecco 
«  dunque  i  pochi  versi  di  quel  frammento,  ne'  quali  il  celebre  poeta  fa  pur 
«troppo  eco  alla  moltitudine  e  all'iscrizione: 

Quando  tra  vili  case  [e]  ia  mezzo  a  poche 
Rovino  i'  vidi  ignobìl  piazza  aprirsi. 
Quivi  romrta  una  colonna  sorge 
In  fra  1'  erbe  infeconde  e  i  sassi  e  il  lezzo, 
,0v'  uoin  mai  non  penetra,  però  eli'  iuU 
Genio  propizio  all'  insubre  cittade 
Ognun  rimove  alto  gridando  :  lungi, 
O  buoni  cittadin,  lungi,  che  il  suolo 
Miserabile  infame  non  v'  infetti. 

[PrOCUL  .  HINC  .  PROCUL  .  ERGO  .  BONI  .  CIVES  .  NE  .  VOS  .  INFELTX  .  INFAME  . 
SOLUM   .    COMMACULET.]. 

«  Era  questa  veramente  l'opinion  del  Parini?  Non  si  sa;  e  l'averla  espressa, 
«  cosi  affermativamente  bensi  ma  in  versi,  non  ne  sarebbe  un  argomento  ; 
«  perché  allora  era  massima  ricevuta  che  i  poeti  avessero  il  privilegio  di 
«  profittar  di  tutte  le  credenze,  o  vere  o  false,  le  quali  fosser  atte  a  pro- 
«  durre  un'  impressione,  o  forte  o  piacevole.  Il  privilegio  !  mantenere  e  ri- 
«  scaldar  gli  uomini  nell'errore,  nn  privilegio!  Ma  a  questo  si  rispondeva 
«  che  un  tal  inconveniente  non  poteva  nascere,  perché  i  poeti  nessun  cre- 
«  deva  che  dicessero  davvero.  Non  c'è  da  replicare:  solo  può  parere  strano 
«che  i  poeti  fossero  contenti  del  permesso  e  del  motivo».  E  anche  può 
parere  strano,  come  a  me,  francamente  ripeto,  è  sempre  parso,  che  un 
Manzoni  non  s'accorgesse  che  dire  tutte  quelle  cose  meno  a  proposito  non 
era  possibile.  Quanti  poeti  sdegnarono  e  impugnarono  pili  che  il  Parini 
ogni  tristo  privilegio?  quanti  amarono  più  che  il  Parini  e  vollero  il  vero? 
E  ch'egli  non  dicesse  il  vero,  nessuno  credè  mai.  Né  il  Manzoni,  che  gli 
attribui  plettro  immacolato  e  lui  chiamò  Scola  e  palestra  di  virili.  Quanto 
al  frammento,  che  non  promette  gran  cosa  (v.  opp.  I  239  sg.),  si  può  anche 
imaginare  che  il  poeta  del  Giorno,  a  proposito  della  colonna  infame,  fosse 
per  dichiarare  quale  era  veramente  l'infamia  di  essa,  quella  rivelata  dal 
Verri  e  narrata  dal  Manzoni. 


n 


PREFAZIONE  xxv 


lenza,  ne'  liberi  sensi  veracemente  Italiani....  Le  belle  opere 
di  Voi  due  grandi,  saggi,  e  liberi  cittadini  Italiani....  spi- 
reranno ognora  maschia  virtù...  ».  E  già  nella  Vita  li  avea 
messi  insieme,  il  buon  repubblicano,  come  quelli  che  «  ma- 
gnanimi e  liberi  anche  sotto  i  Re,  concepirono  un'eleva- 
tissima idea  di  libertà,  adeguata  ad  anime  veracemente 
Italiane  ».  Veracemente  italiani^  ripetiamolo  pure,  si  il  gran 
poeta  di  Saul  che  l'italianità  scosse  e  , fece  risentire  e  si 
quello  del  Giorno  che  in  servigio  della  dignità  umana  in- 
novò e  ritemperò  il  verso  di  Dante.  Molti  anni  passati 
dal  fervore  del  Mattino  e  del  Mezzogiorno,  sceso  già  per 
l'undecimo  lustro,  egli  si  contentava  e  compiaceva  di  ri- 
cordare la  sua  maggiore  opera  cosi  (Al  consigliere  bar.  De 

Martini)  : 

Spesso  gli  uomini  scuote  un  acre  riso. 

Ed  io  con  ciò  tentai  frenar  gli  errori 

De' fortunati  e  de  gl'illustri,  fonte 

Onde  nel  popol  poi  discorre  il  vizio.  ' 

Né  paventai  seguir  con  lunga  beffa 

E  la  superbia  prepotente  e  il  lusso 

Stolto  ed  ingiusto  e  il  mal  costume  e  l'ozio 

E  la  turpe  mollezza  e  la  nemica 

D' ogni  atto  egregio  vanità  del  core. 

Cosi,  già  compie  il  quarto  lustro,  io  volsi 

L'Itale  Muse  a  render  saggi  e  buoni 

I  cittadini  miei. 

* 
*  * 

Quanto  all'  arte  del  Giorno,  per  cui  sono  a  vedere  le 
sagaci  analisi  del  Carducci,  curai  di  avvertire,  analizzare 
non  dico,  i  movimenti  continui  di  varia  poesia.  Le  scene 
che  il  poeta  espone  son  còlte  in  atto;  la  vita,  anche  nel- 
l'artifìcio, è  vera.  Ma  egli  ha  bisogno  per  il  suo  intendi- 
mento di  alzarne  il  tono,  di  ornarle  magnificamente,  di 
renderle  eroiche.  E  questa  magnificenza  e  questa  altezza, 
che  sono  ne'  rispetti  della  satira  quasi  apposizioni  volute, 
per  sé  stesse  riescono  quasi  un'  aureola  fantastica  intorno 
a  un  volto  severo.  La  maggior  fonte  di  questa  poesia  è  la 
fonte  maggiore,  la  natura  e  il  sentimento  di  essa.  S' inco- 
mincia dal  sorgere  del  mattino  :  l'aratore  che  va  al  campo 


XXVI  PREFAZIONE 


co' bovi  e  scote  dalle  frasche  la  rugiada  brillante,  il  poeta 
lo  vedeva  scrivendo,  e  noi  lo  vediamo,  e  siamo  un  mo- 
mento tra  quella  frescura  e  davanti  all'apparizione  del 
sole.  A  leggere  {Il  Mezzog.  939): 

erbe  odorate 
Che  l'aprica  montagna  in  tuo  favore 
Al  possente  meriggio  educa  e  scalda, 

abbiamo  innanzi  la  montagna  solatia  e  intorno  la  vampa 
meridiana.  Il  tramonto  è  di  una  solennità  splendida  e  ma- 
linconica, e  indi  a  poco  sono  per  il  cielo  guizzi  di  stelle 
cadenti  e  su  le  paludi    . 

Fiamma  improvvisa  che  lambisce  e  vola. 

La  notte  viene  e  viaggia  con  un  popolo  silenzioso  di  fan- 
tasmi, e  mentre 

alta  sen  vola 
Per  l'eterea  campagna, 

chiama  gli  occhi  de'  mortali  alle  stelle.  La  bonaccia  immo- 
bile del  mare' in  un'afa  pesante  com'è  sentita  e  fatta  sen- 
tire! {Il  Mezzog.  120-'26):  frammento  epico  che  ben  vale 
il  momento  lirico  di  Goethe  Meeresstille  commentato  dalle 
poetiche  note  di  Schubert.  E  il  tuono  che  vien  di  lontano 
(«  0  come  il  tuono  errar  di  giogo  in  giogo ...  »,  anche  il 
divino  pastore  leopardiano,  credo,  se  ne  rammentava),  e  indi 
lo  scrosciar  della  pioggia?  (Ivi,  295-302).  Maraviglie.  E 
nel  piccolo  come  nel  grande:  o  non  è  dal  vero  e  dal  vivo 

quel 

dintorno  a  selvaggio  antico  moro 
Snll'  imbrunir  del  di  garrulo  stormo 
Di  frascheggianti  passere  novelle  {La  Notte,  54G)? 

«  Il  Poeta  condotto  dalla  sua  immaginazione  attribuisce 
anche  alle  cose  più  insensibili  ed  irrazionali  e  mente  e 
cuore  e  pensieri  ed  affetti,  ed  operazioni  a  ciò  consentanee; 
col  qual  mezzo  anima  e  vivifica  piacevolmente  tutto  l'uni- 
verso »  :  ciò  scriveva  il  Parini  in  quel  suo,  a  noi  per  più 


PREFAZIONE  XXVII 


capi  osservabile,  Parere  intorno  al  poema  delVah.  Lorenzi 
(opp.  V  159),  nel  quale,  benché  incominci  ammettendo  che 
«  sarà  d'ora  innanzi  uno  de'  più  nobili  poemi  della  nostra 
lingua  »,  sono  poi  tanti  e  tali  i  Quanto  avrei  desiderato  e 
Quanto  mi  compiacerebbe  e  Ciò  l'avrebbe  condotto  e  Ma  ciò 
vuol  esser  fatto  ecc.,  che  oggi  il  lettore  non  può  non  pen- 
sare che,  a  esser  davvero  un  de' piti  nobili  poemi,  La  colti- 
vazione de'  monti  dell'  ab.  Lorenzi  dovea  essere  com'  è  II 
Giorno  dell' ab.  Parini.  Di  cui  registriamo  la  frase  vivificare 
V  universo,  eh' è,  innanzi  tutto,  sentirne  la  vita. 

Molto  il  poeta  derivò  dal  mondo  classico  al  quale  l'opera 
sua  intende  accostarsi  per  la  dignità  del  tono  e  il  modo 
di  trattar  la  materia:  dalla  fantasia  e  dalla  storia,  dal- 
l'epopea e  dalla  scena.  Gli  esempi  sarebber  dati  da  una 
serie  di  mirabili  quadri  se  giovasse  staccarli  dalle  belle 
pareti,  e  di  potenti  originali  comparazioni  se  fosse  lecito 
persistere  a  guastare  in  povere  parole  ciò  che  il  poeta  ha 
cesellato  e  brunito  ;  il  poeta  che,  inoltrandosi  timil  cantore 
tra  i  desinari  illustri,  si  paragonava  a  Femio  ed  a  lopa. 
Subito,  ricordando  a  principio  il  tornare  del  signore  dalla 
soirée  o  dal  teatro,  col  rumore  della  carrozza,  col  bagliore 
delle  torce  innanzi,  viene  in  confronto  Plutone  emerso  col 
suo  carro  in  Sicilia  a  rapire  Proserpina.  Gli  apparecchi 
della  toilette  del  Giovin  signore  son  come  l'armi  di  Enea 
foggiate  da  Vulcano.  Una  pomata,  un  rossetto,  un  nèo  su  le 
labbra  scabre  da  un'  infreddatura,  su  le  guance  un  po'  pal- 
lide o  su  una  pustoletta;  è  il  caso  dell'eroe  che,  bendata  la 
ferita,  rientra  in  battaglia.  Il  Giovin  signore  nel  gabinetto 
e  la  Sibilla  cumana,  tutti  e  due  scarmigliati,  tutti  e  due 
a  correre  innanzi  e  indietro  ;  la  Sibilla  perché  il  suo  petto 
è  angusto  alla  divinità  che  l'invasa,  il  signore  per  dar  aria 
ai  capelli  intrisi  d'essenze.  Questi,  imbizzito  col  parruc- 
chiere, rovescia  a  terra  ogni  cosa;  ecco,  egli  è  come  il  toro 
del  sacrifizio  che  spezza  i  vincoli  e  mette  tutto  intorno  a 
sgomento  e  a  soqquadro.  Il  qual  passo,  ispirato  da  una 
breve  comparazione  virgiliana  {Aen.  II  2'23  sg.)  e  dalla 
ripresa  vivacissima  di  Dante   {Inf.   xii   22),   è   de' j^iu  etli- 


XXVIII  PREFAZIONE 


caci  a  mostrare  fino  a  qual  segno  avesse  il  Parini  la  po- 
tenza e  il  senso  del  plastico;  né  si  può,  al  leggere  la  chiusa 
di  quella  scena  stupenda,  non  vedersi  innanzi  qualche  an- 
tica scoltura.  Il  simile  avviene  quando,  sfoggiando  il  ca- 
valiere non  so  che  misera  novità,  è  chiamato  in  compa- 
razione Bacco  inventor  della  vite, 

I  giocondi  rabini  alto  levando 
Del  grappolo  primiero. 

Al  risibile  patetico  di  un  dissidio  tra  il  cavaliere  e  la  dama, 
narrato  dal  marito  di  questa,  il  poeta  evoca  d'  un  tratto 
innanzi  un  altro  racconto,  uno  de'  più  stupendi  e  terribili 
della  tragedia  greca. 

E  da  altro  mondo  che  il  grecoromano,  dalla  cavalleria 
dal  romanzo  dalla  novella,  deriva  pure  con  varietà  fresca 
e  felice.  Per  il  cavaliere  cui  bisogna  terger  le  membra  nel 
bagno,  son  ripensate  le  Fate  che  un  di  della  settimana 
dovean  strisciare  come  serpi,  a  rifiorire  il  di  appresso  più 
belle  e  prodigiose.  Quegli  ha  un  nastro,  dono  della  sua 
dama,  alla  spada  ;  ed  ecco  i  cavalieri  della  Tavola  rotonda 
che,  con  una  fascia  o  un  velo  delle  donne  loro,  correvano 
baldanzosi  tra  i  giganti  e  i  mostri.  Una  dama  visita  l'amica, 
e  son  due  guerriere  del  secol  di  Tarpino  che  s'incontrano 
alla  foresta  e  si  misurano.  All'  entrare  del  cavalier  servente 
dileguano  gli  altri  che  facevan  cerchio  intorno  alla  dama, 
e  sono  i  guardiani  del  serraglio  all'ingresso  del  sire. 

Maggior  campo  tiene  la  mitologia;  ed  è  naturale,  si  in 
quanto  è  formalmente  bella  e  rispondente  all'  indole  clas- 
sica del  poema,  e  si  in  quanto  si  presta  a  piccole  figura- 
zioni e  finzioni  quali  entravano  ne'  gusti  allora  del  Bel 
Mondo.  Oltre  alla  mitologia  spicciola,  direi,  d'imagini  e  di 
frasi,  sono  alcune  maggiori  invenzioni,  come  quella  della 
cipria  a  toglier  nel  regno  di  Amore  diseguaglianze  di  capi 
giovanili  e  senili,  quella^  del  trictrac  per  fare  che  i  due 
amanti  s'intendano  mentre  il  marito  è  assordato,  o  quella 
del  canapè  ov'  essi  possan  sedere  appartati  e  soli.  Due  miti 
poi,  due  favole  maggiori  hanno  vera  importanza  nell'  eco* 


PREFAZIONE  '  XXIX 


nomia  del  poema,  dal  Carducci  si  bene  osservata  che  non 
vo'  aggiunger  iiulla  :  la  favola  di  Amore  e  Imene  nel  Mat- 
tino, cioè  come  i  due  fratelli  inconciliabilmente  discordi 
si  partissero  i  regni,  di  che  le  conseguenze  e  le  applica- 
zioni in  quella  società  son  palesi  ;  e  la  favola  del  Piacere 
nel  Mezzogiorno,  come  da  quello  e  solo  per  aver  prima 
fruito  di  quello  si  sia  sceverata  e  distinta  dal  genere  umano 
la  stirpe  de'  semidei.  E  queste  artificiose  finzioni,  che  si 
presentano  quasi  giustificazioni  illusorie  o  irrisorie  di  cose 
irragionevoli  o  inique,  servono  qui  all'epopea  che  irride, 
come  altra  volta  servirono  all'argomentazione  che  illude. 
Perché,  accostamento  di  fatti  remoti  ma  che  mi  par  giusto, 
delle  favole  si  valsero  spesso  alle  loro  appariscenti  dimo- 
strazioni i  sofisti.  Esempio  insigne  abbiamo  nel  Protagora 
di  Platone,  ove  esso  Protagora  in  servigio  della  sua  tesi  è 
indótto  a  raccontare  il  mito  de'  fratelli  Prometeo  ed  Epi- 
meteo,  e  la  distribuzione  eh'  essi  fecero  tra  gli  animali  dei 
mezzi  di  vita  e  difesa,  con  poi  l'intervento  di  Giove  il 
quale,  pensoso  del  genere  umano,  invia  Mercurio  a  por- 
tare tra  gli  uomini  verecondia  e  giustizia,  si  che  si  ordi- 
naron  città  e  si  strinsero  amichevoli  rapporti.  C'è  anche, 
direi,  qualche  affinità  con  le  due  favole  pariniane  e  col  suc- 
cedersi di  esse  ;  Amore  e  Imene  da  prima,  poi  il  Piacere. 
Come  fioriture  o  propaggini  mitologiche  si  possono  ri- 
guardare quelle  personificazioni  di  astratti,  di  cui  il  Giorno 
è  pieno,  risj)ondenti  anch'  esse  si  al  tono  si  al  tempo.  Fa 
a  proposito  dare  uno  sguardo  ai  Programmi  di  belle  arti 
(Oj^p.  V  1-120:  nella  dedicatoria  dei  quali  a  Gius.  Fran- 
chi scultore  il  Reina  ricorda  come  il  Parini  meditava 
spesso  suir  eccellente  composizione  del  Cenacolo  di  Lionardo 
da  Vinci):  vi  son  molti  tratti  in  cui,  dando  il  poeta  sog- 
getti e  disegni  per  le  arti  figurative,  accusa  la  maniera 
sua  qual'  è  nel  delineare  certe  figure  e  figurare  certe  astra- 
zioni nel  Giorno  ;  naturalmente  nel  poema  son  più  perfette, 
dove,  anziché  proporle  all'arte  altrui,  le  lavorava  con  la 
propria.  La  Licenza,  la  Scurrilità,  la  Gelosia,  e  altre  in 
quei  programmi,  sono  del  numero;   e  v'ha   talune  figure, 


PREFAZIONE 


come  la  Sincerità  il  Pudore  la  Fermezza  la  Fecondità  {le 
quattro  doti  principali  che  contribuiscono  alla  felicità  del- 
l''Amore)  tratteggiate  in  modo  che  già  tengono  .dell'arte 
pariniana.  • 

Perfettamente  in  armonia  col  carattere  del  poema,  con 
l'ingegno  e  l'educazione  del  poeta,  con  la  materia  e  le 
forme,  è  la  elocuzione  :  tutta  piena  di  elementi  e  atteg- 
giamenti classici,  e  temperata  a  quella  dignità  che  questa 
satira  nuova  e  singolare  voleva.  E  però  l'andamento  e  i 
modi  classici,  nello  stile  nei  costrutti  nelle  parole,  in  uno 
scrivere  cosi  profondamente  informato  dal  latino,  son  da 
osservare  di  continuo,  anche  quando  non  si  abbia  ragione 
a  credere  che  l' autore',  il  Virgilio  della  moderna  Italia 
come  disse  il  Leopardi,  a  quel  dato  momento  avesse  innanzi 
un  luogo  di  scrittore  antico.  L'orecchio  educato  a  quei 
suoni  di  cui  sempre  gli  giunge  un'  eco  indistinta,  lo  spi- 
rito animato  di  quel  sentimento,  lo  portano  ad  armoniz- 
zare classicamente  parola  e  pensiero.  E  il  verso,  piccolo  in 
verità  a  quello  del  vecchio  epos,  s'ingrandisce,  s'innalza; 
docile  a  tutte  le  forme,  prontissimo  a  tutti  i  suoni  ;  è  scol- 
tura, è  quadro,  è  musica,  è  volo  ;  è  una  perfezione  d'arte, 
nobile  e  franca,  varia  e  uguale,  che  fu  esempio  a  tutti  i 
migliori  né  fu  superata  da  nessuno.  Stando  alla  lingua, 
uno  de'  più  singolari  vantaggi  che  il  poeta  trae  dall'  im- 
pronta e  intonazione  classica  è  per  alcune  parole  che  sotto 
colore  antico  dissimulano  il  significato  volgare.  A  persona 
verso  cui  si  voglion  serbare  i  riguardi  almeno  delle  forme 
non  si   potrebbe  mica   dire:  Lei  che  non  fa  mai  niente,  o 


1  La  prima  e  T  ultima  specialmente:  p.  37  «La  Sincerità.  Bellissima 
giovanetta  in  abito  candido  semplice  e  sottilissimo,  con  capelli  biondi  sparsi 
sulle  spalle,  in  atto  d'essersi  scoperta  graziosamente  il  petto  con  una  mano, 
e  coir  altra  accarezzando  una  colomba.  Avrà  la  fisonomia  ridente,  occhi 
azzurri,  grandi,  e  pieni  di  semplicità  ».  E  p.  38  «  La  Fecondità.  Bella  donna 
di  fisonomia  contenta,  con  gli  occhi  rivolti  al  cielo  quasi  in  atto  di  ringra- 
ziarlo, col  seno  turgido  di. latte,  dove  apparisca  qualche  picciola  vena,  ve- 
stita a  piacere,  e  con  un  nido  d'uccelletti  in  mano  J>.  Finisce  proprio  con 
un  verso! 


PREFAZIONE  XXXI 


senta  un  po'  me;  e  pure  in  somma  questo  dice  il  Parini 
al  suo  eroe,  ma  con  la  frase 

Se  in  mezzo  agli  ozi  tuoi  ozio  ti  resta..., 

dove  ozi  noi  sentiam  Lene  quel  che  vuol  significare,  e  nel 
testo  non  suona  né  inerzia  né  mollezza  ;  sembrano  gli  otia 
che  anche  agli  Scipioni  eran  cari. 

Nel  Giorno  più  ancora  che  nelle  Odi  è  manifesta  la 
opportunità  che  ben  vide  il  D'Ancona  commentando  quelle 
(Firenze,  Le  Mounier  1884)  «  di  rintracciare  l'origine  clas- 
sica dei  vagiti  fiori  dello  stile  che  il  poeta  lombardo  colse 
nei  recessi  di  Pindo  {Notte,  v.  808)  »;  e  si  conosce  evi- 
dente che  «  i  modelli  di  stile  del  Parini  ...  furono  i  la- 
tini »  sopra  tutti.  Né  ciò  è  per  nulla  inconciliabile  con  le 
affermazioni  del  Foscolo  che  il  Parini  avesse  tra  i  nostri 
alcuni  autori  jdìù  ammirati  e  studiati  (Dante,  l'Ariosto,  e 
il  Tasso  neìV  Aminta  ;  dei  due  primi,  c'è  anche  il  testi- 
monio del  Reina),  e  che,  pur  con  le  ammirazioni  e  gli  studi, 
fu  e  nell'insieme  e  nei  particolari  originalissimo,  semper  ^ 
suiis]  e  proprio  originalissimo  1' avea  già  detto  l'Alfieri. 
Al  qual  Foscolo,  com'  esso  narra  (opp.  iv  23),  il  Parini  un 
di  avea  detto,  e  non  predicava  a  sordo  :  «  non  ti  dipartire 
o  giovinetto  da'  Greci  che  hanno  insegnato  a'  Latini,  né 
da'  Latini  che  insegnano  a  noi  ...  ». 

Che  il  classicismo  nel  Parini  non  è,  come  nessuna  cosa 
in  lui,  esagerato  né  di  maniera;  è  di  quello  che  accresce 
e  propaga  la  vita,  non  già  la  mortifica  o  aduggia.  Si  con- 
cilia con  la  schiettezza  immediata  del  concepire  e  dell'espri- 
mere, ma  le  aggiunge  finitezza  e  misura.  Nei  ricordati  Pro- 
grammi v'é  in  principio  un  soggetto  «  Apollo  addita  allo 
quattro  Muse  del  Teatro  i  modelli  del  Bongusto  ^  nelle 
arti  teatrali  ...  »,  e  due  busti  dovranno  apparire  che  rechino 


1  II  Parini,  per  il  quale  i  gusti  eran  due,  il  buono  e  il  cattivo,  li  nomina 
spesso  in  prosa  e  in  verso.  Ma  del  Buongusto  non  die,  né  pur  qui,  i  tratti 
e  la  figura;  solo  il  Cattivo  Gusto  dipinge,  «  di  fisonomia  stupida  e  di  fattezze 
grossolane,  con  due  grandi  orecchie  d'asino,  e  una  zampogna  in  mano  ». 


XXXII  PREFAZIONE 


scritto  in  lettere  d'oro  Sophodes  e  Terentius,  la  perfezione 
e  l'urbanità.  (Ci  sarà,  anche,  è  vero,  un  bel  veccbio  sbar- 
bato, Metastasius  :  del  resto,  Erato,  in  quanto  musa  delle 
rappresentazioni  liriche^  non  potea  farsi  molto  più  indietro 
né  più  alto).  E  per  il  disegno  del  tempio  clie  dovrà  acco- 
gliere i  busti,  il  tempio  della  Immortalità,  ecco  le  norme  : 
«  l'architettura  del  tempio  potrà  essere  d'uno  o  j)iù  ordini, 
avvertendo  però  che  vi  sia  conciliato  colla  grandiosità  la 
maggior  esattezza,  semplicità  e  purità  possibile  dell'Arte  ». 
Questa  appunto  è  la  conciliazione  che,  architettando  per 
conto  suo,  il  Parini  si  propose  e  raggiunse, 

E  di  tutto  ciò,  di  questa  mirabile  ornamentazione  com- 
posita, di  quest'  arte  e  di  questa  poesia  egli  cinse  un  pen- 
siero giusto,  un  sentimento  degno,  un  dramma  vario  che 
si  anima  e  si  agita  su  splendida  scena,  e  ha  stupende  vi- 
vacità di  commedia,  e  tócca,  a  proposito  di  una 

Vergine  cuccia  de  le  Grazie  alunna, 

le  note  di  commozione  più  alte.  Che  se  le  quattro  parti 
del  poema  desideravano  ancora,  qual  meno  e  quale  assai 
più,  l'ojDcra  del  poeta  a  compierle  e  pulirle,  ciò  non  toglie 
che  non  s'abbia  a  dire  di  esse  press' a  poco  quel  che  fa 
detto  di  quattro  famosissime  statue  le  quali  pure  rappre- 
sentano momenti  del  tempo  e  hanno  con  alcuno  di  questi 
poemetti  in  comune  il  nome  :  «  E  vero  che  nessuna  di  que- 
ste ha  avuta  l'ultima  mano;  son  però  condotte  a  tal  grado, 
che  molto  ben  si  può  veder  l'eccellenza  dell'artefice;  né  lo 
sbozzo  impedisce  la  perfezione  e  la  bellezza  dell'opera  ». 
Questa  sua  opera  Giiiseppo  Parini,  con  una  lettera  tra 
arguta  e  bonaria,  mezza  tra  lo  scrivere  settecentesco  e  il 
fare  suo  classico,  dedicava  Alla  Moda]  in  verità  la  conse- 
gnava alla  gloria,  in  cui  fiorisce  durevolmente.  A  quanti 
invece  occorse,  credendosi  operare  per  la  gloria,  sacrifi- 
carsi alla  moda! 

Bologna,  21  settembre  1906. 

G.  A. 


ALLA  MODA'' 


Lttngi  da  queste  carte  i  cisposi  occhi  già  da  un  secolo  rin- 
tuzzati, lungi  i  fluidi  nasi  de"  malinconici  vegliardi.  Qui  non 
si  tratta  di  gravi  mi?iisterj  nella  patria  esercitali,  non  di  severe 
leggi,  non  di  annojante  doinestica  economia  misero  appannaggio 
della  canuta  età.  A  te  vezzosissima  Dea,  che  con  si  dolci  redine  5 
oggi  temperi,  e  governi  la  nostra  brillante  gioventù,  a  te  sola 
questo  piccolo  Libretto  si  dedica,  e  si  consagra.  Chi  e  che  te 
qual  sommo  Nicme  oggimai  non  riverisca,  ed  onori,  poiché  ifi 
si  breve  tempo  se  giunta  a  debellar  la  ghiacciata  Ragione,  il 
pedante  Buon  Senso,  e  P  Ordine  seccagginoso  tzwi  capitali  nemici,  "io 
ed  hai  sciolto  dagli  antichissimi  lacci  questo  secolo  avventurato? 
Piacciati  adunque  di  accogliere  sotto  alla  tua  protezione,  che 
forse  noìi  w'  e  indegno,  questo  piccolo  Poemetto.  Tu  il  reca  su 
i  pacifici  altari  ove  le  gentili  Dame,  e  gli  amabili  Garzoni 
sagrificano  a  se  medesimi  le  mattutine  ore.  Di  questo  solo  egli  is 


*  Alla  Moda.  È  la  dedicatoria  che  il  Pa-  gina)   di  due    verbi,    per    dar    più    compiuta 

rini  mise  innanzi  al  Mattino.    Breve  com'  è,  un'  idea  :  temperas  ci  regis,  cfr.  //  Mait.  635 

l'ho  data   qual' è    nella    stampa,  serbandone  «  volge  e  governa». 
anche  l'interpunzione.  13.  sn    i   pacifici    altari   ore  ...  :    su  le 

I.  già    da   nn    secolo    rintazzati,    cioè  toileltes,  anche  nel  poema  definite  come  are 

ottusi  da  un  pezzo.  tutelari  della  belte^^a,  e  su  cui  abitano  qual- 

6.  temperi  e   gOTcrni:  uso  classico  (che  che  tempo  i  libri  alla  moda.    Puoi  vedere  nel 

torna  quattro  o    cinque   volte  in  questa   pa-  Matt.  648  sgg.,  nel  Me^^og.  42  sg.  e  942-'52. 


è  vago,  e  di  questo  solo  andrà  superbo  e  contento.  Per  esserti 
pili  caro  egli  ha  scosso  il  giogo  della  servile  rima,  e  se  ne  va 
libero  in  Versi  Sciolti,  sapendo,  che  tu  di  questi  specialmente 
ora  godi,  e  ti  compiaci.  Esso  non  aspira  all'immortalità,  come 

5  altri  libri,  troppo  lusingati  da!  loro  Autori,  che  tu,  repe^itina- 
mente  sopravvenendo,  hai  seppelliti  tieW  oblio.  Siccome  egli  è  per 
te  nato,  e  consagrato  a  te  sola,  cosi fie  pago  di  vivere  quel  solo 
momento,  che  tu  ti  mostri  sotto  un  medesimo  aspetto,  e  pensi 
a  cangiarti,  e  risorgere  in  pili  graziose  forme.  Se  a  te  piacerà 

10  di  riguardare  con  placid"  occhio  questo  Mattino  forse  gli  succe- 
der amio  il  Mezzogiorno,  e  la  Sera  ;  e  il  loro  Autore  si  studierà 
di  comporli,  ed  ornarli  in  modo,  che  non  men  di  questo  abbiano 
ad  esserti  cari. 


3.  tn  (11  questi    specialmente   ora  godi,  cui  la  Moda  Dì  viver   concedette   un  giorno 

e  ti  compiaci.   Non  fa  di  bisogno   ricordare  intero  ». 

come    veramente    allora    fossero    usitati    gli  g.  Se  a   te  piacerà   di  rlgoardare   con 

sciolti    e    che    eran    d'altra    lega    dai    pari-  placid'occlllo 'questo   Mattino:    aperto    ri- 

niani,  cordo  del  principio  di  un'ode  oraziana,  iv  3, 

7.  quel    solo   momento,   che  ... ,    e  ...  «  Q^uem    tu,   Melpomene,    semel    Nascenicm 

Puoi  confrontare  il  Mail.  723    «  ...  lavori  a  placido  lumine  videris  ...  ». 


IL  GIORNO 


Le  lezioni  apposte  e  non  seguite  da  alcun  seguo  sono  dalle  stampe  origi- 
nali del  1763  e  '65.  Se  nel  testo  è  serbata  la  lezione  di  quelle  stampe  e  son  date 
in  calce  le  varietà  dei  manoscritti,  queste  son  designate  da  "V.  o  Vv. ,  secondo 
che  siano  una  o  più.  E  se  appariscono  registrate  ne'  detti  modi  si  la  lezione 
delle  stampe  e  si  una  o  più  varianti,  s' intende  che  la  lezione  accolta  nel  testo  è 
un'  altra  variante.  - 

Abbreviazioni  :  B.,  cioè  l'edizione  data  dal  Bramieri  in  Parma  presso  L.  Mussi 
nel  1805;  CI.,  cioè  quella  curata  dal  Colonnelli  in  Poesie  di  G.  P.  stampate  a 
Milano  dalla  Soc.  tipografica  de' Classici  Italiani  nel  1841;  C,  ossia  il  testo  edito 
dal  Canti  a  Milano  presso  G.  Gnocchi  nel  1851.  Queste  abbreviazioni  sono  in  pa- 
rentesi quando  gli  editori  seguono  una  data  lezione,  sono  fuori  di  parentesi  ove 
si  tratti  di  singolarità  dell'editore. 


IL   MATTINO 


Giovin  Signore,  o  a  te  scenda  per  lungo 
Di  magnanimi  lombi  ordine  il  sangue 
Purissimo  celeste ,  o  in  te  del  sangue 
Emendino  il  difetto  i  compri  onori 
E  le  adunate  in  terra  o  in  mar  ricchezze 
Dal  genitor  frugale  in  pochi  lustri, 
Me  precettor  d'amabil  rito  ascolta. 


1-7.  Il  poeta  «  si  volge,  senza  invo- 
cazioni, senza  preamboli,  all'  alunno,  il 
Giovili  signore,  oh' è  anche  l'attor  del 
poema  »  (  Carducci,  St.  d.  G.  II,  ii). 
L'  assenza  d'invocazione  è  assai  note- 
vole nel  classico  autore,  e  prova  com'ei 
sentisse  giusto  nell'  imitare  i  grandi 
modelli,  derivandone  viva  perfezione, 
non  mai  cosa  che  potesse  riuscire  a 
formula  fredda  o  a  luogo  comune.  0  a 
te...,  0  in  te....,  ascolta:  periodo  nobil- 
mente composto  e  compatto,  di  figura 
tutta  classica  :  un  vocativo,  seguito  da 
due  proposizioni  disgiuntive,  e  quindi 
il  riposo  nella  principale,  chiusa  dai 
verbo. 

1-2.  per  Inngo...  ordine:  la  satira  Vili 
di  Giovenale,  contro  i  patrizi,  comincia 
cosi:  «  Stemmata  quid  faciunt,  quid  iu- 
vat,  Pontice,  longo  Sanguine  cense- 
ri...?  »;  e  stemmata  sono  gli  alberi  ge- 
nealogici. E  nel  Mezzog.  331  sg.  legge- 
remo; «per  mille  feltrato  invitte  reni 
Sangue».  Di  magnanimi  lo-iibì:  il  geni- 
(ivo  è  interposto  tra  l'aggettivo  e  il 
nome  cui  specifica;  solita  collocazione 
classica,  non  disusata  a' nostri,  frequen- 
te nel  P.  che  l'adopra  quasi  sempre, 
come  qui,  benissimo. 


3.  Purissimo  celeste  :  il  primo  ag- 
giunto dice  senza  macchia,  senza  mi- 
stione alcuna,  ma  pur  cosa  umana  (ri- 
guardo a  questa  purezza,  e  com'  ella 
sia  spesso  jìev  qualche  im.pensato  av- 
venlmento  turbata,  e'  è  un  passo  faceto 
nel  dialogo  della  nobiltà)  ;  il  secondo, 
cosa  di  cielo,  divina.  Cfr.  Virgilio,  Aen. 
VI  730:  «  caelestis  origo  »,  e  qui  sotto 
i  vv.  61-62.  Nel  Mezzog.  v.  193  sg.  con 
espressione  equivalente  «  i  divini  Anti- 
quissimi  sangui  ». 

4-6.  i  compri  onori,  le  cariche  e  se- 
gnatamente i  titoli  acquistati  a  prezzo, 
cosa  usitata  allora  e  non  mai  tra  le  pic- 
cole vanità  sociali  disusata,  le  adunate... 
in  pochi  Instrl  :  le  rapide  fortune  messe 
insieme  per  traffici  e  commerci,  da  chi 
con  sé  stesso  usa  una  parsimonia  eh' è  a 
dirittura  sordidezza  e  non  ha  scrupoli 
di  coscienza.  —  Nella  disposizione  delle 
parole  nota  l' iperbato,  di  cui  il  P.  si 
vale  spesso  e  bene;  cfr.  altro  esempio 
al  v.  101  e  seguente. 

7.  prcc.  ttor  d'amabil  rito:  maoslro 
di  costume  gentile.  Rito  è  «  modo,  u- 
sanza  »,  ma  si  in  latino  e  si  in  italiano, 
al  sing.  e  al  plur.,  si  riferisce  spesso  a 
cose  religiose  e  sacre j  parola  quindi 


Fabini  —   Albini 


IL  MATTINO 


10 


15 


20 


Come  ingannar  questi  noiosi  e  lenti 
Giorni  di  vita,  che  si  lungo  tedio 
E  fastidio  insoffribile  accompagna, 
Or  io  t'insegnerò.  Quali  al  Mattino, 
Quai  dopo  il  Mezzodì,  quali  la  Sera 
Esser  debban  tue  cure  apprenderai, 
Se  in  mezzo  agli  ozi  tuoi  ozio  ti  resta 
Pur  di  tender  gli  orecchi  a'  versi  miei. 

Già  l'are  a  Vener  sacre  e  al  giocatore 
Mercurio  ne  le  Gallie  e  in  Albione 
Devotamente  hai  visitate,  e  porti 
Pur  anco  i  segni  del  tuo  zelo  impressi: 
Ora  è  tempo  di  posa.  In  van  te  chiama 
Lo  dio  de  l'armi;  che  ben  folle  è  quegli 
Che  a  rischio  de  la  vita  onor  si  merca, 
E  tu  naturalmente  il  sangue  abborri. 

20.  In  vauo  Marte    A  sé  t' invita 


opportunissima  in  questo  scrivere  pieno 
di  intima  ironia  e  di  riposti  signiflcati. 
Nella  felice  espressione  precettor  d'ani, 
r.  è  già  in  compendio  la  proposizione 
del  poema,  quale  poi  si  esplica  ne'  versi 
seguenti. 

8-15.  È  la  proposizione  di  tutto  il 
poema,  cioè  di  tutti  e  singoli  i  poemetti  : 
prima  in  termini  vaghi,  insegnamenti 
contro  la  noia;  poi  determinati,  occu- 
pazioni delle  varie  ore  del  giorno.  Poi- 
ché il  poeta  quando  scrisse  questi  versi 
non  aveva  ancor  pensato  a  suddividere 
la  Sera  in  due  il  Vespro  e  la  Notte,  la 
materia  è  proposta  come  tripartita. 
Certo,  se  avesse  poi  ripubblicato  il  Mat- 
tino a  poema  compiuto,  avrebbe  modi- 
ficato questi  versi  secondo  il  nuovo 
concetto. 

8.  ingannar:  Ingannare  il  temim 
per  far  che  passi  inavvertito  è  del- 
l'uso  familiare,  ma  è  anche  classico: 
per  es.  Ovidio,  Met.  viii  651:  «  fallunt 
serraonibus  horas  ». 

8-10.  noiosi  e  lenti  Giorni...,  si  lungo 
tedio  E  fastidio  iuso.Tribile  :  s' intende, 
per  chi  non  ha  da  fare,  o  non  sa  o  non 
vuol  fare,  nulla.  Il  poeta  si  porge  sem- 
pre ossequente  al  suo  eroe,  e  parla  il 
linguaggio  di  lui.  Cfr.  l' ode  alla  Musa 
V.  25  sg.,  ove  dice  che  l'amico  di  poesia 
«  spesso  al  faticoso  ozio  de'  grandi... 
s' invola». 


14-15.  Se...  Pur  :  si  può  intendere  non 
altrimenti  che  se  fosse  vicino  se  pure, 
perché  è  uso  elegante  disgiungere  le 
parti  di  un  avverbio  o  d'  una  congiun- 
zione composta;  ma  anche  può  inten- 
dersi pur  nel  frequente  significato  clas- 
sico di  solamente.  Se  in  mezzo  agli  ozi 
tuoi  ozio...  :  vedi  ciò  eh'  è  osservato  su 
ozi  e  ozio  nella  prefaz.  e  cfr.  v.  211 
e  il  V.  337. 

16-19.  Già  l'.tre  a  V  ncr  sacre  ecc.  : 
allude  a'  viaggi  de'  giovini  signori  in 
Francia  e  in  Inghilterra  ne'  più  celebri 
luoghi  dati  al  piacere  e  al  gioco,  onde 
riportavano  spesso  malconcio  il  corpo 
e  l'avere.  Non  solo  alla  frase  V  are  a 
Vener  sacre,  ma  a  tutto  il  passo  con- 
suonano i  versi  del  Gozzi,  Sermone  IV 
la  corruzione  de' costumi  presenti: 

Escono  di   pupillo;   ecco  i  licei 
Spalancati  del  gioco  e  i  templi  e  l'are 
Sacre  alla  Dea  di  Cipri,  ove  la  prima 
Scola  si  ribadisce  e  si  rassoda. 

al  giocatore  Mercurio  :  presiedendo  a' 
guadagni,  onesti  e  disonesti,  è  dio  de' 
mercanti  de'  ladri  e  de'  giocatori,  zelo: 
è  l'ardore  con  che  si  adempie  un  dovere 
0  si  presta  un  uflìcio;  cfr.  il  Mezz.  692  ; 
qui  ognun  sente  l'ironia. 

20-22.  te  chiama,  in  quanto  a"  privi- 
legiati della  fortuna  erano  serbati  in  pri- 
vilegio anche  i  gradi  della  milizia. 

23.  naturalmente:   tal   quale  come  il 


IL  MATTINO 


Né  i  mesti  de  la  dea  Pallade  studi 
25        Ti  son  meno  odiosi  :  avverso  ad  essi 
Ti  fero  alii  troppo  i  queruli  riciuti, 
Ove  l'arti  migliori  e  le  scienze 
Cangiate  in  mostri  e  in  vane  orride  larvo 
Fan  le  capaci  vòlte  echeggiar  sempre 
30        Di  giovanili  strida.  Or  primamente 
Odi,  quali  il  mattino  a  te  soavi 
Cure  debba  guidar  con  facil  mano. 
Sorge  il  mattino  in  compagnia  dell'alba 
Dinanzi  al  Sol  che  di  poi  grande  appare 
35        Su  l'estremo  orizzonte  a  render  lieti 

Gli  animali  e  le  piante  e  i  campi  e  l'onde. 
Allora  il  buon  villan  sorge  dal  caro 
26.  Ti  feron  troppo  (C.)  —  34.  Innanzi 


nimirum  latino,  sciticet  e  simili,  serve 
all'  ironia.  Il  sangue,  da  cui  abborre  il 
G.  s.  (abborre  da  versarlo,  s' intende),  è 
il  suo. 

24-30.  Né  i  mesti  de  1»  dea  Pallade 
studi  eco:  gli  studi  vari  per  cui  si  ac- 
quista il  sapere.  Mesti,  perché  doman- 
dano un  raccoglimento  laborioso  che 
dee  parere  gi'an  tristezza  ai  dissoluti 
perdigiorni,  e  poi  per  ciò  che  dice  in 
seguito.  Si  avverta  non  esser  qui  da 
escludere  che  il  P.  abbia  seriamente 
un  biasimo  per  le  scuole,  quali  erano 
le  più  a  suo  tempo,  poco  istruttive  e 
punto  educative  per  colpa  de'  maneschi 
e  maleducati  maestri,  numerosa  discen- 
denza del  plagoaus  Orbilius  che  toccò 
a  Orazio.  Ma  il  trovare  in  ciò  una  scusa 
per  il  Giovin  signore  dall'attendere  nel- 
la giovinezza  matura  a  qualche  seria 
occupazione  della  mente,  è  satira.  An- 
che negli  ultimi  versi  del  frammento 
d'  epistola  a  Giancarlo  Passeroni  (0  ine- 
co  in  fin  dagli,  anni  miei  più  verdi, 
opp.  Ili,  p.  180).  il  P.  non  sembra  me- 
narla buona  a  chi,  irridendo 
.  .  .  .  i  tempi  oscuri 
Quando  con  formidabile  staffile 
Regnarono  i  pedanti  a  cui  dinanzi 
Con  boccaccia  e  con  strani  torcimenti 
Stridevano  1  fanciulli, 

SI  gloria  dell'  età  ingentilita  e 

.  .  .  ciurma  una  gran  turba 
Ci  sciocchi  uguali  a  lui. 

32.  con  facil  mano:  condiscendente, 
propensa,  benigna.  È  aggettivo  di  laigo 


uso,  la  cui  precisa  significazione  si  ha 
dal  testo:  «Seram...  facili  grandiapoma 
vianu*,  disse  Tibullo  I  1,  S,  e  vale  abile, 
che  sa  fare;  cosi  per  Virgilio,  Bue.  iii 
38  è  facile  il  tornio  ond'è  proprio  il  dar 
forma,  facili  gli  occhi  che  rapidamente 
si  muovono  Aen.  vni  310,  facile  una 
navigazione  prospera  Georg,  i  40,  faci- 
les  animi  iuvenum  G.  iii  165  pieghe- 
voli e  domabili.  Vedremo  nel  Mezzog. 
16:  la  facil  mensa...  de'  Proci,  cioè  ab- 
bondante senza  fatica.  Benissimo  il  Man- 
zoni Adelchi  a.  V.  se.  5':  «nella  facil  ora 
di  colloquio  ospitai»:  cioè  in  cui  l'uomo 
è  disposto  a  esaudire  e  concedere.  E  in 
contrario  di/Jìciles  tabellae  è  chiamata 
da  Ovidio  Am.  i  12,  7  la  tavoletta,  in  cui 
è  risposto  no  a  un  chiesto  convegno. 

33-35.  .Sorge  ecc.:  il  mattino  comincia 
con  r  alba,  e  però  innanzi  all'  apparir 
del  sole,  (li  pn:  avverti  che  va  unito 
ad  appare,  non  a  grande  che  sta  da 
sé  e,  cosi  collocato,  dà  rilievo  alla  rap- 
presentazione. E  v'è  osservato  un  fatto; 
tialilei  Sagg.  49;  «  Il  sole  e  la  luna  vi- 
cini air  orizzonte  appariscono  maggiori 
che  innalzati  verso  il  mezzo  cielo  ».  — 
S'n  l'estreiio  orizzonte:  ultimo,  ed  é  la- 
tinismo, anche  per  T  uso  dell'  aggettivo 
in  luogo  d'un  nome  astratto  :  cfr.  il 
ìnezzo  cielo  nel  luogo  ora  citato  di 
Galileo.  E  anche  «  da  mezzo  il  cielo  ». 
Manzoni,  P.  s.  viii. 

37.  Allora:  cioè  all'alba;  il  poi  in 
vece  del  v.  40  risponde  alla  levata  del 
sole.  In  fatti  il  contadino  la  prima  cosa 


IL  MATTINO 


Letto  cui  la  fe^[gj  moglie  e  i  minori 

Suoi  figliuoletti  intiepidir  la  notte; 

Poi  sul  collo  recando  i  sacri  arnesi 

Che  prima  ritrovar  Cerere  e  Pale, 

Va,  col  bue  lento  innanzi,  al  campo,  e  scote 

Lungo  il  picciol  sentier  da'  curvi  rami 

Il  rugiadoso  umor  che,  quasi  gemma, 

I  nascenti  del  Sol  raggi  rifrange. 

Sorge  anche  il  fabbro  allora,  e  la  sonante 

Officina  riapre,  e  all'opre  torna         jy,^-t:l~-' 

L'altro  di  non  perfette,  o  se  di  chiave 

Ardua  e  ferrati  ingegni  all'inquieto     ^  /' 


40 


45 


,  vAj 


tV 


38.  sposa  —  40.  sul  dorso  portando  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  41.  ritrovò  Cerere  o  Pale,  ... 
primiera  iuveutò  Cerere  o  Pale  Vv.  {accolse  la  i*  B.)  —  42.  Esce  o  Move  seguendo  i 
lenti  bovi  Vv.  {la  2'  B.)  —  43.  Per  lo  angusto  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  44.  Fresca  rugiada 
che  di  gemme  al  paro  V.  (B,  raa  gemma  non  gemme)  —  45,  La  nascente  del  Sol  luce, 
Il  nascente  del  Sol  lume  rifragne,  Il  nascente  del  Sol  raggio  sparpaglia  Vv.  {la  1*  B.) 
—   46.  Allora  sorge  il  fabbro 


dà  mangiare  alle  bestie,  e  quindi  ap- 
presso le  aggioga  ed  esce  a'  campi. 

40-41.  snl  collo  recando  :  il  sol  dorso 
portando  che  il  P.  pensò  di  poi  non  par 
meglio  della  prima  lez.  :  per  esattezza 
un  recando  in  ispalla  sarebbe  stato  me- 
glio, di  entrambe,  i  sacri  arnesi:  anche 
l'Alamanni,  invocando  Cerere  alla  mie- 
titura, in  versi  degni  d'esser  presenti  a 
studiosi  del  Parini,  la  Coltiv.  II 18  sgg.  : 

Vien  tosto,  vieni  a  noi  succinta  e  snella, 
Né  quella  bionda  treccia  oggi  si  sdegni 
Di  talor  sostener  la  corba  e  '1  vaglio 
E  gli  altri  arnesi  tuoi  ;  non  tardar  molto, 
Che  già  ti  cbiaman  le  campagne  e  i  colli 
Ch'hanno  all'ultimo  di  condotto  il  parto 
Per  riposarlo  poi  nel  tuo  gran  seno. 

Più  innanzi  ha  il  verso:  «  Con  l'aratro, 
col  bue,  con  gli  altri  ferri».  Cerere  e 
Pale:  com'  è  noto,  sono  divinità  dell'a- 
gricoltura; la  prima  propriamente  delle 
mèssi,  la  seconda  degli  armenti  ;  vedile 
invocate  da  Virgilio  nel  I  e  III  dei  Geor- 
gica.  La  precisione  che  il  P.  sembrò 
cercare  poi  con  l'alternativa  Cerere  o 
Pale  non  giova  affatto  alla  poesia. 

42.  Ta,  col  bue  lento...  :  anche  il  verso 
è  lento  e  lungo  per  densità  d'  accenti, 
di  vocali  e  d'elisioni;  «  dipinge  col  suo- 
no »  (Card. ,  St.  d.  G.  VII,  iv).  Pure, 
nella  incontentabilità  sua,  il  P.  pensò  e 
tentò  ancora  di  migliorarlo,  come  ap- 
parisce dalle  varianti. 


43.  Come  i  particolari  bene  osservati 
danno  vivo  il  quadro!  Noi  seguiamo  con 
gli  occhi  il  contadino  per  la  piccola  viot- 
tola di  campagna,  il  picciol  sentier, 
chiusa  tra  gli  alberi  che  vi  spiovon  so- 
pra, i  curvi  rami. 

44.  quasi  gemma:  come  fa  la  gemma: 
come  se  fosser  pietre  preziose  o  perle. 

45.  Tra  i  mutamenti  pensati  poi  solo 
notevole,  non  però  preferibile,  è  spar- 
paglia. 

46.  11  fabbro  :  nome  per  sé  comune  a 
diversi  artefici  ;  posto  da,  solo,  per  noi 
significa  il  ferraio,  e  di  ferraio  vera- 
mente si  tratta  a'  vv.  48-50,  che  negli 
altri  50-52  par  piuttosto  un  orefice  o 
cesellatore. 

46-47.  la  sonante  Ofllcina;  giusto  ag- 
gettivo per  la  bottega  del  fabbro,  riso- 
nante de' colpi  del  martello  sull'incudine. 
47-48.  opere...  non  perfette  :  «  non  com- 
piute, non  terminate»,  lat.  imperfectum 
0  nondum  joerfectum  opus. 

48-52.  0  se.,  assecnra,  o  s",..  tuo!...: 
comunemente,  sia  eli'  egli  assecuri,  sia 
che  voglia.  Piacque  al  P.  questa  forma 
viva  e  schietta  con  l'indicativo,  come 
con  sive...  sive...  usa  il  latino.  Vedine 
altro  esempio  al  verso  516  e  sgg.  e  nel 
Mezzog.  129-134,  740-742.  —  clilaTC  ar- 
dua: diflìcile,  di  cui  bisogna  sapere  il 
segreto  ;  —  ferrati  Ingegni  :  congegni  di 
ferx'o,  e  ingegni  è  consueto  in  tal  senso, 


IL  MATTINO 


50        Ricco  l'arche  assecura,  o  se  d'argento 

E  d'oro  incider  vuol  gioielli  e  vasi 

Per  oi'namento  a  nova  sposa  o  a  mense. 
Ma  che?  tu  inorridisci,  e  mostri  in  fronte, 

Qual  istrice  pungente,  irti  i  capelli 
55        Al  suon  di  mie  parole?  ah  il  tuo  mattino 

Questo,  Signor,  non  è.  Tu  col  cadente 

Sol  non  sedesti  a  parca  mensa,  e  al  lume 

Dell'incerto  crepuscolo  non  gisti 

Ieri  a  posar,  qual  ne'  tuguri  suoi 
CO        Tra  le  rigide  coltri  il  mortai  vulgo. 
A  voi  celeste  prole,  a  voi  conciliò 

Di  semidei  terreni,  altro  concesse 

Giove  benigno:  e  con  altr'arti  e  leggi 

Per  novo  calle  a  me  guidarvi  è  d'uopo. 
65        Tu  tra  le  veglie  e  le  canore  scene 

E  il  patetico  gioco  oltre  più  assai 

Producesti  la  notte;  e  stanco  alfine, 

In  aureo  cocchio,  col  fragor  di  calde 

Precipitose  rote  e  il  calpestio 
70        Di  volanti  corsier,  lunge  agitasti 

li  queto  aere  notturno,  e  le  tenèbre 

52.  a  nuove  spose  —  53.  mostri  in  capo,  in  capo  mostri  V.  —  54.  capagli  —  55.  Ah 
non  è  questo,  Signore,  il  tuo  mattin.  Ali  il  tuo  mattino,  Signor,  questo  non  ò  V.  — 
57.  Di  V.  (B.),  cena  V.  —  59.  a  corcarti  in  male  agiate  piume.  Come  dannato  è  a 
far  l'umile  vulgo,  a  giacer  tra  male  agiate  coltri.  Entro  a  rìgide  coltri  il  vulgo  vile  Vv. 
{scelse  giacer....  Entro  a  B).  —  62.  Almo  o  Grande  di  semidei  Vv.  (B.)  —  64.  convien 
guidarvi 


massime  parlando   d' usci  e  serrature  ;  68-69.    calde  Precipitoso  rote:   il  se- 

—  inquieto  Bieco:  sempre  in  paura  e  in  condo  aggiunto  spiega  il  primo,  riscal- 

sospetto  appunto  perché  ricco;  —  l'ar-  date  per  la  rapidità  del  volgersi.  Cosi 

ciie :  le  casseforti;  —  d'argento  e  d'oro:  Virgilio  Georg,  iii  lOS:   «  volat  vi  fer- 

cioò,  gioielli  e  vasi  d'argento  e  d'oro;  vidus  axis  »  e  Orazio,  e.  1 1,  4,  sg. .  «  fer- 

inversione  forse  un  po'  dura.  vidis  rotis  ». 

60.  rigide  coltri:  non  intender  fred-  70-71.  lunge  agitasti  11  qneto  acre  uot- 
de,  ma  ruvide,  senza  pieghevole  morbi-  turno  :  con  lo  strepito  e  T  impeto  face- 
dezza,  in  contrapposto  alle  coltrici  mal-  sti  vibrare  e  ondeggiare  largamente  l'a- 
ie cedenti  del  v.  86.  Son  le  lenzuola  di  ria  della  notte  silenziosa.  Lucrezio  de 
capecchio,  le  coperte  dure  e  stecchite  rer.  nat,  vi  685:  «  Ventus  enim  flt,  ubi 
della  povera  gente.  Nello  stesso  senso,  est  agitando  percitus  aer»  e  Ovidio,  Me- 
benché  per  tutt'altra  causa,  «  vestes  au-  tam.  i  75  «  agitabilis  aer  »  cioè  mobile, 
roque  ostroque  rigentes  »  disse  Virgilio  trattabile.  Cfr.  ia  iV.  380  «  l'aere  agi- 
Aen.  XI  72.  Sulla  prima  lez.  di  questo  tando  »  nello  stesso  senso  latineggiante. 
passo  vedi  la  prefazione.  71-72.  le  tenebre  Con  flaccolc  superbe 

67.  Prodncesti  la  notte:  prolungasti,  intorno  apristi:  rompesti,  dividesti,  di- 
latinismo. Orazio,  Sat.  i  5,  70  «  Prorsus  radasti.  «  L'ombre  aprendo  »  ha  il  Caro 
iucunde  cenam  produximus  illam  »,  cioè  ma  risponde  a  Aen.  xii  859  «  transilit 
prolungammo,  continuammo  avanti  nel-  .umbras  »  e  però  significa  passando  a 
la  notte;  cfr.  anche  carm.  ni  21,  23.  traverso.  Qui   il  senso  è  chiaramente 


IL  MATTINO 


Con  fiaccole  superbo  intorno  apristi; 

Siccome  allor  che  il  siculo  terreno 

Dall'  uno  all'  altro  mar  rimbombar  feo 
75        Pluto  col  carro,  a  cui  splendeano  innanzi 

Le  tede  de  le  Furie  anguicrinite. 
Tal  ritornasti  ai  gran  palagi  ;  e  quivi, 

Caro  conforto  a  le  fatiche  illustri, 

Venien  per  te  pruriginosi  cibi 
SO         E  licor  lieti  di  francesi  colli 

E  d' Ispani  e  di  toschi,  o  l'ungarese 

Bottiglia,  a  cui  di  verdi  ellere  Bromio 

Concedette  corona,  e  disse:  Or  siedi 

73.  paese  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  77.  Cosi  tornasti  a  la  magion;  ma  quivi.  Tal  ti  rendesti 
ai  gran  palagi  V.  (CI.)  —  78.  A  novi  studi  ti  attendea  la  mensa  Cui  ricoprien.  Cari  con- 
forti a  te  porgea  la  mensa  Che,  Già  ti  attendean  pr.  e.  Vv.  (l'ultima  tenne  B.)  —  81.  O 
d' Ispani  o  di  toschi,  o  1' ongarese  —  82.  di  verde  edera  Bacco  —  83.  disse;  siedi. 


determiiiato  dal  compimento.  Il  Petrar- 
ca (son.  Si  breve  è  'l  tempo  e  'l  penser 
si  veloce)  dice  di  madonna  «  questa  via 
con  gli  occhi  apristi  »  ed  è  la  via  del 
suo  «  oscuro  e  grave  core  ». 

TS-ie.  Comparazione  trovata  e  fatta 
mirabilmente.  Il  raffronto  con  una  di- 
vinità è  si  abbagliante,  da  non  lasciar 
tempo  al  Giovin  signore  di  pensare  che 
si  tratta  del  dio  infernale  con  le  Furie 
per  corrieri.  Gli  elementi  della  compa- 
razione potrebbersi  rintracciare  ne'  tan- 
ti racconti  classici,  in  poesia  e  in  prosa, 
del  ratto  di  Proserpina,  ma  la  compo- 
sizione è  tutta  del  Parini.  Dall'  uno  al- 
l'altro  mar,  dal  mare  Ionio  al  Tirreno. 
Pluto  col  carro:  il  poema  di  Claudiano 
de  raptu  Proserplnae  ha  per  argomen- 
to appunto 

Inferni  raptoris  oquos  afflataque  curru 
Sidera  Taenario  ; 

e  nel  settecento  fu  ammirato,  ed  è  sem- 
pre osservabile,  almeno  retoricamente, 
il  sonetto  del  Cassiani  di  egual  titolo. 
Kccone  le  terzine: 

Ella,  già  in  braccio  al  rapitor,  puntello 
Fea  d'  una  mano  al  duro  orribil  mento, 
Con  1'  altra  agli  occhi  paurosi  un  velo. 

Ma  già  il  carro  la  porta,  e  intanto  il  cielo 
Ferian  d'  un  rumor  cupo  11  rio  flagello, 
Le  ferree  ruote  e  il  femminil  lamento. 

Mi  pare  utile  ricordarle, -non  già  per- 
ché questa  chiusa  abbia  nulla  prestato 
qui  al  poeta,  ma  perché  questi,  come 


giudicava  che  il  son.  ottiene  tutti  l  me- 
meri,  cosi  diceva  impagabile  la  pri- 
ma terzina  per  l'  evidenza,  per  la 
grazia  e  per  l'affetto,  e  che  la  seconda 
fa  correre  la  fantasia  per  un'ampiez- 
za di  senso  d' immagine  e  d'affetto, 
che  anche  terminando  vi  tiene  tutta- 
via attenti  e  sospesi:  la  qual  cosa  o 
è  un  raggiungere  il  sublime  o  almeno 
uno  accostarvisi  assai.  V.  Parere  in- 
torno alle  poesie  del  Cassiani  in  opp.V. 
p.  16S.  sg.  Furie  angnicrinite,  che  hanno 
serpi  ne'  capelli  o  per  capelli  :  cfr.  Virgi- 
lio, G.  IV  482  «  implexae  crinibus  an- 
gues  »,  Tibullo,  i  3,  69  «  Tisiphoneque 
impexa  feros  prò  crinibus  angues»  e 
Claud.  p.  cit.  I  39  «  crinitaque  sontibus 
hydris  Tisiphone  »  ;  e  cento  altri,  perché 
è  dei  precipui  caratteri  delle  Eumenidi. 
Ricorda  anche  Dante,  Inf.  ix  41  «  Ser- 
pentelli ceraste  avean  per  crine  ». 

79.  pruriginosi  cibi:  pnirigine  vai 
pizzicore  o  anche  solletico,  e  da  tal  la- 
tinismo il  P.  trasse  quest'aggiunto  a 
voler  significare  que'  cibi  ghiotti  che 
muovon  la  gola  agli  oziosi  molli  e  svo- 
gliati. 

80.  sg.  licor  lieti,  che  mettono  alle- 
gria, o  giocondi  per  sé  stessi.  —  di 
fraucosi  colli  K  d'ispaui  e  di  toschi:  ima- 
gina  lo  champagne,  il  bordeaux,  il  ma- 
laga, l'alleante,  il  chianti,  l'aleatico. 

81-81.  0  l'nngarcse  Hottiglii»  ecc.:  il 
Tokai.  Bromio,  da  Ppipiu,  è  un  de' nomi 
di  Bacco:  il   rumoroso.  Òr  siedi  De  le 


IL  MATTINO 


De  le  mense  regina.  Al  fine  il  Sonno 
85         Di  propria  man  ti  sprimacciò  le  coltrici 

Molle  cedenti,  ove  te  accolto,  il  fido 

Servo  calò  le  ombrifere  cortine; 

E  a  te  soavemente  i  lumi  chiuse 

Il  gallo,  che  li  suole  aprire  altrui. 
90    Dritto  è  però  che  a  te  gli  stanchi  sensi 

Dai  tenaci  papaveri  Morfeo 

Prima  non  solva,  che  già  grande  il  giorno 

84.  reina  —  85.  Ti  sprimacciò  le  morbide  coltrici  Di  propria  mano.  Ti  Bprimacciò 
di  propria  man,  Di  propria  mano  sprimacciò  Vv.  {quest'ultima  B.,  CI.,  C.)  —  87.  seriche 
—  90.  perciò  —  91,  Non  sciolga  da'  papaveri  tenaci  Morfgo  prima  che  già  grande  il  giorno 
Tenti  di  penetrar  fra  gli  spiragli 


mense  regina:  «  L'  unico  al  mondo  im- 
periai Tokai  »,  disse  l'Alfieri. 

84-88,  11  sonno  Di  propria  mano:  le 
personiflcazioni  e  la  mitologia,  dicemmo 
già,  convengono  qui  mirabilmente  allo 
ambiente  e  allo  stile;  e  a  mettei'e  a  letto 
il  laborioso  eroe  bene  è  indotto  il  dio 
Sonno  in  persona.  Del  quale  la  più  nota 
finzione  e  descrizione  poetica  è  in  Ovidio 
Met.  XI  592-621  (di  essa,  credo,  il  P.  ram- 
mentava il  v.  620  «Summaque  percu- 
tiens  nutanti  pectora  mento  >,  quando 
suggeriva  di  fare  la  statua  del  Sonno 
«  col  viso  cadente  sopra  il  petto  »  opp. 
V  p.  26):  da  Ovidio  rifiorì  nell'Ariosto, 

0.  f.  XIV  st.  92-94,  leggiadrissima  come 
tutti  sanno. 

85-86.  sprimacoiò  le  coltrici  aiolle  ce- 
denti: sprimacciarci,  che  anche  si  disse 
spimacciare,  è  quel  battere  e  ripassare 
il  letto  con  la  mono  per  far  che  sia  bene 
uguale.  Arrigo  da  Settimello  Trattato 
contro  l'avversità  della  Fortuna: 
«  perché  continuamente  il  mio  letto  male 
si  batte  e  sprimaccia?»,   Berni,  Rime, 

1,  4:  «Fra  tre  persone  avrete  quattro 
letti  Bianchi,  ben  fatti,  sprimacciali  ». 
Molle  per  mollemente,  uso  classico  del- 
l' aggettivo  neutro  per  1'  avverbio  ;  e 
molle  cedenti  son  dette  le  coltriti  (lat. 
ciilcita,  materasso)  morbide,  cedevoli. 
Su  la  prima  lez.  del  passo  vedi  ciò  eh' è 
osservato  nella  Prefazione, 

88-S9.  i  Inmi  chiuse  ecc.  :  dice  con  poe- 
tica vivezza  questo  «  ti  addormentasti  al 
canto  del  gallo,  quando  gli  altri  si  sve- 
gliano ».  Il  Moretum  attrib.  a  Virgilio 
comincia  cosi  :  «  lam  nox  hibernas  bis 
quinque  peregerat  horas  Excubitorque 


diem  canta  praedixerat  ales  ».  li  anele 
aprire  altrnl:  Ov.  ani.  i  6,  66:  « Inque 
suum  miseros  excitat  ales  opus  ».  Cfr. 
Giovenale,  sat.  cit.  v,  11, 

90.  sgg.  Dritto  è  però...:  chi  produsse 
la  notte  si  oltre  e  si  coricò  si  tardi,  è 
giusto,  è  naturale  che  si  tardi  anche  si 
desti;  posto  quello,  vien  questo.  Ma  che 
s'abbia  a  menare  in  modo  la  vjta  da 
perdere  il  giorno  cosi,  ciò  può  mai  per 
nessuno  chiamarsi  un  diritto?  Tanto 
sono  bene  scelte  le  parole,  perché  dal- 
l'apparente indulgenza  scoppi  la  severa 
condanna.  —  gli  stanchi  sensi  Dai  te- 
naci pap.  M,  rrima  non  solva  :  chi  dal 
Sonno  fu  posto  a  dormire,  da  un  de'  fi- 
gliuoli del  Sonno  è  destato;  «  artiflcem 
simulatoremque  figurae  Morphea  »,  lo 
chiama  Ovid.,  Met.  xi  634  sg.,  e  negli  ag- 
giunti è  il  senso  etimologico  del  nome. 
Qui  per  altro,  come  spesso  nell'  uso, 
Morfeo  può  esser  preso  per  esso  il  Son- 
no. —  tenaci  papaieri  vai  quanto  sonno 
profondo;  «  somnique  papavera  causas  » 
dice  Ov.  Fast,  iv  547,  am.  n  6,  31;  e 
nei  cosi  detti  programmi  di  belle  arti 
il  P.  non  dimentica  mai  nella  figurazione 
del  Sonno  la  corona  di  papaveri,  opp. 
V,  pp.  16,  26,  51,  105.  —  solra:  avverti 
r  intima  proprietà  della  parola  in  ri- 
spondenza al  prec.  tenaci. 

92-96.  Per  l' imagine,  più  che  Virgi- 
lio, Aen.  Ili  151  sg.  «  se  Piena  per  inser- 
tas  fundebat  luna  fenestras  »  è  da  ri- 
cordare Persio,  Sat. ni  1-6:  «lam  clarum 
mane  fenestras  Intratet  angustas  exten- 
dit  lamine  rimas  »  ecc.,  dove  pure  si 
tratta  d'un  infingardo  che  matura  la 
crapula  della  sera  iunauzi   seguitando 


IL  MATTINO 


Fra  gli  spiragli  penetrar  contenda 

De  le  dorate  imposte,  e  la  parete 
95        Fingano  a  stento  in  alcun  lato  i  raggi 

Del  Sol,  ch'eccelso  a  te  pende  sul  capo. 

Or  qui  principio  le  leggiadre  cure 

Dènno  aver  del  tuo  giorno;  e  quinci  io  debbo 

Sciorre  il  mio  legno,  e  co'  precetti  miei 
100        Te  ad  alte  imprese  ammaestrar  cantando. 
Già  i  valetti  gentili  udir  lo  squillo 

De'  penduli  metalli,  a  cui  da  lunge 

Moto  improvviso  la  tua  mano  impresse; 

E  accorser  pronti  a  spalancar  gli  opposti 
105        Schermi  a  la  luce,  e  rigidi  osservaro 

Che  con  tua  pena  non  osasse  Febo 

Entrar  diretto  a  saettarle  i  lumi. 

Ergi  dunque  il  bel  fianco,  e  si  ti  appoggia 

Alli  origlier  che  lenti  degradando 
110        All'omero  ti  fien  molle  sostegno: 

95.  rai  V.  (B.)  —  98.  quindi  io  deggio  V.  (B.)  —  101.  valletti  CI.,  C.  —  102-3.  Del 
Ticino  metal  cui  da  loutano  Scosse  tua  man  col  propagato  moto.  Ditfusi  moti  la  tua 
mano  impresse  V.  —  104.  Già  corser,  E  corser  Vv.  (Za  1*  B.,  la  2'  CI.  e  C.)  —  105. 
vigili  B.  ma  forse  è  svista  —  107.  saettarti  (B.)  —  108.  Ergiti  or  tu  alcun  poco  —  109. 
origlieri  i  qual  lenti  gradando  —  110.  fan 


a  russare  mentre  il  solleone  inonda  i 
campi.  Posteriori  al  Parini  puoi  ricor- 
dare: Monti,  Cam.  ver  le  quattro  ta- 
vole ecc.  st.  11  «gli  spiragli  entrando 
Già  delle  imposte  il  sol  »  e  Leopardi  il 
Sogno  1-3  «  tra  le  chiuse  imposte  Per 
lo  balcone  insinuava  il  sole  Nella  mia 
cieca  stanza  il  primo  albore  ».  penetrar 
contenda...,  Fingano  a  stento...:  benis- 
simo detto  e  osservato;  le  dorate  im- 
poste, come  porta  il  lusso  e  le  abitu- 
dini del  padrone,  sono  cosi  ben  connesse 
e  combaciano  si  bene,  che  il  raggio  me- 
ridiane mal  riesce  a  penetrare. 

97.  qui:  le  occupazioni  del  Giovili 
signore  comincian  sùbito  ;  la  strappata 
di  campanello  è  la  prima,  non  più  né 
meno  grave  delle  altre. 

99.  Sciorre  il  mio  legno:  esprimere 
il  proprio  assunto  con  imagini  tolte 
dalla  navigazione  è  consueto  a'  poeti  ; 
rammenta  il  «  da  facilem  cursum  »  di 
Virgilio,  Georg,  i  40  e  i  primi  versi  del 
Purgatorio  di  Dante.  Al  solito,  quanto 
più  eletta  la  frase,  tanto  più  acre  l'in- 
tima irrisione. 


101-103.  Non  giova  ripetere  come  le 
squisite  perifrasi,  qui  del  campanello, 
altre  altrove,  si  confacciano  perfetta- 
mente air  argomento.  Ma  è  da  porre 
mente  all' eleganza  che  il  poeta  rag- 
giunge: vedila  suprema,  leggiadrissima 
in  questi  tre  versi,  non  cosi  perfetti 
nella  prima  lezione.  —  valetti;  cosi  il 
P.  con  forma  più  vicina  a  quella  fran- 
cese; oggi  scriverebbesi  valletti  (M.). 

104-107.  gli  opposti  .Schermi  a  la  Ince: 
ipèrbato.  —  Tra  lo  spalancar  e  il  rigidi 
ossrrraro  con  quel  che  segue  può  pa- 
rere un  po'  di  contraddizione  ma  non 
è.  aprono  fuori,  ma  con  gli  scuri  di 
dentro  attendon  bene  (rigidi,  rigorosi, 
zelanti)  che  non  abbiano  a  risentirne 
un  urto  troppo  vivo  gli  occhi  pur  allora 
desti.  —  saettarle  :  questa  desinenza,  e 
altre  simili  cfr.  v.  212  macchiarse,  ecc., 
piacque  al  P.  anche  fuor  di  rima;  tra 
i  cinquecentisti,  a'  quali  fu  più  solita, 
r  autore  della  Coltivazione  V  usa  sem- 
pre. Oggi,  tranne  speciali  ragioni,  s'am- 
metterebbe solo  in  rima  e  raramente. 
—  i  lumi,  pretto  latinismo  già  visto  al 


IL  MATTINO 


E  coli' indice  destro  lieve  lieve 

Sovra  gli  occhi  ti-as corri,  e  ne  dilegua 

Quel  che  riman  de  la  cimmeria  nebbia; 

Poi  de'  labbri  formando  un  picciol  arco, 
115        Dolce  a  vedersi,  tacito  sbadiglia. 

Oh  se  te  in  si  vezzoso  atto  mirasse 

Il  duro  capitan  qualor  tra  l'armi 

Sgangherando  le  labbra  innalza  un  grido 

Lacerator  di  ben  costrutti  orecchi, 
120        Onde  a  le  squadre  vari  moti  impone; 

S' ei  te  mirasse  allor,  certo  vergogna 

Avria  di  sé,  più  che  Minerva  il  giorno 

Che,  di  flauto  sonando,  al  fonte  scòrse 

Il  turpe  aspetto  de  le  guance  enfiate. 
125    Ma  già  il  ben  pettinato  entrar  di  novo 

Tuo  damigel  vegg'  io.  Sommesso  ei  chiede. 

Quale  oggi  più  de  le  bevande  usate 

Sorbir  ti  piaccia  in  preziosa  tazza. 

Indiche  merci  son  tazza  e  bevande. 
130        Libra  i  consigli  tuoi.  S'oggi  a  te  giova 

111.  Poi  —  112.  Sopra  gli  occhi  scorrendo,  iudi  dilegua  —  114.  E  —  116.  geutile 
(CI.,  C).  Alii  se  V.  (B.)  —  117.  quando  V.  (B.,  CI.,  C),  arme  V.  (CI.,  G.)  —  118.  la  bocca, 
un  grido  innalza  V.  (B.,  CI.,  0.)  —  121.  Se  te  —  124.  de  la  guancia  enfiata,  de  le  en- 
fi;ite  guance  Vv.  —  125  sgg.  Ma  il  damigel  ben  pettinato  i  crini  Ecco  a'  inoltra  e  con 
sommessi  accenti  Chiede  qual  più  V.  (B.)  —  126.  Tuo  damigello  i'  veggo;  egli  a  te  chiede 
—  128.  tu  goda  V.  (B.)  —  129.  tazze  (B.)  —130.  Scegli  qual  più  desii.  S'oggi  ti  giova. 
Scegli  qual  più  t'  aggrada.  Ami  tu  forse  V.  (Br.)  Libra  i  consigli  tuoi.  Ami  tu  forse  C. 


ì 


V.  88;  divenuto  uggioso  per  l'abuso  fat-  sicché  par  fatto   più  agile  il  trapasso 

tene  da'  Petrarchisti  e  dagli  Arcadi.  all'apodosi,  e  questa  si  svolge  più  li- 

113.  la  cimmeria  nebbia:  i  Cimmerii  bera,  campeggiandovi   un   vivace  qua- 

è  un  popolo  favoloso  (non  son  quelli  che  dretto. 

realmente  abitavano  1'  odierna  Crimea  122-12J.  Minerra  ecc.  ;  per  questo  rac- 
e  piccola  Tartaria);  all'ingresso  dell'Ade  conto  mitologico  vedi  tra  i  Latini  spe- 
secondo  VOdissea  xi  14;  vicino  alla  casa  cialmente  Ovidio  nei  Fasti  vi  697  e  sgg. 
del  Sonno  secondo  il  passo  della  Meta-  Vi  si  legge  che  «  hquidis  faciem  refe- 
morfosi  citato  nella  n.  al  v.  81.  Sono  renlibus  undis  »  la  dea  vide  «  virgineas 
sempre  sepolti  nella  nebbia,  dice  il  poe-  inlumuisse  genas  »,  e  buttò  la  tibia  al- 
ma greco;  e  quella  nebbia,  data  la  vi-  l'erba,  onde  il  Satiro  la  rjiccolse:  alla 
cinanza  che  Ovidio  pone,  dev'  esser  so-  qual  circostanza  si  rapporta  un  gruppo 
porifera.  Ciò  spiega  la  frase,  che  nel  del  grande  scultore  Mirone. 
senso  è  simile  ad  altre  più  comuni  me-  125.  il  ben  pettinato:  è  epiteto  all' o- 
tafore,  p.  es.  il  velo  del  sonno.  Quanto  merica,  che  qui  giova  all'ironia  di  que- 
all'atto  qui  del  Glovin  signore,  ricorda  sta  epopea  alla  rovescia  (M.). 
un  luogo  di  Claudiano  Epithal.  Pali.  12.S.  in  preziosa  tazza  va  inteso  come 
et  Cele)'.  26  sg.,  ove  di  Venere  che  si  compimento  dell'idea  di  sorbir;  non 
sveglia  è  detto:  «  excita  resedit,  Et  reli-  entra  nella  richiesta  del  servo, 
quuni  nitido  deiersit  pollice  somnum  ».  129.  Indiclie  merci,  tutte  cose  portate 

121.  S'ei  te  mirasse  allnr  :  ripresa  che  d'  oriente, 
compendia  opportunamente  la  protasi,  130.  Libra  i  consigli  tnoi  :  cioè,  pesa 


10  IL  MATTINO 


Porger  dolci  allo  stomaco  fomenti, 

Si  che  con  legge  il  naturai  calore 

V'arda  tempi-ato  e  al  digerir  ti  vaglia, 

Scegli  il  brun  cioccolatte,  onde  tributo 
135        Ti  dà  il  Guatimalese  e  il  Caribe© 

Che  di  lucide  penne  avvolto  ha  il  crine. 

Ma  se  noiosa  ipocondria  t'opprime, 

0  troppo  intorno  a  le  divine  membra 

Adipe  cresce,  de' tuoi  labbri  onora 
140        La  nettarea  bevanda  ove  abbronzato 

Arde  e  fumica  il  grano  a  te  d'Aleppo 

Giunto  e  da  Moca,  che  di  mille  navi 

Popolata  mai  sempre  insuperbisce. 

Certo  fu  d'uopo  che  dai  prischi  seggi 
145        Uscisse  un  regno,  e  con  audaci  vele, 

Fra  straniere  procelle  e  novi  mostri 

E  teme  e  rischi  ed  inumane  fami, 

Superasse  i  confin  per  tanta  etade 

Inviolati  ancora:  e  ben  fu  dritto 
150        Se  Cortes  e  Pizzarro  umano  sangue 

Non  istimàr  quel  ch'oltre  l'oceano 

Scorrea  le  umane  membra,  onde  tonando 

132.  Onde  V.  —134.  Tu  il  cioccolatte  o  II  cioccolatte  eleggi  Vv.  (la  2*  B.,  CI.,  C.) 

—  135.  die  il  G.  o  V.  (B.,  CI.,  C.)  Caribbeo  B.  —  13G.  C  ha  di  barbare  penne  avvolto 
il  crine.  Che  di  barbare  penne  avvolto  ha  il  crine,  Che  di  penne  diverso  il  capo  avvolge 
Vv.,  Che  di  lucide  penne  il  capo  avvolge  B.  —  137.  ti,  ti  asaale  Vv.,  t'assale  B.  — 
138.  vezzose  (B.,  C.)  —  141.  Fuma  et  arde  il  legume  —  144.  dal  prisco  seggio  —  145. 
ardite  —  148.  lunga  —  150.  Se  Pizzarro  e  Cortese  umano  sangue  Pili  non  stimar  V.  (B.) 

—  152.  e  se  tonando  V.  (B.,  CI.  C.) 


le  ragioni  prò  e   contro  per  determi-  l'Arabia  Felice;  onde  proviene  caffè  del 

uarti  alla  scelta;  ma  con  che  solennità  migliore. 

è  detto!  H^.  sg.  dai  prischi  seggi  Uscisse  nn 

133.  ti  Taglia,  ti  aiuti.  regno,  dai  confini  del  vecchio  mondo 

134.  tribnto  Ti  dà,  proprio  come  a  hi  Spagna  si  dilatasse  nel  nuovo.  —  e 
conquistatore  o  dominatore,  il  Guati-  con  andnoi  vele  :  cfr.  le  prime  tre  strofe 
innlcse  e  il  Caribeo,  l'America,  designata  dell'ode  l'innesto  del  vainolo  e  ricorda 
da  una  repubblica  del  centro  e  da  una  il  celebre  passo  della  Gerusalemme  Zi- 
delie  Antille.   Di  là  viene  il  cacao,   di  uerala  xv  30-32. 

che  specialmente  si  fa  (o  dovrebbe  fai--  150-55,   Questo  passo   fa  ricordare, 

si)  la  cioccolata.  ma  è  più  bello,  il  sonetto  del  P.  intito- 

137.  noiosa  Ipocondria,  malattia  che  lato  «  Mali  delle  conquiste  all'Europa»  : 
dà  il  malumore,  consueta   a  chi  vive 

negli  stravizi.  Kceo  la  reggia,  ecco  de'  prischi  Incassi 

138.  0  troppo...:  «se   tendi  a  ingras-  ^°  '«""'^e  insanguinate;  ecco  le  genti 

,         ,    ,.        j   11      „•   „i  ■!■  l'i  tre  p.o.vti  de  l'orbe  intorno  ai  massi 

sare»;  ma  è  un  al  ra  delle   mirabili  e  ^          ^-       i,      .           i     „  ,• 

'      .                               .  Ancor  di  scellerato  oro  lucenti, 

opportumssime  perifrasi.  ,j.^,_  America,  piagnendo,  gì'  innocenti        ^ 

140.  La   nettarea    bevanda...,    il    caffè.  Occhi  su  l'arco  tuo  spezzato  abbassi: 
—  abbronzato,  perché  abbrustolito.  Tu  sudi,  Africa  serva;  e  coi  tormenti 

141.  sg.  Aleppo,    in   Siria,    Moca,  uel-  Sopr' ambe  minacciando  Europa  stassi. 


IL  MATTINO  1 1 


E  fulminando,  alfin  spietatamente 

Giù  dai  grandi  balzaro  aviti  troni 
155        Re  messicani  e  generosi  Incassi; 

Poi  che  nuove  cosi  venner  delizie, 

O  gemma  degli  eroi,  al  tuo  palato. 
Cessi  '1  cielo  però  che,  in  quel  momento 

Che  la  scelta  bevanda  a  sorbir  prendi, 
160        Servo  indiscreto  a  te  repente  annunzi 

O  il  villano  sartor  che,  non  ben  pago 

D'aver  teco  diviso  i  ricchi  drappi, 

Oso  sia  ancor  con  pòlizza  intìnita 

Fastidirti  la  mente;  o  di  lugubri 
165        Panni  ravvolto  il  garrulo  forense 

Cui  de'  paterni  tuoi  campi  e  tesori 

Il  periglio  s'affida;  o  il  tuo  castaido 

Che  già  con  l'alba  a  la  città  discese 

Bianco  di  gelo  mattutin  la  chioma. 
170         Cosi  zotica  pompa  i  tuoi  maggiori 

Al  di  nascente  si  vedeau  d'intorno: 

154.  Balzaron  giù  da' loro  aviti  troni  —  156.  Poiché  —  159.  l'eletta,  le  scelte  be 
Vanda  Vv.  {la  i'  B.,  CI.,  C.)  —  160.  improvviso,  annunci  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  161.  Il  — 
164.  A  te  chieder  mercede.  Ahimè  che  fatto.  E  continuava  come  al  v.  182,  sema  tutto 
il  passo  interposto  di  poi.  —  167.  si   affida  V.  (B.) 


Ma  la  vostra  tiranna  ecco  attraversa  è  il  conto  che  naturalmente  è  fatto  lun- 

II  mar  con  sue  rapine.  Ecc.  gO  luuo'o. 

E  l'Alfieri,   sat.  XII  il  Commercio  ver-  164-167.  Ingdbri  Panni:  il  vestito  nero, 

so  25:  fors'anclie  la  toga,  dell'avvocato;  tu- 

Taccio  del  sangue  American,  cui  beve  gubì^i  a  raffronto  de'  bei  vestimenti  scre- 

L' atroce  Ispano.  ziati  e  colorati  del   Gioviti  signore.  — 

—  Cortes  e  PizzaiTo:  Ferii.  Cortez  (14S5-  garrnlo  forense  :  l' aggiunto  per  solito 

1517)  e  Frane.  Pizzarro  (1475-1541),  que-  si  aflfà  bene  pur  troppo  al  nome  ;  «  ver- 

gli   conquistatore    del    Messico,    questi  bosi  garrula  bella  fori  »  diceva  già  Ov-i- 

scopritore  del  Perù,  incrudelirono  ne-  dio    Trist.   m   12,  IS:  ma  qui  non   v' è 

gl'indigeni  e  sopraffecero  re  messicani  intenzione   satirica  contro  1' uom  della 

(Guatimozino  e  Montezuma)  e   generosi  legge,  al  quale  sono  utilmente  affidate 

Incassi  (Huascar  re  degl'Incas).  le  questioni  legali,  il  periglio,  che  mi- 

158.  Cessi  '1  eìelci  :  tenga  lontano.  naccino  l'avere  del  ricco  ozioso:  cfr. 

159.  la  scelta  bevanda:  conforme  a  ciò  sotto  ai  vv.  4SI-'82.  E  sovviene  un  passo 
eh'  è  detto  al  v.  127  e  seguenti.  di  Giovenale,  nella  cit.  sat.  VIII  47-50: 

160.  SerTO  indiscreto  :  perché  un  servo  Tamou   ima  plebe  Quiritem 

assennato  e  riguardoso  certe   persone  Facunduui  inveniesjsolet  hlo  defendere  cau- 

non  deve  né  pure  annunziarle.  [aas 

161-164.  0  il  villano  sartor  che  ecc.:  Nobilis  indocti;  veniet  de  plebe  togata, 

zotico   e   impudente,  che   non  si   tiene  ^"'  ^"'"'s  noiios  et  legum  aenigmata  solvat. 

già  ben  pagato  avendo  fatto  a  mezzo  170.  Cosi  zotica  pompa:   una  proces- 

del  suo  panno  con  un  tale  eroe.  NuU'al-  sione  di  gente  si  grossolana.  Pompa  è 

tro  significa,  e  lo  scherno  naturalmente  detto  nella  sua  pura  accezione  classica, 

va  tutto   al  signore.  Se  altri   aggiunse  gr.  itofJiTrn,  lat.  ^jonjw,  di  «séguito,  ac- 

altro,  fu  abbaglio.  —  con  po'lizza  infinita,  compagnanicnlo,  corona  numerosa  », 


12  IL  MATTINO 


180 


Ma  tu,  gran  prole,  in  cui  si  feo  scendendo 

E  più  mobile  il  senso  e  più  gentile, 

Ah  sul  primo  tornar  de'  lievi  spirti 
175        A  l'ufificio  diurno,  ah  non  ferirli 

D'imagini  si  sconce.  Or  come  i  detti, 

Come  il  penoso  articolar  di  voci 

Smarrite  titubanti  al  tuo  cospetto, 

E,  tra  l'obliquo  profondar  d'inchini, 

Del  calzar  polveroso  in  su  i  tappeti 

Le  impresse  orme  soffrire?  Ahimé,  che,  fatto 

Il  salutar  licore  agro  e  indigesto 

Ne  le  viscere  tue,  te  allor  farla 

E  in  casa  e  fuori  e  nel  teatro  e  al  corso 
185        Ruttar  plebeiamente  il  giorno  intero! 
Ma  non  attenda  già  ch'altri  lo  annunzi. 

Gradito  ognor  benché  improvviso,  il  dolce 

Mastro  che  il  tuo  bel  piò  come  a  lui  piace 
Modera  e  guida.  Egli  all'entrar  s'arresti 
190        Ritto  sul  limitare;  indi,  elevando 

Ambe  le  spalle,  qual  testudo  il  collo 
Contragga  alquanto,  e  ad  un  medesmo  tempo 
Il  mento  inchini,  e  con  l'estrema  falda 
Del  piumato  cappello  il  labbro  tocchi. 
195    E  non  men  di  costui  facile  al  letto 

Del  mio  Signor  t'inoltra,  o  tu  che  addestri 
A  modular  con  la  flessibil  voce 

171.  Deh  V.  -  175.  del  di,  deh  V.  -  176.  Dopo  questo  v.  nella  prima  stesura  del- 
l  aggiunta  segue  guest' altro  Di  costor  soffrirai  barbari  e  rudi,  e  quindi  il  v  181  dice 
cosi  Le  impresse  orme  indecenti  ?  -  182.  Quel  -  183.  Tra  le,  farebbe  -  186.  Non  fia  che 
attenda  già  che,  Non  attenda  però  ch'altri  Io  annunci  Vv.  (B.,  CI.  C)  —  188  i  piedi 
tuoi  come  a  luì  pare  Guida  e  corregge  -  189.  8i  fermi  -  103.  Inchini  -1  mento  -  195 
Non  meno  —  196.  t'accosta 


184.  e  nel  teatro  e  al  corso:  secondo  riva,  e  vi  si  aggiungeva  per  più  con- 
r  ordine  delle  cose,  e  al  corso  e  nel  trarielà  il  maestro,  francese,  nuova- 
«ca(ro;  ma  11  verso  era  men  bello  e  senza  mente  venuto  di  Parigi,  che  con  una 
la  sostenutezza  d'accenti  utile  all'enu-  cercaria  civilmente  scortese,  e  la  cari- 
merazione.  Né  la  poesia  tien  conto  di  calura  perpetua  dei  suoi  moti  e  discor- 
tale esattezza.  Piuttosto  è  notevole  la  si,  mi  quadruplicava  l'abborrimeuto  in- 
menzione  del  teatro:  come  del  corso,  nato  ch'era  in  me  per  codesfarte  burat- 
cosi  del  teatro  l'aut.  doveva  in  germe  tinesca»  (Vitt.  Alfieri,  Fifa,  Ep.  Il,  cap. 
vagheggiare  già  la  descrizione,  che  poi  0).  La  caricatura  de'siioi  moti,  eccola 
CI  die  solo  del  primo.  ritratta  qui  dal  Parini  stupendamente 

186-194.   Curiosa!    Proprio  nel  1763,  195-200.  Il   maestro  di  canto  e  quel 

l'anno  che  usciva  il  Mattino,  in  Torino  di  violino.  -  agitar:  dice  lo  stesso  che 

prendeva  scuola  di  ballo  un  giovinetto  il  vibrar  dell' ediz.   prima,  se  non  che 

quattordicenne  che  doveva  poi  scrivere:  questo  dovè  poi  sembrare  al  poeta  un 

«  il  ballo...  io  per  natura  già  lo  abbor-  po'  troppo  insolito. 


IL  MATTINO  13 


Soavi  canti;  e  tu,  che  insegni  altrui 

Come  agitar  con  maestrevol  arco 
200        Sul  cavo  legno  armoniose  fila. 
Né,  la  squisita  a  terminar  corona 

Che  segga  intorno  a  te,  manchi,  o  Signore, 

Il  precettor  del  tenero  idioma 

Che  da  la  Senna,  de  le  Grazie  madre, 
205        Pur  ora  a  sparger  di  celeste  ambrosia 

Venne  all'Italia  nauseata  i  labbri. 

All'apparir  di  lui  l'itale  voci 

Tronche  cedano  il  campo  al  lor  tiranno; 

E  a  la  nova  ineffabile  armonia 
210        De'  soprumani  accenti,  odio  ti  nasca 

Più  grande  in  sen  contra  a  le  impure  labbra 

Ch'osan  macchiarse  ancor  di  quel  sermone 

Onde  in  Valchiusa  fu  lodata  e  pianta 

Già  la  bella  Francese,  e  i  culti  campi 
216        A  l'orecchio  dei  re  cantati  furo 

Lungo  il  fonte  gentil  da  le  bell'acque. 

198.  Tenori,  che  mostri  —  199.  vibrar  —  202.  Dintorno  al  letto  tuo.  Glie  intorno 
siede  a  te  V.  —  205.  Or  ora  —  209.  ineffabil  melodia  V.  (B.)  —  210.  soprumani,  ti  sorga 
,V.  (B.)  —  211.  a  le  boccile  impure  V.  (B.)  —  214.  et  onde  i  campi 


207-208.  rìt.ile  voci  Tronche  ecc.:  in-  Scisma  tV Inghilterra:  «Avrebbe  graii- 

terrotte  a  un  tratto.  Forse  v'è  inchiuso  de  allegrezza  di  mostrarsi  grato  a  tanto 

il  senso,  e  sarebbe  còlto  un  giusto  ca-  Principe,  a  cui  per  lo  devotissimo  libro 

ratiere,  che,  cedendo  cosi  di  subito  l'ita-  de' sette   Sagramenti  composto,  per  la 

liano  al  francese,  a  un  più  musicale  lin-  Sedia  Apostolicaultimamente  difesa,  per 

guaggio   uno  sottentra  i  cui  vocaboli  la  persona  sua  di  mano  de' nemici  tratta, 

senza  varietà  di  piani  e  sdruccioli  suo-  egli  e  tutta  la  Chiesa  sarebber  sempre 

nano  più  monotoni  e  uniformi.  obbligatissimi  ».  E  qui  nel  P.  v.  n  Mez- 

211-214.  a  le  impure  labbra...  Nota  il  zog.  vv.  617-624.  —  A  rorecchio  dei  re: 

contrasto  tra  l'espressione  osan  mac-  il  poema  infatti  a  cui  qui  si  allude   fu 

chiarse  ecc.  e  la  citazione  dello  squi-  stampato  la  prima  volta  nel  1516  da  Ro- 

sito  e  tersissimo  canzoniere  del  Petrar-  ijei-to  Stefano  in  Parigi  col  titolo  La  Col- 

ca.  E  nota  come  qui  è  opportuna  la  de-  tirazione  di   Luigi  Alamanni  al   Crl- 

signazione  di  Laura  per  la  bella  Fran-  ^tianissimo   Re   Francesco   Primo.  E 

cese,   qui   ove   si   rappresenta  come  si  noto  nel   lib.  II,  oltre  il   mezzo,  questi 

accattino   grazie  e  si  subisca  tirannia  versi: 

di  là  ove  già  s' inviarono  tali  tesori.    <  Per  divisar  ritorno  al  buon  cultore 

214-216.  i  cnlti  rampi,  cioè  «la  colti-  Quel  che  deggia  operar  :  pur  ch'a  voi  piac- 

vazione  de'  campi  ».  È  uso  classico  que-  L'alte  orecchie  Reali  aver  intente.    |cia 

sto  del  participio  in  luogo  d'un  astratto  Dopo  il  Petrarca  che  fece  immortale 

seguito  da  specificazione;  né  fu  alieno  una  francese,  piacque  al  Parini  di  no- 

dai  nostri.  Rammenta,   tra  gl'infiniti  minare  l'Alamanni  (1195-1556)  il  quale, 

esempi  latini,  una  delle  iscrizioni  poste  andando  a  Parigi   quando  fu  mandato 

dal  Senato  Romano  ad  Augusto:  «OB.  a  confine  alla  restaurazione  medicea 

REM  .  PVBLICAM  .  CONSERVATAM  .  ».  del  1530,  vi  tornò  poi  e  dimorò  a  lungo. 

In  italiano  vedine  un   gruppo  d'esem-  facendosi  ammirare   là,  onde  gli   eroi 

pi  nel  seguente  periodo  del  Davanzali,  pariniani  accattano  grazie  alla  lor  lin- 


14 


IL  MATTINO 


Misere  labbra,  che  temprar  nou  sanno 

Con  le  galliche  grazie  il  sermon  nostro, 

Si  che  men  aspro  a'  dilicati  spirti 
220        E  men  barbaro  suon  fieda  gli  orecchi  ! 
Or  te  questa,  o  Signor,  leggiadra  schiera 

Al  novo  di  trattenga;  e  di  tue  voglie 

Irresolute  ancora  or  quegli  or  questi 

Con  piacevol  motteggio  il  vano  adempia, 
225        Mentre  tu  chiedi  lor,  tra  i  lenti  sorsi 

De  l'ardente  bevanda,  a  qual  cantore 

Nel  vicin  verno  si  darà  la  palma 

Sovra  le  scene:  o  s'egli  è  il  ver  che  rieda 

L'astuta  Frine  che  ben  cento  folli 
230        Milordi  rimandò  nudi  al  Tamigi; 

O  se  il  brillante  danzator  Narcisso 

ria  che  ritorni  ad  agghiacciare  i  petti 

De'  vaghi  palpitanti  e  de'  mariti. 

222.  Trattenga  al  uovo  giorno  —  223.  or  l' uuo  or  l'altro,  o  quegli  o  questi  V.  — 
224.  Con  piacevoli  detti  il  vano  occupi,  discorso  V.  —  228.  Sopra  le  scene,  e  —  232.  Tor- 
nerà pure  —  233.  De' palpitanti  Italici  mariti 


gua.  E  scelse  l'Alamanni  per  la  molla 
stima  eh'  ei  faceva  di  quel  suo  poema, 
del  quale  recava  un  giudizio  che,  quan- 
tunque assai  noto,  è  bene  qui  riferire, 
sia  come  il  più  naturale  commento  a 
questi  versi,  sia  perché  in  somma  il 
giudizio  è  vero,  e  i  sei  libri  della  Col- 
tivazione non  pur  sono  la  migliore  o- 
pera  dell'illustre  fiorentino  ma  un'opera 
in  verità  nobile  ed  elegante,  cui  la  poca 
arte  nel  variare  il  tono  del  verso  e  la 
esposizione  della  materia  non  toglie  pre- 
gio. Scriveva  il  Parini:  «  Luigi  Alaman- 
ni, scrittore  di  cose  liriche  di  satire  di 
tragedie  e  di  poemi,  merita  spezialmente 
d'essere  studiato  come  uno  degli  ot- 
timi. Il  suo  poema  della  Coltivazione  è 
testo  insieme  della  lingua,  della  poesia 
e  della  letteratura  Italiana,  ed  una  delle 
opere  che  è  vergogna  di  non  aver  mai 
letto  ».  (De'  Principj  delle  Delle  Leltere, 
■p.  2  e.  V:  opp.  VI).  —  Lungo  il  fonte 
ecc.:  è  un  verso  dell'Alamanni,  v  19; 
verso  che  nella  ediz.  principe  già  citata 
e  nella  Giuntina  1519  si  legge  cosi  :  «  Lun- 
go il  fonte  gentil  delle  belle  acque  », 
eh' è  quanto  dire  «a  Fontainebleii  », 
onde  alcuni  credettero  derivare  il  nome 
da  fontaine  belle  eau.  Quivi,  come  tutti 
suiino,  è  un  luogo  di  regie  delizie,  rin- 


novato e  arricchito  da  Francesco  I,  poi 
dà  altri  re:  sta  sulla  via  tra  Parigi  e 
Lione,  non  lontano  dalla  Senna. 

217.  temprar,  come  il  temperare  la- 
tino, vale  «  mescolare  »  e  spesso  «  me- 
scolando addolcire  ».  Cfr.  Mezzog.  1059, 
e  Orazio  carm.  ii  16,  27  «  amara  lento 
Temperet  risu  ».  Ma  fe/Hprar  la  lingua 
d'Italia  con  grazie  francesi,  ognuno  in- 
tende  che  desiderabile  temperamento. 

221-221.  Or:  è  congiunzione  di  valore 
illativo:  «  dunque,  pertanto  ».  —  e  di  tue 
Toglie....  11  vano  adempia,  con  piacevoli 
chiacchiere,  come  quelle  specificate  ap- 
presso di  cantanti  e  di  ballerini,  occupi 
il  tempo  libero,  che  precede  le  tue  de- 
liberazioni e  fatiche. 

229-31.  Frine....  Narclsso....  :  nomi  ce- 
lebri di  una  cortigiana  e  di  un  vagheg- 
gino: qui  forse  anche  la  prima  sta  a 
significare  specialmente  una  danzatrice 
famosa,  di  quelle  che  costavano  tanto  ai 
loro  ammiratori.  Milordi,  inglesismo 
opportuno  :  i  gran  signori  venuti  di 
fuori. 

232.  sg.  ad  agghiacciare:  a  ingelosire. 
—  TagliJ  ■ì  sostantivo:  1  vaghi  palpi- 
tanti sono  gì'  innamorati  sospettosi  o 
gelosi.  Cfr.  Foscolo  alla  amica  risa- 
nata str.  3  «...  e  vegliano  Per  te  in  no- 


IL  MATTINO  16 


Cosi,  poi  che  gl'an  tempo  a'  primi  albori 
235        Del  tuo  mattili  teco  scherzato  fia, 

Non  senz'  aver  licenziato  prima 

L'ipocrito  pudore,  e  quella  schifa 

Che  le  accigliate  gelide  matrone 

Chiaman  modestia;  alfine,  o  a  lor  talento 
210        0  da  te  congedati,  escan  costoro. 

Doman  poi  ti  fia  dato  o  l'altro  foi-se 

Giorno  a'  precetti  lor  porgere  orecchio, 

Se  a'  bei  momenti  tuoi  cure  minori 
•  Ozio  daranno.  A  voi,  divina  schiatta,  . 

245        Più  assai  che  a  noi  mortali,  il  ciel  concesse   \  i\JÌM.dU<^ 

Domabili  midollo  entro  al  cerèbro, 

Si  che  breve  lavor  nove  scienze 

Vale  a  stamparvi.  Inoltre  a  voi  fu  dato    [i.^^i.. 

Tal  de' sensi  e  de' nervi  e  degli  spirti  l  -l  ,^^^ 

250        Moto  e  struttura,  che  ad  un  tempo  mille     ,      v      . 

Penetrar  puote  e  concepir  vostr'  alma         ;  '     . . 

Cose  diverse,  e  non  però  turbate 

O  confuse  giammai,  ma  scevre  e  chiare 

Ne'  loro  alberghi  ricovrarle  in  mente. 
255    II  vulgo  intanto,  a  cui  non  lice  il  velo 

Aprir  de'  venerabili  misteri, 

Fie  i^ago  assai  poi  che  vedrà  sovente 

Ire  e  tornar  dal  tuo  palagio  i  primi 

D'arte  maestri;  e  con  aperte  fauci 
260      .  Stupefatto  berrà  le  tue  sentenze. 

234.  Poiché  cosi  gran  pezzo.  Cosi  poi  che  gran  pezzo  ai  novi  V.  (B.)  —  236.  Da  te 
rimosso  in  prima  V.  (B.)  —  238.  Cui  (B.)  —  24:1.  Doman  si  potrà  poscia,  o  forse  l'altro. 
Duman  quindi  potrai  V.  —  243.  Se  meno  ch'oggi  a  te  cure  dintorno  Porranno  assedio. 
Se  men  ch'oggi  le  cure  a  te  dintorno  Porranno  assedio,  Se  men  ch'oggi  di  cure  a  te 
dintorno  Porr.is3Ì  assedio  Vv.  —  245.  Vie  più  (B.)  —  246.  Domabile  midollo  —  247. 
basta  a  stamparvi  Novello  idee.  lavoro  unir  vi  puote  Ampio  tesor  d'ogni  scienza  ed 
arte  V.  —  252.  turbarle  O  coufuudur  giammai  —  254.  Ne  le  lor  sedi  V.  (B.,  CI.)  — 
255.  non  dessi  —  2J8.  o  V. 


velli  pianti  Trepide  madri  e  sospettose  «  sollevare,  penetrare,  dividere  ». 
amanti».  259  sg.  Questo  vair/o  richiama  quello 

234  sg.  a' primi  albori  Del  tuo  niattìn,  in  Orazio  carm.   ii    13,   32  dell'ombre 

elle  non  son  quelli  del  mattino  comune;  che  s'addensano  a  udire  i  bellici  canti 

già  è  detto  a  quale  alba  l'eroe  costumi  di  Alceo:  «  pugnas  et  exactos  tyrannos 

di   svegliarsi.-    selierzato   fla:  si  sarà  Densum  humeris  bibit  aure   volgus  ». 

scherzato  cioè  conversato  piacevolmente  Bere   per  «ascoltare  avidamente»   è 

alla  tua  maniera.  Ma  V  espressione  non  classico  e  famigliare  a  un  tempo;   cfr. 

par  molto  bella.  Mezzog.  993,  e  la  str.  13  dell'  ode  l'Edu- 

213  sg.  .Se  a' bei  ecc.:  se  avrai  meno  cagione:  «Ecou  l'orecchio  intento  D'Eà- 

da  fare  che  tu  non  abbia  opgi.  cide  la  prole  Bevea  queste  parole  »,  cioè 

255  sg.  il  Ttlo  Aprir:   più   comune  Achille  gì' iuseguameuti  di  Chii-one.  Qui 


16  IL  MATTINO 


Ma  ben  vegg'io  che  le  oziose  lane 

Premer  non  sai  più  lungamente,  e  in  vano 

Te  l'ignavo  tepor  lusinga  e  molce; 

Però  che  te  più  gloriosi  affanni 
2(35        Aspettan  l'ore  ad  illustrar  del  giorno. 
Su  dunque,  o  voi  del  primo  ordine  servi, 

Che  di  nobil  signor  ministri  al  fianco 

Siete  incontaminati,  or  dunque  voi 

Al  mio  divino  Achille,  al  mio  Rinaldo 
270        L'armi  apprestate.  —  Ed  ecco  in  un  baleno 

I  damigelli  a'  cenni  tuoi  star  pronti. 

Quanto  ferve  lavoro!  Altri  ti  veste 

La  serica  zimarra,  ove  disegno 

Diramasi  chinese:  altri,  se  il  chiede 
275        Più  la  stagione,  a  te  le  membra  copre 

Di  stese  infino  al  pie  tiepide  pelli. 

Questi  al  fianco  ti  adatta  il  bianco  lino, 

Che  sciorinato  poi  cada  e  difenda 

I  calzonetti  ;  e  quei  d'alto  curvando 
280        II  cristallino  rostro  in  su  le  mani 

Ti  versa  acque  odoriate,  e  da  le  mani 

In  limpido  bacin  sotto  le  accoglie. 

Quale  il  sapon  del  redivivo  muschio 

Olezzante  all'intorno,  e  qual  ti  porge 

2GI .  Ma  già  —  262.  Soffrir  non  puoi  (C.)  —  264.  che  or  te  —  265.  a  trapassar  — 
2C6.  O  voi  duuque,  Or  duuque  voi  Vv.  {la  i'  Ci.,  C,  la  2*  B.)  —  267.  de  gli  alti  — 
271.  I  tuoi  valetti  —  272.  Già  ferve  il  gran  lavoro  (B.)  —  273.  bei  fregi  Diramansi  CUi- 
uesi  V.  (B.  ma  Giuesi)  —  277.  cinge  V.   (B.,  CI.,  G.)  —  281.  onde  odorate  V. 


non  aure,  ma  con  aperte  fauci,  vale  a  dente  de'  guerrieri  crociati  del  Tasso  : 

dire,  in  linguaggio  cotidìano,  «  a  bocca  cfr.    Ves2)ro  452.  —  L'armi  apprestate  : 

aperfa  ».  espressione  conveniente  agli  eroi  meii- 

2W.  le  oziose  lane:   cosi  il   Petrar-  tovati;   ironica  per  l'eroe  novello,  al 

ca  «La  gola  il  sonno  e  le  oziose  più-  quale  sono  da  fornire  ben  altre  armi, 

me  ».  272.  Qnanto  ferve  lavoro!:   ricorda  il 

264  sg.  «  Perché  più  insigni   fatiche  «  fervet  opus  »   di   Virgilio,    ripetuto  e 

chiamano  te  a  dare  splendore  alle  varie  per  le  api  intorno  al  miele  e  per  i  Fe- 

ore  della  giornata»:  avverti  che  il  com-  noi  intorno   alle   mura  di   Cartagine; 

parativo  pld  gloriosi  affanni  non  ha  ter-  frase   classica   notissima ,    che    qui    si 

mine  a  cui  riferirsi  se  non  le  oziose  la-  spende  col  solito  sottile  accorgimento. 

ne  e  l'ignavo  tepor;  de' conaueli  scher-  277   sgg.   Un  grembiule  bianco  che 

ni,  più  amari,  quanto  a  primo  sguardo  impedisce  che  i  calzoncini  siano  spruz- 

dissimulati  e  riposti.  —   Affanni   è  nel  zati  dall'acqua  versata  da  alto, 

senso  di  «  cure  laboriose,  lavori  trava-  283  sg.  il  sapon  del  rcdirivo  mnscliio 

gliosi  ».  Olezzante    all'intorno:   il   sapone,   spe- 

269  sg.  Al  mio  divino  Aclillle,  al  mio  cialmente  sciogliendosi  nell'acqua,  rende 

Binaldo:  a  colui  che  è  per  me  il  divino  gli  odori  naturali, di  che  fu  intriso:  ciò 

Achille,  il  Rinaldo;  quegli  il  primo  eroe  dice  benissimo  e  leggiadramente  1' e- 

della  maggiore  epopea,  questi  il  più  ar-  spressiorie  r^(i,ivivo  muscfiio. 


IL  MATTINO  17 


285         II  macinato  di  quell'arbor  frutto 

Che  a  Ròdope  fu  già  vaga  donzella 

E  chiama  in  van  sotto  mutate  spoglie. 

Demofoonte  ancor,  Demofoonte. 

L'un  di  soavi  essenze  intrisa  spugna 
290        Onde  tergere  i  denti,  e  l'altro  appresta 

Ad  imbiancar  le  guance  util  licore. 
.u.  Assai  pensasti  a  te  medesmo:  or  volgi 

Le  tue  cure  per  poco  ad  altro  obietto 

Non  indegno  di  te.  Sai  che  compagna, 
295         Con  cui  partir  de  la  giornata  illustre 

I  travagli  e  le  glorie,  il  ciel  destina 

Al  giovane  Signore....  Impallidisci? 

No,  non  parlo  di  nozze  ;  antiquo  e  vieto 

Dottor  sarei,  se  cosi  folle  io  dessi 
300        A  te  consiglio.  Di  tant'  alte  doti 

Già  non  orni  cosi  lo  spirto  e  i  membri 

Perché  in  mezzo  a  la  fulgida  cai-1-iera 

Tu  il  tuo  corso  interrompa,  e,  fuora  uscemlo 

Di  cotesto  a  ragion  detto  Bel  Mondo, 
riOó         Intra  i  severi  di  famiglia  padri 

Relegato  ti  giacci,  a  nodi  avvinto 

287.  piague  V.  (CI.  C.)  —  289.  Un  V.  —  291.  imbianchir  —  292.  Assai,  Signore,  a 
te  pensasti  V.  (CI.)  —  293.  L'alta  mente  per  poco  ad  altri  obbietti  Non  men  degni  di 
te  V.  (B.,  CI.),  L'alta  mente  C.  —  295.  Con  cui  divider  possa  il  lungo  poso  Di  que- 
st'  inerte  vita  —  298.  Ahi,  Ahi  di  nozze  non  parlo  Vv.  —  301.  Tu  non  —  302.  a  la  tua 
nobil  carriera  Sospender  debbi  '1  corso  —  306-3.  a  un  nodo  avvinto  Di  g.  in  g.  pili  pe- 
noso. Relegato  ti  giaci,  oscuro  fatto  E  ignobil  fabbro  de  la  r.  u.  ;  Autore  ignobii,  Ignobil 
fabbro  Vv.  {l'ultima  B.) 


285-88.  11  macinato  ecc.:  la   polvere  che   Filli  si  appendesse).    —   Rodope  è 
di  mandorla;  che  in  mandorlo   fu  mu-  monte  della  Tracia, 
tata  Fillide,  figlia  di  sitone  re  della  Tra-  290.  Onde  tergere  :  Vonde  con  l' inli- 
eia,  mentre  con  impazienza  si  doleva  di  nito  o  col  congiuntivo  a  esprimer  fine 
Demofoonte,  re  d'Atene,  flgliuol  di  Teseo  fu  ripreso  meritamente  e  certo  è  abii- 
e  di  Fedra,  perché   egli    indugiasse  a  salo;  si  ha  per  corretto  quando  può, 
tornare  alle  nozze  giurate.  Senza  rifa-  come  qui,  risolversi  in  un  relativo. 
rire  alcuna  delle  molte   menzioni  che  294.  Non  indegno,  cioè  bea  degno,  de- 
fanno di  questo  amore  e  di  questa  me-  gnissimo:   detto   per  litote  o   attenua- 
tamorfosi  i  poeti  latini,  specialmente  eie-  zione,  comunissima  agli  antichi, 
giaci  (nelle  Heroides  d'Ovidio  la  seconda  297.  Interruzione   (aposiopèsi  o  reti- 
epistola  è  di  FiUide  all'amante  lontano,  cenza,  secondo  il  termine  retorico)  molt» 
Phyllis  Demophoonti),  mi   contento  di  ingegnosa;  il  periodo  e  il  senso  pare- 
avvertire  che  il  mandorlo  era  già  no-  vano  avviati  a  conchiudere  «  una  sposa, 
minato  per  la  perifrasi  mitologica  dal-  una  consorte  ». 

l'Alamanni  leggiadramente  cosi,  la  Col-  299.   Dottor,    nel   senso   etimologico, 

tiv.  I  quasi  al  mezzo:  colui  che  insegna,  maestro  (si  può  raf- 

L'arbor  gentil  che  già  sostenne  in  alto  frontare  p.  es.  Orazio  s'at.  i  6,  82):  so- 

La  morta  Filli:  pra,  v.  7,  ha  detto  precettar. 

(la  qual  frase  per  altro  par  significare  306.  giacci  :  più  us.nto  e  corretto  giac- 

Parini  —    Ai  niNi.  * 


18  IL  MATTINO 


^  _  Di  giorno  in  giorno  più  noiosi,  e  fatto 

P^'iift^èf     Stallone  ignobil  de  la  razza  umana. 

D'altra  parte  il  marito  ahi  quanto  spiace, 
310        E  lo  stomaco  move  ai  dilicati 

Del  vostr'  Orbe  felice  abitatori, 

Qualor  de'  semplicetti  avoli  nostri 

Portar  osa  in  ridevole  trionfo 

La  rimbambita  fé,  la  pudicizia, 
315        Severi  nomi  !  E  qual  non  suole  a  foi*za 

Entro  a  i  melati  petti  eccitar  bile 

Quando  i  computi  vili  del  castaido. 

Le  vendemmie,  i  ricolti,  i  pedagoghi 

Di  que'  si  dolci  suoi  bambini  altrui 
320         Gongolando  ricorda,  e  non  vergogna 

Di  mischiar  cotai  fole  a  peregrini 

Subietti,  a  nuove  del  dir  forme,  a  sciolti 

Da  volgar  fi-en  concetti,  onde  si  avviva 

De'  begli  spirti  il  conversar  sublime. 
325        Pera  dunque  chi  a  te  nozze  consiglia. 

Non  tu  però  senza  compagna  andrai, 

Che  tra  le  fide  altrui  giovani  spose 

Una  te  n'  offre  inv'iolabil  rito 

Del  Bel  Mondo  onde  tu  se'  cittadino. 

311.  leggiadro  —  313.  ridicolo  —  316.  In  quo'  melati  seni  —  317.  calcoli  —  324.  Da' 
begli  spirti  il  vostro  amabil  Globo  —  32tì.  Ma  non  però.  Non  però  tu  V.  —  327.  Che  fia 
giovane  dama  e  d'altrui  sposa  —  328.  Poiché  bì  vuole  —  329.  onde  sei  parte  si  cara,  se' 
parte  si  altera  Vv.  {la  i'  CI.,  C,  la  2'  B.) 


eia,  ma.  cfr.  v.  644  e  la  nota:  anche  qui  anche  a  noi,  ma  sempre  con  un'idea 

il  p.  volle  forse  schivare  l'incontro  di  di  nausea  o  di  ripugnanza.  È  probabile 

due  a.  che  al  classico  orecchio  del  P.  Tespres- 

308.  L'espressione  un  po' rudemente  sioue  qui  adoperata   avesse    anche   il 

volgare,  e  però  non  in  tutto  soddisfa-  senso  che  ha  in  latino  più  generalmente: 

cente  al  p.  che  tentò  senza  riuscirvi  di  a  questo  verso  consuona  subito  appres- 

mutarla  in  meglio,  è  in  fondo  in  fondo  so  il  v.  316. 

molto  opportuna  ed  efficace.  311.  Del  vostr' Orbe:  non  è  più  una 

310.  lo  stomaco  move:  eccita  la  nau-  parte  del  mondo  distinta,  ma  a  dirittura 

sea.  «Quanta  movent   stomacho  fasti-  tutto  un  mondo  a  sé. 

dia»,  dice  Orazio  Sat.  ii  4,  80  di  certe  315.  a  forza,  cioè  di  necessità.  Sfido 

sudicerie.  Stomachuni  movere  ha  cosi  io  a  non  essere  stomacati  di    tali  vec- 

questo  senso,  rimasto  all'italiano,  (cfr.  chiumi  e  tali  piccolezze! 

Plinio  Hist.  Nat.  XIII  23),  come  più  fre-  319.  altrni,  è  dativo  di  ricoi-da.   Ma 

queutemente  l'altro  di  «eccitar  l'ira»,  «è  impossibile  non  sentire   la  malizia 

p.  es.  in  eie.  ad  Alt.  vi  3,  7  «  ille  mihi  delle  parole  cosi  collocate  »  (M.). 

risum  magis  quam  stomachum  movere  324.  Nella  1'  lez.,  «  come  Orbe  allude 

solet»;  e  tutti  rammentano  il  «  Pelidae  al  circolo,  ritrovo,  cosi  Globo  allude  a 

stomachum»  in  Orazio  car)n.  i  6,  6.  Nel  club;  l'estanào   apparente  l'altro  senso 

secondo  senso  dicesi  anche  stomachum  di  mondo  »  (M.).  A  ogni  modo  fece  bene 

tacere,  cfr.  Cic.  ad  fam.  i  9,  10:  la  qual  a  togherlo,  anche  perché  poco  innanzi 

frase   è  rimasta  con  egual  significato  e'  è  Orbe  e  subito  dopo  Bel  Mondo- 


IL  MATTINO  19 


330    Tempo  già  fu.  che  il  pargoletto  Amore 

Dato  era  in  guardia  al  suo  fratello  Imene; 

Tanto  le  madre  lor  temea  che  il  cieco 

Incauto  nume  perigliando  gisse 

Misero  e  solo  per  oblique  vie, 
835        E  che,  bersaglio  agl'indiscreti  colpi 

Di  senza  guida  e  senza  freno  arciere, 

Immaturo  al  suo  fin  corresse  il  sòme 

Uman  che  nato  è  a  dominar  la  terra. 

Quindi  la  prole  mal  secura  all'  altra 
340        In  cura  dato  avea,  si  lor  dicendo: 

«  Ite,  o  figli,  del  par;  tu  più  possente 

Il  dardo  scocca;  e  tu  più  cauto  il  reggi 

A  certa  mèta  ».  Cosi  ognor  congiunta 

Iva  la  dolce  coppia,  e  in  un  sol  regno 
346        E  d'un  nodo  comun  l'alme  stringea. 
^  Allora  il  chiaro  Sol  mai  sempre  uniti 

^'  Vedea  un  pastore  ed  una  pastorella 

Starsi  al  prato,  a  la  selva,  al  colle,  al  fonte; 

E  la  suora  di  lui  vedeali  poi 
350        Uniti  ancor  nel  talamo  beato. 

Ch'ambo  gli  amici  numi  a  piene  mani, 

332.  Poiché  —  336.  arciero   —    337.  Troppo  immaturo  al  fin   —   338.  eh'  è  nato  — 
339.  Perciò.   Però  V.  —  342.  il  guida  —  313.  compagna  —  345.  commun  C.   strignea  V. 


(B.,   CI.,  C.)  —    346.  Allora  fu  che  il  Sol 


330.  Qui  incoinincia  la  «favola  della  e  agli  altri  per  ciò  che  è  detto  ne'  vv. 

contesa  tra  Amore  e  Imene  e  della  vit-  032-6. 

toria  d'Amore,   primo  episodio,  e  l'un  336.  I  compimenti  posti  tra  il  segna- 

de' due  più   importanti,   del  Giorno»:  caso  e  il  sostantivo   hanno   1' ufficio  di 

si  noti  «come  r amarezza  del  sarcasmo  aggettivi,  se  aggettivi  ci  fossero  a  dir 

sia  fatta  maggiore  dal  tono  artistica-  ciò  ch'essi  dicono.  Collocazione  clas- 

mente    manierato  della  invenzioncella  sica  felicemente  adottata, 

mitologica,  liorita  spontanea  dalla  moda  342  sg.  il  reggi  A  certa  mèta:  guidalo 

del  tempo»  (Carducci  op.  cit.  II,  ii  e  IH),  a  un  segno  determinato  e  giusto,  non 

S' intende  che  il  P.  ha  inventato  confor-  lasciar  che  colpisca  a  caso  e  alla  cieca, 

mandosi  a  dati  mitologici  noti  e  rice-  Cosi  il  Manzoni,  la  Pentecoste,  str.  ult.: 
vuli:   che  Imene  sia,  come  Amore,  11- 

glluolo  di  venere  (benché  altri  gli  at-  Reggi  il  viril  proposito 

^   ..     .          ,.              j     >       1       .  Ad  infalliDil  segno, 
tribuiva  altra  madre);  che  Amore,   in 

quanto  si  chiama  ed  è  Cupido,  rappre-  315.  eomun:  non  commun,  ortogralia 

senti  la  passione   cieca,   veemente,  vo-  latina;   V  uso   nostro  in   comune  e  co- 

lubile,  e  Imene   in  vece  presieda  alla  modo  e  derivati  vuole  un  m  solo, 

santità  delle  nozze  e  alla  severità  del  319.   la   snora  di  Ini:  la  Luna,  eh' è 

rito.  Diana  o  PhoeOe,  sorella  del  Sole,  Phoe- 

335.  indiscreti   colpi,   cioè   scagliati  bus. 

senza  discernimento,  alla  cieca.  351  sg.  (;h'a:iil)o  :  il  che  è  il  relativo 

339.  la  prole  mal  secnra  all'altra,  cioè  oggetto;  nota  la  classica  costruzione  del 

Amore  a  Imene:  pericoloso  quello  à  sé  verbo  spargere,  —a  piene  mani...  spar- 


20  IL  MATTINO 


Gareggiando,  spargean  di  gigli  e  rose. 

Ma  che  non  puote  anco  in  divini  petti, 

Se  mai  s'accende  ambizion  d'impero? 
355        Crebber  l'ali  ad  Amore  a  poco  a  poco 

E  la  forza  con  esse,  ed  è  la  forza 

Unica  e  sola  del  regnar  maestra: 

Onde  a  brev'  aere  prima,  indi  securo 

A  vie  maggior  fidossi,  e  fiero  alfine 
360        Enti'ò  nell'alto,  e  il  grande  arco  crollando 

E  il  capo,  risonar  fece  a  quel  moto 

Il  duro  acciar  che  a  tergo  la  farètra 

Gli  empie  ;  e  gridò  :  «  Solo  regnar  vogl'  io  ». 

Disse,  e  vòlto  a  la  madre,  «  Amore  adunijiie, 
365         II  più  possente  infra  gli  Dei,  il  primo 

Di  Citerea  figliuol,  ricever  leggi, 

E  dal  minor  german  ricever  leggi. 

Vile  alunno,  anzi  servo?  Or  dunque  Amore 
^  Non  oserà,  fuor  ch'una  unica  volta, 

370        Ferire  un'alma,  come  questo  schifo 

Da  me  pur  chiede;  e  non  potrò  giammai, 

353.  In  divino    petto  —    354.  di  regno    —    355.  ad  Amor,  crebbe   l'ardire    V.   omet- 
tendo poi  i  due    versi    seguenti  (B.,  CI.,  C.)    —    357.  Anco  sul   numi  a   dominar    V.    

358.  Perciò  a  poc' aere  prima,  indi  piti  ardito    —    362.  la  farètra  a  tergo    —    370.  Pie- 
dere  V.  —  371.  Da  me  vorrebbe 


geandiglglle  rosetfrasee  imagine  fatta  bisognerà  richiamare  il  Febo  Apollo  a 

comune;   deriva  priucipalmeute  da  un  priucipio  deìV  Iliade,   v.    44   sgg.,  che 

luogo  de' più  celebrati  dell' Aen.  VI  884:  scende  dall' Olimpo 
«  manibus  date  lilla  plenis  ». 

355-60.  Questo  luogo  richiama  l'aqui-  '=°"  ^^  ^'^""^  *  '«  «P»"«  «  "'"'  ''*  ben  chiusa 

lotto  di  Orazio,  carm.  IV  4, 1-12,  che  pri-  ™.     .  ,  ,    j.        „  [tareu-a. 

,       '   .,       ,        .  '      .  .      .  Tinnirono    que' dardi    sugli   omeri  del   ve- 

rna esce  dal  nido   trepidando,   poi  si  ■  f   ■  ■  t 

arrischia  al  volo,  poi  s'avventa  agli  as-  com'  egli  si  movea. 
salti.  —  a  brev'aere  :  a  piccolo  volo,  ma 

Cora'  è  squisitamente  detto!  :  a  vie  mag-  366  sg.  ritever  leggi,  E  dal  minor  ger- 
gior:  ad  aere,  cioè  a  volo,  sempre  più  man  ricever  leggi...?  efficacissima  la  ri- 
alto: fldossi:  lat.  se  credidit.  Mirabil-  'letizione  in  tìne  de' due  versi  vicini, 
mente  è  ritratta  l'ampiezza  del  volo  e  la  non  che  l' uso  ellittico  dell'  infinito,  pro- 
sicura potenza  del  volatore  nel  V.  Entrò  prlo  di  esclamazioni  interrogative  mol- 
nell'alto  e  il  grande  arco  crollando...,  to  commosse.  Basti  citare  a  raffronto 
cosi  largo  e  solenne,  e  felicemente  to-  il  «  Mene  incepto  desistere  victam  Nec 
nato  per  quattro  volte  sulla  vocale  più  posse  Italia  Teucrorum  avertere  re- 
sonora a.  geni...!»,  Aen.  i  37,  e  Alfieri,  Saul  r  2, 
360-'63.  A  quel  crollo,  a  quella  scossa  1.16,  «  Tòrrai  dal  capo  la  corona  mia?  » 
ch'ei  die  con  l'arco  e  con  la  testa  (ve-  K  ognuno  sente  che  quest'  uso,  coni'  è 
rissimo  e  vivissimo  movimento  di  chi  degli  scrittori  e  classico,  cosi  è  vivo  e 
si  ribella),  le  frecce  metalliche,  di  che  frequente  nel  linguaggio  comune, 
ha  piena  dietro  la  faretra,  sbattute  met-  370.  schifo  :  schifiltoso,  che  ha  ri- 
tono  un  suono.  Per  la  imagine,  appena  guardi  paurosi  e  ripugnanze  esagerate. 


IL  MATTINO 


21 


Da  poi  che  un  laccio  io  strinsi,  anco  disciorlo 
A  mio  talento,  e  se  m'aggrada,  un  altro 
Stringerne  ancora  ?  E  lascerò  pur  eh'  egli 

375         Di  suoi  unguenti  impeci  a  me  i  miei  dardi, 
Perchè  men  velenosi  e  men  crudeli 
Scendano  ai  petti?  Or  via,  perché  non  togli 
A  me  da  le  mie  man  quest'arco,  e  queste 
Armi  da  le  mie  spalle,  e  ignudo  lasci, 

380        Quasi  rifiuto  degli  Dei,  Cupido? 

Oh  il  bel  viver  che  fia,  quando  tu  solo 
Regni  in  mio  loco  !  Oh  il  bel  vederti,  lasso  ! 
Studiarti  a  tórre  da  le  languid'  alme 
La  stancliezza  e  '1  fastidio  e  spander  gelo 

385        Di  foco  in  vece!  Or,  genitrice,  intendi: 
*"    Vaglio,  e  vo'  regnar  solo.  A  tuo  piacere 
Tra  noi  parti  l'impero,  ond'io  con  teco 
.  Abbia  omai  pace,  e  in  compagnia  d'Imene 
Me  non  veggan  mai  più  le  umane  genti  », 

390  Amor  qui  tacque,  e  minaccioso  in  atto. 
Parve  all'idalia  dea  chieder  risposta. 
Ella  tenta  placarlo,  e  preghi  e  pianti 

372.  Dappoi  ch'io  strinsi  un  laccio,  anco  slegarlo.  Da  poi  ch'io  strinsi  un  laccio, 
anco  disciorlo  V.  (B.)  —  373.  e  qualor  parrai,  un  altro  —  375.  Impece  V.  —  381.  qualor 
—  389.  troviu  —  390.  qui  tacque  Amore  —  392.  e  pianti  e  preghi 


375.  Ui  suoi  nagncnli  impeci  a  me  i 
miei  dardi  :  verso  che  per  l'abbondanza 
(Ielle  vocali  e  degli  accenti  e  delle  eli- 
sioni riesce  lungo,  e  lia  dell'attaccatic- 
cio della  pece.  —  Impeci  non  sarebbe  il 
verbo  proprio  per  nngnenti  ;  ma  per  ciò 
appunto  rende  con  più  nuova  efficacia 
il  dispregio  di  chi  parla.  Il  simile  puoi 
notare  in  Orazio  e.  Il  2,  4  sg.  «  arma 
Nondum  expiatis  uncta  cruoribus  ».  — 
Del  resto  questo  verso  e  il  seguente  fan- 
no ricordare  che  «  non  giova  empiastro 
a  piaga  d'  amore  »>. 

386.  Taglio,  cioè  «  posso,  ho  forze  da 
ciò  »,  ma  è  più  eletto  :  oltreché  a  orec- 
chio avvezzo  a"  classici  antichi  viene 
eflBcacia  dalle  due  parole  che  comin- 
ciano per  la  stessa  consonante  :  vaglio 
e  vo\ 

385.  sg.  In  compagnia  d'Imene  Me  non 
reggan  mal  pìd  le  nmane  genti:  impor- 
tanza somma  ha  questa  conchiusione 
per  l'intento  dell'episodio.  Non  bastava 
a  questo  che  Amore  si  francasse  da 


Imene,  bisognava  che  se  ne  dipartisse 
inconciliabilmente.  Sicché  Amore  non 
sarà  mai  più  dov'è  un  marito:  quindi 
ha  sua  ragione  e  suo  luogo  il  cavaiier 
servente  e  il  cicisbeo. 

390.  minaccioso  ^i  atto  :  vai  quanto 
«  in  atteggiamento  minaccioso;  atteg- 
giato a  minaccia  »  ;  ma  minaccioso  si 
riferisce  alla  persona  e  accorda  col  sog- 
getto. Cfr.  Alfieri,  Virginia  v  4,  10  «in 
atto  minacciosi  »;  Leopardi,  Consalvo 
59,  «  Stette  sospesa  e  pensierosa  in  atto 
La  bellissima  donna  »  e  Sopra  un  bas- 
sorilievo ant.  sep.  8  «  Asciutto  il  ciglio 
ed  animosa  in  atto  ».  È  modo  simile  a 
quello,  si  caro  e  famigliare  al  Petrar- 
ca, di  in  vista  con  innanzi  l'aggettivo. 

391.  alI'idRlia  dea:  cosi  è  detta  Ve- 
nere da  un  monte  dell'isola  di  Cipro, 
della  quale  è  signora  (diva  potens  Cy- 
pri). 

392  Sg.  preghi  e  pianti  Sparge  :  non 
v'è  ombra  di  zeugma;  poiché  spargere, 
come  in  lat.  fundere,  si  dice  elegante- 


22  IL  MATTINO 

Sparge,  ma  in  van;  tal  ch'ai  due  figli  vòlta, 
Con  questo  dir  pose  al  contender  fine: 
395     «  Poi  che  nulla  tra  voi  pace  esser  puote, 
Si  dividano  i  regni.  E  perché  l'uno 
Sia  da  l'altro  fratello  ognor  disgiunto, 
Sien  diversi  tra  voi  e  il  tempo  e  l'opra. 
Tu  che,  di  strali  altero,  a  fren  non  cedi, 
400        L'alme  ferisci,  e  tutto  il  giorno  impera; 
E  tu  che  di  fior  placidi  hai  corona, 
Le  salme  accoppia,  e  con  l'ardente  face 
«.^  Regna  la  notte  ».  Or  quindi,  almo  Signore, 
Venne  il  rito  gentil,  che  ai  freddi  sposi 
405        Le  tenebre  concede  e  de  le  spose 

Le  caste  membra,  e  a  voi,  beata  gente 
E  di  più  nobil  mondo,  il  cor  di  queste 
E  il  dominio  del  di  largo  dispensa. 
Fors'anco  un  di  più  liberal  confine 
410        Vostri  diritti  avran,  se  Amor  più  forte 
Nuove  province  al  suo  germano  usurpa. 
Dunque  ascolta  i  miei  detti,  e  meco  apprendi 
Quai  tu  deggia  il  mattin  cure  a  la  bella 
Che,  spontanea  o  pregata,  a  te  si  diede 
415        In  tua  dama  quel  di  lieto  che  a  fida 

303.  ma  in  vano,  onde  a'  due  —  395.  Poiché  —  397.  germano  —  398.  Sieno  tra  voi 
diversi  e  '1  tempo  —  402.  e  coli'  —  403.  Ora  di  qui,  Signore  —  401.  a'  freddi  —  407 
Di  più  nobile  —  408.  destina.  (CI.,  C.)  permette  V.  (B.)  —  411.  Qualche  provincia  — 
412  sgg.  Cosi  giova  sperar.  Tu  volgi  intanto  A'  miei  versi  l'orecchio,  et  odi  or  quale 
Cura  al  mattin  tu  debbi  aver  di  lei  Che,  spontanea  o  pregata,  a  te  donosse  Per  tua 
dama.  Cosi  giova  sperare.  Or  volgi  intanto  A' miei  versi  l'orecchio,  e  meco  apprendi 
Quai  tu  deggia  il  mattin  cure  a  colei;  Sperar  giova  cosi.  Tu  intanto  apprendi  quai  tu 
d.  il  m.  e.  a  la  b.  Che,  sp.  o  pr.,  a  te  donosse  Vv.  Cosi  giova  sperare.  Or  meco  ap- 
prendi  B.,  e  C.  ma  sperar 


mente  anche  delle  preghiere,  massime  cidi,  perché  propri  di  chi  è  e  vive  tran- 
quando  sono,  come  qui,   in  vano  :  cfr.  quillo. 

Petrarca   canz.    Verglìie   bella,    v.    79  408.   Largo  dispensa:   prima  scrisse 

.  vergine,  quante  lagrime  ho  già  sparte,  laì^go  destina,  nota  desinenza  petrar- 

Quante   lusinghe   e   quanti  preghi   in-  chesca,  son.  «  Grazie  eh' a  pochi  il  ciel 

damo  ».  largo  destina  ». 

395.  nulla:  aggettivo;   latinismo  fre-  414.  a  te  si  diede  In  tua  dama:  cioè 

quentissirao,  per  «  nessuna  »;  cfr.  Mez-  «  per...,  come...,  in  luogo  di  tua  dama  »; 

zoff.  V.  28,  261.  «Nulla  pace  è   fra  lor,  elegantissimo  uso  dell'in, 

nullo  riguardo»,  è  tradotto  dal  Benli-  415-'18.   quel   di   lieto  che  a  Ada  Car- 

voglio  il  «  pax  nulla  fidesque  »  di  Stazio  ta  ecc.:   non  è  finzione  o  esagerazione 

Theb.  VI  431.  poetica,  ma  storia.  Cfr.  Carducci,  op.  e 

401.  di  fior  placidi:  in  euritmica  an-  1.  cit.  :«  ...l'ozio  portava  la  corruzione, 

titesi  a  di  strali  altero  eh'  è  due  versi  che  più  sfacciata  svelavasi  nella  falsità 

sopra.   Anche   in   Ovidio,  Her.   vi  41,  e  nel  disfacimento  della  famiglia.  Nel- 

«  sertis  tempora  vinctus  Hymen  ».  Pia-  l'alta  società  il  cavalier  servente,  sti- 


IL  MATTINO  23 


Carta,  né  senza  testimoni,  furo 

A  vicenda  commessi  i  patti  santi 

E  le  condizion  del  caro  nodo. 
Già  la  dama  gentile  i  vaghi  rai 
420        Al  novo  giorno  aperse,  e  suo  primiero 

Pensier  fu  dove  teco  ir  più  convenga    - 

A  vegliar  questa  sera,  e  gravemente 

Consultò  con  lo  sposo  a  lei  vicino, 

A  baciarle  la  man  pur  dianzi  ammesso. 
425    L'ora  è  questa,  o  Signor,  che  il  fido  servo 

E  il  più  accorto  de'  tuoi  voli  al  palagio 

Di  lei  chiedendo  se  tranquilli  sonni 

Dormio  la  notte,  e  se  d'imagin  liete 

Le  fu  Morfeo  cortese.  E  ver  che  ieri 
430        Sera  tu  l'ammirasti  in  viso  tinta 

Di  freschissime  rose,  e  più  che  mai 

Viva  e  snella  balzar  teco  del  cocchio, 

E  la  vigile  tua  mano  per  vezzo 

Ricusar  sorridendo,  allor  che  l'alte 
4LÌ5        Scale  sali  del  maritale  albergo. 

Ma  ciò  non  basti  ad  acquetarti,  e  mai 

Non  obliar  si  giusti  uffici.  Ahi  quanti 

416.  non  senza  —  419.  gentil  de'  cui  bei  lacci  Godi  avvinto  sembrar  le  chiare  luci 
Col  —  420.  e  il  su  V.  (01.,  C.)  —  421.  aggia  più  tosto  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  422  sgg.  e  con- 
sultonne  Contegnosa  lo  sposo  il  qual  pur  dianzi  Fu  la  mano  a  baciarle  in  stanza  am- 
messo. Lo  sposo  consultonne  a  lei  vicino  O  la  mano  a  baciarle  in  stanza  ammesso  V. 
(B.,  CI.,  C.)  —  425.  Or  dunque  è  tempo  che  il  più.  Ora  è  tempo,  o  Signor,  V.  —  426. 
tra  i  tuoi  mandi  —  428.  Le  concesse  la  notte,  e  di  bei  sogni;  Dormio  la  n.  e  se  d'i. 
grate  Vv.  {la  2*  B  ,  CI.,  C.)  —  430.  Al  partir  e  Al  tornar  l'ammirasti  Vv.  {la  2'  B., 
CI.,  C.)  —  432.  Vivace  e  lieta  uscio.  Lieta  e  snella  con  te  balzò  dal  V.  —  434.  Ricusò 


pulato  e  fin  designato  dai  contratti  nu-  riusci  né  prima  né  poi  di  trovarla  per- 

ziali...  ».  Oh  i  patti  santi  e  il  caro  nodo  !  fetta. 

419.  i  Taglii  rai:  frase  divenuta  arca-  426.  sg.  voli...  chiedendo:  cioè  «  a  chic- 
dica  e  melodrammatica,  quanto  e  più  dere  »;  schiettissiuia  eleganza, 
che  i  bei  lumi,  ;eiMCi  e  simili.  Alla  ca-  4i8.  Dormio:    per  «donni»;    forma 
ricatura  ironica  si  addice.  invecchiala  e  inutile,  tranne  in  line  di 

422-24.  e  griiTemente    ecc.:    impossi-  verso.  —  se  d' imasrin  grate  Le  fu  Mor- 

bile  a  imaginare  sarcasmo  più  amaro,  feo  cortese  :  di  Morfeo  (J/007  tù^-)  è  pro- 

e  in  espressioni  più  composte;  la  mo-  pi-ietà  assumere   e  presentare   ai   doi-- 

glie  elle,  appena  desta,  con  la  maggior  menti  ligure  e  {ovme  {uoQipdg).  Cfr.  l'au- 

serietcì  chiede  il  parere  del  marito,  che  notazione  al  v.  91. 
le  è  vicino  in  quanto  ha  avuto   or  ora  429-35.  È  ver  ecc.  :  nota  l'arte  e  l'ef- 

per  grazia  d'essere   introdotto   al  ba-  fetto  de'  chiaroscuri:   tra  i  sarcasmi  e 

clamano,  doV  ella  possa  con  più  diletto  lo  .sdegno  spicca  pur  bene  questo  qua- 

andare  la   sera  a  veglia  con  l'amico!  d retto  fresco  e  vivace.  Il  che  non  toglie 

Quanto  all'  espressione,  per  altro,  puoi  che  la  frase  in  viso  tinta  sia  maliziosa, 
vedere  che  il  p.  la  mollificò   più  volte,  437.  si  giusti  ulllci:  doveri.  Latinismo 

e  forse  fu  de'  pochi  casi  che  non  gli  squisito.  —  Ahi  (inanti  Geni  malvagi  ecc.  ; 


21  IL  MATTINO 


Geni  malvagi  per  la  notte  opaca 

Godono  uscire  ed  empier  di  perigli 
440        La  placida  quiete  de'  mortali  ! 

Potria,  tolgalo  il  cielo!  il  picciol  cane 

Con  latrati  improvvisi  i  cari  sogni 

Troncar  de  la  tua  dama,  ond'  ella  scossa 

Da  subito  capriccio  a  ranuiccHiarsi 
445         Astretta  fosse,  di  sudor  gelato 

E  la  fronte  bagnando  e  il  guancial  moli  3. 

Anco  potria  colui  che  si  de'  tristi 

Come  de'  lieti  sogni  è  genitore 

Crearle  in  mente  di  contrari  obietti 
450        In  un  congiunti  orribile  chimera, 

Onde  agitata  in  ansioso  aflfanno 

Gridar  tentasse,  e  non  però  potesse 

Aprire  ai  gridi  tra  le  fauci  il  varco. 

Sovente  ancor  ne  la  passata  sera 
455         La  rapita  dal  gioco  aurea  moneta. 

Non  men  che  al  cavalier,  suole  a  la  dama 

Lunga  vigilia  preparar:  talora 

Nobile  invidia  de  la  bella  amica 

438.  tra  '1  notturno  orrore,  fra  l'orror  notturno  V.  —  440.  de' viventi  V.  (B.)  — 
441.  Poria  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  442.  Con  latrato  improvviso  i  cari  sonni  V.  (B.,  anche  CI. 
e  C.  via  sogni)  —  443.  TroLcare  a  —  444.  ranniccbiarse  V.  (CI.,  C.)  —  447.  Come  al 
t;.  44i  —  449.  di  diverse  idee  In  un  congiunte,  di  nemiclie  V.  —  451.  Tal  che  agitata 
e  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  454.  ne  la  trascorsa,  de  la  passata  V.  —  455.  La  perduta  tra  '1 
gioco  —  457.    cagionar  » 


è  uno  Sgomento  che  tien  del  comico.  Qui  419  sg.  di  contrari  obietti  In  db  con- 
ia satira  sorriiie  senza  acerbità,  di  tra  giunti  orribile  cliimera:  chimera  è  di- 
la  fosca  pennellata  che  al  p.  è  piaciuto  venuto  quasi  un  uome  comuae  di  stra- 
iuterporre.  —notte  opaca  è  di  Virgilio.  nezza  fantastica  e  vana;  ma  qui  il  P. 

411.  Potn'a:  poi  pensò  paria,  ch'è  in  lo  adopera  con  proprietà  grande  a  e- 

Dante  e  nel  Petrarca  (p.  es.  Canz.  Ghia-  sprimere  uno  spauracchio  accozzato  di 

re  fresche  e  dolci   acque  st.  2  v.  li)  e  parti   repugnanti,  quali  sono   spesso  i 

in  altri:  ma  ora  è  disusato.  fantasmi  sognati,  e  qual  era  il  mostro 

441.  Da  Slibito  capriccio:  qui  per  «rac-  mitologico  (jj/jaiga),  leonino  caprino  e 

capriccio,  bi-ivido  di  spavento  improv-  serpentino,  nato  di  Tifone  e  di  Echidna, 

viso».  e  ucciso  da  Bellerofonte  :  Iliade  x  521. 

446.  il  gnancial  molle:    soflTice,  mor-  454  sg.  ne  la  passata  sera   La   rapita 

bido.  dal    gioco   aurea  moneta:   cioè   «l'aver 

447  sg.  colui  che  si  de' tristi  Come  de'  perso  al  gioco  nella  sera  innanzi  »;  Te- 

lii'ti  sogni  è   genitore  :  non   è  Morfeo,  spressione  è  squisita,  ma  la  coUocazio- 

ma  il  Sonno,  durante  il  quale  tutti  i  so-  ne  del  primo   compimento  un   po' sfor- 

gai  si  generano  buoni  e   cattivi.   Nel  zata. 

passo  cit.  del  lib.  XI  delle  Memmor/'05i,  457.  Lunga  Tlgilia:   in  volgare   «ve- 

certo  ben  noto  al  P.,  Morfeo  è  nominato  glia  »,  cioè  insonnia.  —  preparar:  come  la 

insieme  con  altri  fratelli;  il  Sonno  lo  causa  prepara  l'effetto;  quindi  «  cagin- 

chiama  a  sé  «  e  populo  natorum  mille  uare  ». 

guorum  »,  458.    Nobile    inridia  :    naturalmente. 


IL  MATTINO  '  25 


Vagheggiata  da  molti,  e  talor  breve 
460         Gelosia  n'  è  cagione.  A  questo  aggiugni 

Gl'importuni  mariti,  i  quali  iu  mente 

Ravvolgendosi  ancor  le  viete  usanze, 

Poi  che  cessero  ad  altri  il  giorno,  quasi 

Abbian  fatto  gran  cosa,  aman  d'Imene 
465        Con  superstizion  serbare  i  dritti 

E  de  l'ombra  notturna  esser  tiranni, 

Non  seuz'  affanno  de  le  caste  spose, 

Ch'indi  preveggon  tra  pochi  anni  il  fiore 

De  la  fresca  beltade  a  sé  rapirsi. 
470         Or  dunque  ammaestrato  a  quali  e  quanti 

Miseri  casi  espor  soglia  il  notturno 

Orror  Is  dame,  tu  non  esser  lento, 

Signore,  a  chieder  de  la  tua  novelle. 
Mentre  che  il  fido  messagger  sen  riede,  r 

475         Magnanimo  Signor,  tu  non  starai 

Ozioso  però.  Nel  campo  amato 

Pur  in  questo  momento  il  buon  cultore 

Suda,  e  incallisce  al  vomere  la  mano, 

Lieto  che  i  suoi  sudor  ti  fruttin  poi 
480        Dorati  cocchi  e  peregrine  mense. 

Ora  per  te  l'industre  artier  sta  fiso 

Allo  scarpello,  all'asce,  al  subbio,   all'ago  : 

Ed  ora  in  tuo  favor  contende  o  veglia 

Il  ministro  di  Temi.  Ecco  te  pure, 

460.  arroge  V.  (CI.,  C.)  —  461.  a  cui  nel  capo,  i  quai  nel  capo  Vv.  {adottarono  la 
2*  CI.  e  C.)  —  464.  Aggiau  fatto  gran  cose  V.  —  466.  dell'ombre  notturne  —  467.  Ahi 
con  qual  noia  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  468.  fra  non  molto  V.  (CI.,  C.)  —  469.  Di  lor  f.  b.  a 
sé  rapito  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  474.  si  attende  (B.,  C.)  —  476.  Nel  dolce  campo  (CI.)  — 
480.  pellegrine  V.  —  483.  a  tuo 


r  aggiunto  è  ironico;  che  invidia  nobile  481  sg.  l'industre  artier  :  espressione 

non  può   darsi  se  non  per  nobile  og-  generale,  che  s' individua  nel  v.  sg.   6e- 

getto.  coudo  le  varie  arti,  designate  dai  loro 

460  sg.  in   mente   RaTTOlgendosi:  <  a-  strumenti.  —  asce,  o  ascia,  deMegnaiuo- 

vendo  ancora  per  il  capo  »;  ricorda  le  li  ;  s:ibbio  (il  legno  rotondo  intorno  a 

espressioni  latine  ♦  in  pectore  versans,  cui  si  ravvolge  la  tela),  de'  tessitori, 

corde  volutans  ».  483  sg.  contende  o  veglia  li  ministro 

46I-"69.   aman  d' Inipnc  Con  snpersti-  di  Temi:  il   contendere   è  proprio   del- 

zYon  ecc.:  chiaro  il  senso  e  il  sarcasmo,  l'avvocato  che  tratta  e  perora  le  cause  ; 

471  sg.  11  notturno  Orror:  «l'ombra,  il  veyliare,  del  giudice  che  deve  curare 

la  tenebra  della  notte  ».            -  l'osservanza  della  legge;  all'  uno  e  al- 

474.  Mentre  clie...  sen  rleJe  :  cioè  nel  V  altro  può  esser  comune  la  perifrasi 

tempo  che  il  servo  impiega  tra  andare  di  ministri  di  Temi  (che  altrove  nel  P. 

e  tornare.  La  lez.  si  attende  era  men  designa  i  giudici  solo,  il  bisogno  v.  55). 

felice,  perché  troppo  geneiica  essendo  Può  anche  darsi  che  qui  il  poeta  pen- 

un  solo  l'aspettante.  sasse  solo  all' avvocato,  a  quel  forense 


[L  MATTINO 


485 


Te  la  toilette  attende:  ivi  i  bei  pregi 
De  la  natura  accrescerai  con  l'arte; 
Si  che  oggi,  uscendo,  del  beante  aspetto 
Beneficar  potrai  le  genti,  e  grato 
Ricompensar  di  sue  fatiche  il  mondo. 
Ogni  cosa  è  già  pronta.  All'  un  de'  lati 
Crepitar  s'odon  le  fiammanti  brage. 
Ove  si  scalda  industrioso  e  vario 
Di  ferri  arnese  a  moderar  del  fronte 
Gl'indocili  capei.  Stuolo  d'Amori 
Invisibil  sul  foco  agita  i  vanni, 
E  \<ev  entro  vi  soffia,  alto  gonfiando 
Ambe  le  gote.  Altri  di  lor  v'appressa 
Pauroso  la  destra,  e  prestamente 
Ne  rapisce  un  de'  ferri:  altri  rapito 

485.  La  tavoletta  or  chiama,    La   tavoletta  attende,  Te  la  teletta  aH«n-i^  v     ,. 
la   /•  B.,  la  2-  C,  la  «•  CI.)  -  486.  illustrerai  V.  (CI  )    _   487    o„h^"  Vv.  «en«« 


490 


496 


di  cui  sopra  al  v.  165  sgg.:  a  cui  anche 
il  veglia  può  convenirsi,  in  quanto  stu- 
dia le  cause  e  coglie  l' occasione  di  mo- 
ver le  liti. 

485.  la  toilette:  le  due  varianti  pen- 
sate in  appresso  per  fare  italiana  la 
parola  sono  entrambe  poco  felici,  e  inol- 
tre tavoletta  costringe  a  uscir  di  luogo 
il  te  cosi  opportunamente  ripetuto  a 
principio  del  verso,  e  teletta  fa  con  esso 
cattivo  suono.  Per  queste  ragioni,  e 
perché  la  parola  è  rimasta  nelia  par- 
lata comune,  ho  seguita  la  lezione  ori- 
ginale, non  ostante  che  il  trovar  qui 
ai)presso  v.  513  la  tavoletta  dovesse 
forse  far  ritenere  questa  per  la  forma 
che  in  ultimo  piacque  più,  o  meno  di- 
spiacque, al  P.  (certo  etimologicam.  è 
altra  cosa  da  toilette)  :  e  avverti  che 
tavoletta  del  v.  513  ha  un  significalo 
più  ristretto  e  preciso.  Bene  il  De  Ca- 
stro citò  la  perifrasi  di  toilette  nel  Monti, 
Feron.  m  438: 

.  .  .  sacra 
Alla  beltade,  inaccessibil  ara 
Che  non  hai  nome  iu  cielo  e  tra'  mortali 
Da  barbarico  accento  lo  traesti 
Cui  le  Muse  abborrir. 

4S7.  beante  aspetto,  che  rende  felice 
altrui. 


492  sgg.  industrioso  e  rario  m  ferri 
arnese,  come  a  dire  un  apparecchio  di 
svariati  ferri  ingegnosi;  che  arnese 
qui  ha  senso  collettivo  (cfr.  h^niePurg. 
XXIX,  52).  Sotto,  al  V.  619,  ritroveremo 
ilplur.5r?i  arnesi.  —  a  moderar  ecc.,  cioè 
atti  e  fatti  per  mettere  e  tenere  a  freno 
i  capelli  che  naturalmente  si  scompou 
gono (indocili).  —  del  fronte:  rro)ìte  ma- 
schile, alla  francese,  è  raro  ne'  migliori  ; 
il  I'.  l'ha  anche  altrove,  il  v.  130  e  là 
A'.  518.  Il  Caro  En.  xn  371  «  chino  il 
fronte  e  grave  il  ciglio  ». 

498  sgg.  prestamente  Ne  rapisce  un  de' 
ferri:  l'avverbio  rinforza  il  verbo  eh' è 
nell'accezione  del  rapere  latino,  «  pren- 
dere e  portar  via  in  fretta  ..  É  anche 
nel  Leopardi,  La  Ginestra260:  «  desta  i 
ligliuoli,  Desta  la  moglie  in  fretta  e  via, 
K'Hi  quanto  Di  lor  cose  rapir  posson, 
fuggendo...  »  —  altri  rapito,  cioè  il  fer- 
ro preso  via  dalle  brage  un  altro  Amo- 
rino lo  esperimenta  (tenta)  appressan- 
dolo alla  punta  della  sua  ala  ma  senza 
toccarla  {sospende ndol),  per  vedere  che 
non  sia  troppo  caldo,  del  che  sarebbe 
indizio  r  aggrinzarsi  o  il  fumare  della 
penna.  Nel  rapito  (non  solo  per  il  senso 
ma  per  1'  uso  cosi  fatto  del  participio) 
e  nel  tenta  sou  due  squisiti  latinismi. 
—  fu:i:c,  vedi  la  n.  al  v.  107. 


IL  MATTINO 


27 


500 


Tenta  com'arda  in  su  l'estrema  cima 
Sospendendo!  de  l'ala,  e  cauto  attende 
Pur  se  la  piuma  si  contragga  o  fumé  : 
Altri  un  altro  ne  scote,  e  de  le  ceneri 
Filigginose  il  ripulisce  e  terge. 
Tali  a  le  vampe  dell'etnea  fucina, 
Sorridente  la  madre,  i  vaghi  Amori 
Eran  ministri  all'  ingegnoso  fabbro , 
E  sotto  a  i  colpi  del  martel  frattanto 
L'elmo  sorgea  del  fondator  latino. 
A  l'altro  lato  con  la  man  rosata 

Como  e  di  fiori  inghirlandato  il  crine 
I  bissi  scopre  ove  d'idalii  arredi 

510.  con  le  man  rosate  V.  (B.)  —  511.  Como,  di  C.  il  capo  V. 


505 


510 


(B.) 


503  sg.  ceneri  Filigginose:  lo  stesso 
che  «  fuligginose  »,  cioè  nereggianti. 
Alamanni,  Coltiv.  v  135:  «Dell'arden- 
te camin  l'  oscura  ed  atra  Filigginosa 
polve  ». 

505-'09.  Dal  v.  494  al  504  era  una  spe- 
cie di  schietto  e  aggraziatissimo  Wat- 
teau.  Qui  entra  nella  composizione  l'ele- 
mento sarcastico.  Il  P.,nell'introdurre  la 
comparazione,  ebbe  in  mente  l'oplopèa 
cU'è  nel  1.  vili  dell'  Eneide,  cioè  la  fabbri- 
cizione  dell'armi  d'Enea,  fatte,  per  pre- 
ghiera di  Venere,  da  Vulcano;  della  quale 
armatura  il  pezzo  più  maraviglioso  era 
lo  scudo  tutto  profeticamente  istoriato, 
ma  Virgilio  anche  menziona  l' elmo, 
V.  620  «  terribilem  cristis  galeam  flam- 
masque  vomentem  ».  Il  P.,  desunta  di  là 
l'imagine,  foggia  poi  la  scena  a  modo 
suo  e  secondo  la  sua  opportunità,  so- 
stituendo p.  es.  ministri  a  Vulcano  i 
vaghi  Amori,  dove  in  Virgilio  sono  gli 
Aetnaei  Cycloiìes,  v.  410.  —  L'  elmo  sor- 
gea: veniva  fuori,  prendeva  forma.  — 
rie]  fondator  latino:  di  colui  al  quale 
loccò  «Romanamcondere  gentem»  Ae«. 
1  33,  che  qui  latino  secondo  l'uso  nostro 
vale  per  eccellenza  romano;  è  in  som- 
ma il  «  pater  Aeneas  Romauae  stirpis 
origo  »,  Aen.  xii  16G.  Rammento  del  Pe- 
trarca, Tr. della  Fama  ì  in  f.,  «Vidi 
'1  gran  fondator  »,  ma  ivi  è  Romolo,  il 
condìtor  Urbis. 

511.  Como:  lo  l'itroveremo  nel  Mez- 
zog.  V.  814  presso  le  mense,  eh' è  più  il 
suo  luogo.  Qui  il  p.  lo  indusse  alquanto 


liberamente,  forse,  come  altri  suppose, 
avvicinandolo  al  lat.  camere  (ordinare 
e  ornare),  ma  sarebbe  avvicinamento  a 
orecchio.  A'o^/io?  è  il  banchetto  (cfr.  co- 
missari  e  comissatio).  Puoi  vedere  più 
volte  Como  tra  i  soggetti  proposti  dal 
P.  per  ornati  o  pitture  di  palazzi  nei 
Programmi  di  belle  arti,  opp.  v  pag.  30 
sg.,  83,  92  sg.  :  vi  è  detto  «  dio  dei  con- 
viti »  0  «delle  feste  e  dei  conviti».  Nel 
secondo  dei  citati  luoghi  è  divisato  cosi 
(ed  è  la  descrizione  più  lunga  e  non 
senza  rapporto  a  questo  passo):  «  Como 
avrà  la  figura  d'un  bel  giovinetto  dell'età 
di  quindici  in  sedici  anni.  Starà  a  sedere 
quasi  in  atto  d'  esser  vinto  dal  sonno  : 
appoggerà  la  sinistra  mano  ad  un'asta: 
e  lascerà  negligentemente  cadere  la  de- 
stra, nella  quale  terrà  una  fiaccola  ac- 
cesa. Avrà  un  abito  semplice,  legato 
alla  cintura,  e  che  non  arrivi  fino  al 
ginocchio.  I  capelli  di  lui  saranno  cion- 
dolanti graziosamente,  come  se  fossero 
sparsi  d'olii  odoriferi  :  e  sul  capo  avrà 
come  un  vago  berrettino  formato  di 
fiori  ■».  La  qual  descrizione  mi  par  de- 
sunta iu  gran  parte  da  quella  di  Filo- 
strato, Imag.  i  2;  ivi  il  giovinetto  dio 
Como  (e  più  veramente  è  una  perso- 
nificazione che  una  divinità)  è  «  rosso 
dal  vino  e  addormentato  in  piedi  per 
l' ebbrezza  »  :  kcS.mo^  in  fatti  è  proprio 
la  gozzoviglia. 

512.  idalii  arredi  :  cioè  che  servono 
alla  bellezza  o,  eh'  è  lo  stesso,  a  Venere, 
che  già  udimmo  chiamarsi  Malia  dea, 


28  IL  MATTINO 


Almo  tesor  la  tavoletta  espone. 

Ivi  e  nappi  eleganti  e  di  canori 
615         Cigni  morbide  piume,  ivi  raccolti 

Di  lucide  odorate  onde  vapori, 

Ivi  di  polvi  fuggitive  al  tatto 

Color  diversi  ad  imitar  d'Apollo 

L'aurato  biondo  o  il  biondo  cenerino 
520         Che  de  le  sacre  Muse  in  su  le  spalle 

Casca  ondeggiando  tenero  e  gentile. 
Che  se  a  nobile  eroe  le  fresche  labbra 

Repentino  spirar  di  rigid'aura 

Offese  alquanto,  v'è  stemprato  il  seme 
525         De  la  fredda  cucùrbita  :  e  se  mai 

Pallidetto  ei  si  scorga,  è  pronto  all'uopo, 

Arcano  a  gli  altri  eroi,  vago  cinabro. 

Né,  quando  a  un  semideo  spuntar  sul  volto 

Pastala  temeraria  osa  pur  fosse, 
530        Multiforme  di  nei  copia  vi  manca 

Ond'  ei  l' asconda  in  sul  momento,  ed  esca 

Più  periglioso  a  saettar  coi  guardi 

Le  belle  inavvedute;  a  guerrier  pari 

518  8gg.  Color  diversi,  o  se  imitar  nel  crine  D'ApolUne  tu  vuoi  l'aurato  biondo, 
O  il  biondo  cenerin  che  de  le  Muse  Scende  a  le  spalle  tenero  e  gentile  (Questa  var. 
seguirono  B.  e  C.  ma  il  1°  legge  si  vuol  per  tu  vuoi).  Color  diversi,  o  se  l'aurato  biondo 
Ami  d'Apollo,  o  se  il  cinereo  biondo  Vuoi  de  le  Muse  assomigliar  nel  crine  {Questa  CI.) 

—  522.   Che  se  stamane  a  te,  E  se  fia  mai  che  a  te  Vv.  (la  1'  C.,  la  2'  CI.)  —  524    Of- 
fenda V.  (CI.)  —  526.  ti  scorgi  V.  (CI.  Il  C.  ei  ti  scorga  ma  dev'essere  errore  di  slampa) 

—  528.   Né  quando  al  naso  tuo  spuntare  o  al   fronte  V.   (CI.)  —  531.  Onde  la  celi  V. 
(15.,  CI.,  C.) 


V,  374.  E  questi  arredi  sono  sùbito  ag-  531.  Ond' ci  1"  asconda,   coi  quali  nei 

presso  specificati.  egli  possa  dissimulare  e  coprire  il  pic- 

514-'18.  Sulla  (0(7e«e  sono  le  boccette  colo  male, 
belle  e  variopinte,  le  spazzoline  e  i  più-  533-'36.  Le  belle  inaTrednte,  che  non 
mini  o  nappette  morbide,  le  acque  odo-  si  guardano,  che  non  stanno  sulle  di- 
rose, le  polveri.  Nota  le  squisite  ma-  fese.  —  a  gnerrier  pari  Che  ecc.  È  un 
niere  :  di  polvi...  Color  diversi  anziché  motivo  epico  ripreso  in  rapido  e  feli- 
potvi  di  color  diversi,  e  fuggitive  al  ce  compendio.  Ricorda  Enea  che,  me- 
tatto  per  tenuissime,  che  sfuggono  al  dicalo  prodigiosamente  della  ferita  di 
tatto,  quasi  impalpabili.  freccia,  «avidus  pugnae  suras  incluse- 

518-'21.  Buone  anche  le  due  varianti,  rat  auro   Hinc  atque  bine  oditque  mo- 

ahneno  la  prima:  più  franca  tuttavia  e  ras...  »  e  poi  «  portis  sese  extuht  ingens 

originale  mi  suona  la  lezione  della  stani-  Telum  immane  manu  quatiens...  »,  Aen. 

pa.  E  inoltre  la  classica  sintassi  o  se.  .,  xii  430  e  411. 1  quali  particolari  il  Tasso, 

o  se...,  di  cui  V.  la  n.  al  v.  48,  meglio  G.  ;.  xi  75  sgg.,  rifacendo  la  scena  tra- 

è  se  non  si  renda  stucchevole  per  troppa  duce  : 

frequenza.  Avido  di  battaglia  il  pio  Goffredo 

524.  il  seme  De  la   fredda   cnciSrbita,  qì^  ne  l'ostro  le  gambe  avvolge  e  serra, 

cioè    della    zucca:     «pomata    di    semi-  e  l'asta  crolla  smisurata  e  imbraccia 

freddi  »  (Cantò).  il  già  deposto  scudo  e  l'elmo  allaccia. 


IL  MATTINO 


29 


635 


540 


545 


Che,  già  poste  le  bende  a  la  ferita, 
Più  glorioso  e  furibondo  insieme 
Sbaragliando  le  schiere  entra  nel  folto. 
Ma  già  tre  volte  e  quattro  il  mio  Signore 
Velocemente  il  gabinetto  scorse 
Col  crin  discìolto  e  su  gli  òmeri  sparso, 
Quale  a  Cuma  solea  l'orribil  maga, 
Quando  agitata  dal  possente  nume 
Vaticinar  s'udia.  Cosi  dal  capo 
Evaporar  lasciò  de  gli  oli  sparsi 
Il  nocivo  fermento  e  de  le  polvi 
Che  roder  gli  potrien  la  molle  ente 
O  d'atroci  emicranie  a  lui  lo  spirto 


537  sg.  Ma  già  velocemente  il  m.  S.  Tre  volte  e  quattro  il  g.  se.  V.  (B.,  CI.)  — 
546  sgg.  O  d'atroce  emicrania  a  lui  le  tempie  Trafigger  anco.  Or  egli  avvolto  in  lino 
Candido  siede.  Avanti  a  lui  lo  specchio  Altero  sembra  di  raccòr  nel  seno  etc...  O  di 
bel  crin  volubile  architetto.  Mille  d'intorno  a  lui  volano  odori  Che  etc...  L'auretta 
dolce,  intorno  ai  vasi 


Usci  dal  chiuso  vallo,  e  si  converse 
Con  mille  dietro  a  la  città  percossa. 

Segue  ancora  da  Virgilio: 
E  lontano  appressar  le  genti  avverse 
D'alto  il  miraro  e  corse  lor  per  1'  ossa 
Un  tremor  freddo  e  strinse  il  sangue  in 

[gelo. 

Poi  di  suo  il  Tasso  con  splendore  ome- 
rico: 

Egli  alzò  tre  fiate  il  grido  al  cielo. 
Conosce  il  popol  suo  I'  altera  voce 
E  '1  grido  eccitator  de  la  battaglia... 

Pili  glorioso  e  foribondo  insieme:  il  Tasso, 
ivi  st.  78  : 

Qui  disdegnoso  giunge  e  minacciante, 
Chiuso  ne  l'arme,  il  Capitan  di  Francia. 

537  sg.  tre  Tolte  e  quattro,  è  il  virgi- 
liano terque  quaterque,  per  dire  più  e 
più  volte,  e  sta  meglio  cosi  in  evidenza 
nel  primo  verso  che  non  trasponendolo 
col  velocemente  com'  è  segnato  nelle 
varianti. 

539.  Abbi  l'orecchio  alla  mirabile  va- 
rietà del  numero  e  come  i  suoni  e  gli 
accenti  secondino  mirabilmente  le  inia- 
gini  e  i  momenti  tutti  della  scena. 

540-''12.  Qnale  a  Cuma  ecc.  Virgilio, 
VI  77  sgg.  :  «  immanis  in  antro  Bacclia- 
tur  vates,  magnum  si  pectore  possit 
Excussisse  deum  »,  ma,  per  quanto  ella 
s'agiti  e  s'aggiri,  il  dio  che  l'invasala 


costringe  a  vaticinare.  Sulla  eflBcacia 
ingegnosa  di  accostare  cosi  la  Sibilla 
cumaua  e  il  Giovin  signore  non  biso- 
gnano parole  e  già  qualcuna  è  nella 
prefazione.  —  l'orribil  maga:  V orribile 
che  parve  «  eccessivo  »  al  Cantù  non 
credo  che  sia,  e  non  già  perché  «  il  poeta 
v'  attaccasse  un'  idea  men  trista  della 
comune  »  ma  perché  in  fatti  classica- 
mente può  significare  un  terrore  o  spa- 
vento sacro  senza  l' idea  inchiusa  di 
mostruoso  e  ripugnante.  E  orribile  ap- 
parisce veramente  nell'  accesso  del  fu- 
ror profetico,  quando  «  rabie  fera  corda 
tument»  o  1'  «os  rabidum  »  si  apre  al 
vaticinio,  Virg.  1.  e.  E  puoi  vedere  an- 
che nel  lib.  v  di  Lucano,  e  altrove. 

546-'58.  La  variante  nell'  insieme  è  da 
preferire,  specialmente  per  la  mutazione 
fatta  nel  collocare  due  gruppi  di  versi, 
secondo  apparisce  dal  raffronto  delle  due 
lezioni,  sicché,  volta  che  sia  la  parola  col  ' 
v.  558  al  parrucchiere,  il  p.  non  se  ne 
diparte  e  seguita  nei  versi  successivi  a 
parlargli.  In  particolare,  il  p.  consegui 
migliore  incontro  di  vocali  al  v.  546  to- 
gliendo via  il  primitivo  d'  atroce  emi- 
crania a  lui,  e  felice  fu,  credo,  non 
meno  che  ardito  a  dire  lo  spirto  ov'  era 
le  tempie,  esprimendo  un  dolore  pene- 
trante che  non  solo  affligge  una  parte 
del  corpo  ma  tutte  mortifica  le  attività 


30 


IL  MATTINO 


Trafigger  lungamente.  Or  ecco  avvolto 

Tutto  in  candidi  lini  a  la  gi'and'  opra 

E  più  grave  del  di  s'appresta  e  siede. 
550        Nembo  d'intorno  a  lui  vola  d'odoi-i, 

Che  a  le  varie  manteclie  ama  rapire 

L'aura  vagante  lungo  i  vasi  ugnendo 

Le  leggerissim'  ale  di  farfalla  ; 

E  lo  speglio  patente  a  lui  dinanzi 
555        Altero  sembra  di  raccòr  nel  seno 

L'imagin  diva,  e  stassi  a  gli  occhi  suoi 

Severo  esplorator  de  la  tua  mano, 

O  di  bel  ci'in  volubile  architetto. 

Tu  pria  chiedi  a  l'eroe  qual  più  gli  aggrado 
560        Spargere  al  crin,  se  i  gelsomini  o  il  biondo 

Fior  d'arancio  piuttosto  o  la  giunchiglia 

O  l'ambra  preziosa  agli  avi  nostri. 

Ma  se  la  sposa  altrui  cara  al  Signore 

Del  talamo  nuzial  si  lagna,  e  scosse 

559  sg.  Tu  chiedi  in  prima  a  lui  qual  più  gli  aggrada  Sparger  sul  crin,  se  il  gelso- 
mino o  (B.  ma  leggendo  nel  2°  v.  Spargervi  sopra,  o  i  gelsomini  o)  —  563.  Che  se  la 
■p.  a.  e.  all'eroe  V.  (B.,   Ci.,  C.)  —  564.  si  duole 


della  vita.  Non  cosi  opportuna  direi 
r  aggiunzione  a  la  grand'  opra  E  piii 
grare  del  dì  (avverti  che  pin  graye  è  su- 
perlativo in  quanto  vi  è  sottinteso  in- 
nanzi l'articolo  senza  ripeterlo,  la  gran- 
ii' opra  e  la  j^iù  grave):  che  l'irrisione 
è  troppo  scoperta. 

547  sg.  avvolto  Tutto  in  candidi  lini, 
cioè  ne'  grandi  accappatoi. 

551.  ntanteclie,  le  polveri  e  le  pomate 
di  cui  ha  discorso  or  ora,  vv.  517-'27. 

553.  ale  di  farfalla  :  compie  e  fa  più 
concreta  l' imagiue  dell'  aura  vagante, 
con  molta  convenienza,  per  la  legge- 
rezza di  entrambe  e  perché,  come  la 
farfalla  tocca  molti  fiori,  cosi  quest'aura 
molti  cosmetici.  L'eleganza  e  la  pro- 
prietà in  questi  versi  sono  perfette. 

f58.  0  di  bel  crin  volubile  architetto, 
«  il  parrucchiere;  volubile  ne' moti  e 
nella  moda  »  (M.).  Anche  il  Gozzi,  semi. 
gì'  Innamorati  moderni  v.  13  : 

...  il  capolino 
Non  ba  torto  un  capei,  cbé  man  maestra 
A  compasso  ed  a  squadra  la  diviua 
Filosa  cresta  ha  con  tal  arte  acconcia 
Cbe  iuQuiti  capei  sembran  d'un  pezzo. 

559.  La  variante  ha  tolto  di  qui  un  a 


lui  ch'era  il  terzo  o  il  quarto  nel  giro 
di  pochi  versi  e  dava  un  po'  noia. 

560-'62.  86  i  gelsomini ...  :  cioè  1'  es- 
senze tratte  dai  gelsomini,  dal  fior  d'a- 
rancio, e  via  via;  espressione  rapida  e 
pur  chiara  e  bella.  —  l'ambra  prezVosa 
agli  avi  nostri  :  il  profumo  eh'  era  più 
pregiato  dai  nonni;  o,  forse  meglio, 
l'ambra  di  cui  gli  avi  facevano  tal  conto 
che  non  l'avrebber  dissipata  in  profumi. 

563.  Ma:  logicamente  qui  bisogna  una 
avversativa  vera  e  propria,  e  però,  te- 
nendo la  prima  lezione  in  questo,  la 
tengo  secondo  i  propositi  miei  in  tutto 
il  verso,  da  cui  forse  il  P.  avea  pensato 
a  escluder  quel  cara  al  Signore  per  un 
Certo  che  d'  anfibologico  che  1'  espres- 
sione potesse  avere.  Ma  è  ben  chiaro 
che  non  si  tratta  di  Domineddio. 

561  sg.  Del  talamo  nnzial  si  lagna:  ha 
ragion  di  lagnarsi,  per  gli  effetti  della 
superstiziosa  tirannide  maritale,  di  cui 
sopra  vv.  400-469.  —  e  scosse  Pur  or  da 
lungo  pe^io  i  rastl  lombi:  si  sgravò;  né 
altro  che  lungo  peso  è  la  maternità  a 
madri  tali.  Scuotere  ha  egual  senso  e 
costruzione  nel  Petrarca,  son.  Or  hai 
fatto  V  estremo  v.  5,  «  Or  hai  spogliata 


IL  MATTINO 


31 


5G5        Pur  or  da  lungo  peso  i  casti  lombi, 

Ah  fuggi  allor  tutti  gli  odori,  ah  fuggi  ; 

Che  micidial  potresti  a  un  sol  momento 

Più  vite  insidiar.  Semplici  siano 

I  tuoi  balsami  allor,  né  oprai-li  ardisci 
570        Pria  che  su  lor  deciso  abbian  le  nari 

Del  mio  Signore  e  tuo.  Pon  mano  poi 

Al  pettin  liscio,  e  con  l'ottuso  dente 

Lieve  solca  le  chiome,  indi  animoso 

Le  turba  e  le  scompiglia,  e  alfin  da  quella 
575        Alta  confusion  traggi  e  dispiega, 

Opra  di  tua  gran  mente,  ordin  superbo. 
Io  breve  a  te  parlai,  ma  il  tuo  lavoro 

Breve  non  fia  peròj  né  al  termin  giunto 

Prima  sarà  che  da'  più.  strani  eventi 

565.  il  molle  lombo  —  5G8.  Tre  vite  —  570.  aggian  V.  (B.)  —  571.  Pon  mano  poscia 
(B.)  —  572.  e  coir  —  573  sgg.  i  capegll  ;  indi  li  turba  Col  pettine  e  scompiglia;  ordiu 
leggiadro  Abbiano  alfin  da  la  tua  mente  industre  —  577  ag.  ma  non  pertanto  Lunga  fia 
l'opra  tua,  né  al  t.  giunta 


nostra  vita  e  scossa  D'ogni  ornameiUo 
e  del  sovran  suo  onore  »,  e  nel  Tasso 
Aminta  I  2,  191,  «  il  verno  ha  scossi  i 
boschi  De  le  lor  verdi  chiome  ».  In  Vir- 
gilio, Aen.  VI  353,  dicesi  «  excussa  ma- 
gistro  »  la  nave  ond'  è  caduto  in  mare 
il  piloto  :  del  piloto  scossa,  avrebber 
detto  i  classici  nostri  ora  citati.  Cosi  lo 
scuotere  ha  in  tutto  serbato  il  senso 
dell'  excutere,  salvo  che  il  costrutto  la- 
tino pili  consueto  è  quello  del  virgilia- 
no «  pectore...  excussisse  deum  »,  citato 
ad  altro  effetto  poc'anzi:  al  quale  ag- 
giungo, per  affinità  di  senso  a  questo 
luogo  pariniano,  Ovidio,  fasti  i  624  ; 
«  visceribus...  excutiebat  ©nus  ». 

568.  Pid  vite:  prima  aveva  scritto 
tre,  ma  non  era  né  chiaro  né  esatto. 
Morendo  la  dama,  morrà,  poniamo,  il 
cavalier  servente  ;  ma  il  marito,  è  del- 
l' indole  di  questa  satira  figurarlo  si  te- 
nero e  appassionato  ?  Quanto  al  figliolo, 
poiché  non  è  la  madre  a  nutrirlo,  è 
chiaro  che  non  muore  per  il  morire  di^ 
lei.  Dicendo  pid  vite  non  dice  né  due  né" 
tre  né  quattro,  e  la  frase  indeterminata 
va  benissimo. 

569.  oprarli,  adoperarli;  in  forma  più 
eletta.  —  né...  ardisci,  questa  forma  inso- 
lita d' imperativo,  qui,  per  essere  una 
parola  di  mezzo  tra  la  proibitiva  e  il 


verbo,  riesce  pfù  accettabile  che  altro- 
ve: cfr.  sotto  V.  SII  e  la  nota  ivi. 

571.  Del  mio  Signore  e  tuo  :  vedi  man- 
suetudine con  che  il  poeta  si  mette  alla 
pari,  quasi  compagno  di  servizio,  con 
un  parrucchiere.  Peccato,  avrà  pensato 
il  Signore,  un  tal  servo  non  poter  licen- 
ziarlo ! 

573-'76.  Al  P.  dovè  dispiacere  che 
pettine  si  ripetesse  al  v.  574,  essendo 
già  nominato  due  versi  prima.  All'  in- 
fuori di  ciò,  la  prima  lezione  era  otti- 
ma; rapida  e  franca.  Nella  variante  è 
bellissimo  e  al  fln  da  quella  Alta  confu- 
sion traggi  ecc. —  ordin  superbo:  proprio 
come  il  mondo  dal  caos  !  In  vece  opra 
di  tna  gran  niente  vai  meno  che  la  mente 
industre  della  prima  stesura  per  la 
stessa  ragione  detta  al  v.  549,  che  la 
canzonatura  si  scopre  troppo. 

579.  da' pia  strani  eFenti:  frase  alta 
che  suscita  aspettazione,  e  gli  eventi 
saranno  poi  la  incontentabilità  e  le  fu- 
rie del  Signore  cosi  ben  ritratte  se- 
condo lor  modi  e  gradi  ne'  versi  se- 
guenti. Avverti  che  la  lezione  comune 
e  senza  varianti  è  da  più  strani  eventi, 
ma  mi  è  parso  di  aggiungere  un  apo- 
strofo: il  superlativo  s' intende,  ma  per 
il  comparativo  non  vedo  il  termine  di 
confronto. 


32  IL  MATTINO 


680        S' inveiva  o  tronchi  all'alta  impresa  il  filo. 

Fisa  i  guardi  a  lo  speglio,  e  là  sovente 

Il  mio  Signor  vedrai  morder  le  labbra 

Impaziente  ed  arrossir  nel  viso. 

Sovente  ancor,  se  artificiosa  meno 
585        Fia  la  tua  destra,  del  convulso  piede 

Udrai  lo  scalpitar  breve  e  frequente, 

Non  senza  un  tronco  articolar  di  voce 

Cbe  condanni  e  minacci.  Anco  t'aspetta 

Veder  talvolta  il  cavalier  sublime 
590         Furiando  agitarsi,  e  destra  e  manca 

Porsi  nel  crine  e  scompigliar  con  1'  ugna 

Lo  studio  di  molt'ore  in  un  momento. 

Che  più?  Se  per  tuo  male  un  di  vaghezza 

D'accordar  ti  prendesse  al  suo  sembiante 
695        Gli  edifici  del  capo,  e  non  curassi 

Ricever  leggi  da  colui  che  venne 

Pur  ier  di  Francia,  ahi  quale  atroce  fólgore, 

Meschino,  allor  ti  penderla  sul  capo! 

Tu  allor  l'eroe  vedresti  ergersi  in  piedi 
600        E  per  gli  occhi  versando  ira  e  dispetto  , 

Mille  strazi  imprecarti,  e  scender  fino 

Ad  usurpar  le  infami  voci  al  vulgo 

Per  farti  onta  maggiore,  e  di  bastone 

Il  tergo  minacciarti,  e  violento 

580.  Turbisi  o  tronchi  a  la  tua  impresa  (B.  ma  S' inveiva)  —  581  sg.  I  lural  &Uo 
speglio,  e  vedrai  quivi  Non  di  rado  il  Signor  morder  —  Fisa  il  guardo  B.  —  584  sg.  so 
men  dell'uso  esperta  Parrà  tua  destra  V.  (B.,  CI.,  C)  —  589.  il  mio  Signor  gentile  — 
591.  Porsi  a  la  chioma,  e  dissipar  con  l'ugue  V.  (B.,  CI.  e  anche  C.  lìia  tenendo  scom- 
pigliar) —  595  sg.  L'edificio   del  capo  ed  obliassi    Di  prender  legge  da  colui  che  giuuse 

Oli  edifici  del  criue  B.  Ricever  legge  B.  —  599.  Cbé  il  tuo  Signor  vedresti  ergers'  iu 

—  600.  versando  per  gli  occhi 


580.  8'lnTOlTfl,  cioè  s'  avviluppi  o  ag-  sospiro  ».  Qui  l'abbiamo  già  visto  ai  vv. 

grovigli.  Dicendo  11  filo,  sono  scelti  verbi  416  e  467. 

rispondenti  alia  metafora.  Anche  il  tur-  589.  il  eavaller  sublime,  che  contrasto 

6f*i  era  tale.  tra  tale  appellazione  e  la  scena!  Anclie 

584.  artificiosa  meno  :  meno  del  solito  la  prima  lezione  a  mio  Signor  gentile 

e  del  bisogno,  s' intende  bene:  men  del-  (beli'  emistichio  che  ricordo  eguale  noi 

ruso  esperta  è  pur  modo  elegante  ma  Boiardo)   tornava   bene,   pugnando  in- 

più  comune.  sieme  la  gentilezza  e  la  balorda  volga- 

587.  Non  senza:  in  luogo  di  con,  dà  ef-  rità  dell'atto  :  ma  il  P.  avrà  osservato 
ficace  rilievo.  Cosi  il  non  sine  de'  latini  che  gli  occorreva  un  po'  troppo  spesso 
si  propagò  agli  scrittori  nostri  anche  più  di  ripetere  la  parola  Signor. 
schietti  :  «  non  sine  multis...  lacrimis  »  595.  Gli  edifici  del  capo  :  1'  opera  dei- 
Orazio  e.  ni  7,  7,  e  il  Cellini,  Vita  ii  66  1'  architetto  che  sappiamo,  v.  558. 
«  non  senza  lacrime  al  mio  solito  rin-  599.  Anche  il  verso,  con  gli  spessi  ac- 
graziai  il  mio  Iddio».  E  altrove  lo  stes-  centi,  assorge  minaccioso  :  per  poco  non 
80, 1  68  «  non  senza  qualche  amoroso  viene  a  mente  il  Farinata  dantesco! 


IL  MATTINO 


33 


C05        Rovesciare  ogni  cosa,  al  suol  spargendo 

Rotti  cristalli  e  calamistri  e  vasi 

E  pettini  ad  un  tempo.  In  simil  guisa, 

Se  del  Tonante  a  l'ara  o  de  la  dea 

Che  ricovrò  dal  Nilo  il  turpe  Fallo^ 
610        Tauro  spezzava  i  raddoppiati  nodi 

E  libero  fuggia,  vedeausi  a  terra 

Vibrar  tripodi  tazze  bende  scuri 

Litui  coltelli,  e  d'orridi  muggiti 

Commosse  rimbombar  le  arcate  vòlto, 
615        E  d'ogni  lato  astanti  e  sacerdoti 

Pallidi  a  l'urto  e  a  l'impeto  involarsi 

Del  feroce  animai,  che  pria  si  queto 

Già  di  fior  cinto  e  sotto  a  la  man  sacra 

Umiliava  le  dorate  corna. 
G20    Tu  nonpertanto  coraggioso  e  forte 

Dura,  e  ti  serba  a  la  miglior  fortuna. 

Quasi  foco  di  paglia  è  il  foco  d'ira 

In  nobil  petto.  Il  tuo  Signor  vedrai 

607.  In  cotal  guisa  —  611.  vedeansi  al  suolo  —  616.  involarse  V.  (CI.)  —  621.  Soffri 
e  ti  serba  —  622.  è  foco  d'ira  C.  —  623.  In  nobil  cor.  Tosto  il  Signor  vedrai 


606.  calamistri,  lat.  i  ferri  da  fare  i 
riccioli.  Cicerone  disse  iu  metafora  «  ca- 
lamistris  inurere  »  significando  il  dare 
a  uno  scritto  un'  eleganza  ricercata. 

607-'19.  Magnifico  tratto,  menzi(>nato 
già  nel  discorso  di  prefazione.  —  Se  del 
Tonante  a  l'ara  o  de  la  dea  Che  ecc.:  di 
Giove,  o  d'Iside,  il  culto  della  quale 
originario  d' Egitto  fu  introdotto  anche 
a  Roma  co'  suoi  emblemi  {<paXkóg);  quindi 
Iside  ricoTrò  dal  Kilo,  incaperò,  riprese 
dall'Egitto  il  suo  rito.  Dice  Lucano  P/tar. 
vili  831  «  Nos  iu  tempia  tuam  [Aegj  pti] 
Romana  accepimus  Isim  ».  —  a  terra 
Vibrar:  si  vede van  lanciati  a  terra;  vi- 
brai- esprime  lo  scotersi  e  il  cader  re- 
pentino. Tuttavia  dice  il  M.  :  «  non  è 
qui  verbo  proprio  ;  e  il  P.  corresse  poi 
Cader;  variante  non  registrata  dal  Rei- 
na, ma  comunicatami  dal  Salveraglio  ». 
—  Neil'  enumerazione  seguente  il  suc- 
cedersi di  tanti  nomi  senza  né  una  con- 
giunzione né  un'  elisione  sembra  ren- 
dere r  ammucchiarsi  alla  rinfusa  de- 
gli oggetti  caduti  iu  terra.  —  Mtnl:  la- 
tinismo; ora  significa  trombe,  ora,  come 
qui,  bastoni  :  erau  proprio  le  bacchette 

Pabiki  —  Albini 


degli  àuguri.  —  rimbombar  :  guest'  infi- 
nito non  è  retto  espressamente  da  altro 
verbo  che  da  vedeansi,  ma  è  facile  sot- 
tintendere verbo  più  adatto.  I  grandi 
scrittori  non  rifuggono  da  queste  che 
paiono  negligenze  (e  realmente  inesat- 
tezze sono),  quando  c'è  da  acquistare 
rapidità  senza  perder  chiarezza.  —  a 
l'nrto  e  a  l'impeto,  quasi  agli  urti  im- 
petuosi; bell'esempio  di  quel  che  i  gram- 
matici chiamano  endiadi.  Ma  nota  piut- 
tosto come  anche  i  suoni  del  verso  ur- 
tano e  scattano.  —  che  pria  si  qneto  Già 
ecc.:  e  qui  le  imagini  e  i  suoni,  dopo  il 
precedente  trambusto,  rendono  la  ador- 
na e  placida  solennità  del  rito;  nota  il 
verso  ultimo,  stupenda  chiusa  di  un  pas- 
so stupendo.  —  la  man  saera,  cioè  del 
sacerdote,  il  «  popa  »  de'  latini. 

621.  Dura:  reggi,  resisti,  tollera.  È 
felice  traduzione  del  virgiliano  Aen.  i 
207  «  Durate,  et  vosmet  rebus  servate 
secundis  ».  Il  P.  che  stampò  So/fri  dovè 
poi  sentire  che  qui  era  meglio  l'imita- 
zione fedele  e  scoperta  del  testo  classico, 
ove  Enea  parla  ai  compagni  esuli  e  nau- 
fraghi: nell'applicazione  che  parodia! 

9 


134 


IL  MATTINO 


Mansuefatto  a  te  chieder  perdono, 

625         E  sollevarti  oltr'ogni  altro  mortale 

Con  pregili  e  scuse  a  niun  altro,  concesse  : 
Onde  securo  sacerdote  allora 
L'immolerai  qual  vittima  a  Filauzio, 
-Sommo  nume  de' grandi,  e  pria  d'ognaltro 

630        Larga  otterrai  del  tuo  lavor  mercede. 
Or,  Signore,  a  te  riedo.  Ah  non  sia  colpa 
Dinanzi  'a  te  s' io  traviai  col  verso. 
Breve  parlando  ad  un  mortai  cui  degni 
Tu  degli  arcani  tuoi.  Sai  che  a  sua  voglia 

635        Questi  ogni  di  volge  e  governa  i  capi 
De'  più  felici  spirti;   e  le  matrone, 
Che  da'  sublimi  cocchi  alto  disdegnano 

C2G.  Con  prieghi  B.  —  C27  sg^.  Tal  che,  Becuro  o  E  tu  securo  sacordolc,  a  lu;  Im- 
molerai lui  stesso,  e  pria  d'ogualtro  Larga  etc.  Vv.  {la  i'  CI.,  C,  la  2'  B.)  del  tuo 
fiivor  C.  {ma  è  certo  errore  di  stampa)  —  G36.  De' semidei  pili  chiari  V.  (B.,  CI.) 


621  sgg.  &  te  chieder  perdono  E  solle- 
Tarli  ecc.:  un  altro  eccesso;  in  ciò  si 
rileva  la  leggerezza  e  la  nessuna  dignità 
intima  e  vera  del  carattere, 

627-'30.  Onde  securo  sacerdote  ecc.  Tor- 
nando col  pensiero  alla  scena  sopra  de- 
scritta del  sacrificio  taurino,  dice  il  p.  al' 
parruccliiei'e :  «tu,  reggendo  alle  fune 
del  tuo  Signore  simili  a  quelle  del  toro 
slacciato,  finirai  per  sacrificare,  senza 
correre  i  rischi  del  sacerdote  sacrifi- 
cante il  toro,  il  tuo  signore  a  Filauzio, 
cioè  air  Egoismo,  eh'  è  il  maggior  dio 
('.e'  siguori,  e  cosi,  prima  ch'egli  beati- 
l.ichi  fili  altri  con  la  vista  sua  abbellita 
))er  tua  opera,  godrai  tu  le  grazie  e  il 
premio  di  questa  ».  —  Filànzlo  disse  il  P. 
da  <pi?.uvTÌa  cioè  1'  amor  di  sé  stesso  — 
i'.  qual  sentimento  (qnlFiv  éavTÓv,  qiikavrov 
slvai,  TÒ  (pO.avrov)  è  da  Aristotele  ££/i.  vni 
distinto  in  buono  e  cattivo  — :  e  se  altri 
avea  usato  quel  grecismo,  p.  es.  Palla- 
vicini lelt.  3,  129  «  puro  afifetto  di  carità 
senza  infezione  di  fìlautia  »,  il  P.  fa- 
cendo una  persona  e  una  divinità  scelse 
un  maschile,  certo  perché  maschili  sono 
per  noi  amore  ed  egoismo.  Ma  non  par 
hello  né  chiaro  :  tanto  più  che  non  s' in- 
tende bene  come  al  dio  s'  abbia  a  im- 
molare proprio  un  suo  seguace.  A  ciò 
rimedia  la  variante  a  lui  Immolerai 
Ivi  stesso,  nume  e  vittima  a  un  tempo, 
in  quanto  costui  dopo  l' ira  bestiale  si 


fa  umile  e  dolce  innanzi  al  servo,  con 
preghi  e  scuse  a  niun  altro  concesse. 
Ma  quell'apposizione  sommo  nume  de' 
grandi  tiene  troppo  degli  spiriti  eoe 
che  il  P.  scrisse  da  prima  questi  versi, 
perché  io  abbia  creduto  di  poter  abban- 
dona.re  la  lezione  primitiva:  è  la  stessa 
cosa  che  feci  e  notai  al  v.  355  e  seguenti. 
Del  resto,  anche  con  la  variante,  questo 
passo  è,  oso  dire,  troppo  ingegnosa- 
mente ricercato  e  sottile.  L'espressione, 
qual  è  in  essa  variante,  ritorna  simile 
in  un  luogo  ùéìVAscanio  in  Alba,  par- 
te II,  se.  4*  ;  ove  Silvia  dice  : 

....  E  s'anco  ei  fosse  [Ascanio], 

Vegga  che  fu  lui  stesso 

Sagrificato  a  lui 

E  l'amato  sembiante  ai  inerti  sui. 
fi33  sg.  Breve  parlando,  cioè  per  un 
poco  ;  ad  nn  mortai  cui  degni  Tn  degli 
arcani  tuoi,  e  però  mortale  si,  ma  non 
il  primo  venuto.  —  degni,  tieni  e  fai  de- 
gno ;  lat.  dignaris  con  la  stessa  co- 
struzione cfr.  Virgilio  bue.  iv  G3  «  Nec 
deus  Imnc  mensa,  dea  nec  dignata  cubili 
est  ». 

635.  i  capi,  veramente  i  capelli  ma, 
dato  il  genere  delle  teste,  il  p.  tra  il 
fuori  e  il  dentro  non  fa  distinzione.  — 
Dei  pili  felici,  meglio  dotati,  spirti,  e- 
spressione  petrarchesca  che  qui  quadra 
bene  all'  ironia  trattandosi  di  gente  che 
non  carezza  né  cura  se  non  il  corpo. Il 


IL  MATTINO  35 


Chinar  lo  sguai'do  a  la  pedestre  turba, 

Non  disdegnali  sovente  entrar  con   lai 
G40        In  festevoli  motti,  allor  ch'esposti 

A  la  sua  man  sono  i  ridenti  avori 

Del  bel  collo,  e  del  crin  l'aureo  volarne. 

Però  accogli,  ti  prego,  i  versi  miei 

Tattor  benigno  e  come  possi  ascolta 
G45        L'ore  a  te  render  graziose,  intanto 

Che  il  pettin  creator  dona  a  le  chiome 

Leggiadra  o  almen  non  più  veduta  forma. 
Breve  libro  elegante  a  te  dinanzi 

Tra  gli  arnesi  vedrai  che  l'arte  aduna 
650         Per  disputare  a  la  natura  il  vanto 

Del  renderti  si  caro  a  gli  occhi  altrui. 

Ei  ti  lusingherà  forse  con  liscia 

Purpurea  pelle  onde  fornito  avrallo 

O  mauritano  conciatore  o  siro; 
655        E  d'oro  fregi  delicati,  e  vago 

Mutabile  color  che  il  collo  imiti 

De  la  colomba,  v'avrà  sparso  intorno 

Squisito  legator  batavo  o  franco. 

638.  Volgere  il  guardo  —  643  sgg.  Perciò...  Tuttor  benigno,  ed  odi  or  come  possi., 
mentre  Dal  pettin  creator  tua  chioma  acquista  Però  m'odi  benigno  or  ch'io  t'ap- 
prendo L'ore  a  passar  più  graziose,  intanto  Che  il  pettin  creator  doni  a  le  chiome  V. 
(CI.)  dona  alla  chioma  C.  —  648.  Pieciol  —  653.  vestito  V.  (B,,  CI.,  C.)  —  655.  dilicati 
—  656.  imite  V.  (CI.,  C.)  —  657.  v'  avrà  posto 


P.  cercò  poi  altra  parola,  forse  perché  ritorna  nel  V.  135  e  nella  iV,  616,  e  che 

gli  parea  spirti  non  escludere  le  donne,  nella  squisitezza  della  dizione  non  può 

di  cui  fa  cenno  dopo  distintamente;  ma  riuscire  ambiguo. 

per  ciò  appunto  è  impossibile  non  in-  649-'51.  Tra  gli  arnesi  vedrai  che  ecc.: 

tendere  esatto.  tra  gli   oggetti  raccolti  sulla  toilette. 

644.  possi  :  questa  desinenza  va  di-  arnesi,  v.  sopra  il  v.  493  e  la  nota,  che 

susando,  ma  era  la  più  legittima  in  ori-  l'arte  adnna  Per  dlspntare  a  la  natura 

gine  e  qui  giovò  al  P.  per  chiarezza  e  ecc.  :  ripete,   ma  con   più  ricchezza  e 

per  evitare  la  cacofonia  possa  ascolta.  novità,  quel  che  disse  ai  versi  485-86. 

615.  graziose,  gradevoli,  piacevoli.  Ri-  652-658.  ti  lusingherà,  ti  alletterà,  t'in- 
cordati Dante  Piirg.  xiii  90,  «Ditemi,  viterà  si  che  tu  lo  prenda.—  con  liscia 
che  mi  fia  grazioso  e  caro  ».  Purpurea  pelle,  cioè  con  la  sua  bella  e 

646.  11  pettin  creator  ;  quale  aggettivo  morbida  legatura  in  marocchino.  —  for- 
a  qual  nome!     ,  nlto:  poiché  qui  si  designa  il   concia- 

647.  leggiadra  o  almen  ecc.  :  mordace  pelli,  e  il  legatore  vien  dopo,  meglio  è 
e  acuta  restrizione  :  tra  leggiadria  e  questa  prima  lez.  che  la  pensata  poi 
novità  spesso  è  gran  divai'io,  piccolo  vestito.  Nota  che  conciapelli  e  legatori 
tra  novità  e  stranezza.  sono  entrambi  esotici:  il  primo  a  dirit- 

648.  BreTC  libro:  non  già  corto  ma  tura  d'Africa  o  d'Asia  (nianritano  ...  o 
«piccolo»;  e  pieciol  era  la  prima  le-  siro),  il  secondo  di  Olanda  o  di  Francia 
zione.  Poi  il  P.  pensò  al  latinismo,  che  (bataTO  o  franco). 


36 


IL  MATTINO 


E  forse  incisa  con  venereo  stile 
660        Vi  fia  serie  d'imagini  interposta, 

Lavor  che  vince  la  materia,  e  donde 

Fia  che  nel  cor  ti  si  ridesti  e  viva 

La  stanca  di  piaceri  ottusa  voglia. 

Or  tu  il  libro  gentil  con  lenta  mano 
6G5        Togli  e  non  senza  sbadigliare  un  poco 

Aprilo  a  caso  o  pur  là  dove  il  parta 

Tra  l'uno  e  l'altro  foglio  indice  nastro. 
0  de  la  Francia  Proteo  multiforme, 

Scrittor  troppo  biasmato  e  troppo  a  torto 

6ri9.  Questo  e  i  quattro  versi  seguenti  sono  aggiunti.  —  6<)4.  Ora  il         Tu  quel  V.  (B.) 
—  667.  Tra  una  pagiua  e  l'altra  —  G68.  moltiforme  B.  —  669.    Voltaire  troppo  biaamato 


659.  incisa,  accorda  con  serie,  anzi- 
ché con  iniagini:  ipèrbati  0  scambi  fre- 
quenti, segnatamente  in  poesia.  —  con 
lenereo  stile:  Venerius  è  di  Venere  o 
spettante  a  Venere  ;  ad  es.  per  l^Iauto 
i  Oiovini  signori  romani  erano  Ve- 
nera nepotuli.  In  italiano  1'  aggettivo 
ha  pochi  usi  e  pochi  nomi  a  cui  si  uni- 
sca, non  belli  né  lieti:  per  ciò  a  punto 
se  ne  valse  il  P. ,  il  cui  venereo  stile, 
cioè  bulino  sacro  a  Venere,  incide  ijna- 
gini  più  ancor  licenziose  che  belle. 

661.  Lavor  clie  TÌnce  la  materia:  «Ma- 
teriam  superabat  opus  »  disse  Ovidio 
Met.  u  5  descrivendo  la  reggia  del  Sole. 

661-*66.  con  lenta  mano  ...,  non  senza 
sbadigliare  un  poco  ...,  Aprilo  a  caso  ...  : 
•  tutti  particolari  che  rilevano  quale  im- 
pegno volenteroso  e  quanta  serietà  di 
propositi  abbia  colui  nelle  sue  letture. 
Per  il  non  senza  vedi  la  nota  al  v.  5S7. 

657.  indice  nastro:  cioè,  posto  per  se- 
gno. Indice  qui  serba  elegantemente  il 
suo  valore  di  aggettivo,  ciie  nell'  uso 
spesso  perde  sostantivandosi  con  vari 
significati. 

668-79.  0  de  la  Francia  Proteo  multi- 
forme, Scrittor  ecc.  :  Voltaire  (1694-1778); 
e  Voltaire  era  la  l'iez.  in  vece  di  Scrit- 
tor, ma  assai  opportunamente  mutata, 
perché  egli  è  benissimo  designato  senza 
nominarlo  (se  si  trattasse  d'  un  poema 
antico,  si  direbbe  che  la  lez.  Voltaire 
è  dovuta  a  una  glossa  marginale),  e  an- 
che perché  Voltaire  più  correttamente, 
come  sarebbe  nel  verso  francese,  dovreb- 
b' esser  trisillabo.  —  Siccome  il  Proteo 


favoloso  si  tramutava  rapidamente  in 
tutte  le  forme  {«  formas  in  omnes  ». 
Virg.  Georg,  iv  411  e  vv.precc),  il  P.  ha 
denominato  cosi  lo  scrittore  francese 
che  fu  tutt'insieme  celebrato  come  scien- 
ziato e  filosofo,  storico  e  critico,  novel- 
latore, poeta  lirico,  epico  e  drammatico. 
Federico  II  lo  metteva  nel  numero  di 
quegli  uomini  «  qui  ont  uni  en  eux  les 
sciences  qui  devaient  donner  une  occu- 
pation  sufflsante  à  quarante  tétes  pen- 
santes  »  e  soggiungeva  :  «  il  n'  y  a  au- 
cùne  science  qui  n'entre  daus  la  sphère 
de  son  activité  ;  et,  depuis  la  geometrie 
la  plus  sublime  jusqu'  à  la  poesie,  tout 
est  soumis  à  la  force  de  son  genie.  Mal- 
gre  une  vingtaine  de  sciences  qui  par- 
tageiit  M.  de  Voltaire  ...  »  etc.  Le  qua- 
ranta teste  e  le  venti  scienze  bastereb- 
bero a  dar  ragione  al  P.  del  giudicare 
il  Voltaire  troppo  lodato  ;  ma  anche  trop- 
po biasmato  lo  giudica,  ben  lontano  egli, 
nell'equità  del  suo  alto  discernimento, 
dall'unirsi  a  chi,  per  timorata  coscienza 
e  cieco  odio  dello  spirito  voltairiano, 
avviliva  queir  ingegno  mirabilmente 
versatile  e  acuto,  T  autore  delle  pièces 
fugitives  e  di  tanta  vivissima  prosa.  =— 
Che  sai  con  novi  modi,  con  attraente  ori- 
ginalità. Imbandir  ne'  tnol  scritti  eterno 
cibo,  che  non  perde  sapore  o  che  sem- 
pre trova  chi  lo  gusti,  Al  semplici  pa- 
lati, cioè  di  chi  facilmente  abbocca;  e 
se'  maestro  A'  color  che  a  sé  flngon  di  sa- 
pere, che  si  danno  a  credere  d'esser  sa- 
pienti, o  Di  coloro  che  mostran  di  sa- 
pere, cioè  lo  danno  a  credere  altrui,  se- 


IL  MATTINO 


37 


G70        Lodato  ancor,  clie  sai  con  novi  modi 

Imbandii"  ne'  tuoi  scritti  eterno  cibo 

Ai  sempb'ci  palati,  e  se"  maestro 

Di  color  che  a  sé  fingon  di  sapere  ; 

Tu  appresta  al  mio  Signor  leggiadri  studi 
GTS        Con  quella  tua  fanciulla  all'Anglo  infesta. 

Onde  l'Enrico  tuo  vinto  è  d'assai, 

L'Enrico  tuo  che  in  vano  abbatter  tenta 

L'italian  Goffredo,  ardito  scoglio 

Contro  a  la  Senna  d'ogni  vanto  altera. 

673.  Di  coloro  clie  mostran    —    675.  agli  Angli  a  l'Anglo  B.   —    67G  ag.  Che  il 

grande  Enrico  tuo  vince  d'asaal,  L'Enrico  tuo  che  non  peranco  abbatte 


coudo  la  1"  lez.  meno  squisita  ma  non 
meno  accettabile.  L'uso  proprio  al  Vol- 
taire di  condire  ogni  cosa  d'  arguzie  e 
di  volger  tutto  in  ridicolo  serve  bene  a 
dissimulare  il  difetto  di  una  soda  dot- 
trina, e  uno  crede  facilmente  di  trion- 
fare quando  con  la  beffa  ha  evitato  di 
rispondere  a  un  argomento  o  elusa  la 
necessità  dell'  esattezza.  Un  senso  non 
dissimile  è  nella  espressione  dell'Alfieri, 
sat.  XI  13: 

Ogni  impudente  ottuso  cervelluzzo 


S'iuvolterizza,  o  tosto  ha  l'occhio  aguzzo. 

Del  quale  fa  anche  a  proposito,  non  mi 
par  dubbio,  quella  pagina,  in  II  princ. 
e  le  lett.  Ili  5,  ove  si  discorre  di  «  una 
certa  semi-filosofìa  universalmente  se- 
minata in  questo  secolo  da  alcuni  scrit- 
tori leggiadri,  o  anche  eccellenti  quanto 
allo  stile,  ma  superficiali  o  non  veri 
quanto  alle  cose.  I  libri  di  costoro,  an- 
dando per  le  mani  di  tutti  stante  la  loro 
seducente  facilità,  imprestano  una  certa 
forza  d' ingegno  a  chi  non  ne  avea  per 
sé  stesso  nessuna  ....».—  Con  qnella 
tna  fancinlla  ecc.:  la  Pucclle  d'Orléans 
(Giovanna  d'Arco  ,  infesta  agi'  Inglesi 
contro  ai  quali  combatté  per  la  patria 
e  dai  quali  fu  arsa,  nel  1431)  moralmente 
e  civilmente  è  poema  da  non  dilettar- 
sene altri  che  il  Giovin  signore,  ma 
pur  tra  Y  indecente  parodia  ricco  di  ar- 
guzia e  di  vena  (dal  Monti  tradotto  con 
la  sua  splendida  facondia  in  ottave).  — 
l'Enrico  tuo,  cioè  la  Henriade  che  ce- 
lebra Enrico  IV:  è  in  dieci  canti  di  ales- 
sandrini rimati  e  con  questo  titolo  usci 
nel  1726  a  Londra,  dove  già  era  uscita 


tre  anni  innanzi  con  titolo  la  Ligue.  Un 
decennio  di  poi  il  princ.  di  Prussia,  pen- 
sando a  farla  ristampare,  degnò  scri- 
verne la  prefazione,  alla  quale  appar- 
tengono i  passi  sopra  citati  e  questo  che 
aggiungo:  «il  conduit  sa  Henriade  à 
un  point  de  maturité  où  je  ne  sache  pas 
qu'aucun  poème  soit  jamais  parvenu  ». 
Altri,  pur  senza  tanto  esagerare,  teneva 
che  con  la  Enrichiade  anche  la  Francia 
moderna  avesse  il  suo  poema  epico,  ciò 
che  r  Italia  ha  con  la  Gerusalemme  li- 
berata, e  forse  meglio.  Ma  l'italian  Gof- 
fredo è  ardito  scoglio  che  l'acque  della 
Senna  non  buttano  giù:  il  che  volentieri 
assevera  il  P.  al  cui  austero  ingegno  si 
affaceva  singolarmente  il  poema  del  Tas- 
so co '1  bel  disegno  armonico  e  l'alto 
eloquio  squisito,  cfr.  v.  915  sg.  Quanto  al 
Voltaire,  ben  gli  riusciva  trattare  con 
letteraria  decenza  qualunque  genere  ma, 
come  scarsa  la  forza  drammatica,  cosi 
lo  spirito  epico  non  ebbe  affatto,  né  i 
suoi  tempi  o  i  suoi  ammiratori  senti- 
vano in  ciò  molto  innanzi,  compresovi 
il  gran  Federico  (di  lui  vedi  quel  che 
scrisse  in  proposito  il  Leopardi,  il  Pa- 
rìni  ovv.  della  Gloria  e.  2).  Basti  ri- 
cordare il  principio  della  protasi,  non 
certo  d' intonazione  eroica.  Nel  1723  di- 
ceva cosi  : 

Je  chanto  les  combats  et  ce  rei  généreux 
Qui  for^a  les  Fraudala  à  devenir  heureux  : 

e  si  narra  che  certo  Dadiky  di  Smirne 
dicesse  al  Voltaire  :  «  io  sono  della  pa- 
tria d'  Omero.  Omero  non  cominciava 
i  poemi  con  un'  arguzia  o  con  un  indo- 
vinello ».  Nel  1726  corrèsse: 


18 


IL  MATTINO 


680 


685 


Tu  de  la  Francia  onor,  tu  in  mille  scritti 

Celebrata  da'  tuoi,  novella  Aspasia, 

Taide  novella  ai  facili  sapienti 

De  la  gallica  Atene,  i  tuoi  precetti 

Pur  detta  al  mio  Signore  :  e  a  lui  non  meno 

Pasci  l'alto  pensier  tu  che  all'Italia, 

Poi  che  rapirle  i  tuoi  l'oro  e  le  gemme, 

Invidiasti  il  fedo  loto  ancora 

Onde  macchiato  è  il  Certaldese  e  l'altro 

Per  cui  va  si  famoso  il  pazzo  conte. 


681.  Celebrata  Ninon    n.  A.  —  684.   Pur  dona 
685.  Pasci  la  nobll  mente  o  tu  eh' a  Italia 


Tu   pur  detta   al   mio   eroe  V.  — 


Jo  chante  ce  héros  qui  regna  sur  la  France 

Et  par  droit  de  conquète  et  par  droit  de 

[uaìssauce; 

e  il  Leopardi  {Vari  pensieri,  XI)  ci 
notava  con  tutta  ragione  un  «  tecnici- 
smo, pessimo  in  poesia».  —  Puoi  leg- 
gere una  breve  pagina  di  Victor  Hugo 
su  Voltaire,  Postscriptum  de  ma  vie 
75,  che  incomincia:  «  Voltaire  n'est  pré- 
cisément  ni  un  grand  poète  ni  un  grand 
philosophe  :  c'est  un  grand  représentant 
de  tout  ». 

6S0-''84.  Tu  de  la  Francia  onor:  nien- 
temeno !  Ninon  de  Lenclos  morta  no- 
vantenne sul  principio  del  secolo  xix. 
Questa  Annetta  parigina  ebbe  i  liberi 
costumi  e  il  vivace  ingegno  di  un'etèra 
ateniese.  Sue  lettere  al  Saint-Evremond 
furono  pubblicate  nel  1751  ;  e  altre  apo- 
crife si  stamparono  e  si  lessero  cupi- 
damente sotto  il  nome  di  lei.  —  da' 
tnol,  variante  che  cacciò  di  luogo,  op- 
portunamente anche  qui,  il  nóme  Ni- 
non eh'  era  nella  prima  lezione.  Av- 
verti che  se  a  da'  tuoi  non  seguisse  vir- 
gola, dovrebbe  intendersi:  celebrata  da' 
tuoi  come  una  nuova  Aspasia  ecc.;  ma 
la  virgola  ci  sta  bene,  e  gli  appellativi 
di  Aspasia  e  di  Taide  segue  a  darli  per 
suo  conto  il  poeta.  Di  queste  due  cele- 
berrime, la  prima  che  fu  amica  e  con- 
sigliera di  Pericle  rimase  a  significare 
la  più  squisita  coltura  e  la  seconda  la 
più  licenziosa  scostumatezza.  —  al  f.i- 
cili  sapienti,  cioè  per  que'  saggi  di  cui 
al  V.  673,  De  la  gallica  Atene,  di  Parigi; 
cosi  per  es.  si  disse  Ateue  d'Italia  Fi- 
renze, presa  Atene  per  antonomasia 
come  sede   di  ogni  eleganza  e  di  ogni 


beli'  arte.  Qui  all'  espressione  non  man- 
ca qualche  colore  d' ironia. 

685-'89.  tn  che  a  l'Italia  ecc.  Giovanni 
de  la  Foutaine  (1621-1695),  l' autore  delle 
Favole  che  vanno  tra  i  più  eleganti  e 
insigni  testi  francesi  nelle  quali  l' in- 
venzione fiorisce  cosi  felice  e  la  filoso- 
fia fruttifica  si  spontanea  che  Victor 
Hugo,  op.  cit.  p.  74,  n'  ebbe  questa  ima- 
gine  «  La  Fontaine,  c'est  un  arbre  de 
plus  dans  le  bois,  le  fablier  ».  Scrisse 
anche  con  pari  leggiadria  galanti  e  li- 
cenziosi Racconti.  Mediante  i  quali, 
dice  il  p.,  la  Francia  che,  già  fin  da 
Carlo  Vili  e  Luigi  XII,  aveva  portato 
•via  tesori  all'  Italia,  le  invidiò  anche, 
cioè  volle  avere  anch'  essa,  il  fango,  il 
fedo  lodo,  di  che  son  macchiati  il  De- 
cameron e  r  Orlando  Furioso  ;  e  de- 
signa questi  due  nostri  capolavori,  pri- 
ma perché  si  convengono  coi  racconti 
del  francese  in  certe  lubricità,  e  poi 
perché  da  quelli  son  tratti  parecchi  ar- 
gomenti di  questi.  E  il  Boccaccio  e  l'A- 
riosto furono  de'  modelli  a  lui  più  cari, 
come  trovo  aver  detto  egli  stesso,  épl- 
tre  à  Huet  77: 

Je  chéris  l'Arioste,  et  j'estimele  Tasse; 
Plein  de  Machiavel,  entèté  de  Boccace, 
J'en  parie  si  souvent  qu'on  en  est  étourdi. 

690-'98.  Benché  i  particolari  nella  de- 
signazione degli  autori  non  sian  voluti 
porre  con  troppa  esattezza  (il  Reina 
nota  dopo  questo  gruppo  di  versi:  «si 
accennano  romanzi  e  novelle  di  vario 
genere  »),  pure  è  manifesto  che  i  niil- 
l'altri  son  quelli  divisati  di  poi  nellQ 
proposizioni  seguenti.  E  primo  de'  pri- 


IL  MATTINO 


39 


690    Questi,  o  Signore,  i  tuoi  studiati  autori 

Fieno,  e  mill' altri  che  guidaro  in  Francia 

A  novellar  con  le  vezzose  schiave 

I  bendati  sultani,  i  regi  persi 

E  le  peregrinanti  arabe  dame; 
695        O  che  con  penna  liberale  ai  cani 

Ragion  donaro  e  ai  bai'bari  sedili, 

E  dier  feste  e  conviti  e  liete  scene 

Ai  polli  ed  a  le  gru  d'amor  maestre. 
Oh  pascol  degno  d'anima  sublime  [ 
700        Oh  chiara,  oh  nobil  mente  !  A  te  ben  dritto 

E  che  si  curvi  riverente  il  vulgo 

E  gli  oracoli  attenda.  Or  chi  fia  dunque 

Si  temerario  che  in  suo  cor  ti  befifi, 

Qualor,  partendo  da  si  gravi  studi, 
705         Del  tuo  paese  l'ignoranza  accusi, 

E  tenti  aprir  col  tuo  felice  raggio 

701.  s'  incurvi  V.  (B.)  —  702.  fie  V.  (CI.)  —  703.  iu  suo  cuor  CI.,  C,  si  boffo  V.  (CI.) 
704.  da  si  begli 


mi,  cioè  di  quei  ohe  gniJaro  in  Francia 
A  nOTolIar  con  le  T«zzose  sobiave  I  ben- 
dati snltani  ecc.,  viene  a  essere  indub- 
biamente il  Galland  (s' intende  che  quel 
che  importa  son  le  opere  non  gli  au- 
tori), volgarizzatore  francese  negl'inizi 
del  1700  della  celebre  raccolta  araba  delle 
Mille  e  una  notte,  nella  quale,  come  tutti 
sanno,  il  filo  che  lega  insieme  i  rac- 
conti è  a  punto  il  novellare  che  fa  una 
giovine  bella  al  sultano  (e  un'altra  gio- 
vine assiste)  :  aggiungi  Petit  de  la  Croix 
che  fece  francesi  i  Mille  e  un  giorno. 
Il  P.,  si  badi,  non  poteva  disconoscere 
la  ricchezza  fantastica  e  inventiva  di 
quei  libri,  ma  si  disconosceva  il  diritto 
di  montar  sul  tripode  a  chi  non  d'altro 
avea  nutrito  la  propria  dottrina.  Cosi 
pure  dovea  far  differenza  tra  chi  attri- 
buiva i-agioue  e  altri  caratteri  e  usi 
umani  alle  bestie,  e  chi  faceva  ragio- 
nanti e  parlanti  i  barbari  sedili,  se  con 
ciò  ei  volle  dire  (ma  forse  volle  dire  i 
divani  o  il  divano  iu  più  lato  senso) 
le  sopha  di  Crébillon  figlio,  romanzo 
(1745)  d'un  uomo  che  è  stato  sofà,  cioè 
la  cui  anima  nell'  intervallo  tra  1'  una 
e  l'altra  incarnazione  per  metempsicosi 
fu  in  un  mobile,  anzi  in  parecchi  dei 
mobili  cosi   detti,   e   narra  i  suoi  casi. 


Dato  poi  che  in  questi  versi  anche  si 
alluda  a  libri  come  \e  Lettres  persanes 
(1721)  del  Montesquieu,  ne'  quali  un  o- 
rieutale  fa  satire  e  caricature,  in  forma 
di  lettere,  de'  costumi  e  della  società 
d'occidente,  qui  pure  nell'  intenzione  del 
p.  bisognerebbe  guardare  con  discerni- 
mento: egli,  come  severissimo  che  qui  è 
(ricorda  le  osservazioni  fatte  in  propo- 
sito nella  prefazione),  riproverebbe  di 
quei  libri  il  tono  spesso  irreligioso  e 
licenzioso,  affatto  caratteristico  della 
Reggenza,  ma  non  già  il  fondo  e  la  so- 
stanza satirica.  —  bendati,  cioè  rav- 
volti il  capo  nel  turbante.  —  con  penna 
liberale,  che  attribuisce  facilmente  al- 
trui ciò  che  non  gli  spetta;  cfr.  v.  718. 

705.  Tocco  verissimo,  e  fatto  più  vero 
dall'  espressione  del  tno  paese  cosi  usi- 
tata  in  questo  senso.  Fu  ed  è  proprio 
di  quei  cotali  spregiare  la  patria  e  ciò 
che  fa  in  patria:  nota  il  Cantù  che  quelli 
per  i  loro  studiati  autori  dimentica- 
vano Dante  il  Machiavello  Galileo  il 
Vico;  puoi  aggiungere,  a  proposito  del- 
l' ignoranza  inerzia  italiana,  i  grandi 
e  laboriosi  eruditi  tra  i  quali  era  pur 
allora  mancato  il  .Muratori. 

706-'08.  E  tenti,  inchiude  il  senso: 
ma  pur  troppo  non  ci  riesci.  Quel  che 


40 


IL  MATTINO 


La  gotica  caligine  che  annosa 

Siede  su  gli  ocelli  a  le  misere  genti  ? 

Cosi  non  mai  ti  venga  estranea  cura 
710        Questi  a  troncar  si  preziosi  istanti 

In  cui  del  pari  e  a  la  dorata  chioma 

Splendor  dai  novo  ed  al  celeste  ingegno. 
Nonpertanto  avverrà  che  tu  sospenda 

Quindi  a  pochi  momenti  i  cari  studi 
715         E  che  ad  altro  ti  volga.  A  te  quest'ora 

Condurrà  il  merciaiol  che  in  patria  or  torr.a 

Pronto  invòntor  di  lusinghiere  fole 

E  liberal  di  forestieri  nomi 

A  merci  che  non  mai  varcaro  i  monti. 
7'20        Tu  a  lui  credi  ogni  detto:  e  chi  vuoi  che  ose 

Unqua  mentire  ad  un  tuo  pari  in  faccia? 

Ei  fia  che  venda,  se  a  te  piace,  o  cambi 

711  sg.  In  cui  non  meno  de  la  docil  chioma  Coltivi  ed  orni  il  penatrante  ingegno 
(B.)  —  714.  Quindi  a  poco  il  versar  de'  libri  amati  V.  (13.,  CI.,  C.)  —  716.  merciaiuol 
—  720.  osi  (B.) 


segue  è  di  perfetta  eleganza  e  maestria  : 
nota  l'aprir,  il  felice  raggio,  il  siede,  e 
la  metafora  cosi  bene  continuata:  il  v. 
707  non  Ila  bel  suono  ma  atto  a  dir  cosa 
non  bella  e  noiosa,  e  il  70S  col  suono 
cadente  accompagna  l'idea.  —  gotica 
caligine:  dei  popoli  invasori  d'Italia 
non  so  se  alcun  altro  fuor  che  i  Van- 
dali e  i  Goti  lasciasse  al  linguaggio  frasi 
stereotipe,  come  vandalismo  e  barba- 
rle gotica;  i  primi  per  verità  con  più 
ragione  dei  secondi.  Ma  anche  noi,  per 
definire  il  non  bello  stile  di  qualche 
dotto  italiano,  non  abbiam  di  meglio 
che  chiamarlo  uno  scrivere  ostrogoto. 

—  caligine,  nebbia  folta,  ombra,  notte. 

—  annosa,  da  molti  anni. 

709.  Cosi,  desiderativo  :  lat.  sic. 

714.  La  var.  il  versar,  cioè  l'aver  tra . 
mano  leggendo,  e  rileggendo,  potè  esser 
pensata  un  momento  dal  P.,  perché,  ve- 
nendo subito  a  mente  l'oraziano  «  vos  e- 
xemplaria  graeca  Nocturna  versate  ma- 
nu,  versate  diurna  >  a.  p.  269,  dal  con- 
trapporre e  sostituire  i  libri  amati  agli 
esemplari  greci  scoppiava  l'ironia.  Ma 
sarebbe  stato  un  «crudo  latinismo»  (M.), 
quale  p.  es.  sobole  per  prole  eh'  è  in  un 
bel  frammento  di  un  idillio  (opp.  ITI 
p.  217)  al  V.  38,  e  diflìcilmente  il  P.  1'  a- 
vrebbe  tenuto. 


7ir)*-19.    A    te  (inosf  ora   Condurrà   il 
niercìainol:  l'ora  fatta  soggetto  dell'a- 
zione è  vivace  e  classica  eleganza.  lOd 
è  tutta  naturalezza  la  figura  del  mer- 
cante, prodigo  di  bugie  che  allettano  a 
comprare  (lusinghiere  fole)  e  di  nomi 
sonori.  Cfr.  nella  terza  egloga  Riescalo- 
ria  (voi.  cit.  p.  231)  al  v.  124: 
Un  picciol  nappo  di  corallo  avrai 
Che  viene  in  fin  dall'  ludica  marina, 
Se  '1  ver  mi  disse  quegli  onde  '1  comprai. 

—  liberal:  ricordati  la  penna  liberate 
del  v.  695.  —  che  non  mai  raroaro  i  monti, 
cioè  fatte  in  casa,  nostrane  ;  ricorda  in 
Orazio  il  vino  citra  mare  natum. 

720  sgg.  Tn  a  Ini  credi  ogni  detto  :  credi 
è  imperativo;  il  p.  al  solito  dà  come  un 
precetto  suo  ciò  eh'  è  un  fatto  e  un  uso 
del  suo  povero  eroe.  E  al  precetto  fa 
seguire  la  ragione  di  esso,  una  ragione 
ch'è  il  sommo  della  canzonatura:  echi 
Tuoi  che  ose...?  Il  vero  è  che  il  mercante 
sfacciato  ha  buon  giuoco  innanzi  alla 
dabbenaggine  di  tale  che  non  ^intende. 

722-'25.  Ei  fla  che  Tenda,  se  a  te  pia- 
ce, ecc.:  per  opera  tua,  cioè  raccoman- 
dato da  te  o  dal  tuo  esempio,  potrà  fare 
molti  buoni  affari  con  altri.  Sembra 
un'  altra  ragione  per  cui  il  mereiaio 
non  inganni  il  Giovin  signore:  ma  iu 
realtà  lo  inganna,  e  a  buon  conto  si  fa 


IL  MATTINO 


41 


1-21 


730 


735 


740 


Mille  fregi  e  lavori  a  cui  la  Moda 
Di  viver  concedette  un  giorno  intero 
Tra  le  folte  d'inezie  illusti-i  tasche. 
Poi  lieto  se  n'andrà  con  l'una  mano 
Pesante  di  molt'oro;  e  in  cor  gioiellilo, 
Spregerà  le  bestemmie  imprecatrici 
E  il  gittato  lavoro  e  i  vani  passi 
Del  calzolar  diserto  e  del  drappiere  ; 
E  dirà  lor  :  Ben  degna  pena  avete, 
0  troppo  ancor  religiosi  servi 
De  la  Necessitade,  antiqua  è  vero 
Madre  e  donna  dell'arti,  or  nondimeno 
Fatta  cenciosa  e  vile.  Al  suo  possente 
Amabil  vincitor  v'  era  assai  meglio, 
O  miseri,  ubbidire.  Il  Lusso,'  il  Lusso 
Oggi  sol  puote  dal  ferace  corno 
Versar  su  l'arti  a  lui  vassalle  applausi 
E  non  contesi  mai  premi  e  ricchezze. 


723.  fregi  e  gioielli  —  727.  dovizie 


aiutare  d;i  lui  a  ingannai'e  altri.  —  im 
giorno  intero:  detto  con  vivace  ironia 
come  se  una  vita  effimera  fosse  durata 
lunga.  E  avverti  la  originale  bellezza  del 
verso  seguente. 

720  sg.  Poi  lieto,  quasi  trionfante.  — 
con  r  una  mano  Pesante  di  molt'  oro,  è 
«il  gravis  aere...  dextra  »  di  Virgilio, 
bue.  I  30. 

728-30.  Spregerà  ecc.:  questo  ciur- 
madore, che  gabba  il  bel  mondo  e  n'ha 
il  favore  (come  suole  avvenire  a'  pari 
suoi  in  tutti  i  mondi  belli  e  brutti),  hi 
fa  beffe  del  povero  calzolaio  (diserto, 
propriam.  danneggiato  dal  non  poter 
riscuotere  la  sua  mercede)  e  del  sarto 
(questo  drappiere  è  il  villano  sartor... 
non  ben  pago  D'aver  teco  diviso  i  ric- 
chi drappi  V.  162);  1  quali,  dopo  aver 
datole  lor  fatiche  e  la  lor  merce,  sciu- 
pano i  passi  andando  a'  palagi  per  il 
prezzo,  costretti  a  partirsene  a  mani 
vuote  e  maledicendo  inutilmente. 

731-40.  E  dirà  lor:  Ben  degna  pe- 
na ecc.:  il  senso  puoi  riepilogare  cosi: 
ben  vi  sta,  o  voi  che  continuate  a  ser- 
vire al  bisogno  e  per  bisogno,  quando 
r  utilità  delle  cose  veramente  necessa- 
rie non  si  conta  per  nulla,  e  solo  le 
pompesuperliue  e  le  bagattelle  luccicanti 


fanno  piovere  oro  a  chi  le  spaccia.  — 
O  troppo  ancor  religiosi,  che  perseve 
rate  a  essere  timidi,  superstiziosi,  servi 
De  la  Xecessitade,  a  doppio  titolo,  cioè 
in  quanto  lavorano  a  cose  necessarie 
altrui  e  per  provvedere  a  sé  il  neces- 
sario (cfr.  Mezzog.  329  sg.),  antiqna  è 
Tcro  Jladre  e  donna  dell'arti,  che  il  bi- 
sogno fece  gli  artefici  :  puoi  veder  que- 
sto pensiero  in  Aristofane  Pluto  533-34 
e  in  Teocrito  id.  xxi  che  incomincia  : 

Sola  la  povertà,  Diofanto,  suscita  l'arti: 
essa  è  de  la  fatica  maestra. 

—  Al  suo  possente  Amabil  Tincitor:  qual 
sia,  è  detto  sùijito  appresso,  ma  non 
come  soggiunzione,  anzi  staccato  e  vi- 
brato. Cosi  la  Necessità  e  il  Lusso  vengo- 
no a  essere  i  due  termini  contrapposti, 
significando  quella  le  utilità  naturali 
della  vita  e  questo  le  artificiali  esigenze; 
ond'  è  che  quella  in  certa  società  si  ri- 
duca concicsa  e  Tile  e  questo  trionfi  ir- 
resistibile e  applaudito.  —  T'era  assai 
meglio,  cioè  «vi  sarebbe  stato»:  l'in- 
dicativo per  il  condizionale;  uso  rapido 
ed  efficace,  classico  (lat.  satius  fuit)  e 
sempre  vive:  Tasso  Am.  Ili  2, 107  «  Bello 
e  dolce  morir  fu  certo  allora  Che  uc- 
cidere io  mi  volsi  ».  De'  moderni  è  usi- 


42 


IL  MATTINO 


L'ore  fien  queste  ancor,  che  a  te  ne  vegna 

Il  delicato  miniator  di  belle, 

Ch'  è  de  la  corte  d'Amatunta  e  Pafo 

Stipendiato  ministro,  atto  a  gli  affari 
745        Sollecitar  de  l'amorosa  dea. 

Impaziente  or  tu  l'affretta  e  sprona, 

Perché  a  te  porga  il  desiato  avorio 

Che  de  le  amate  forme  impresso  ride, 

Sia  che  il  pennel  cortese  ivi  dispieghi 
750        L'alme  sembianze  del  tuo  viso,  ond' abbia 

Tacito  pasco,  allor  che  te  non  vede, 

La  pudica  d'altrui  sposa  a  te  cara. 

Sia  che  di  lei  medesma  al  vivo  esprima 

Il  vago  aspetto,  o,  se  ti  piace,  ancora 
755        D'altra  bella  furtiva  a  te  presenti 

741  8g.  L'ora  fia  questa  ancor  che  a  te  couduca  II  dilicato  —  743.  Che  de  la  corte 
d'Amatunte  uscio  (B.,  CI.,  C,  ma  B.  e  C.  Amatunta)  —  745.  diva  V.  (B.,  CI.,  C.)  — 
746  sg.  Or  tu  l'affretta  Impaziente  e  sprona  Si  che  V.  (B.,  CI.)  impaziente  tu  l'affretta 
e  sprona  Si  che  C.  —  749.  O  che  —  750.  aggia  V.  (B.)  —  753.  O  che  —  754.  L' imagiu 
vaga  —  755.  D' altra  fiamma 


tatissimo  all'Alfieri —  dal  ferace  corno  : 
ferace  dicesi  propriamente  la  terra,  che 
porta  frutto;  qui  è  per  affinità  di  senso: 
e  r  imagine  è  presa  dal  favoloso  corno 
dell'abbondanza,  cornu  copiae.  — Ter- 
sar  su  r  arti  a  lui  yassalle,  a  lui  asser- 
vite, applausi  :  un  corno  metaforico  può 
versare  anche  cose  immateriali;  del  re- 
sto questi  applausi  fanno  tutta  una  cosa 
con  premi  e  ricchezze;  non  contesi  mal 
questi,  a  differenza  della  mercede  ne- 
gata agli  operai  e  artefici.  Su  la  bel- 
lezza elica  di  questo  passo,  vv.  715-10, 
è  parola  nella  prefazione. 

741.  Cfr.  la  nota  al  v.  715. 

742.  delicato,  aggettivo  che  si  adatta 
a  colui  in  quanto  miniatore  e  gli  di- 
sdice in  quanto  esercita  gli  uffici  di 
cui  appresso;  e  però  scelto  con  la  so- 
lita felice  acutezza.  —  belle,  sostantivo. 

743-45.  de  la  corte  d'Amatunta  e  Pafo, 
città  dell'  isola  di  Cipro  e  però  sacre  a 
Venere  :  Virgilio  Aen.  x.  51:  «Est  A- 
mathus,  est  celsa  niihi  Papho  ».  —  La 
var.  de  la  corte  d'Amatunte  uscio  fu 
segnata  dal  P.  fors'anche  per  questo,  che 
gli  parve  più  corretta  la  desinenza  Ama- 
tunte  che  Amatunta,  e  Amatunte  e 
Pafo  non  gli  piacque  per  l' incontro  de' 
due  e.  Certo  è  che  il  uome  di   quella 


città  C AjuaiSovg)  appare  le  più  volte  ne' 
poeti  latini,  p.  es.  in  Catullo  e  in  Ovidio, 
nella  {orma.  Amathimta  dell'acc.  greco, 
e  quindi  con  tal  forma  passò  ne'  poeti 
italiani.  Proprio  in  Amatunte  apparisce 
adunata  la  corte  di  Venere  nel  e.  xvi 
dell'AdoJie  del  Marini  :  non  saprei  se  il 
P.  ciò  avesse  a  mente,  forse  no.  —  atto 
a  gli  alTari  Sollecitar  :  o  sìa,  a  sollecitare, 
procurare  abilmente  gli  affari:  secondo 
r  uso  elegante  d' inchiudere  tra  la  pre- 
posizione e  r  infinito  1'  oggetto  di  que- 
sto, come  a  miracol  mostrare,  per  lui 
salvare,  loer  ver  dire. 

746.  tn  l'affretta  e  sprona  :  lascia  in- 
tendere che  r  altro  fa  un  po'  il  reni- 
tente e  il  misterioso;  si  fa  itregare. 

747  sg..  il  desiato  aTOrio  Che  ecc., 
cioè  sul  quale  è  miniato  il  ritratto  delia 
tua  dama.  —  ride:  il  Caiitù  cita  il  dan- 
tesco «  ridon  le  carte  Che  pennelleggia 
Franco  bolognese  »  Purg.  xi  82:  quivi 
pure  si  tratta  d'un  miniatore,  e  l' espres- 
sione è  ne'  due   luoghi    fresca  e  felice. 

749-56.  Tre  casi:  o  è  il  ritratto  di  lui 
per  la  sua  dama,  o  quello  di  lei,  o  quello 
d'altra  beila  furtiva,  un  amoretto  na- 
scosto, una  che  si  lascia  ritrarre  con 
meno  veli.  Tuttavia,  siccome  i  tre  casi 
seguono  per  queste    tre  disgiuntive  ai 


IL  MATTINO  43 


Con  più  largo  confin  le  amiche  membra. 

Doman  fie  poi  che  la  concessa  imago 

Entro  arnese  gentil  per  te  si  chiuda 

Con  opposto  cristallo,  ove  tu  faccia 
760        Sovente  paragon  di  tua  beltade 

Con  la  beltà  de  la  tua  dama;  o  ai  guardi 

Degl' invidi  la  tolga  e  in  sen  l'asconda 

Sagace  tabacchiera;  o  a  te  riluca 

Sul  minor  dito  in  fra  le  gemme  e  l'oro; 
765        O  de  le  grazie  del  tuo  viso  desti 

Soavi  rimembranze  al  braccio  avvolta 

De  l'altrui  fida  sposa  a  cui  se'  caro. 
Ed  ecco  alfin  che  a  le  tue  luci  appare 

L'artificio  compiuto.  Or  cauto  osserva 
770        Se  bene  il  simulato  al  ver  s' adeguo; 

Vie  più  rigido  assai,  se  il  tuo  sembiante 

Esprimer  dènno  i  colorati  punti 

Che  l'arte  ivi  dispose.  Oh  quante  mende 

Scorger  tu  vi  saprai!  Or  brune  troppo 
775        A  te  parran  le  guance  ;  or  fia  eh'  ecceda 

J  versi  757-767    nella  stampa  venivano  dopo  il  v.  che  qui  è  814,   e   con  quelle 


757 


(0(.  J-  versi   «i)<-<K<     n..ii>.  ».-".i--   »  -       „      -a  r<  nn  =n 

varianti   che  appariranno  dal  brano  trascritto  a  suo  luogo  —  Ibi.  fia  B.,  O.  -  ib»  s. 
Ma  poi  che   al   fine   a   le   tue  luci  esposto  Fia  il  ritratto  gentil,  tu  cauto         L  artifizio 
B.  —  770.  s'adegui  B.  risponda 


versi  747-8  in  cui  dunque  debbono  es-  in  nobile  arnese  un  di  si  chiuda  ecc. 
sere  virtualmente  compresi  tutti,  par-  vien  come  a  dire  :  prendine  intanto  una, 
andosi  in  quelli  de  le  amate  forme,  può  la  gemella  verrà  poi.  Nella  var.  seguita 
parere  strano  che  ci  debba  entrare  il  da  noi  si  può  supporre  che  fosse  già 
primo  caso,  che  la  miniatura  è  del  ca-  venuta.  -  in  sen  l'asconda  Sagace  tabae- 
valiere.  Ma  in  fondo  poi  è  verissimo  che  chiera,  accorta,  avveduta,  che  nasconde 
colui  ama  non  meno  le  forme  propri'e  ciò  che  non  si  vuol  mettere  i°  Pubblico; 
che  quelle  delta  dama:  e  i  versi 771  sg.  è  il  caso  che  il  ritratto  sia  della  bella 
aggiungono  il  commento.  furtiva,  o  a  te  riluca  Snl  minor  dito  ecc.  : 
757-'67.  la  concessa  imago,  impetrata,  m  uno  tra  gli  anelli  ingemmati  che  hai 
ottenuta;  abbiam  visto,  v.  717-8.  che  fu  nel  mignolo;  ciò  quand'  il  ritratto  è  quel 
desiderata  e  fatta  desiderare.  -  per  te,  della  dama.  0  de  le  grazie  ecc.  :  in  un 
cioè  da  te:  uso  classico  di  esprimer  de' braccialetti  della  dama, 
l'agente  come  il  mezzo.  -  L'arnese  771-73.  Vie  pid  rigido  assai,  se  ecc.: 
gentil,  stante  il  doman  che  precede,  è  più  che  mai  rigoroso,  quando  la  mi- 
assai  probabilmente  un  medaglione,  e  niatura  figuri  te.  -  1  colorati  pnnti  Che 
intenderei  un  medaglione  ove  siano  l'un  l' arte...  dispose  :  è  precisa  descrizione 
di  fronte  all'altro  i  due  ritratti,  di  lei  del  mimare. 

e  di  lui.  Se  no,  non  vedocom'ei  possa  774.   tu,   non  è  indifferente   che  sia 

fare  quel  confronto  che  il  p.  dice.  Av-  espresso  o   sottinteso;  è  un  tu  che  e- 

verti  che   quest'  intelligenza  è  confer-  scinde  ogni  altro.  Agli  altri  il  ritratto 

mata  dalla  prima  lezione  di  questo  pas-  parrebbe  forse  troppo  bello, 
so  :  giacché,   dicendo   questa  V  imma-  775  sg.  or  fla  eli'  ecceda   Mal  frenata 

yine  compiuta  intanto   serba   Perché  la  bocca:  troppo  larga. 


44  IL  MATTINO 


Mal  frenata  la  bocca;  or  qual  conviene 

A  camuso  Etiope  il  naso  fia. 

Ti  giovi  ancora  d'accusar  sovente 

Il  dipìntor,  che  non  atteggi  ardito 
780         L' agili  membra  e  il  dignitoso  busto  ; 

O  che  con  poca  legge  a  la  tua  imago 

Dia  contorno,  o  la  posi  o  la  panneggi. 
E  ver  che  tu  del  grande  di  Crotone 

Non  conosci  la  scola,  e  mai  tua  destra 
785         Non  abbassossi  a  la  volgar  matita 

Che  fu  nell'altra  età  cara  a'  tuoi  pari, 

Cui  non  gustate  ancora  eran  più  dolci 

E  più  nobili  cure,  a  te  serbate. 

Ma  che  non  puote  quel  d'ogni  scienza 
790        Gusto  trionfator,  che  all'ordin  vostro 

In  vece  di  maestro  il  ciel  concesse, 

E  d'onde  a  voi  coniò  le  altere  naentl, 

Acciò  che  possan  de'  volgari  ingegni 

Oltrepassar  la  paludosa  nebbia, 
795        E,  d'etere  più  puro  abitati'ici, 

Non  fallibili  scerre  il  vero  e  il  bello  ? 
Perciò  qual  più  ti  par  loda,  riprendi, 

776.  conviensi  (B.)  —  777.  Al  —  778.  Ancor  ti  giovi  d'accusar,  Anco  sovente  d'ac- 
cusar ti  piaccia  Vv.  {la  2*  scelsero  B.,  CI.,  C.)  —  779.  atteggi  industre  —  781.  O  che 
mal  tra  le  leggi  (?)  a  la  tua  forma  V.  (CI.)  a  la  tua  forma  B.,  C.  —  784.  scuola,  e  mai 
tua  mano  —  787.  Cui  sconosciute  (B.,  C.)  —  789.  d'  ogni  precetto  —  792.  Ed  onde  — 
793.  dell' umau  confine  V.  (B.)  —  795.  E  d'aere  —  797.  Però...  loda  o  riprendi  V.  (B., 
CI.,  C.  ma  B.  e  riprendi) 


777.  A  camuso  Etiope,  a  un  moro  dal  786.  neir.iltra  età,  per  l' innanzi, 

naso  schiacciato.   E t io 2Je  è  fatto  piano  787.  Cui  non  gustate:  il  dativo  coi  pas- 

per  comodo  del  verso,  licenza  non  in-  sivi  a  esprimer  T  agente  è  classicismo 

frequente.  squisito:   p.  es.  Georg.  Ili  6  «Cui  non 

778  sg.  Ti  giovi,  piacciati.  —  indù-  dictus  Hylas  ...  •?  ».  Cosi  un'  espressione 

stre,  valeva:  con  arte.  peregrina  sottentra  all'altra  un  po' trita 

783  sg.  del  grande  di  Crotone  Non  co-  cui  sconosciute. 

nosci  la  scuola:  vale  a  dire,  non  sai  di  789-96.  È  un  pensiero  analogo  a  quelli 

pittura,  non  te  n'  intendi.   La  designa-  che  vedemmo   ai   vv.  244-51.   all'  ordin 

zione  il  grande  di  Crotone  non   con-  vostro:  ordine  in   questo  senso  è  lati- 

viene   affatto   ad  Apelle  :   può  in  vece  nismo.   E  d' onde  a  voi  coniò  ecc.  :  e  col 

adattarsi  a  Zeusi,  nato  veramente  a  Era-  qual  gusto  die  forma  alle  vostre  menti; 

elea  (V  sec.  av.  e.)  ma  chiamato  dai  Cro-  a  dirittura  il  gusto  fu  lo  stampo  onde 

toniati  per  i  quali  fece  opere  insigni.  uscirono.  —  la  paludosa  nebbia,  aere  pili 

785.  non  abbassassi  a...:  espressione  puro:  anche  quest'espressione  e  tutta 
forse  non  molto  eletta  per  sé  stessa,  ma  la  metafora  richiamano  un  luogo  pre- 
deli' uso  e  del  sentimento  di  quei  tali;  cedente,  vv.  706-08.  —  Non  fallibili,  cioè 
comunissima  tuttora.  Del  resto,  anche  senz'  esser  soggetti  a  errore, 
uella  già  cit.  egl.  pese.  v.  5  «or  t' ab-  797.  loda,  riprendi:  efficacissimo  que- 
bassi  a  venir  meco  in  contesa  ».  sto  asindeto  eh'  è  nella  prima  lezione  e 


IL  MATTINO  45 


Non  men  fermo  d'allor  che  a  scranna  siedi, 

Raffael  giudicando,  o  l'altro  egregio 
800        Che  del  gran  nome  suo  l'Adige  onora; 

E  a  le  tavole  ignote  i  noti  nomi 

Grave  comparti  di  color  che  primi 

Furo  ne  l'arte.  Ah!  s'altri  è  si  procace 

Ch'  osi  rider  di  te,  costui  paventi 
805        L'angusta  maestà  del  tuo  cospetto. 

Si  volga  a  la  j)arete,  e  mentre  cexxa 

Por  freno  in  van  col  morder  de  le  labbra 

A  lo  scrosciar  de  le  importune  risa 

Che  scoppian  da'  precordi,  violenta 
810        Convulsione  a  lui  deformi  il  volto, 

E  lo  affoghi  aspra  tosse,  e  lo  punisca 

Di  sua  temerità.  Ma  tu  non  pensa 

Ch'altri  ardisca  di  te  rider  giammai, 

E  mai  sempre  imperterrito  decidi. 
816     Or  giunta  è  al  fin  del  dotto  pettin  l'opra, 

E  il  maestro  elegante  intorno  spande 

799.  o  l'altro  eguale  —  803.  Fui-  tra' pittori.  ne  l'arti  B.  —  804.  pavento  V.  (CI.) 
—  806.  mentr'  ei  cerca  —  812.  non  pensi  C.  Dopo  il  v.  814  Or  l'immagin  compiuta  in- 
tanto serba  Perché  in  nobile  arnese  un  di  ei  chiuda  Con  opposto  cristallo  ove  tu  facci 
Sovente  paragon  di  tua  beltade  Con  la  beltà  de  la  tua  Dama,  o  agli  occhi  Degl'  invidi 
la  tolga,  e  in  sen  l'asconda  Sagace  tabacchiera,  o  a  te  riluca  Sul  minor  dito  fra  le  gemme 
e  l'oro,  O  de  le  grazie  del  tuo  viso  desti  Soavi  rimeuibranze  al  braccio  avvolta  De  la 
pudica  altrui   sposa  a  te  cara  —  815.   Ma  —  816,  Già  il 


conforme  all'  uso  classico  di  metter  vi-  va  ad  alti  argomenti,  e.  Il  l,  37. 
cine  senza  congiuntive  o  disgiuntive  due  804-12.  paventi  L'angnsta  maestà  ecc. 

parole  esprimenti  concetti  opposti,  per  Sembra  che  voglia  dire:  si  astenga  dal 

esempio  velis  nolis,  serius  ocius.  ridere  per  rispetto.  Ma  che!  segue,  giu- 

799  sg.  Raffael  gindicando  :   Raffaello  sta  un  uso  classico  e  singolarmente  vir- 

Sanzio,  il  divino  de'  pittori  modenii,  n.  giliano,  una  coordinata  che  determina 

a  Urbino  l'a.   1483,  m.  a  Roma  il  1520.  il  senso:   SI   volga  a  la  parete.  Ecco  in 

—  r  altro  egregio  Che  ecc.  :  Paolo  Ca-  qual  modo  si  dee  «  paventare  »  dell'  e- 

liari,  detto   Paolo   Veronese,  gloria  di  roe;  ridere  si,  di  lui,  ma  voltandosi  in 

Verona  sua  patria  cui  T  Adige  bagna;  là.  E  gli  sforzi  per  contenere  il  riso  e 

mori,  circa  sessantenne,  nel  1588.  lo   scoppiare   infrenabile  di  esso,    coi 

801-02.  E  a  le  tavole  ignote  i  noti  nomi  moti  e  la  tosse  che  ne  seguono  consi- 

Grare  comparti  ecc.  É  un  tratto  siiigo-  derati  quasi  punizioni  dell'irriverenza, 

larmente  gustoso,  e  sempre  vivo,  almeno  allargano  e  compiono  la  maravigliosa 

finché  il  dilettantismo  imperversi  :  spes-  corbellatura. 

so  in  fatti  capita  incontrare  di  tali  al-  812.  Ma  tn  non  pensa,  per:  «  non  pen- 

legri  presuntuosi,  facili  dispensatori  di  sare  »,  ma  non  è  dell'uso  vivo,  né  caro 

battesimi  eroici.  ai  nostri  classici  (in  latino  si:  ne j^lora, 

803.  procace:  sfacciato;  propriam.  si  ne  Urne,  ne  roga,  aXìdXo  a.  ne  molestus 

dice  di  sfacciataggine  impudica,  ma  an-  sis,  ne  feceris...).  Vedremo  altri  esempi 

che  di  chi  fa  ciò  che  per  lui  è  troppo  gran  a    vv.  979,  984  etc.   Anche  nell'Alfieri, 

cosa:  iJrocaa;  era  per  Orazio  la  sua  Musa  p.  es.  Filippo  I  2,  i7,  «dolor  si  caldo 

quando,  lasciati  gli  scherzi,  s'arrischia-  Dunque  non  u'  abbi  ». 


46  IL  MATTINO 


Da  la  man  scossa  polveroso  nembo, 

Onde  a  te  innanzi  tempo  il  crine  imbianchi. 
D'orribil  piato  risonar  s'udio 
820        Già  la  corte  d'Amore.  I  tardi  vegli 

Grinzuti  osar  coi  giovani  nipoti 

Contendere  di  grado  in  faccia  al  soglio 

Del  comune  Signor.  Rise  la  fresca 

Gioventude  animosa,  e  d'  agri  motti 
825        Libera  punse  la  senil  baldanza. 

Gran  tumulto  nascea  ;  se  non  che  Amore, 

Oh'  ogni  diseguaglianza  odia  in  sua  corte, 

A  spegner  mosse  i  perigliosi  sdegni  ; 

E  a  quei  che  militando  incanutirò 
830        Suoi  servi  apprese  a  simular  con  arte 

I  duo  bei  fior  cbe  in  giovenile  gota 

Educa  e  nutre  di  sua  man  natura  ; 

Indi  fé'  cenno,  e  in  un  balen  fur  visti 

Mille  alati  ministri  alto  volando 
835        Scoter  lor  piume,  onde  fioccò  leggera 

817.  un  polveroso  —  822.  Già  contender  V.  (CI.,  C.)  —  823.  Del  comune  lor  dio  V. 
(B.,  CI.,  C.)  —  827.  disuguaglianza  B.  —  830.  impose  d' imitar  apprese  ad  imitar  V. 
—  831.  giovanile  B.  —  832.  nudre  V  (B.,  CI.,  C.)  —  835.  Scoter  le  piume,  e  lieve  indi 
fiocconne        Scuoter  B. 


817.  Da  la  man  scossa ,   scotendo  la  826.  nascea,  cioè   «  era   per  nascere, 

mano;  polveroso  nembo,  una  nuvola  di  sarebbe  nato»  (ricorda  la  osservazione 

polvere  (anche  in  lat.   pulveream  nu-  al  v.  736),  ma  più  rapido  e  vivo. 

beni,  pulveris  nimbum)  ;  onde,  con  la  829  sg.  Se  s' interpungesse  E  a  quei, 

quale.  A  dichiarare  che  polvere  sia  e  c?ie  militando  incanutirò  Suoi  servi, 

perché  cosi  si  usi,  segue  sùbito  un  epi-  apprese  etc.   (cosi  il  Bramieii  ,   suoi 

sodietto  dal  v.  819  al  841.  servi  verrebbe  a  essere  un  predicato, 

819.  D' orribll  piato  :  una  gran  lite,  e  e  significherebbe  quelli  che  si  fecer  vec- 
propriamente  di  quelle  che  si  risolvono  chi  servendo  lui;  ma  a  ciò  bastali  mi- 
in  giustizia  0  a  corte.  L'  oggetto  della  litando.  E  poi  qui,  dove  il  p.  contrap- 
lite  è  raccontato  nel  seguente  periodo.  pone  i  due  partiti  presi  da  Amore  per 

822.  Contendere  di  grado,  contendersi  i  giovani  e  peri  vecchi  a  fine  di  dar  loro 

il  primo  luogo,  ma  è  costrutto  più  scelto  uu  aspetto  comune,  suoi  servi  si  unisce 

e  tutto  classico.  In  un  prologo  teren-  manifestam.  a  QMet,  da  cui  per  eleganza 

ziano,  Hecyra  41,  vi  è  un  «  pugnant  de  è  staccato  :  «  a  quei  suoi  servi  che  sotto 

loco  ».  la  sua  insegna  sono  invecchiati  ».  —  mi- 

823  sg.  la  fresca  Gloren tilde  animosa:  litando:    ricorda  il  notissimo   ovidiano 

avverti  la  euritmica  rispondenza  al  «  Militat  omnis  amans  ». 

tardi   yegU   Grinzuti  ;    precisamente   la  831  sg.  I  dno  bei  fior...,  il  roseo  delle 

freschezza  si  contrappone  alle   rughe,  guance.  Avverti  come  con  abbondante 

la  vivacità  alla  lentezza.  —  d'agri  motti,  eleganza  è  espresso  ciò  che  è  spontanea 

spiacevoli,  ofifensivi  :  agro  si  dice  prò-  opera  di  natura,  non  simulazione  arti- 

priam.  di  un  sapore,  quello  del  limone.  liciosa. 

825.  Libera,  senza  nessun  riguardo,  831.  Mille  alati  ministri:  gli  Amorini 

multa  cum  liberiate.  —  la  senil  bai-  che  servono  Amore. 

danza,  pur  ora  divisata.  S35  sg.  leggera  Candida  poire:  la  ci* 


IL  MATTINO  47 


Candida  polve  che  a  posar  poi  veune 

Su  le  giovani  chiome,  e  in  bianco  volse 

E  il  biondo  e  il  nero  e  1'  odiato  rosso, 

L'  occhio  cosi  ne  1'  amorosa  reggia 
84.0        Più  non  distinse  le  due  opposte  etadi, 

E  solo  vi  restò  giudice  il  tatto. 
Tu  pertanto,  o  Signor,  tu  che  se'  il  primo 

Fregio  ed  onor  dell'  acidalio  regno, 

I  sacri  usi  ne  serba.  Ecco  che  sparsa 
84.5         Già  da  provvida  man  la  bianca  polve 

In  piccolo  stanzin  con  1'  aere  pugna, 

E  degli  atomi  suoi  tutto  riempie 

Egualmente  divisa.  Or  ti  fa'  core, 

E  in  seno  a  quella  vorticosa  nebbia 
C50        Animoso  ti  avventa.  —  Oh  bi'avo!  oh  forte! 

Tale  il  grand'  avo  tuo  tra  '1  fumo  e  'i  foco 

Orribile  di  Marte,  furiando 

Gittossi  allor  che  i  palpitanti  Lari 

De  la  patria  difese,  e  ruppe  e  in  fuga 
855        Mise  1'  oste  feroce.  Ei  nondimeno, 

836.  a  posar  si  venne  B.  —  838.  Il  biondo  il  nero  e  l'o.  r.  (CI.,  C.)  —  842.  Or  tu  adunque, 
o  Signor,  —  843.  dell'amoroso       de  l'acidalio  B.  —  845.  Pria  —  855  Bl   non  pertanto. 


pria.  —  a  posar  poi  Tenne  :  come  legge-  in  quanto  com'  è  detto,  è  in  balla  dei- 
rissima  che  è,  lentamente  si  posa;  e  Tarla  che  la  porta  e  sparge;  ma  l'espres- 
questo  il  p.  significò  col  poi,  che  altri-  sione,  come  ognun  sente,  inadeguata 
menti  il  suono  e  .1'  uso  gli  avrebber  fa-  serve  al  sarcasmo,  non  meno  che  Tanl- 
cilmente  dettato  a  posar  si  venne:  cfr.  moso  ti  avventa:  e  ambedue  conducono 
il  v.  845.  air  ammirazione   e   alla  comparazione 

838.  E  il  biondo  e....:  il  polisindeto  seguente. 

par  render  bene  la  uniformità  che  av-  853.  I  palpitanti  Lari  :  i  Lari  erano 

volse  i  colori.  propriamente  divinità  protettrici  della 

839.  COSI  :  cioè  dopo  che  i  vecchi  eb-  casa,  e  son  nominati  per  le  case  stesse 
bero  i  pomelli  delle  gote  rubicondi  e  i  («Lares  et  urbem»  dice  Orazio  nel  carme 
giovani  le  teste  bianche.  secolare)  ;  ma  anche  «  praesunt  moeni- 

843.  De  l'acidalio  regno:  cioè  del  re-  bus  urbis»  Ovidio,   Fast.  V  135,  come 

gno  di  Venere,  la  quale  è  detta  acidalia,  i  Penati.  Il  p.  li  determina  con  l'aggiunta 

(v.  «  Matris  Acidaliae  »  nella  Ae>i.  I  720)  De  la  patria,  e  li  chiama  palpitanti,  tra- 

da  una  fonte  di  Orcomeno  in  Beozia,  sferendo  a  essi  la  trepida  angoscia  de' 

lavacro  della  dea  e  delle  Grazie.  Il  p.  cittadini  stretti  da  grande  pericolo, 

non  ha  approvato  la  I'  lez.  de  V  amo-  855.  1'  oste  feroce  :  il  nemico  che  si 

roso  regno,  perché   quattro  versi  in-  accampava  minaccioso.  Ma  oste  nei  no- 

wdinzì  e' è^  ne  l'amorosa  reggia  Q^evché  stri  classici  vale  esercito;  la  determi- 

qui  il  verso  avea  troppi  r.  nazione  dei  nemici  qui  è  sottintesa. 

846-'48.  Con  l'aere  pngua:  per  la  sua  855-'65.  Ei  nondimeno  ecc.:  il  sarca- 
levità  quella  polvere  riman  sospesa  ed  smo  del  p.,  non  contento  d'aver  messa 
errante  nelT  aria,  dalla  quale  è  diffusa,  di  pari  la  lustra  flguretta  del  nipote  con 
egualmente  divisa,  per  l'ambiente.  quella  fiera  figura  dell'avo,  anche  trova 

849  sg.  Vorticosa  nebbia:  vorticosa  una  cosa,  nella  quale  l'avo  cede  al  uipota. 


48  IL  MATTINO 


Fuligginoso  il  volto,  e  d' atro  sangue 

Asperso  e  dì  sudore,  e  co'  capegli 

Stracciati  ed  irti,  de  la  mischia  uscio, 

Spettacol  fero  ai  cittadini  stessi 
SGO        Per  sua  mau  salvi  ;  ove  tu,  assai  più  vago 

E  leggiadro  a  vederse,  in  bianca  spoglia 

Scenderai  quindi  a  poco  a  bear  gli  occhi 

De  la  cara  tua  patria,  a  cui  dell'  avo 

Il  forte  braccio,  e  il  viso  almo  celeste 
6G5        Del  nipote  dovean  portar  salute. 

Ella  ti  attende  impaziente,  e  mille 

Anni  le  sembra  il  tuo  tardar  poc'  ore. 
Non  vedi  ornai  qual  con  solerte  mano 

Rechin  di  vesti  a  te  pubblico  arredo 
870        I  damigelli  tuoi  ?  Rodano  e  Senna 

Le  tesserono  a  gara;  e  qui  cucille 

Opulento  sartor,  cui  su  lo  scudo 

Serpe,  intrecciato  a  forbici  eleganti, 

Il  titol  di  Monsieur;  né  sol  dà  leggi 
875        A  la  materia  la  stagion  diverse, 

856.  Fuliginoso  B.,  CI.,  C.  —  858.  da  la  mischia  —  859.  a'  cittadini  istessl  a  l  cit- 
tadini istessl  B.  —  860.  pili  dolce  —  861.  vedersi  (B.)  —  862.  Uscirai  —  866  sg.  Il  C.  con 
CI.  omette  questi  due  versi  e  qui  pone  in  nota  (non  certo  delle  sue  buone)  :  «  questo  bel- 
lissimo brano  fino  ad  Ella  ti  attende  è  in  gran  parte  nuovo:  in  parte  rimpastato  ».  Ma 
l"  Ella  ti  attende^  nel  suo  testo  non  vien  mai:  forse  volle  scrivere  :  fino  a  '  Figlie  de  la 
Memoria  '.  —  868-73.  È  tempo  ornai  che  i  tuoi  valletti  al  dorso  Con  lieve  man  ti  adat- 
tino le  vesti  Cui  la  moda  e  '1  buon  gusto  [bougusto  V]  in  su  la  Senna  T'abbian  tessute 
a  gara,  e  qui  cucito  Abbia  ricco  Sartor  che  iu  su  lo  scudo  Mostri  —  874.  Monsù  B., 
CI.,  C.  —  Non   sol  dia 


E  il  braccio  di  quello  e  il  viso  di  questo  Qui  per  altro,  dati  immediatamente  due 

soli  pareggiati  negli  effetti  e  coordinati.  nomi  di  fiume  per  soggetto  a  un  verbo 

8G6  s?.  Questi  due  versi  con  l' imagiue  come  tesserono,  ha  dell'ardito  assai; 

dell'  impazienza  della  patria  danno  il  pur  senza  scàpito  di  chiarezza  imme- 

passaggio  a  narrare  il  vestirsi  dell'eroe.  diata.  Certo  la  1'  lez.,  ove  son  la  moda 

869.  di  vesti...  pubblico  arredo,  cioè  e  il  buon  gustai  tessitori,  è  piana  e 
vesti  da  uscire  in  pubblico,  da  andar  bella  anch'  essa:  ma  non  v'era  mento- 
fuori  :  ma  è  forse  più  bello  di  suono  e  vato  altro  fiume  che  la  Senna,  e  conve- 
di squisitezza  che  non  di  proprietà  e  niva  accennar  la  città  famosa  per  le 
chiarezza.  fabbriche  di  seta. 

870  sg.  Uòdano  e  Senna  Le  tesserono  a  S72-'74.  su  lo  scndo,  l'insegna:  e  guar- 
derà :  Lione  e  Parigi.  È  consueto  a' poeti  da  com' essa  è  garbatamente  colorita 
antichi  e  a'  nostri  di  porre  il  nome  de'  in  questi  versi. 

fiumi  per  quello  delle  città  ch'essi  fiumi  S74-'77.  né  sol  dà  leggi...:  cioè,  non 

bjignano.  Insigne  l'esempio  del  Petrar-  solo  le  vesti  son  varie  secondo  le  sta- 

ca,  nella  canz.  Italia  mia:  gioni  ma  anche  secondo  i  giorni  e  le 

Piacemi  almen  che'  miei  sospir  sien  quali  «re.  Ma  con  che  solennità  è  detto  ciò! 

Spera  '1  Tevere  e  l'Arno  avverti  specialmente  il  dà  leggi  a  la 

E  '1  Po,  dove  doglioso  e  grave  or  seggio.  materia,  e  il  diverse  cosi  bea  collocato. 


IL  MATTINO  49 


Ma,  qual  più  si  conviene  al  giox-no  e  all'  ora, 
Vari  sono  il  lavoro  e  la  ricchezza. 
Vieni,  o  fior  degli  eroi,  vieni:  e  qual  suol© 
Nel  più  dubbio  de'  casi  alto  monarca 

SSO        Avanti  al  trono  suo  convocar  lento 
Di  satrapi  concilio,  a  cui  nell'  ampia 
Calvizie  de  la  fronte  il  senno  appare  ; 
Tal  di  limpidi  spegli  a  un  cei'chio  in  mezzo 
Grave  t'  assidi  e  lor  sentenza  ascolta. 

8S5        Un,  giacendo  al  tuo  pie,  mosti'i  qual  deggia 
Liscia  e  piana  salir  su  per  le  gambe 
La  docil  calza:  un  sia  presente  al  volto, 
Un  dietro  al  capo;  e  la  percossa  luce 
Quinci  e  quindi  tornando,  a  un  tempo  solo 

890        Tutto  al  giudizio  de'  tuoi  guardi  esponga 
L'  apparato  de  1'  arte.  Intanto  i  servi 
A  te  sudino  intorno  ;  e  qual,  piegato 
Le  ginocchia  in  sul  suol,  prono  ti  stringa 
Il  molle  pie  di  lucidi  fermagli  ; 

805        E  qual  del  biondo  crin  che  i  nodi,  eccedo 
Su  la  schiena  ondeggiante  in  negro  velo 
I  tesori  raccoglia  ;  e  qual  già  pronto 
Venga  spiegando  la  nettarea  veste. 
Fortunato  garzone,  a  cui  la  moda 

900        In  fioriti  canestri  e  di  vermiglia 

876.  ma  sien  qual  si  conviene  —  877.    Sempre   vari  il  —  878-94.  Sono   aggiunti 
881.  ne  l'ampia  B.  —  834.  la  sentenza  B.  —  833.  pronto  B.  ma  /orse  per  errore. 


878-'S4.  Un' altra  originale  compara-  ®  100: 
zione  e  piena  di  signilicato  :   quel  che  Rivolto  ad  essi  fa'  che  dopo  il  dosso 
fa  un  gran  re  d'oriente  per  gravissime  ti  «tea  un  lume  che  i  tre  specchi  accenda 
cose  di  stato,  nel  plii  dubbio  de'  casi,  e  e  torni  a  te  da  tutti  ripercosso. 
il  Giovin  signore  fa  per  meglio  addob-  Qfj._  anche  ivi  ni  10-15. 
bare  la  sua  persona;  e  come  intorno  895-'97.  L'Alfieri  nella  Sat.  I  v.  23  : 
al  primo  stanno  i  solenni  e  calvi  con- 
siglieri, cosi  intorno  a  questo  i  limpidi  Oh  nuova  cosa,  or  che  il  distinguo,  è  questa, 
spcirli.  Giovin  d'aspetto,  ha  il  crin  canuto  e  folto, 

uv-r  'on    __  ,1-  .....„„_»«  «1  .,„!*„    „;^\  ^  3'd  ogni  scossa  della  ricca  testa 
867-89.  nn  sia  presente  al  volto,  cioè  ^.  ,  .              ...                ,      ,  .       , 
.'.,.,.            ,                      .  Di  bianca  polve  la  denso  nembo  è  involto  ; 
davanti  agli  occhi.  -  e  la  percossa  ince...  p„,^^  ^^j,  ^^^^^^^^  .,palle, infra  cui  pende 
tornando  :    esprime    esattissuno    come,  d^i  crin  l'avanzo  in  negra  tasca  accolto, 
cosi  disposti  i  due  specchi,  per  la  ri- 
flessione dei  raggi  riesca  visibile  la  pet-  898.   la   nettarea   veste,   divinamente 
tinatura  tutta  quanta.  Il  percolere  e  il  olezzante  :   ognun   sa  il  largo   uso  che 
tornare  in  questi  significati  sono  giii  presero  ne'  poeti  gli  aggettivi  ambrosio 
ia  Dante,  Par.  ii  89:  e  nettareo,  qualificando  ogni  cosa  per- 
.  .  .  color  torna  per  vetro  Unente  a  esseri  divini.  Ambrosie  vesti, 
lo  qual  di  retro  a  sé  piombo  nasconde,  ù/j/ìgota  eìfiara,  è  omerico. 

I'àuin'i  —  Albini  4 


50 


IL  MATTINO 


Seta  coperti  preparò  tal  copia 

D'  ornamenti  e  di  pompe  !  Ella  pur  ieri 

A  te  dono  ne  feo.  La  notte  intera 

Faticaron  per  te  cent'  aghi  e  cento, 
905        E  di  percossi  e  ripercossi  ferri 

Per  le  tacite  case  andò  il  rimbombo  : 

Ma  non  in  van,  poi  che  di  novo  fasto 

Oggi  superbo  nel  bel  mondo  andrai  : 

E  per  entro  l' invidia  e  lo  stupore 
910        Passerai  de'  tuoi  pari  eguale  a  un  dio, 

Folto  bisbiglio  sollevando  intorno. 
Figlie  de  la  Memoria  inclite  suore, 

Che  invocate  scendendo,  i  fieri  nomi 

De  le  squadre  diverse  e  de  gli  eroi 
915        Annoveraste  ai  grandi  che  cantai-o 

Achille,  Enea  e  il  non  minor  Buglione, 

Or  m' è  d'uopo  di  voi;  tropp' ardua  impresa, 

E  insuperabil  senza  vostra  aita, 

Fia  ricordare  al  mio  Signor  di  quanti 
920        Leggiadri  arnesi  graverà  sue  vesti. 

Pria  che  di  sé  nel  mondo  esca  a  far  pompa. 
Ma  qual  di  tanti  e  si  leggiadri  arnesi 

Si  felice  sarà  che  innanzi  a  gli  altri. 

Signor,  venga  a  formar  tua  nobil  soma  ? 
925        Tutti  importan  del  pari.  Ecco  1'  astuccio, 

912.  A  questo  nella  stampa  precede  il  tratto  che  poi  l'autore  traspose  e  che  qui  è  ai 
versi  114S-68.  —  913.  vendeste  e  i  feri  —  921.  di  se  medeaino  esca  a  (B.)  —  922.  tra 
tanti  (B.)  —  923.  pria  d'ognaltro  —  925.  del  par.  Veggo 


911.  Verso  di  bellezza  epica.  Ricorda 
il  parlare  degli  astanti  al  .passare  di 
Elena,  II.  ìli  154  sg. 

912-'17.  Figlie  de  la  Memoria...,  le  nove 
Muse  :  le  quali,  secondo  la  teogonia  pre- 
valente (vedi  p.  es.  Ciò.  de  nat.  deorum  III 
21,  51),  eran  figliuole  di  Giove  Saturnio 
e  di  Mnemosine.  I  poeti  epici  sogliono 
invocare  la  Musa.o  le  Muse  o  la  Memo- 
ria lor  madre  non  pure  a  principio  de' 
poemi,  si  anclie  quando  son  per  narrare 
cose  di  singolare  importanza,  e  special- 
mente, eh'  è  il  caso  qui  designato  dal- 
l'autore, innanzi  a  cataloghi  e  rassegne. 
Stando  a'  poeti  qui  mentovati.  Omero, 
Virgilio  e  Torquato  Tasso,  tra  i  luoghi  a 
cuiil  p.  nlluse  puoi  vedere  Iliade  II  484 
6gg.,  Ae>t.  VII  Oli  *gg.,  Gerus.  lib.lZò: 


Mente,  degli  anni  e  de  l'oblio  nemica, 
JJe  le  cose  custode  e  dispousiera, 
Vagliami  tua  ragion  si  ch'io  ridica 
Di  quel  campo  ogni  duce  ed  ogni  schiera. 

Senza  l' aiuto  delle  Muse  quei  poeti  non 
sapevan  ridire  tutti  gli  eroi,  né  il  P. 
tutti  i  leggiadri  arnesi  dell'eroe  suo. 

924.  tua  nobil  soma:  soma  è  carico 
grave,  e  chi  la  porta  ha  nome  da  essa; 
però  r  aggiunto  dato  a  questo  nome  non 
serve  che  a  maggiore  efficacia. 

925  sgg.  Ecco  l'astncclo...  Sdegnar  la 
tnrb.i:  cioè  si  fa  sùbito  notare  tra  l'altre 
bagattelle,  attira  primo  l'attenzione  per 
la  sua  grandezza  :  nota  la  frase  occupar 
di  sua  mole  che  sarebbe  impropria, 
tanto  è  solenne  e  grave,  se  non  avesse 
r  intento  satirico.   Tutto  questo  passo 


IL  MATTINO 


51 


930 


935 


Di  pelli  rilucenti  ornato  e  d'  oro, 
Sdegnar  la  turba  e  gli  occhi  tuoi  primiero 
Occupar  di  sua  mole  ;  esso  a  cent'  usi 
Opportuno  si  vanta,  e  ad  esso  in  grembo 
Atta  agli  orecchi,  ai  denti,  ai  peli,  all'  ugne, 
Vien  forbita  famiglia.  A  i  primi  onori 
Seco  s'  affretta  d'  odorifer'  onde 
Pieno  cristal,  che  a  la  tua  vita  in  forse 
Doni  conforto  allor  che  il  vulgo  ardisca 
Troppo  accosto  vibrar  da  la  vii  salma 
Fastidiosi  effluvi  a  le  tue  nari. 


926.  pelle  rilucente  —  928.  a  mill'uopl  —  929.  in  grembo  a  lui  —  in  g.  ad  esao  V. 
931-'33.  A  lui  contende  I  primi  onori  d' odorifer' onda  Colmo  cristal  —  932.  onda  B- 
934.  Rechi  soccorso...  ardisce. 


ne  richiama  a  mente  (e  dovè  anche  il  P 
averlo  a  mente)  uno  del  Gozzi  nel  già  ci 
tato  sermone  gì'  Innamorati  moderni 
Benché  assai  noto,  giova  riferirlo,  an 
che  per  utili  raffronti  di  stile.  Il  bellim 
busto 

traggo 

Dalla  saccoccia  un  lucido  specchietto. 
Inverniciato  un  bossolo  ove  chiuda 
Poi  ver  di  Cipri,  un  aureo  scatolino 
Di  nei  ripieno,  un  pettine  pulito 
Di  bianco  avorio,  un  vasellin  di  puro 
Cristal  con  acqua,  onde  arrecar  ristoro. 
Se  mal  odore  il  dilicato  naso 
Offende,  o  se  de'  nervi  occulto  tremito 
Fa  la  dama  svenir.  Fra  mio  cor  dico: 
Oh  beati  d'amor  servi,  cambiati 
In  pettiniere  in  cassettine  e  bolge! 
Trotta,  sesso  più  nobile  e  maschile, 
Come  asinel  che  sul  mercato  porti 
Forbici  cordelline  agucchie  e  nastri 
Di  qua  di  là  sugl'incalliti  fianchi. 

È  proprio  la  nobil  soma. 

928-'31.  a  cent'nsi  Opportuno  sì  rauta: 
cioè,  serve  a  tante  cose,  ma  il  p.  ado- 
pera sempre  modi  che  diano  vita  e 
azione  agli  oggetti  e  ai  ninnoli  che  viene 
enumerando;  e  i  cent'nsi  sono  poi  sù- 
bito esemplificati  in  quella  forbita  fa- 
miglia eh'  è  dentro  l'astuccio,  i  lucidi 
vara  ferruzsuoli,  direbbe  l'Ariosto.  I 
cui  versi,  benché  non  siano  di  partico- 
lare attinenza  a  questo  luogo  ma  si  al- 
larghino a  tutto  che  precede  intorno  al 
vestirsi  e  lisciarsi,  mi  sembrano  utilis- 
simi a  l'ecare  qui  dalle  vivaci  schiettis- 
sime eleganze  de  la  Cassaria,  V  3: 


Ma  che  diremo  noi  de'  nostri  gioveni, 
Che  per  virtù  s'avriauo  a  far  conoscere 
Ed  onorare  ?  11  tempo  che  dovriano 
Spender  per  acquistarla,  anch'essi  pèrdono 
Non  meno  in  adornarsi  e  fin  a  mettere 
Il  bianco  e  il  rosso.  Fan  come  le  femmine 
Tutte  le  cose:  han  lor  specchi,  lor  pettini, 
Lor  pelatoi,  lor  stuccetti  di  varii 
Ferruzzuoli  forniti;  hanno  lor  bossoli, 
Lor  ampolle  e  vasetti  :  son  dottissimi  . 
In  compor,  non  eroici  né  versi  èlegi 
Dico,  ma  muschio,  ambra  e  zibetto  :  portano 
Anch'  essi  i  faldiglini  che  li  facciano 
Grossi  ne'  fianchi,  e  li  giubboni  empiendosi 
Di  bambagia  nel  petto,  si  rilievano  ; 
E  con  cartoni  o  feltri  si  dilatano, 
E  fan  larghe  le  spalle  come  vogliono  : 
Molti  alle  gambe,  che  ai  rassomigliano 
A  quelle  delle  grue,  con  doppie  fodero 
E  le  cosce  e  le  polpe  anco  si  formano. 
Si  che,  se  in  adornarsi  s'  ha  da  perdere 
Tempo,  gli  è  più  escusabil  quel  che  perdono 
Le  donne. 

931 -'36.  Sùbito  dopo  1'  astuccio,  col 
quale  anzi  gareggia  quasi  di  precedenza , 
vien  la  boccettina  dell'acqua  d' odore,  di 
odorlfer'onde  Pieno  cristal:  avverti  die, 
se  onda  per  acqua  è  comune  in  poesia, 
qui  sarebbe  sproporzionato  e  fuor  di 
luogo,  ove  non  fossero  quali  ben  cono- 
sciamo l'intonazione  e  l'intendimento; 
usò  il  plurale  onde  per  non  avere  vicino 
a  s'aff'retta  un'egual  desinenza;  in  fatti 
prinìa,  che  diceva  contende,  aveva  usato 
onda.  Avverti  poi  che,  a  determinare  i 
servigi  di  quell'acqua  d'odore,  sceglie 
il  caso  d'un  capogiro  o  svenimento  della 
dama,   e  quello  particolarmente  che  a 


Né  men  pronto  di  quello  e  a  1'  uopo  stesso 

L' imitante  un  cuscin  purpureo  drappo 

Reca  turgido  il  sen  d'  erbe  odorate  • 
940        Che  1'  aprica  montagna  in  tuo  favore 

Al  possente  meriggio  educa  e  scalda. 

Ecco  vien  poi  da  cristallina  rupe 

Tolto  nobil  vasello.  Indi  tralace 

Prezioso  confetto  ove  a  gli  aromi- 
945        Stimolanti  s' uni  1'  ambra,  o  la  terra 

Che  il  Giappon  manda  a  profumar  de'  grr.ndi 

L' etereo  fiato  ;  o  quel  che  il  Caramano 

Fa  gemer  latte  da  l' inciso  capo 

De'  papaveri  suoi,  perché,  se  mai 
950        Nou  ben  felice  amor  1'  alma  t'  attrista, 

Lene  serpendo  per  le  membra  acqueti 

A  te  gli  spirti,  e  ne  la  mente  induca 

Lieta  stupidità  che  mille  aduni 

Immagin  dolci  e  al  tuo  desio  conformi 

937.  di  quella  all'  —  939.  Mostra  —  942-'44.  Seco  vlen  pur  di  cristallina  rupe  Pre- 
zioso vasello  onde  traluce  Non  volgare  confetto  —  942.  Seco  vlen  pur  (B.)  —  943.  Il 
non  volgar  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  949.  perché,  qualora  —  951.  per  li  membri  acquete  V.  (CI. 
C.)  —  953   adune  V.  (CI.  C). 


lei  cagioni  una  vicinanza  volgare.  —  vi- 
brar, esprime  esalazioni  acri  e  disgu- 
stose. —  da  la  vii  salma,  quasi  che  quei 
corpi  sian  tutta  materia,  corpus  nine 
pectore,  e  la  matei-ia  più  vile.  In  prin- 
cipio al  dialogo  della  nobiltà  dice  il  no- 
bile '  Or  perché  ardisci  tu  di  starmi  cosi 
Atto  alle  costole  come  tu  fai?  ',  e  il  poeta 
risponde:  'Signore,  s'io  stovvi  cosi  ac- 
costo, incolpatene  una  mia  depravazione 
d'olfatto,  per  la  quale,  mi  sono  avvezzo 
a' cattivi  odori.  Voi  puzzate,  che  è  una 
maraviglia.  Voi  non  olezzate  già  più 
muschio  e  ambra  voi  ora.  Quanto  soii 
io  obbligato  a  cotesti  bachi  che  ora  vi 
si  raggirano  per  le  intestina  1  Essi  de- 
stano efiBuvj  cosi  fattamente  soavi  ', 
etc. 

937-'41.  Uq  cuscinetto  di  stoffa  pre- 
ziosa e  pieno  di  aromi  va  in  compagnia 
della  boccettina  dell'odore  e  rende  gli 
slessi  servigi.  Il  cuscinetto  Kcca  turgido 
11  sen,  cioè  è  imbottito,  d'  erbe  odorate 
Che....  scalda  :  due  versi  mirabili  che 
improvvisamente  allargano  la  scena  da 
quelle  piccineria  artificiose  all'  aperta 


natura  in  pieno  sole,  aprica.  —  possente 
meriggio,  stupendo  aggettivo  che  ne'  due 
verbi  educa  e  scalda  ha  sua  esplicazione  : 
e  tra  tanto  fulgore  naturale  e  schietta 
s'insinua,  quasi  insidioso,  queir  In  tao 
favore  ! 

942  sg.  da  cristallina  rnpe  Tolto  nobil 
vasello,  cioè,  fatto  di  cristallo  di  ròcca, 
—  Indi  tralnce,  trasparisce  da  esso. 

9t4-'51.  Prezioso  confetto....:  pastic- 
che composte  di  qualche  aroma  ecci- 
tante, p.  es.  menta  o  garofano,  e  di  am- 
bra o  terra  catù  (la  terra  Che  il  Giappon 
manda  ..),  o  pure  di  oppio  (qnel  che  il  Ca- 
ramauo...).  —  dall' inciso  capo,  vale  a  dire 
incidendo  e  spremendo;  uso  classico  del 
participio  passato  passivo.  —  perche':  al 
solito,  il  fine  di  tutto  è  il  vantaggio  e  il  co- 
modo del  Giovin  signore.  —  Lene  serpen- 
do... :  l'oppio  diffondendosi  per  le  mem- 
bra induce  calma,  sonnolenza  e  tra  il 
dormiveglia  una  piacevole  lusinga  di 
sogni  indistinti.  —  Lieta  stupidità  :  parole 
felicemente  significative,  trattandosi  di 
tale  a  cui  secondo  il  p.  ben  altro  biso- 
gnerebbe tli-ì  un  beato  torpore. 


IL  MATTINO  53 


955        A  tanto  arredo  il  cannocchial  succeda 

E  la  chiusa  tra  1'  oro  anglica  lente. 

Quel,  notturno  favor  ti  pi-esti  allora 

Che  in  teatro  t'  assidi  e  t' avvicini 

Gli  snelli  piedi  e  le  canore  labbra 
9G0        Da.  la  scena  rimota,  o  con  maligno 

Guardo  dell'  alte  vai  logge  spiando 

Le  abitate  tenèbre,  o  miri  altrove 

Gli  ognor  nascenti  e  moribondi  amori 

De  le  tenere  dame,  onde  s'  appresti 
965         A  1'  eloquenza  tua  nel  di  venturo 

Lunga  e  grave  materia.  A  te  la  lente 

Nel  giorno  assista,  e  de  gli  sguardi  tuui 

Economa  presieda  ;  e  si  li  parta, 

Che  il  mirato  da  te  vada  superbo, 
970        Né  i  malvisti  accusarte  osin  giammai. 

La  lente  ancor,  su  1'  occhio  tuo  sedendo, 

Irrefragabil  giudice  condanni 

O  approvi  di  Palladio  i  muri  e  gli  archi, 

0  di  Tizìan  le  tele  :  essa  a  le  vestì, 
975         Ai  libri,  ai  volti  femminili  applauda 

«Severa,  o  li  dispregi.  E  chi  del  senso 

Comun  si  privo  fia  che  insorger  osi 

Contro  al  sentenziar  de  la  tua  lente  ? 

955.  eg.  A  questi  arnesi  il  cannocchiale  aggiiigui  E  la  guernìta  d'oro  —  9.ì8.  al  tea- 
tro V.  (B.,  CI.,  C.)  —  959.  O  i  pie  leggeri  o  lo  canore  labbra  V.  (B.)  —  960.  De  la  B. 
—  remota  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  961.  Occhio  ricerchi  di  qualch' alta  loggia  —  9G2.  altronde 
V.  (B.,  CI.,  C.)  —  965.  Per  l'è.  tua  nel  di  vicino  —  970.  accusarti  (B.)  —  971.  La  lente 
ancora  all'occhio  tuo  vicina  —  977.  Commuu  CI.  opporsi  uuquanco  osi. 


955.  A  tanto  anedo,  singolare  collet-  curioso,  ma  indagatore  e  malizioso  di 
tivo  :  proprio  ed  elegante,  dove  la  prima  chi  poi  ne  avrà  gran  materia  a  discor- 
lezione  A  quesH  arnesi  nou  era,  qui,  l'ere.  Di  squisita  arte  sono  dell'alte  logge 
uè  l'un  né  l'altro.  le  abitate  tenèbre  e  Gli  ognor  nascenti  e 

956.  la  chinsa  tra  l'oro  anglica  lente  :  moribondi  amori  De  le  tenore  dame. 

la  lente  inglese  legata  in  oro;  rocchia-  96S-'70.  Economa,  dispensatrice  avve- 

letto,  la  lorgnette.  duta.  —  e  si  li  parta...:  li  distribuisca  in 

958.  t'aTTieiiii,  parrebbe  coordinato  a  modo,  che  quelli  a  cui  fai  segno  di  scor- 
ti presti  deterjiiinando  il  notturno  faror  gerii  ne  abbian  cagione  di  compiacenza, 
che  rende  il  cannocchiale,  per  veder  più  e  non  ne  abbiano  di  lagnanza  quelli  cui 
vicine,  0  in  una  sola  efficace  parola  av-  mostri  non  aver  veduti,  che  di  ciò  chi 
vicinare,  le  cose.  Ma  l' insieme  del  con-  ha  bisogno  d'occhiale  è  sempre  scusato, 
testo  mostra  poi  eh' è  coordinato  a  t'as-  971-'78.  sedendo,  più  peregrino  che 
sidi  :  lo  spettatore  per  mezzo  del  can-  stando  o  posando.  —  Irrefragabil  gin- 
nocchiale  s'avvicina  le  danzatrici  e  le  dice:  assoluto,  inoppugnabile:  viene  a 
cantanti.  niente  VE  mai  sempre  imperterrito  de- 

960-'64.  0  con  maligno  Guardo...:  non  cirfi;  anzi,  tutto  il  passo  che  si  chiude  con 

è  il  guardare  indifferente  o   solamente  quel  verso,  797-814,  ha  con  questo  luogo 


64: 


IL  MATTINO 


Non  per  questa  però  sdegna,  o  Signoro, 
930        Giunto  a  lo  speglio  in  gallico  sermone 

Il  vezzoso  giornal;  non  le  notate 

Ebui'nee  tavolette  a  guardar  preste 

Tuoi  sublimi  pensier  fin  eli'  abbian  luce 

Doman  tra  i  belli  spirti  ;  e  non  isdegna 
985        La  picciola  guaina  ove  a'  tuoi  cenni 

Mille  ognora  stan  pronti  argentei  spilli. 

Oh  quante  volte  a  cavalier  sagace 

Ho  vedut'  io  le  man  render  beate 

Uno  apprestato  a  tempo  unico  spillo  ! 
990         Ma  dove,  ahi  dove  inonorato  e  solo 

Lasci  '1  coltello  a  cui  1'  oro  e  1'  acciaro 

Donar  gemina  lama  e  a  cui  la  madre 

De  la  gemma  più  bella  d'Anfitrite 

Die  manico  elegante,  onde  il  colore 
993         Con  dolce  vainar  l' iride  imita  ? 

Verrà  il  tempo,  verrà  che  ne'  superbi 

Convivj  ogn'  altro  avanzerai  per  fama 

D'  esimio  trinciatore ,  e  i  plausi  e  i  gridi 

970.  questi  —  080.  specchio  —  984.  tra  i  begli  —  986.  Mille  stan  pronti  ognora  ar- 
gentei spilli  —  994.  ove  —  996.  Opra  sol  fia  di  lui  se  ne'  superbi  —  998.  e  se  l'invidia. 


analogia  di  pensiero  e  somiglianza  di  e- 
spressioni.  —  di  Palladio...  0  di  Tizian...: 

nientemeno!  l'architetto  vicentino  (1518- 
"SO)  e  il  pittore  cadorino  (1477-1576),  co- 
me Raffaello  e  Paolo  Veronese  nel  passo 
Incordato,  stanno  a  significare  i  grandi 
maestri  dell'arti  ;  non  v'  è  grandezza 
che  ritenga  la  fatuità  insolente  dal  giu- 
dicare con  la  stessa  facilità  con  che  giu- 
dica la  grazia  e  l'eleganza  delle  signoi-e. 
E  l'inappellabile  sentenza  è  della  lente! 

979.  Non  per  qnesta  però  sdegna...,  non 
isdegnare:  v.  la  nota  al  v.  812. 

980  sg.  Giunto  a  lo  speglio...:  cioè,  e 
lo  specchio  e  il  giornale  francese ,  ma, 
benché  sia  uso  frequente  de'  classici  an- 
ziché coordinare  più  termini  esprimerne 
taluno  come  compagnia  dell'altro  (p.  es. 
Petrarca,  Tr.  cl'Am.  ui  73:  'Vedi  tre 
belle  donne  innamorate,  Procri,  Arte- 
misia con  Deidamia  '),  i  termini  cosi 
enumerati  sogliono  aver  tra  loro  un 
rapporto  stretto  ;  quale  non  so  vedere 
tra  lo  specchio  e  il  giornale.  Questo  è 
detto  vezzoso  :  è  opportuno  ricordare 
che  il  p.  nella  sua  dedicatoria  alla  Mo- 


da V  ha  chiamata  •  vezzosissima  dea  '. 
981  sg.  le  notate,  cioè  scritte.  —  Ebnrnee 
tavolette,  il  taccuino  coperto  d'avorio,  e 
l'espressione  è  derivata  dal  lat.  tabellae. 
—  a  guardar  preste,  cioè  pronte  a  ser- 
bare in  quanto  appunto  noLate. 

985.  La  picciola  guaina  :  L' astuccio 
degli  spilli,  l'agoraio  ! 

990.  Ma  dove,  ahi  dove  inonorato  e  so- 
lo...: forma  enfatica  di  transizione,  di 
quelle  che  ricorrono  spesso  nelle  enu- 
merazioni e  rassegne  de'  poemi  eroici. 

993  sg.  la  madre  De  la  gemma  pid  bella 
d'Anfitrite:  senza  perifrasi,  la  madre- 
perla. —  Anfitrite,  dea  del  mare,  si  dice 
per  il  mare;  cosi  Teti,  Nettuno,  Nereo 
etc.  :  è  p.  es.  in  Catullo  lxiv  11. 

995.  Con  dolce  variar  l' iride  imita,  è 
iridescente.  Ricordiamo,  v.  655,'  il  vago 
Mutabile  color  che  il  collo  imiti  De  la 
colomba  '  :  ov'era  da  citare,  e  torna  be- 
ne anche  qui,  un'ottava  del  Tasso,  XV  5. 

996.  Terrà  il  tempo,  verrà...,  sarà  utile 
al  suo  tempo,  ma  l' intonazione  è  so- 
lenne e  richiama  luoghi  insigni  di  poemi, 
p.  es.  della  Gerus.  lib.  xv  30  '  Tempo 


IL  MATTINO 


55 


De'  tuoi  gran  pari  ecciterai,  qualora 
1000        Pollo  o  fagian  con  la  forcina  in  alto 

Sospeso  a  un  colpo  il  priverai  dell'  anca 

Mirabilmente.  Or  qual  più  resta  ornai 

Onde  colmar  tue  tasche  inclito  ingombro  ? 

Ecco  a  molti  colori  oro  distinto, 
1005        Ecco  nobil  testuggine,  su  cui 

Voluttuose  immagini  lo  sguardo 

Invitan  de  gli  croi:  copia  squisita 

Di  fumido  rapè  quivi  è  serbata 

E  di  Spagna  oleoso,  onde  lontana, 
1010        Pur  come  suol  fastidioso  insetto, 

Da  te  fugga  la  noia.  Ecco  che  smaglia, 

Cùpido  a  te  di  circondar  le  dita. 

Vivo  splendor  di  preziose  anella. 

Ami  la  pietra  ove  si  stanno  ignudo 

lOOO.  con  le  forcine  V.  (B.)  —  1002.  Or  ti  ricolmi  alfine  D'ambo  i  lati  la  giubba  ed 
oleosa  [Il  giubbon  d'ambo  i  lati  ed  oleoso  V.]  Spagna  e  Rapè,  cui  semplice  origuela 
Chiuda  o  a  molti  colori  oro  dipinto;  E  cupide  ad  ornar  tue  bianche  dita  Salgan  le 
anella  in  fra  le  quali  assai  Più  caro  a  te  dell'adamante  istesso  Cerchietto  inciso  d'amo- 
rosi motti  Stringati  alquanto  e  sovvenir  ti  faccia  De  la  pudica   altrui  sposa    a  te   cara. 


verrà  che  San  d' Ercole  i  segni  Favola 
vile  ai  naviganti  industri...'. 

loco,  con  la  forcina  in  alto  Sospeso: 
'  Smembrar  su  la  forcina  in  aria  star- 
ne', dice  non  dissimilmente  l' Ariosto, 
sat.  II  143,  che  dichiara  di  non  posse- 
dere né  pur  quest'arte  di  cortigiano. 

1002.  Mirabilmente:  efficacissima  la 
collocazione  della  parola  in  fine  di  frase 
e  principio  di  verso;  cfr.  v.  1154.  Petr. 
Tr,  III  2,  40  '  gli  occhi  ave'  al  ciel  fissi 
Divotamente'.  Ed  era  usitato  agli  anti- 
chi, specialmente  agli  epici,  finire  cosi 
il  pensiero  in  capo  al  verso,  spesso  a 
punto  con  un  avverbio  o  un  aggiunto 
descrittivo.  P.  es.  Omero  Od.  VI  219: 

cosi  bevve  e  mangiò  il  paziento  divino  Odis- 
avidamente  ;  [sèo 

Virgilio  Georg.  I  476: 

vox  quoque  per  lucos  vulgo  esaudita  si- 
iugens.  [lentes 

1003.  Onde,  con  che.  —  inclito  ingom- 
bro: l'aggettivo  suona  pregio,  il  nome 
dispregio  ;  la  disarmonia  risponde  al- 
l'intendimento. 

100l-"ll.  Due  tab;icchiere,  una  d'oro 
a  smalto  —  a  molti  colori  oro  distluto, 


ov'è  a  notare  che  il  distinguere  detto 
di  colori  o  di  abbellimenti  luminosi  è 
latino  —,  l'altra  di  tartaruga  con  figu- 
re lusinghiere.  —  testuggine,  testudo.  — 
Avverti  anche  il  modo  classico  di  no- 
mhiar  la  materia  per  l'oggetto,  secondo 
l'esempio  pjeuo  se  proluit  auro.  Che 
si  tratti  di  tabacchiere  si  determina  so- 
lo quando  il  p.  soggiunge  che  nell'una 
sta  il  rape  —  fnmido,  vaporoso,  potente 
—,  nell'altra  lo  spagna  oleoso,  il  con- 
trario che  arido  — .  (Per  la  lezione  della 
stampa,  «  Origuela  città  di  Spagna  som- 
ministrava eccellenti  radici  per  fare 
scatole  »  C).  L'effetto  del  tabacco  è  di 
svegliare,  scuotere  la  mente;  la  noia,  il 
tedio,  di  cui  già  ai  versi  8  sgg.,  vanno 
via,  ma  pur  come  snol  fastidioso  insetto, 
mosca  o  zanzara,  che,  cacciato,  ritorna. 

1011-"13.  Ecco  die  smaglia...:  più  co- 
mune sarebbe  «  smagliano  (o  sia  riful- 
gono) anelli  preziosi  di  vivo  splendore, 
desiderosi  etc.  »  ma  la  qualità  prende  il 
luogo  principale.  È  come  a  dire:  '  Gioca- 
sta  partorì  la  forza  di  Polinice  ;  l'Averno 
rese  a  Orfeo  la  bellezza  di  Euridice  ». 

1014-"18.  la  pietra  ...  opra  d' argivi  ; 
un  cammeo  greco,  col  gruppo  delle  tre 


56 


IL  MATTINO 


1015        Sculte  le  Grazie,  e  che  il  Giudeo  ti  fece 
Creder  opi'a  d' Argivi,  allor  eh'  ei  chiese 
Tanto  tesoro,  e  d'  erudito  il  nome 
Ti  comparti  prostrandosi  a' tuoi  piedi? 
Vuoi  tu  i  lieti  rubini?  0  più.  t'aggrada 

1020         Sceglier  quest'  oggi  l' indico  adamante 
Là  dove  il  lusso  incantata  costrinse 
La  fatica  e  il  sudor  di  cento  buoi 
Che  pria  vagando  per  le  tue  campagne  . 
Facean  sotto  a  i  lor  pie  nascere  i  beni  ? 

1025         Prendi  o  tutti,  o  qual  vuoi  ;  ma  1'  aureo  cerchio 
Che  sculto  intorno  è  d'  amorosi  motti 
Ognor  teco  si  vegga,  e  il  minor  dito 
Prèmati  alquanto,  e  sovvenir  ti  faccia 
Dell'  altrui  fida  sposa  a  cui  se'  caro. 

1030        Vengane  alfin  de  gli  orici  genamati, 

Venga  il  duplice  pondo  ;  e  a  te  dell'  oi-e 
Che  all'  alte  imprese  dispensar  conviene 
Faccia  rigida  prova.  Ohimè,  che  vago 
Arsenal  minutissimo  di  cose 

1035        Ciondola  quindi  e  ripercosso  insieme 


1022.  e  il  valor  B.  —  1030.  oiiol  B.  —  1032.  a  l'alte  B. 


Grazie.  Somiglia  a  questo  luogo  quello 
del  Foscolo,  all'Amica  risanata  str.  4: 

E  i  monili  cui  gemmano 

Effigiati  dèi 

Inclito  studio  di  scalpelli  achei. 

—  il  Giudeo...  a'tiioi  piedi  :  la  brutta  flgu- 
retta  è  sbozzata  vivameute  cogliendo  i 
due  particolari  più  rilevati  e  in  contrasto 
tra  loro,  la  sordida  truffa  e  le  adula- 
zioni smaccate.  E  il  grande  conoscitore, 
tra  le  genuflessioni  e  1  Vossignoria  è 
trop2ìo  in'elligente...,  mi  vergognerei 
di  far  notare  a  Vossignoria  ..,  butta 
una  somma  (nota  come  eletto  ed  efficaci 
tanto  tesoro)  in  cosa  che  somiglia  a  greca 
come  certe  odi  pindariche  a  Pindaro. 

1019.  1  lieti  rubini  :  aggettivo  propris- 
simo al  limpido  colore  rosso  chiaro, 
veramente  allegro,  di  tal  pietra. 

1020-"21.  l'indico  adamante  Là  doTfi 
11  lusso  ecc.:  il  diamante  orientale,  che 
vai  più  di  quanto  possa  far  produrre 
alla  terra  il  lavoro  di  cinquanta  paia  di 
bovi.  Ma  ciò  è  espresso  con  finissimo 
studio.  —  il  Inssn  incantata  costrinse  la 


fatica  e  11  sndor  (nota  l'endiadi),  cioè  co- 
me per  magia  racchiuse  e  fissò  in  una 
gemma  il  prodotto  di  tanto  lavoro.  Al 
qual  tesoro  cosi  ridotto  in  piccolo  si  con- 
trappone l'imagine  de' bovi  che  anda- 
vano innanzi  e  indietro  per  la  campa- 
gna suscitando  ovunque  feracità.  —  l 
beni,  la  ricchezza  utile,  le  mèssi. 

102.ó-"29.  qnal:  quello  che.  —  1' anreo 
cerchio  ecc.:  l'anellino  d'oro,  quasi  la 
fede  dell'  infedeltà,  deve  sempre  portar- 
si ed  essere  bene  stretto  al  mignolo. 

1030-'"33.  de  gli  orioi  ...  il  duplice 
pondo:  i  due  orologi.  L'uso  di.  portar 
due  orologi  è  spiegato  dal  p.  con  la  ne- 
cessità che  Ila  il  suo  eroe  di  saper  l'ora 
giusta  e  precisa  :  1'  uuo  è  riprova  del- 
l'altro. —  rigida  prova,  per  l'aggiunto 
cfr.  il  V.  771. 

1034.  Arsenal:  dal  significato  suo  pro- 
prio, di  luogo  pien  di  lavoro  e  di  lavo- 
ri, la  parola  è  efficacemente,  e  anche 
familiarmente,  piegata  a  indicare,  non 
senza  colore  di  scherzo,  una  gran  quau- 
luà  di  date  cose. 


IL  MATTINO  57 


Molce  con  soavissimo  tintinno  ! 

Ma  v'hai  tu  il  meglio?  Ah  si,  che  i  miei  precetti 

Sagace  prevenisti.  Ecco  risplende, 

Chiuso  in  breve  cristallo,  il  dolce  pegno 
1010        Di  fortunato  amor  :  lunge,  o  profani, 

Che  a  voi  tant'  oltre  penetrar  non  lice. 
Compiuto  è  il  gran  lavoro.  Odi,  o  Signore, 

Sonar  già  intorno  la  ferrata  zampa 

De'  superbi  corsier,  che  irrequieti 
1013         Ne'  grand'  atri  sospigne,  arretra  e  volge 

La  disciplina  dell'  ardito  auriga. 

Sorgi,  e  t'  appresta  a  render  baldi  e  lieti 

Del  tuo  nobile  incarco  i  bruti  ancora. 

Ma  a  possente  signor  scender  non  lice 
1050        Da  le  stanze  superne  infin  che  al  gelo 

O  al  meriggio  non  abbia  il  cocchier  stanco 

Durato  un  pezzo,  onde  1'  uom  servo  intenda 

Per  quanto  immensa  via  natura  il  parta 

Dal  suo  signore.  Or  dunque  i  miei  precetti 
1055         Io  seguirò  ;  che  varie  al  tuo  mattino 

Tra  il  V.  1036  e  '37  nel  B.:  Di  costi  ehe  non  pende?  Avvi  perfino  Piccioli  cocchi 
e  piccioli  destrieri  Finti  in  oro  cosi  che  sembran  vivi.  Tra  il  v.  1041  e  '42  in  B.  :  E 
vui^  de  l'altro  secolo  feroci  Ed  ispid'  avi  1  vostri  almi  nipoti  Venite  oggi  a  mirar.  Co'san- 
giiìuosi  Pugnali  a  lato  le  campestri  ròcche  Voi  godeste  abitar,  truci  a  l'aspetto  E  p«r 
gran  bafiS  rigida  la  guancia  Consultando  gli  sgherri  e  sol  gioiendo  Di  trattar  l'arme  che 
d'orribil  palla  Givan  notturne  a  traforar  le  porte  Del  non  manco  [meno  V.]  di  voi  ri- 
vale armato.  Ma  i  vostri  almi  nipoti  oggi  si  stanno  Ad  agitar  fra  le  tranquille  dita  De 
l'oriolo  i  ciondoli  vezzosi;  Ed  opra  è  lor  se  a  l'innocenza  antica  Torna  pur  anco  e 
bamboleggia  il  mondo.  —  1054.  I  miei   precetti  intanto  (B.) 


1039.  I  tre  versi  che  precedevano  a  in  legno  senza  indugio,  i  cavalli  non  più 
questi  (leggili  qui  sopra  riferiti)  sono,  trattenuti  cesserebbero  d'essere  iuquie- 
ha  l'agione  il  Mazzoni,  graziosissimi;  ti  :  il  p.  li  considera  baldi  e  lieti  di  trarre 
ma  un  po'  ingenui  e  innocenti,  e  porta-  quel  peso. 

vano  qualche  lungaggine  e  distrazione.  1019-"54.  Alle  parole  ch'arino  invito 

—  Ma  v'hai  tn  il  meglio?  Ah  si...:  per  ascendere  seguono  queste  che  sono  am- 

questo  dolce  pegno,  che   è  chiuso   in  monimeuto  a  indugiare,    e  la  ragione 

breve  cristallo,  intenderei   un   meda-  dell' indugio.  —  Da  le  stanze  superne,  di 

glionciuo   col   ritratto  della  dama:  mi  sopra;  ma  in  questo  scrivere  tale  lati- 

ricorda  Varnese  gentil  del  v.  758.  nismo  par  che  voglia  dire  qualche  co- 

1040.  Innge  o  profani  :  è  il  notissimo  sa  di  più.  —  al  meriggio  ...  Durato  nn 
'  procul  0  procul  este,  profani  ',  Aen.  VI  pezzo:  non  abbia  dovuto  soflFrire  lunga- 
258.  mente  il  caldo;  cfr.  v.  621.  —  Per  quanto 

1144-"46.  Tutto  è  dal  vero  e  con  ma-  Immensa  via  natura  11  parta,  di  che  im- 

ravigliosa  eleganza  espresso  :  i  cavalli  meuso  intervallo   lo  separi  (e  sarebbe 

non  istanno  fermi;  il  cocchiere  or  prende  pure  un  verso  ma  di  altra  lega), 

lartito  di  farli  avanzare,  poi  li  trattiene  1054.  Or  dunque...  :  posto  per  naturale 

e  li  volta  a  suo  modo  con  arte.  e  conveniente  l'attardarsi  dell'eroe. 

1047  sg.  Se  il  Giovin  signore  montasse  1055  sg.  v.irle  al  tuo   mattino  Portar 


58  IL  MATTINO 


Portar  dee  cure  il  variar  de'  giorni. 

Tu  dolce  intanto  prenderai  sollazzo 

Ad  agitar  fra  le  tranquille  dita 

Dell'  oriuolo  i  ciondoli  vezzosi. 
lOGO     Signore,  al  ciel  non  è  cosa  pili  cara 

Di  tua  salute  ;  e  troppo  a  noi  mortali 

E  il  viver  de'  tuoi  pari  util  tesoro. 

Uopo  è  talor  che  da  gli  egregi  affanni 

T'  allevii  alquanto,  e  con  pietosa  mano 
1065        II  teso  per  gran  tempo  arco  rallento. 

Tu  dunque,  allor  che  placida  mattina 

Vestita  riderà  d'  un  bel  sereno, 

Esci  pedestre,  e  le  abbattute  membra 

All'  aura  salutar  snoda  e  rinfranca. 
1070        Di  nobil  cuoio  a  te  la  gamba  calzi 

Pui-pureo  stivaletto,  onde  giammai 

Non  profanin  tuo  pie  la  polve  e  il  limo 

Che  r  uom  calpesta.  A  te  s' avvolga  intorno 

Veste  leggiadra  che  sul  fianco  sciolta 

1075        Sventoli  andando,  e  le  formose  braccia 
'  ... 

Stringa  in  maniche  anguste,  a  cui  vermiglio 

0  cilestro  ermesino  orni  gli  estremi. 

1057-59.  Questi  tre  versi,  come  nella  i'  ed.,  mancano  in  B.  —  1059.  Solazzo  CI.  / 
versi  che  qui  vanno  dal  1060  al  1092,  poi  dal  109G  al  1104,  nella  stampa  venivan  dopo 
a  quelli  che  qui  sono  1105-1142,  e  1003-1005  precedevano  a  1060-1062  :  le  varietà 
son  segnate  ai  luoghi  corrispondenti.  —  1063.  Fia  d'uopo  ancor  che  da  lo  lunghe  cure 
—  1065.  rallenti  (B.)  —  1071  sg.  onde  il  tuo  piede  Non  macchino  giammai  —  1074.  Leg- 
giadra veste  che  sul  dorso  —  1075.  Vada  ondeggiando  e  tue  —  1070.  Leghi  in  manica 
angusta  —  1077.  velluto. 


dee  cnre  il  variar  de'  giorni  :  0  sia,  le  venendo  appresso  a  quel  dolce  sollazzo 

occupazioni  mattutine  son  diverse  nei  dell'  abitare  i  ciondoli, 
giorni  diversi.  Viene  a  mente  di  Giove-  10G6  sg.  allor  che  placida  mattina ...  : 

naie,  I  127,'  ipse  dies  pulchro  distin-  che  semplice  freschezza!  Adatta  al  caso 

guitur  ordine  rerum  ',  ma  son  le   cose  l'osservazione  che  facemmo  ai  versi  910 

delle  diverse  ore.  sg. 

1057-"59.  Tu  dolce  intanto...,  cioè  men-  1068.  Esci  pedestre,  cioè  a  piedi, 

tr'io  dò  precetti,   mentre  il  cocchiere  1070  sg.  Di  nohil  cuoio  a  te  la  gamba 

aspetta.  E  l'atto  che  l'ozioso  fa  spesso  e  calzi  Pnrpnreo  stivaletto:  si  ripensa  alla 

involontariamente  di  giocherellare  coi  Diana  di  Virgilio  Bue.  va  31   '  levi  de 

ciondoli  dell'orologio  gli  è   assegnato  marmore  tota  Puniceo  stabis  suras  eviu- 

come  un  bel  passatempo  '.  età  cothurno  '. 

1060-"65.  Già,  detto   innanzi  che  se-  1073.  Che.raom  calpesta:  è  ammesso 

guirà  i   suoi  insegnamenti,  qui  fa   un  che  qui  non  si  tratta  d'  un  uomo, 
esordio   particolare:  e  il  parlare  della  1075-"77.  Sventoli  andando,  cioè  mo- 

preziosa  salute  e  della  necessità  di  con-  vasi  all'aria  mentre  tu  cammini.  —  «  er- 

servarla  non  affaticandosi  troppo  (e  que-  mesino,  panno  sottilissimo,  detto  da  Or- 

sto    è  significato   con   solenne   elegan-  nius.  .ìnche  Benvenuto  Cellini  aveva  una 

za)  acquista  un  sapore  singolarissimo,  Velia  vestetta  d' ermesino  azzurro.  Il 


IL  MATTINO 


59 


Del  bel  color  che  1'  elitroi3Ìo  tigne 

0  pur  d'  orientai  candido  bisso 
1030        Voluminosa  benda  indi  a  te  fasci 

La  snella  gola.  E  il  crin....  Ma  il  crin,  Signore, 

Forma  non  abbia  ancor  da  la  man  dotta 

Dell'  artefice  suo  ;  clié  troppo  fora, 

Ahi  !  troppo  grave  error  lasciar  tant'  opra 
1085        De  le  licenziose  aure  in  balia. 

Né  senz'  arte  però  vada  negletto 

Su  gli  omeri  a  cader;  ma,  o  che  natura 

A  te  il  nodrisca,  o  cbe  da  ignote  fronti 

Il  più  famoso  parruccliier  lo  involi 
1090        E  lo  adatti  al  tuo  capo,  in  sul  tuo  capo 

Ripiegato  1'  afferri  e  lo  sospenda 

Con  testuggine!  denti  il  pettin  curvo. 

Ampio  cappello  alfin,  cbe  il  disco  agguagli 

Del  gran  lume  febèo,  tutto  ti  copra 
1095        E  a  lo  sguardo  profan  tuo  nume  asconda. 

Poi  cbe  cosi  le  belle  membra  ornate 

Con  artificio  negligente  avi'ai, 

1080.  Sottilissima  ...  ti  fasci  (B.)  —  1086.  Non  seuz'  arte  —  1088.  da  igaota  fronte  — 
1089.  lo  tolga  —  1090.  l'adatti  —  1091.  lo  afferri  B.  —  109G.  in  tal  guisa  te  medesmo 
ornato  —  1007.  con  artificj  negligenti  V.  (CI.,  C.) 


negligé  era  un  altro  de'  raffinamenti  più 
moderni  ».  C. 

1078.  relitroplo,  gr.  7)hoTQÒmoì',  il  gi- 
rasole. 

lOSO.  Voluminosa  benda,  un  ampio  e 
abbondante  fazzoletto  o  cravattone:  l'ag- 
gettivo non  suona  elegantissimo  ma  si- 
gnificativo. 

1081-"85.  E  il  crin...  Ma  il  crin  :  que- 
sta interruzione  e  ripresa  mostra  che 
veramente  il  p.  sia  còlto  dal  timore,  non 
l'altro  abbia  l' imprudenza  di  uscire  a 
piedi  dopo  la  pettinatura.  —  licenziose, 
più  che  libere,  e  quindi  scomporrebbero 
gli  edifici  del  capo. 

1086  sg.  Se  non  ancor  pettinato  ne' 
modi  sopra  descritti,  non  ne  segue  che 
debba  essere  arruffato  e  iucomposto. 

1087-"90.  ma,  o  che...,  o  clie...  :  un'al- 
ternativa (e  per  la  forma  sintattica  con- 
fronta i  primi  versi  del  poema  e  la  nota 
ivi)  ingenua  all'apparenza  e  tra  cose  in- 
differenti, ma  in  vece  maliziosissima; 
«  che  i  capelli  sian  veri  o  finti,  tuoi  o 
d'un  altro  ».  —  in  sul  tuo  capo:  ripreso 


con  forza  dalle  parole  che  precedono 
immediatamente,  e  con  grande  signifi- 
cazione dopo  la  distinzione  fatta  or  ora. 

1091  sg.  Ripiegato  l'afferri:  lo  pieghi 
e  lo  ferrai.  Classicamente,  delle  due 
azioni  r  una  è  espressa  col  participio. 
—  Con  testogginei  denti  il  pettin  curro, 
il  pettine  di  tartaruga. 

1093-"95.  Questi  tre  versi  compiono 
la  figurina,  tanto  men  seria  questa, 
quanto  essi  più  solenni.  —  tuo  nume:  il 
numen  è  la  divinità,  la  natura  essen- 
ziale del  dio.  Virgilio  Aen.  1 48  «  numen 
lunonis»:  Orazio,  oltreché  per  gli  dèi 
(p.  es.  carm.  iv  1,  26,  ep.  15,'  3),  lo  usa 
per  Augusto,  carm.  IV  5,  34  «  Laribus 
tuum  Miscet  numen  ».  Il  Foscolo,  nel 
celebre  passo  appunto  sacro  al  Parini, 
i  Sep.  63: 

O  bella  Musa,  ove  sei  tu?  Non  sento 
Spirar  l'ambrosia  indizio  del  tuo  nume. 

1097.  Con  artiflcio  negligente:  anche 
qui  nome  e  aggettivo  suonan  discordi, 
ma  armonizzano  per  il  senso  e  per  l'ef- 


60 


IL  MATTINO 


Esci  soletto  a  respirar  talora 

I  mattutini  fiati,  e  lieve  canna 
1100        Brandendo  con  la  man,  quasi  baleno 

Le  vie  trascorri,  e  premi  ed  urta  il  vulgo 
Che  s'  oppone  al  tuo  corso.  In  altra  guisa 
Fora  colpa  l'uscir;  però  che  andriéno 
Mal  dal  vulgo  distinti  i  primi  eroi. 
1105    Tal  di  t'aspetta  d'eloquenti  fogli 

Serie  a  vergar,  che  al  Rodano,  al  Lemàno,. 
AU'Arastel,  al  Tirreno,  all'Adria  legga 

II  libraio  che  Momo  e  Citerea 
Colmar  di  beni,  o  il  più  di  luì  possente 

ino        Appaltator  di  forestiere  scene. 

Con  cui  per  opra  tua  facil  donzella 
Sua  virtù  merchi  e  non  sperato  ottenga 
Guiderdone  al  suo  canto.  O,  di  grand' alma. 
Primo  fregio  ed  onor,  Beneficenza, 

1115         Che  al  merto  porgi  e  a  la  virtù  la  mano! 

Tu  il  ricco  e  il  grande  sopra  il  vulgo  innalzi 
Ed  al  concilio  de  gli  Dei  lo  aggiugni. 


4 


1098-1100.  Esci  pedestre  a  respirar  talvolta  L'aere  mattutino,  e  ad  alta  canna  Ap- 
poggiando la  man  —  1101.  il  volgo  (B.)  —  1104.  Mal  distinti  dal  vulgo  (B.)  —  I  versi 
1005-"17  mancano  in  CI.  —  1105.  ti  aspetta  (C.)  —  1107.  A  l'Amstel  al  T.  a  l'Adria  B. 
—  1115.  ed  a  virtù  (C). 


fette.  Il  singolare  dice  più  e  meglio  che 
Varti/lci  negligenti  della  variante. 

1101  sg.  premi  ed  urta  11  Tulgo  Che 
s'oppone  al  tuo  corso  :  fa  ricordare  di 
Orazio  sat.  II  6,28  '  Luctandura  in  turba 
et  facienda  iniuria  tardis  ...  Tu  pulses 
omne  quod  obstat...'. 

1105.  Tal  di':  alcun  giorno,  v'  è  giorno 
clie... 

1106  sg.  .Serie...:  non  si  tratta  d'una 
lettera  ma  di  tante.  —  Rodano  Lemano 
Amstel  Tirreno  Adria  ;  fiumi  laghi  e 
mari  a  indicar  le  città,  Lione,  Ginevra, 
Amsterdam,  Livorno,  Venezia. 

1108  sg.  11  libraio  che  Jloino  e  Citerea 
Colmar  di  boni,  o  sia  il  quale  arricchì 
con  giornali  e  libri  allegri  e  voluttuosi. 
Momo  è  propriamente  il  dio  schernitore 
degli  dèi,  poi  anche  degli  uomini  e  delle 
cose  umane. 

1109-"12.  L'impresario  teatrale,  dei 
grandi  teatri  dell'estero:  col  quale  la 
giovine  cantante  per  i  buoni  uffici  del 
protettore  conchiuda  una  scrittura.  — 
Saa  Tirili  merchi-  ConliimanUo  nel  gergo, 


essa  è  una  virtuosa,  quindi  \9.sua  virtù 
è  la  sua  abilità;  ma  è  incbiuso  il  senso 
che,  patteggiando  questa,  renda  a  patti 
anche  la  virtù  propriamente  detta,  spe- 
cialmente ch'ella  è  facil  donzella.  «  Non 
sono  versi  chiarissimi,  ed  erano  forse 
un  po'  troppo  mordaci;  onde,  come  mi 
comunica  il  Salveraglio,  il  P.  cancellò 
tutto  questo  luogo  (vv.  1105-1117)  nelle 
copie  corrette  da  lui  a  penna  •  M.  Ben- 
ché io  non  disconosca  la  estrema  mor- 
dacità (di  quelle  che  al  p.  parvero  in 
séguito  eccessive),  me  ne  sa  male  per 
gli  ultimi  cinque  versi. 

1113-"17.  Dopo  le  commissioni  che. 
arricchiscono  il  libraio,  dopo  i  contratti 
procurati  alla  giovine  cantatrice,  que- 
st'  invocazione  alla  Beneficenza  e  la  glo- 
rificazione del  Giovin  signore  nel  no- 
me di  essa  son  di  terribil  sarcasmo. 
—  al  concilio  degli  dèi:  anche  latino 
conciliuni  è  assemblea  di  numi,  non 
che  delle  rappresentanze  cittadine;  Ora- 
zio e.  IV  5,  3  '  patrum  Saucto  concilio 
redi  '. 


IL  MATTINO  61 


Tal  giorno  ancora,  o  d'  ogni  giorno  forse 

Fien  qualch'ore  serbate  al  molle  ferro 
1120        Che  i  peli  a  te  rigermoglianti  a  pena 

D' in  su  la  guancia  miete,  e  par  che  invidi 

Ch'  altri  fuor  che  sé  solo  indaghi  o  scopra 

Unqua  il  tuo  sesso.  Arroge  a  questo  il  giorno 

Che  di  lavacro  universal  convienti 
1125        Terger  le  vaghe  membra.  E  ver  che  allora 

D'esser  mortai  dubiterai:  ma  innalza 

Tu  allor  la  mente  a  i  grandi  aviti  onori 

Che  fino  a  te  per  secoli  cotanti 

Misti  scesero  al  chiaro  altero  sangue , 
1130        E  il  pensier  ubbioso  al  par  di  nebbia 

Per  lo  vasto  vedrai  aere  smarrirsi 

Ai  raggi  de  la  gloria  onde  t' investi  ; 

E  di  te  pago,  sorgerai  qual  pria 

Gran  semideo  che  a  sé  solo  somiglia. 
1135        Fama  è  cosi  che  il  di  quinto  le  Fate 

Loro  salma  immortai  vedean  coprirsi 

Già  d'  orribili  scaglie  e  in  feda  serpe 

Vòlta  strisciar  sul  suolo,  a  sé  facendo 

1118.  e  d'ogni  giorno  B.  —  1119.  Den  qualch'ore  sei-barsi  —  1120.  il  polo  a  te  ri- 
geriuogliante  —  1122.  fuor  che  lui  solo  esplori  —  1023.  Unque  V.  (B.,  CI.)  a  questi  — 
1125.  Bagnar  le  membra,  per  tua  propria  mano  O  per  altrui  con  odorose  spugne  tra- 
scorrendo la  cute.  È  ver  che  allora  —  1126.  ti  sembrerà  —  1127.  e  de'  grand' avi  tuoi 
Le  imprese  ti  rimembra  e  gli  ozi  illustri.  —  1128.  infino  —  1130-"33.  K  l'ubbioso  pen- 
sier vedrai  fuggirsi  Lungo  da  te  per  l'aere  rapito  Su  l'ale  de  la  Gloria  alto  volanti.  Et 
indi  a  poco  (E  quindi  a  poco  V.)  sorgerai  qual  prima  —  1138.  Vòlte  C.  ma  è  svista, 
■non  variante. 


1118-"2l.  Tal  giorno...;  v' è  il  giorno  innanzi  alla  gloria  di  che  hai  suscitata  in 

'Che  bisogna  rader  la  barba,  anzi  è  me-  te  la  coscienza. 

•glio  raderla  ogni  giorno  appena  rina-  1134.  Verso,  per  i  due  accenti  che  si 

uscente.  —  al  molle  ferro,  il  rasoio.  susseguono    su    la  sesta  e  la  settima, 

1121-23.  par  che  inTi'di,  non  permetta,  lento  e  solenne, 
mei  senso  classico  di  invidiare.  —  «  Il  1135-"42.  Improvvisa,  originalissima 

rasoio  è  geloso  che  nessun  altri  s'  ac-  comparazione,  da  altro   terreno  che  il 

corga  che  tu  sei  maschio  ».  classico  usitato,  e  condotta  con  la  per- 

1121.  lavacro  universal,  il  bagno.  Al-  fezione  consueta.  «  Ogni  venerdì  [il  di 

ìlora  non  era  né  pur  per  i  doviziosi  cosi  quinto]  le  maghe  diventavano  serpi,  poi 

■  frequente  o  cotidiano  com'oggi  è.  al  domani  tornavano  più  belle  a  cele- 

1126.  dubiterai  ;  stupendo  !  «  Non  sarà  hrare  i  loro  sabati  »  C.  Io  crederei  che 

■certezza,  ma  un  dubbio  pure  ti  coglierà  il  p.   qui  si   valesse,  con  libertà,  della 

d'esser  uomo  come  gli  altri  ».  Vedi  co-  leggenda  della  fata  Melusina:   essa  è 

m' era  fredda  in  confronto  la  prima  le-  che  avea  messo  il  patto  allo  sposo  che 

zione.  non  dovesse  cercar  di  lei  il  sabato  ;  e, 

1130-"32.  II  pensier  ubbioso,  è  il  dub-  quel  sabato  ch'egli  ruppe  il  patto,  la 

^bio  toccato  testé,  un'  ubbia,  una  fìsima;  vide  essere  a  metà  serpe.  E  la  spiò  ap- 

«  ai  disperderà,  come  la  nebbia  al  sole,  punto  ch'ella  era  nel  bagno  :  altra  cir- 


62  IL  MATTINO 


De  le  inarcate  spire  ìmpeto  e  forza; 
114.0        Ma  il  primo  sol  le  rivedea  più  belle  • 

Far  beati  gli  amanti,  e  a  un  volger  d'. ocelli 

Mescere  a  voglia  lor  la  terra  e  il  mare. 
Assai  1'  auriga  bestemmiò  finora 

I  tuoi  nobili  indugi  :  assai  la  terra 
1145        Calpestaro  i  cavalli.  Or  via  veloce 

Reca,  o  servo  gentil,  reca  il  cappello 

Oh.'  ornan  fulgidi  nodi  :  e  tu  frattanto, 

Fero  genio  di  Marte  a  guardar  posto 

De  la  stirpe  de'  Numi  il  caro  fianco, 
1150        Al  mio  giovane  Eroe  cigni  la  spada; 

Corta  e  lieve  non  già,  ma,  qual  richiedo 

La  stagion  bellicosa,  al  suol  cadente, 

E  di  triplice  taglio  armata  e  d'  elso 

Immane.  Quanto  esser  può  mai  sublime 
1155        L'  annoda  pure,  onde  la  impugni  all'  uopo 

La  destra  furibonda  in  un  momento. 

Né  disdegnar  con  le  sanguigne  dita 

Di  ripulire  ed  ordinar  quel  nastro 

Onde  1'  elso  è  superbo.  Industre  studio 
UGO        È  di  candida  mano:  al  mio  Signore 

Dianzi  donollo,  e  gliel  appese  al-  brando 

L'  altrui  fida  consorte  a  lui  si  cara. 

Tal  del  fanioso  Artù  vide  la  corte 

1142.  Dopo  questo  verso  la  stampa  continuava  cosi  Ciò  ti  basti  per  or.  Già  1'  oriolo 
A  girtene  ti  affretta.  Ohimè  che  vago  Arsenal  minutissimo  di  cose  e  i  versi  1035  sg.  : 
poi  i  tre  versi  che  il  B.  accoglie  dopo  il  nostro  1036  (e  ivi  san  recati)  :  poi  quelli  che 
per  noi  sono  1037-"41,  con  tutto  il  passo  che  dopo  il  1041  abbiamo  citato  da  E  voi 
dell'altro  secolp  fino  a  bamboleggia  il  mondo.  Dopo  di  che  seguitava  cosi  :  Or  vanne, 
o  mio  Signore,  o  il  pranzo  allegra  De  la  tua  Dama:  a  lei  dolce  ministro  Dispensa  i 
cibi  e  détta  al  suo  palato  E  a  la  sua  fame  iuviolabil  legge.  Ma  tu  non  obliar  che  in  nulla 
cosa  Esser  mediocre  a  gran  Signor  non  lice  :  Abbia  il  popol  confini  ;  a  voi  natura  Donò 
senza  confini  e  mente  e  core.  Dunque  a  la  mensa,  o  tu  schifo  rifuggi  Ogni  vivanda  e 
te  medesmo  rendi  Per  inedia  famoso,  o  nome  acquista  D' illustre  voratore.  Intanto  addio 
Degli  uomini  delizia  ecc.,  continuando  come  qui  è  dal  v.  1219  alla  fine,  e  senza  tutto 
il  passo,  aggiunto  poi,  1 143-1218.  —  1162.  La  pudica  d'altrui  sposa  a  lui  cara   V. 


costanza  che  mi  persuade,  per  esser  la  sospesa  al  v.  1054. 

comparazione  iutrodotta  a  proposito  del  1151-"5i.  Corta  e  lieve  non  già,  ma  ... 

bagno,  che   il  p.   movesse  da  quel  ri-  bellicosa:  dopo  ciò  si  aspetterebbe  tut- 

cordo;  con  libertà,  ho  detto,  e  genera-  l'altra    determinazione    o   espressione 

lizzando  e  non  curando  esattezza  di  par-  che  al  snol  cadènte  ;  è  1'  ànQoaòÓKr,Tov,  o 

ticolari.   —  a  sé  facendo  De  le  inarcate  imprevisto,  dei  retori.  —  di  triplice  ta- 

spire  impeto  e  forza,  cioè  inarcando  le  glio:  a' due  lati  e  alla  punta.  —  d' elso 

spire  traevano,  come  le  serpi,  vigoria  Immane:  per  la  collocazione  v.  la  nota 

al  moto  e  all'  assalto.  —  Mescere,..,  lat.  al  v.  1002.  —  snblime  :  alta. 

miscere,  sconvolgere,  metter  sossopra.  I163-"68.  Altra   similitudine  roman- 

1143.  Riprende  la  materia  che  restò  zesca  o  cavalleresca,  intonata  di  alacre 


IL  MATTINO  63 


Le  inflammate  d'  amor  donzelle  ai-Jito 
11G5        Ornar  di  piume  e  di  pm-puree  fasce 

I  fatati  guerrier,  si  che  poi  lieti 

Correan  mortale  ad  incontrar  periglio 

In  selve  orrende  fra  i  giganti  e  i  mostri. 
Volgi,  o  invitto  camplon,  volgi  tu  pure 
1170        II  generoso  pie  dove  la  bella 

E  de  gli  eguali  tuoi  scelto  drappello 

Sbadigliando  t'  aspetta  all'  alte  mense. 

Vieni,  e  godendo  nel!'  uscire  il  lungo 

Ordìn  superbo  di  tue  stanze  ammira. 
1175        Or  già  siamo  all'estreme:  alza  i  bei  lumi 

A  le  pendenti  tavole  vetuste 

Che  a  te  degli  avi  tuoi  serbano  ancora 

Gli  atti  e  le  forme.  Quei  che  in  duro  dante 

Strigne  le  membra  e  cui  si  grande  ingombra 
1180        Traforato  collar  le  grandi  spalle, 

Fu  di  macchine  autor;  cinse  d'invitte 

Mura  i  Penati  ;  e  da  le  nere  torri 

Signoreggiando  il  mar,  verso  le  aduste 

Spiagge  la  predatrice  Africa  spinse. 

1166.  8g.  onde  più  ardenti  Gisser  poi  questi  ad  —  1171.   uguali   B.  —  1172.  a  l'alte 
B.  —  1173.  ne  l'uscire  B.  —  1175.  a  l'estreme  B.  —  1181.  machine  CI. 


baldanza.  —  del  famoso  Artii ...  l.i  corte:  —  .ilza  i  bei  lumi...:  e  di  qui  incomincia 

i  cavalieri  della  Tavola  Rotonda;  ma,  il  tratto   aggiunto  su  gli  antenati,  del 

poiché   il  p.   li  chiama  fatati,  si  vede  senso  e  dell'arte  del  quale  è  detto  nella 

ch'egli  nominando  il  ciclo  bretone  non  prefazione. 

esclude  il  carolingio.  La  fusione  era  1178-"84.  La  prima  figura,  un  archi- 
fatta  da  tempo,  e  al  p.  non  potea  né  tetto  militare.  —  in  duro  dante  Strigne 
pur  venire  in  mente  di  far  distinzioni.  le  membra,  ha  le  cosce  strette  in  pelle 
—  Nota  il  verso  Le  infiammate  d'amor  di  dante.  —  si  grande  ingombra  Trafo- 
donzelle  ardito  e  l'ultimo.  —  di  piume  e  rato  collar:  il  gran  collare  di  trina  alla 
di  purpuree  fasce:  e  anche  di  vesti  da  foggia  del  cinque  e  seicento.  —  e  da  le 
lor  tessute  e  trapunte  ;  ricordati  di  Fior-  nere  ...  spinse  :  è  dei  luoghi  ove  la  per- 
diligi,  e  delle  due  tanto  belle  stanze,  fezione  della  nobile  eleganza  tocca  l'e- 
XLIII  155  sg. ,  dell'Ariosto.  —  mortala  stremo.  Quel  forte  uomo,  già  potente- 
.id  incontrar  periglio:  cfr.  il  v.  201;  di-  mente  disegnato  innanzi  a  noi,  costrusse 
stacco  non  solito  alla  lingua  moderna  macchine  da  guerra,  cinse  di  mura  ine- 
dell'aggettivo  dal  nome,  ma  senza  oscu-  spugnabili  la  città,  edificò  torri  litora- 
rità né  sforzo,  anzi  acquistando  all'ag-  nee  dalle  quali  dominando  il  mare  si 
giunto  efficacia  di  predicato;  il  P.  non  respingevan  le  incursioni  dei  predoni 
avrebbe  tollerato  il  verso  cosi  Correano  dell'Africa.  Ma  come  tutto  ciò  è  detto  ! 
ad  incoìUrar  mortai  periglio.  con  che   potenza   di    rappresentazione 

1169-"72.  0  invitto  campion, ....   Il  gè-  di  espressione  di  suoni!  —  verso  le  adu- 

neroso  pie....:  e  si  tratta  di  andare  a  de-  sto  spiagge,  riarse,  torride.  —  la  prcda- 

sinare.  trlce  Africa,  per  i  predatori  africani,  i 

1173.  il  lungo  Ordin  ...:  la  lunga  fila.  barbareschi.  —  spinse,  fu  cagione  che 

1175.  all'estreme,  alle  maggiori  sale.  fosser  re.spinti. 


04  IL  MATTINO 


1185         Vedi  quel  magro  a  cui  canuto  e  raro 

Pende  il  crin  da  la  nuca,  e  1'  altro  a  cui 

Su  la  guancia  pienotta  e  sopra  il  mento 

Serpe  triplice  pelo  ?  Ambo  s'  adornano 

Di  toga  magisti'al  cadente  ai  piedi: 
1190        L'uno  a  Temi  fu  sacro;  entro  a' licei 

La  gioventù  pellegrinando  ei  ti-asse 

A  gli  oi'acoli  suoi  ;  indi  sedette 

Nel  senato  de'  padri,  e,  le  disperse 

Leggi  raccolte,  ne  fé'  parte  al  mondo: 
1195        L'altro  saci'o  ad  Igea;  non  odi  ancora 

Presso  a  un  secol  di  vita  il  buon  vegliardo 

Di  lui  narrar  quel  che  da'  padri  suoi 

Nonagenari  udi,  com'  ei  spargesse 

Su  la  plebe  infelice  oro  e  salute 
1200        Pai-i  a  Febo  suo  nume?  Ecco  quel  granda 

A  cui  si  fosco  parruccon  s' innalza 

Sopra  la  fronte  spaziosa,  e  scende 

Di  minuti  botton  serie  infinita 

Lungo  la  veste.  Ridi  ?  Ei  novi  aperso 
1205        Studi  a  la  patria  ;  ei  di  perenne  aita 

1195.  Igeia  e  sarebbe  la  forma  scritta  dal  P.,  secondo  il  Reina:  ma  solo  in  CI.  è 
tenuta  ;  B.ha  Igea,  C.  Igia,  e  sono  queste  le  due  forme  normali  latine  di  v/eia,  e  le  usitate 
in  italiano  e  qui  meglio  opportune  al  verso.  —  1201.  perruccon  B. 


11S5-1200.  Per  ragione  di  varietà,  non  vecchio  quasi  centenne  che  riferisce  ciò 
che  di  convenienza  tra  essi  due,  qui  de-  che  udi  da  suoi  vecchi  novantenni,  fa 
signa  due  ritratti  insieme:  due  uomini  che  la  vita  del  qui  celebrato  si  deter- 
di  toga  e  di  cattedra,  V  uno  giurecon-  mini  a  mezzo  circa  il  secento.  —  oro  e 
sulto  insigne,  l'altro  medico  saggio  e  sainte:  benefattore  e  medico  insieme, 
benefico.  E  prima  ne  dà  in  pochi  tratti  r200-"12.  Un'altra  figura,  anche  que- 
r  imagine  :  quello  magro  e  con  pochi  sta  bravamente  lineata  :  è  il  magistrato 
bianchi  lunghi  capelli  alla  nuca,  questo  civico,  il  mecenate  provvido  sagace  ge- 
grassoccio  co' baffi  e  il  pizzo.  Poi  lave-  ueroso.  —  Ridlì  Non  è  ancora  il  me- 
ste del  grado  e  ufficio  loro.  Poi  l'opere  mento  che  il  p.  supponga  nel  suo  eroe 
e  i  meriti  di  ciascuno.  —  entro  a' lied,  noncuranza  di  tali  domestiche  glorie; 
agli  atenèi. —pellegrinandoci  trasse,  fece  ma  è  naturale  che  lo  veda  sorridere  in- 
accorrere quasi  in  pellegrmaggio.  —  agli  nanzi  a  quella  foggia  di  vestire  cosi 
oracoli  suol,  alla  sapiente  esposizione  lontana  dalla  sua  nuova  eleganza.  E  a 
del  giure,  eh'  era  quasi  parola,  responso  quel  ridere  oppone  il  serio,  tutti  i  me- 
di nume.  —  sedette  Nel  senato  de' padri,  riti  di  quel  parruccone;  aperse  scuole, 
patrum:  della  sua  sapienza  giovò  anche  fece  làsciti  perpetui  di  beneficenza,  ab- 
i  pubblici  consigli.  —  le  disperse  Leggi  belli  la  città,  le  die  acquedotti  e  fontane. 
raccolte,  ne  fé'  parte  al  mondo:  giurecon-  —  portici  e  vie  Stese...,  espressione  elet- 
sulto  e  senatore  insieme,  coinparò  e  com-  tissima,  secondo  il  lat.  sternere  viam.  — 
pose  e  pubblicò  leggi.  Per  la  forma  sin-  e  da  gli  ombrosi  Lor  lontani  recessi  a  lei 
tattica  cfr.  nota  al  v.  1091.  —  Presso  a  dedusse  Le  pure  onde  salnbri:  anche  più 
■n  secol  di  rita ...   Nonagenari  ndi  :  un  che  la  schiettissima  eleganza  è  notevole 


IL  MATTINO 


65 


I  miseri  dotò;  portici  e  vie 

Stese  per  la  cittade,  e  da  gli  ombrosi 
Lor  lontani  recessi  a  lei  dedusse 
Le  pure  onde  salubri,  e  ne'  quadrivi 

1210        E  in  mezzo  a  gli  ampli  fòri  alto  le  fece 
Salir  scherzando  a  rinfrescar  la  state, 
Madre  di  morbi  popolari.  Oh  come 
Ardi  a  tal  vista  di  beatcf  orgoglio, 
Magnanimo  garzoni  —  Folle!  A  cui  parlo? 

1215        Ei  già  più  non  m'  ascolta  :  odiò  que'  ceffi 

II  ^uo  guardo  gentil  ;  noia  lui  prese 
Di  si  vieti  racconti,  e  già  s' affretta 
Giù  per  le  scale  impaziente.  Addio, 
De  gli  uomini  delizia  e  di  tua  stirpe, 

1220        E  de  la  patria  tua  gloria  e  sostegno  ! 
Ecco  che  limili  in  bipartita  schiera 
T'  accolgono  i  tuoi  servi.  Altri  già  pronto 
Via  se  ne  corre  ad  annunciare  al  mondo 
Che  tu  vieni  a  bearlo  ;  altri  a  le  braccia 

1225        Timido  ti  sostien  mentre  il  dorato 
Cocchio  tu  sali  e  tacito  e  severo 

1214.  a  chi  B. 


il  senso  della  poesia  sempre  vivo,  per 
cui  il  p.  uou  manca  di  ligurare  auche 
il  luogo  alpestre  e  boscoso  ond'  è  presa 
la  vena  dell'acqua.  —  ne'  qnadrirl,  ne' 
crociali  delle  vie  cioè  dov'  è  più  gente 
e  movimento.  —  alto  le  fece  Salir  scher- 
zando a  rinfrescar  la  state:  maraviglia 
di  eleganza,  squisitissima  e  pur  sincera 
e  fresca  come  il  lieto  zampillare  delle 
fontane  che  descrive.  —  la  state,  il  ca- 
lore estivo;  Orazio  e.  I  17,  3  'defendit 
aextatem  capejlis'.  —  Madre  di  morbi 
pi)i)0lari,  nel  gran  caldo  più  facilmente 
avvengono  epidemie. 

1215-";:i0.  odiò  qnei  cef!!....  :  profondis- 
simo il  significato;  cosi  superbo  della 
sua  nascita  eccelsa  e  privilegiata,  colui 
è  ignaro  e  incurioso  delle  ragioni  sole 
che  posson  giustificare  il  privilegio  e 
costituire  un'  eccellenza.  Dopo  ciò,  e  dopo 
il  già  s'affretta  Ciid  per  le  scale  impa- 
ziente, quell'Addio...  scoppia  con  un'  in- 
lima veemenza  eh' è  impossibile  com- 
mentare, e,  tra  le  gentilezze  soggiunte, 
si  sente  che  il  vero  significato  è:  rom- 


piti il  collo.  Vedi  in  fatti  che  finisce  a  un 
di  presso  cosi  l'eloquente  pagina  del 
Carducci  St."  del  G.,  IV  195:  'Il  pre- 
cettore deWamabil  rito  non  è  l'autore 
abate,  è  un  personaggio  fatale,  è  la 
plebe  stessa  italiana  che,  fatta  conscien- 
za e  testimone  e  giudice  nel  suo  poeta, 
segue  a  passo  a  passo  il  Giovin  signore, 
gli  fa  le  smorfie  dietro,  lo  accenna  col 
dito  e  con  l'occhio  agli  sghignazzamen- 
ti, a  forza  d'inchini  lo  scorge  all'abis- 
so, su  '1  cui  orlo  con  tutta  solennità  gli 
dà  un  calcio,  gridandogli  sopra  in  versi 
elegantissimi  :  Muori,  buffone  crudele'  ! 

1221.  in  bipartita  sehicra:  non  vuol 
già  dire  che  iu  due  file  facciano  ala  al 
passaggio  del  padrone  (benché  la  frase 
per  sé  potrebbe,  a  dir  vero,  lasciarlo 
credere),  si  bene  che  son  divisi  in  due 
gruppi  per  diversi  uffici  quali  ora  saran 
divisati.  Già  udimmo  al  v.  266  del  primo 
ordine  servi,  e  il  simile   udiremo  poi. 

1222  sgg.  Altri  già  pronto...:  i  lacchè, 
anche  detti  volanti;  quali  precedono  a 
corsa  la  carrozza. 


Paeini  —  Albini 


66 


1230 


1235 


IL  MATTINO 


Sur  un  canto  ti  sdrai.  Apriti,  o  vulgo, 

E  cedi  il  passo  al  trono  ove  s'  asside 

Il  mio  Signore:  ahi  te  meschin  s' ei  perde 

Un  sol  per  te  de'  preziosi  istanti  ! 

Temi  il  non  mai  da  legge  o  verga  o  fune 

Domabile  cocchier  ;  temi  le  rote, 

Che  già  più  volte  le  tue  meml)ra  in  giro 

Avvolser  seco,  e^  del  tuo  impuro  sangue 

Corser  macchiate,  e  il  suol  di  lunga  striscia, 

Spettacol  miserabile  ! ,  segnare. 


12.}1.  Temi  '1  non  mai. 


1227.  Apriti,  o  vulgo...:  la  mossa  che 
intona  la  ehiusn. 

1229.  al  trono  :  alto  e  ampio,  il  dorato 
cocchio  ha  del  trono  ;  senza  poi  dire  che 
per  sé  trono  (9Qòvog)  non  altro  significa 
che  seggio. 

1231-36.  Temi  '1  non  mai  da  legge  o 
Terga  o  fune  Domabile  coccliier,  cioè  con- 
tro il  quale  inutihneiite  si  son  fatte  leggi 
e  m  esse  sancite  pene  di  colpi  di  verga 
e  tratti  di  corda;  di  tali  editti  ne  erano 
di  recentissimi  e  sincroni  quasi  ai  versi 
del  p.  ma  inefficaci  sempre,  come  le  al- 
tre gride  di  cui  dirà  il  Manzoni.  Il  coc- 
chiex'e,  come  spesso  il  servo  del  prepo- 
tente impunito  e  immune,  paitecipava 
della  prepotenza  inumana.  —  temi  le  ro- 
te... Già  ne  lasalabrità  dell'aria,  a  pro- 
posito delle  marcite  entro  l'ambito  delle 
mura,  pochi  anni  prima  avea  scritto, 

V.  79: 

K  la  comun  salute 
Saei-ificossi  al  pasto 
D'ambiziose  mute, 
Cbe  poi  con  crudo  fasto 
Calchin  per  l'ampio  strade 
11  popolo  che  cade. 
Qui  la  nota  umana  e  civile  ha  un'  am- 
piezza epica,  una  tragica  potenza.  «  Mez- 
zo secolo  fa  un  generoso  vostro  concit- 
tadino gridava  al  popolo  milanese  Temi 
'l  non  mai  da  legge  o  verga  o  fune...  », 
scrisse  poi  il  Foscolo,  tutta  trascrivendo 
questa  mirabile  chiusa,  e   ricordando 
che  «  il  costume  di  colorare  i  piedi  dei 


cavalli  e  le  rote  di  sangue  plebeo  era 
trapassato  in  diritto  »  {Sagg.  di  un  Gaz- 
zett.  del  bel  mondo,  n."  2;  opp.  IV  39), 
E  già,  vivo  ancora  il  Parini,  esso  il  Fo- 
scolo aveva  scritta  la  lettera  al  prefetto 
di  polizia  Sopransi  (ben  la  richiamò  a 
raffronto  il  prof.  Posocco,  la  Biblioteca 
delle  scuole  class,  ital.  marzo  1S94)  che 
incomincia  :  «  Ti  scrivo  colle  mani  ba- 
guate  nel  sangue  di  un  vecchio  eh'  io 
raccolsi  da  terra  schiacciato  da  una  car- 
rozza.... Il  cocchiero....  seguitava  indif- 
ferentemente il  suo  corso...  ».  Ciò  in  data 
3  ventoso  I79S:  e,  per  quanto  il  mondo 
sia  camminato  e  molte  cose  addolcite, 
anche  oggi  si  dice  che  chi  va  a  piedi 
ha  sempre  torto.  —  e  del  tno  impuro 
sangue  Corser  macelliate  e  il  suol  di  lauga 
striscia,  Spettacol  misirabilc! ,  segnaro: 
nota,  tra,  le  tante  che  si  potrebber  no- 
tare, come  la  naturale  e  lunga  esclama- 
zione posta  innanzi  a  segnaro  valga  quasi 
a  prolungare  innanzi  agli  occhi  nostri 
la  striscia  del  sangue.  Né  è  ozioso  av- 
vertire, come  avverti  il  Borgognoni,  che 
con  questa  effusione  di  impuro  sangue 
finisce  il  canto  che  mosse  dal  sangue 
jji'rissimo  celeste.  —  miserabile,  vuol 
dire  triste  per  sé  e  che  desta  compas- 
sione: 'miserabiles  Decautes  elegos', 
scriveva  Orazio  a  Tibullo,  e.  I  33,  2;  e 
il  Tasso,  Ger.  lib.  IV  25  :  'Beltà  dolente 
e  miserabil  pieghi  Al  tuo  volere  i  più 
ostinati  petti'. 


IL  MEZZOGIORNO 


10 


Ardirò  aucor  tra  i  desinari  illustri 

Sul  meriggio  innoltrarmi  umil  cantore, 
Poi  che  troppa  di  te  cura  mi  punge, 
Signor,  ch'io  spero  un  di  veder  maestro 
E  dittator  di  graziosi  modi 
All'alma  gioventù  che  Italia  onora. 

Tal  fra  le  tazze  e  i  coronati  vini, 
Onde  all'ospite  suo  fé' lieta  pompa 
La  punica  regina,  i  cauti  alzava 
Jopa  crinito:  e  la  regina  intanto 
Dal  bel  volto  straniero  iva  beendo 
L'oblivion  del  misero  Siclièo. 


Titolo  B  e  e  ÌIj  Meriggio  ;  CI.  Il  Mezzogiorno  ma  riproducendo  la  nota  del  Reina 
„  Il  M6ri--io'è  il  titolo  dell'  ultimo  testo  ».  -  1.  fra  V.  (B.,  C.)  -  2.  umil  Cantore  - 
3.  Poiclié°—  6.  A  l'alma  B.  —  11.  Da'  begli  occhi  stranieri.  Da  begli  occhi  straniero 
C.  per  mal  corretta  stavipa. 


1-2.  tra  i  desinari  illustri,  cioè  de' 
grandi  :  cfr.  il  Matt.  1172  '  all'alte  men- 
se' e  nota  la  rispondenza,  in  antitesi 
chiastica,  col  seguente  umil  cantore. 
Avverti  ancora  clie  qui  il  p.  non  si 
chiama  precettore  ma  si  cantore:  è 
più  a  proposito,  e  conduce  natural- 
mente alle  idee  e  comparazioni  classi- 
che, quali  Siam  per  leggere  ai  versi  7-19. 

3.  troppa  di  te  cura  mi  punge:  cioè, 
a  pigliarmi  un  tale  ardimento  mi  sforza 
il  mio  grande  interessamento  per  te  in 
cui  ho  posta  si  grande  speranza. 

5.  dittator,  potrebbe  stare  per  detta- 
tore come  dittato  per  dettato  (lat.  die- 
tata)y  e  sarebbe  un  séguito  o  comple- 
mento dell'  idea  già  significata  in  mae- 
stro :  ma  è  assai  meglio  intendere  per 
arbitro  assoluto,  derivandone  il  nome 


dalla  suprema  e  straordinaria  magi- 
stratura di  Roma.  Del  resto,  se  il  P. 
avesse  posto  questa  parola  nel  primo 
significato,  difficilmente  l'avrebbe  poi 
lasciata  che  non  la  mutasse  in  dettator, 
egli  che  il  dilicato  mutò  sempre  in  de- 
licato; e  qui  c'era  di  più  da  toglier 
via  r  ambiguità. 

7-12.  Tal  :  siamo  in  piena  epopea, 
nel  mondo  degli  eroi;  gli  aèdi  cantano 
alle  mense.  E  il  p.  sceglie  ottimamente 
esempi  insigni  e  notissimi:  il  primo, 
dal  banchetto  ospitale  di  Bidone  a  Enea. 
—  fra  le  tazze  e  i  coronati  vini,  è  il 
verso  dell'  Eneide  I  721  '  crateras  ma- 
gnos  statuunt  et  vina  coronant  ',  cioè 
(questo  è,  almeno,  il  modo  in  che  il  P. 
intese)  inghirlandano  e  infiorano  i  bic- 
chieri pieni  di  vino.  —  i  canti  alzara  lopa 


68 


IL  MEZZOGIORNO 


E  tale,  allor  che  l'orba  Itaca  in  vano 

Chiedea  a  Nettnn  la  prole  di  Laerte, 
15        Femio  s'udia  co'  versi  e  con  la  cetra 

La  facil  mensa  rallegrar  de'  proci 

Cui  dell'errante  Ulisse  i  pingui  agnelli 

E  i  petrosi  licori  e  la  consorte 

Convitavano  in  folla.  Amici  or  china, 
20         Giovin  Signore,  al  mio  cantar  gli  orecchi, 

Or  che  tra  nuove  Elìse  e  nuovi  proci 

E  tra  fedeli  ancor  Penelopèe 

Ti  guidano  a  la  mensa  i  versi  miei. 
Già  dall'alto  del  cielo  il  sol  fuggendo 

17.  de  l'errante  B.  —  19.  Invitavano  al  pranzo.  Amici  or  piega  —  24.  Già  dal  n 
jio  ardente         da  l'alto  del  cielo  B. 


crinito  ;  ivi  vv.  740  sgg.  '  Cithara  crinitus 
lopas  Personal  aurata  ',  lopa  Co'  caioei 
luìighi   e  con  la  cetra  d' oro,  dice  il 
Caro.  —  Dal  bel  volto  straniero,  meglio 
ctie  la  prima  lezione  da'  begli   occhi 
stranieri  :  Didone  bevea  amore  non  da 
soli  gli  occhi  di  Enea,  e  limitare  il  fa- 
scino agli  occhi,  trattandosi   d'  uomo, 
era  men   bello.  —  iva  beendo  :   cosi   è 
reso,  come  forse  non  si  poteva  meglio, 
lo  stupendo  emistichio  del  v.  749  '  lon- 
gumque  bibebat  amorem  '.  Vedi  quanto 
inferiore,  pur  con   la   sua  franca  ele- 
ganza, il  traduttore  cinquecentista: 
...  E  l'infelice  Dido 
Che  già  fea  dolce  con  Enea  diinora, 
Quanto  bevesse  amor  non  s'accorgendo, 
A  lungo  ragionar  seco  si  pose. 

13-19,  E  tale...  :  la  seconda  compara- 
zione è  dall'  odissea,  e  l' àmbito  del 
poema  è  benissimo  descritto  per  il  tempo 
che  r  isola  d' Itaca  era  ancora  in  desi- 
derio, pur  dopo  la  presa  di  Troia,  del 
suo  re  Ulisse,  errante  per  l'ira  di  .Net- 
tuno da  lido  a  lido.  —  Femio  è  il  primo 
degli  aèdi  che  figurano  nell'Odissea, 
caro  e  fido  alla  famiglia  d'Ulisse;  I  151  : 

e  l'araldo  tra  inani  la  cetra  bellissima  pose 
a  Femio  che  cantava  nel  mezzo  a'  proci 
[costretto. 

La  facil  mensa ...  de'  proci  :  poiché  è 
chiaro  che  il  P.  avea  innanzi  un  luogo 
omerico  determinato,  vale  a  dire  il 
banchetto  del  lib.  1,  viene  anche  di  li 


il  senso  eh'  ei  diede  a  la  facil  menst 
è  la  tavola  d'un  altro,  la  quale  m 
costa  nulla  ed  è,  in  assenza  del  padron 
sicura.  Ciò  appunto  (e  non  allargo 
citazioni)  dice  Telemaco  ad  Atena  a| 
parsagli  in  figura  di  Mente,  ivi  159; 

costoro  tali  cose  si  godono,  catara  e  cani 
facilmente  (èela),  mangiando  da  l'altrui  vi 
[to  sacui 
d'  un  uom  le  cui  bianche  ossa  su  qualcl 
[lido  giacei^ 
a  la  pioggia  si  macerano,  o  l'onda  pa'l  m 
[le  travolg 
So  lui,  se  lui  a  Itaca  vedessero  ritornar 
8'au;;urerebber  tutti  d'esser  veloci  a  la  con 
pili  assai  che  di  tesoro  doviziosi  o  di  vesK 

—  i  petrosi  licori:  i  vini  delle  balze  it 
cesi.  Alamanni,  la  Coltiv.  IV: 

.  .  .  non  son  tutti 
Simiglianti  i  terren;  quello  è  pietroso, 
Quello  è  trito  e  leggieri 


il  vino  fa  meglio  in  quel  primo,  e  p* 
rò  può  anch'  esso  con  ardimento  dir 
pietroso.  —  Convitavano  In  folla:  m 
senso  di  allettavano ,  attraevano.  L' 
spressione  elettissima  ha  tolto  il  luq 
alia  prima,  volgaruccia,  Invitav 
al  pranzo. 

21-23.  Elise:  Didone,  tutti  sanno,  s 
chiamava  anche  Elisa  o  Elissa,  —  P( 
nelopèe  :  è  la  forma  regolare  latina  de 
r  omerico  nrjveXóneia  (  che  propriam 
vale  tessitrice);  poi  ntjvsXónt].  E  tal  nom 
venne  a  significare  per  eccellenza  li 


k 

wj 


■I 


IDild 


;oI( 


IL  MEZZOGIORNO 


69 


25        Verge  all'  occaso  ;  e  i  piccoli  mortali 
Dominati  dal  tempo  escon  di  novo 
A  popolar  le  vìe  eh' all' oriente 
•  Spandon  ombra  già  grande:  a  te  nuli' altro 
Dominator  fuor  che  te  stesso  è  dato, 

30        Stirpe  di  numi;   e  il  tuo  meriggio  è  questo. 
Alfin  di  consigliar.si  al  fido  speglio 
La  tua  Dama  cessò.  Cento  già  volte 
O  chiese  o  rimandò  novelli  ornati, 
E  cento  ancor  de  le  agitate  ognora 

35        Damigelle  or  con  vezzi  or  con  garriti 
Rovesciò  la  fortuna  ;  a  sé  medesma 
Quante  volte  couvien  piacque  e  dispiacque, 
E  quante  volte  è  d'uopo  a  sé  ragione 
Fece  e  a'  suoi  lodatori.  I  mille  intorno 

25.  a  1'  occaso  B.  i  piccioli  —  30.  È  un  v.  aggiunto,    e    da    tutti   accolto. 
aante  uopo  è  volte  Chiedette  e  r.  n.  o.  ;  Quante  convìen  de  le  a.  o. 


loglie  fedele,  di  una  fedeltà  che  tollera 
assenza,  resiste  ai  pericoli  e  si  difende 
•i  on  r  industria  dalle  insidie. 

85  sg.  i  piccoli  mortali  Dominati  dal 
ujliiiipo:  la  gente  minuta  che  lascia  al 
i  >le  il  governo  delle  ore,  e  queste  ore 
im  a  bisogno  di  mettere  a  profitto. 

27  sg.  le  vie  che  all'  oriente  Spandon 
nbra  già  grande  :  le  vie  cittadine  nelle 
re  dopo  il  meriggio  cominciano  a  om- 
ifeggiarsi,  e  le  ombre  cadono  dagli  edi- , 
zi  a  occidente  verso  oriente,  crescendo 
ii|on  r  avvicinarsi  del  tramonto.  Nulla 
particolarm.  notevole  nell'  espres- 
ione,  pur  poeticam.  rapida  nel  costrutto 
!  vie  spandon  ombra, 

28-30.  a  te  nuli'  altro  Dominator  fuor 
he  te  stesso. . .  :  nessun  altro  ;  né  pure 

sole  tu  riconosci  a  regolatore  del 
jmpo,  e  hai,  indipendente  da  esso,  il 
IO  meriggio,  come  già  il  tuo  mattino 
!fr.  il  Matt.  V.  33  sg.).  —  è  questo,  os- 
a,  a  quest'ora,  e  cosi  fatto  com'io  son 
er  dire.  —  Felicissima  aggiunzione  il 

30;  compie  l'euritmia  e  l'antitesi  col 
ensiero  precedente  —  il  sole  declina, 

il  volgo  esce  a  sue  faccende;  ma  tu 
on  dipendi  dal  sole,  e  quindi  hai  altro 
leriggio  e  altre  cure  — ;  e  poi  richiama 

rinnova  a  punto,  e  bene  a  proposito, 

luogo  corrispondente  ora  citato  del 
rimo  poema. 

31  sg.  Alfln...:  della  toilette  del  Gio- 


vin  signore  vedemmo  largamente  il  pro- 
logo e  tutte  le  scene  ;  di  quella  della 
Dama  non  vediam  che  1'  epilogo.  E  sta 
benissimo,  perché,  già  fu  detto,  la  cura 
dell'  adornarsi  è  conveniente  alla  donna 
quanto  disdice  all'uomo.  Ciò  non  toglie 
che,  trattandosi  di  una  pudica  dama 
che  fa  troppe  smorfie  e  ha  troppi  ca- 
pricci, il  p.  accolga  in  breve  spazio  an- 
che di  lei  una  garbata  caricatura. 

32-34.  Manifeste  le  ragioni  dei  ritoc- 
chi per  cui  son  tolte  via  le  durezze  del 
Quante  uopo  è  volte  e  del  chiedette,  e 
certe  frasi  che  tornano  in  séguito,  qui 
sono  per  varietà  mutate.  —  noTelli  or- 
nati :  lat.  ornatus,  abbigliamenti,  ac- 
conciature. —  de  le  agitate  ognora  ...: 
incalzate  sempre  da'  comandi  della  pa- 
drona che  loro  non  dà  tregua.  Non  c'è 
tanto  né  solo  il  senso  nostro  di  agitato 
per  irrequieto  o  trepidante,  ma  ancora 
e  più  dell'  agitatus  lat.  :  in  frasi  come 
Orestes  actits  o  agitatus  Furiis. 

35  sg.  or  con  vezzi  or  con  garriti  Ko- 
Teselo  la  fortuna  :  con  lodi  e  con  ram- 
pogne ora  diede  ora  tolse  favore  alle 
ancelle,  sicché  queste  rapidamente  sali- 
vano in  grazia  e  cadevano  in  disgrazia. 
Questo  cenno  richiama  naturalmente  al 
pensiero,  e  anch'  essi  in  compendio  e 
meno  eccessivi,  gli  strani  eventi  che 
narra  il  Mattino  ai  vv.  581-626. 

37.  sg.  Cenante  volte  conrlen...,  quante 


70 


IL  MEZZOGIORNO 


40        Dispei'si  arnesi  alfin  raccolse  in  uno 
La  consapevol  del  suo  cor  ministra; 
Alfla  velata  d'un  leggìer  zendado 
E  l'ara  tutelar  di  sua  beltate; 
E  la  seggiola  sacra  un  po'  rimossa, 

45         Languidetta  l'accoglie.  Intorno  a  lei 
Pochi  giovani  eroi  van  rimembrando 
I  cari  lacci  altrui,  mentre  da  lunge 
Ad  altra  intorno  i  cari  lacci  vostri 
Pochi  giovani  eroi  van  rimembrando. 

50     II  marito  gentil  queto  sorride 

A  le  lor  celie;  o  s'ei  si  cruccia  alquanto, 
Del  tuo  lungo  tardar  solo  si  cruccia. 
Nulla  però  di  lui  cura  te  prenda 


42.  di  legge 
—  47.  da  lungi 


V.  (B.,  CI.,  C.)  —  43.  beltade  V.   (B.,  CI.,  C.)  —  45.  Intorno    ad    essa 


Tolte  è  d'nopo...:  secondo  la  mutabilità 
e  incontentabilità  della  dama.   Il  p.  al 
solito  tratta  come  una  convenienza,  una 
necessità,  una  legge,  ciò  ch'è  debolezza 
o  vizio  del  suo  personaggio.  E  con  so- 
bria eleganza  lascia  intravedere  la  si- 
gnora che,  facendo  sue  piccole  mosse 
innanzi  allo  specchio,  va  dicendo:  que- 
sto mi  sta  bene,  questo  no;  lo  dicevo 
io,  ateva  ragione  il  tale,  e  simili. 
Pur  se  dal  tuo  giudizio 
Dissento,  il  porta  in  pace  : 
Negletto  e  senza  studio 
Pili  il  viso  tuo  mi  piace: 

dice  una  canzonetta  del  Savioli,  U  mat- 
tino, e  può  essere  esempio  dei  dissensi, 
più  lusinghieri  spesso  che  i  consensi. 
Ira  la  dama  e  i  corteggiatori. 

40.  raccolse  in  uno  :  cioè  tutt'insieme, 
e  propriamente  su  la  toilette  designata 
appresso. 

41.  La  prima  cameriera.  E  forsu  la 
solenne  perifrasi  non  vuol  dir  altro  se 
non  colei  che  conosce  i  tuoi  gusti;  sen- 
z'  allargarsi  a  intendere,  come  nella 
canz.  del  Savioli  all'  ancella. 

Tu  pia,  tu  consapevole 
De'  più  segreti  guai.  .  . 

—  del  suo  cor,  piccolo  cuore  che  s'agita 
e  8'  acqueta  solo  per  la  toilette  e  la 
moda;  degno  di  que'  capi  che  vedemmo 
governati  dal  parrucchiere,  il  Matt.  635. 


42-44.  Alfln. ..:  compiuto  il  lungo  la- 
voro della  pettinatura,  la  cameriera  ri- 
pone e  ricompone  tutto  su  la  toilette  e 
poi  abbassa  i  veli  che  la  coprono.  —  d'on 
leggfier  zendado,  emistichio  ariostesco, 
VII  28.  —  l'ara,  cfr.  il  Matt.  v.  485  e 
la  nota.  —  tutelar,  in  quanto  l'opera  della 
toilette  aiuta  e  mantiene  la  bellezza 
però  del  gabinetto  di  toilette  diceva  il 
.Savioli,  il  matt.  13, 

S'  erge  segreto  un  tempio 
Dell'ampie  coltri  a  lato  : 
Là  tue  bellezze  aspettano 
Il  sacrifizio  usato. 

—  la  seggiola  sacra:  quella  della  toilett 
che  è  ara,  però  cosa  sacra  anch'  essa 
E  ivi  seduta,  con  molle  abbandono,  li 
Dama  ammette  i  visitatori  convitati 

46-49.  Suona  benissimo  la  ripetizion 
dello  stesso  verso  a  rendere  la  rispon 
denza  dello  stesso  fatto  :  e  la  prima  volt; 
il  verso  precede  1'  oggetto,  la  second 
gli  vien  dopo  e  fa  da  chiusa.  Avverti  aii 
cora  che  il  van  rimembrando  non  vuc 
certo  significare  discorsi  affatto  innocu 
ma  anzi  aspersi  di  malizie  e  di  scherz, 
e  in  fatti  tra  due  versi  son  chiamati  et 
He  :  da  ciò  ha  sapore  il  riscontro  pe 
cui,  al  tempo  stesso  che  intorno  a  qut 
sta  dama  si  parla  d'altri,  intorno  a 
altri  si  parla  di  lei. 

53.  Nulla  però ...  :  non  darti  dunqu 
nessun  pensiero  di  lui.  Nulla  agg.  f 


IL  MEZZOGIORNO  71 


Oggi,  o  Signore,  e  s'ei  del  vulgo  a  paro 
55        Prostrò  l'anima  imbelle,  e  non  sdegnosse 

Di  chiamarsi  marito,  a  par  del  vulgo 

Senta  la  fame  esercitargli  in  petto 

Lo  stimol  fier  degli  oz'iosi  sughi 

Avidi  d'esca:  o  s'a  un  marito  alcuna 
GO        D'anima  generosa  orma  rimane, 

Ad  altra  mensa  il  pie  rivolga,  e  d'altra 

Dama  al  fianco  s'assida  il' cui  marito 

Pranzi  altrove  lontan  d'un' altra  al  fianco 

Ch'abbia  lungi  lo  sposo,  e  cosi  nuove 
65        Anella  intrecci  a  la  catena  immensa 

Onde  alternando  Amor  l'anime  avvince. 
Ma  sia  che  vuol,  tu  baldanzoso  innoltra 

Ne  le  stanze  più  interne:  ecco  precorre 

Ad  annunciarti  al  gabinetto  estremo 
70         II  noto  scalpiccio  de'  piedi  tuoi. 

Già  lo  sposo  t' incontra.  In  un  baleno 

Sfugge  dall'altrui  man  l'accorta  mano 

De  la  tua  Dama,  e  il  suo  bel  labbro  intanto 

Ti  apparecchia  un  sorriso.  Ognun  s' arretra 
75         Che  conosce  tuoi  dritti,  e  si  conforta 

S4.  8' egli  a  par  del  vulgo  —  59  sg.  o  se  a  i  mariti  alcuno  D'anima  generosa  impeto 
resta,  V.  (B.)  —  60.  ombra  rimane,  V.  (CI.,  C.)  —  62.  si  assida  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  63- 
a  Iato  —  66.  annoda.  —  67.  Pur  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  69.  Per  —  70.  stropiccio  —  72.  da 
l'altrui  B.  —  74.  T'apparecchia  —  75.  Che  conosce  C.  e  forse  bene.  1  tuoi 


gifi  visto,  il  Matt.  395  e   qui  sopra  al  gnifica  la  lieve  traccia  che  resta  di  una 

V.  28.  cosa.  11  p.,  nel  dubbio  qual  fosse  più 

54.  del  vulgo  a  paro:  cosi  il  p.  mutò  proprio,  pensò  anche  OHì&ra;  poi,  forse 

in  questo  verso  il  primitivo  a  par  del  perché  i  troppi  a  gli  davan  noia,  scrisse 

vulgo,   qual  è  serbato   tra   due   versi;  la  variante  impeto  resta,  ove  impeto 

credo,  perché  la  sua  linezza  senti  che,  varrebbe  moto,  impulso, 
dopo  le  prossime  ripetizioni  del  «an  ri-  65.  introoci:  coordinato  a  rivolga  e 

membrando  e  del  ,^i  cruccia  —  e  pii'i  si  assida;  è  sempre  quel  tal  marito  che, 

altre  simili  seguono  poco  lontane—,  era  cosi  facendo,  viene  ad  aggiungere  anelli 

più  efficace  una  ripetizione  con  parole  alla  catena  degli  amori, 
inverse  che  non  con  eguale  cadenza.  66.  alternando:  cioè,  con  tali  avvicen- 

55  sg.  Per  il  pensiero,  ognuno  ricorda  damenti. 
il  Matt.  298-308;  e  per  la  frase,  la  cad.  67.  sia  che  vuol:  comunque  sia,  qua- 

83  '  r  anima  tenti  Prostrarmi  a  terra?'  lunque  cosa  avvenga.  Come  se  si  trat- 

57-59.  Senta  la  fame  tormentarlo,  ma  tasse  di  sfidare  un  pericolo  ! 
tal  compimento  è  dato  con  una  delle  75.  si  co:.fjrta  Con  le  adnlte  speranze, 
solite  eleganti  perifrasi,  in  cui  è  detta  cioè  non  più  nascenti  né  incerte  ma 
la  cagione  del  tormento  :  sono  i  succhi  bene  avviate  e  con  buon  fondamento, 
gastrici  oz'iosi  e  avidi  d' esca,  due  ag-  L'  espressione  riesce  iiiù  chiara,  prece- 
giunti  che  si  compiono  V  un  1'  altro.  duta  com'è  prossimaménte  dalle  parole 

60.  orma,  come  in  latino  vestigia,  si-  S/'ugge  dall'altrui  man  l'accorta  mano 


72  IL  MEZZOGIORNO 


Con  le  adulte  speranze,  a  te  lasciando 

Lìbero  e  searco  il  più  beato  seggio. 

Tal  colà  dove  infra  gelose  mura 

Bisanzio  ed  Ispaàn  guardano  il  fiore 
80        De  la  beltà  che  il  popolato  Egèo 

Manda  e  l'Armeno  e  il  Tartaro  e  il  Circasso 

Per  delizia  d'un  solo,  a  bear  entra 

L'ardente  sposa  il  grave  Musulmano. 

Ti'a  '1  maestoso  passeggiar  gli  ondeggiano 
85        Le  late  spalle,  e  sopirà  l'alta  testa 

Le  avvolte  fasce:  dall' arcato  ciglio 

Intorno  ei  volge  imperioso  il  guardo  ; 

Ed  ecco  al  suo  apparire  umil  chinarsi 

E  il  pie  ritrar  l'effeminata  occhiuta 
90        Turba  che  d'a]to  sorridendo  ei  sijregia. 
Or  comanda,  o  Signor,  che  tutte  a  schiera 

Vengan  le  grazie  tue,  si  che  a  la  Dama 

Quanto  elegante  esser  più  puoi  ti  mostri. 

Tengasi  al  fianco  la  sinistra  mano 
95        Sotto  il  breve  giubbon  celata,  e  l'altra 

Sul  finissimo  lin  posi,  e  s'asconda 

Vicino  al  cor:   sublime  alzisi  '1  petto, 

Sorgan  gli  òmeri  entrambi,  e  verso  lei 

Piega  il  duttile  collo;  ai  lati  stringi 

83.  Munsulmano  —  84.  Nel  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  85.  su  per  l'alta  V.  (B.,  CI.,  C.)  — 
8(5.  da  l'arcato  B.  —  87.  EI  volge  intorno  —  88.  E  vede  al  su'  apparire  —  90.  T.  che 
sorridendo  egli  dispregia.  —  91.  Ora  imponi,  —  92.  Si  dispongan  tue  grazie,  e  a  la  tua 
—  93.  ti  mostra.  —  95.  Sotto  al  V.  (CI-,  C.)  —  98-102.  entrambi  ;  a  lei  converso  Scenda 


De  la  tua  Dama:  in   somma,   tra  il  late  [le  Arpie]'.  —  Superfluo  è  segna- 

marito  e  il  servente  si  prepara  luogo  a  lare  la  originalità,  r  efficacia  di  questa 

un  terzo.  —  si  conforta,  grammatical-  comparazione,  non  che  la  maestria  della 

mente,  o  letteralmente,  non  può  avere  fattura;  quanto  è  solenne  l'incesso  e  la 

altro  soggetto  che  ognun;  ma  è  facile  persona  del  signore,  tanto  umilile  figure 

intendere  che,  mentre  ognun  s"  arre-  e  gli  atti  degli  eunuchi  che  quasi  si  anni- 

tra,  soltanto  si  confortq  e  spera  colui  chiliscono  e  scivolano  via  innanzi  a  lui. 
che  n'  ha  particolare  argomento.  9S  sgg.  A  questo  punto  la  caricatura 

78-90.  Bisanzio  ed  Ispaàn  :  le  città  ca-  richiama  in   parte  quella  del   maestro 

pitali  della  Turchia  e  della  Persia.  —  11  di  ballo,  il  Malt.  190  sgg.  —  In  qucati 

grate  Mnsalraano:  precisam.il  Sultano,  versi  98-102  non  m' è  parso  che  la  va- 

determinato  da'  particolari  precedenti.  riante  sia  più  felice  e  schietta  che  la 

É  un  verso  che  chiude  col  suono  di  uno  prima  lezione.  Ma  la  correzione  e  ag- 

spondiaco  latino.  —  Tra  '1  maestoso  pas-  giunzione  che  vien  dopo,  ai  vv.  103-108, 

■egglar,  più  bello  e  descrittivo  che  Nel  è  in  vece  molto  opportuna,  e  toglie  quel 

maestoso...  Cfr.  V  Inter  latino  in  frasi  po' di  secco  e  d'ineguale  ch'era  nel  far 

come  inter  eundum.  —  Le  late  spalle,  seguire  immediatamente  alla  proposiz. 

larghe,   ampie:    latinismo    felicemente  la  destra  Ella  intanto  ti  porga  Vailtra. 

ripreso.  Dante,  Jnf.  xm  13  '  Ale  hanno  e  molle  caschi  etc. 


IL  MEZZOGIORNO  73 

100        Lo  labbra  un  poco;  vèr  Io  mezzo  acute 

Rendile  alquanto,  e  da  la  bocca  poi 

Compendiata  in  guisa  tal  se  u'  esca 

Un  non  inteso  mormorio.  Qual  fia 

Che  a  tante  di  beltade  arme  possenti 
105         Schermo  si  opponga?  Ecco  la  destra  ignuda 

Già  la  bella  ti  cede.  Or  via  la  strignì, 

E  con  soavi  negligenze  al  labbro 

Qual  tua  cosa  l'appressa,  e  cader  lascia 

Sovra  i  tiepidi  avorj  un  doppio  bacio. 
110        Siedi  fra  tanto;  e  d'una  mano  istrascica 

Più  a  lei  viciu  la  seggioletta.  Ognaltro 

Tacciasi;  ma  tu  sol  curvato  alquanto 

Seco  susurra  ignoti  detti,  a  cui 

Concordin  vicendevoli  sorrisi, 
115         E  sfavillar  di  cupidette  luci 

Che  amor  dimostri,  o  che  il  somigli  almeno. 
Ma  rimembra,  o  Signor,  che  troppo  nuoce 

Negli  amorosi  cor  lunga  e  ostinata 

Tranquillità.  Su  l'oceano  ancora 
120         Perigliosa  è  la  calma:  oh  quante  volte 

il  duttile  collo;  a  i  lati  un  poco  Stringansi  i  labbri  ;  vèr  lo  mezzo  acuti  Escano  alquanto, 
e  da  la  bocca  poi  Compendiata  in  forma  tal  sen  fugga  V.  (B.)  —  103  ggg.  La  destra  Ella 
iutauto  li  porga;  e  molle  caschi  Sopra  i  tiepidi  a.  un  d.  bacio.  (CI.)  Ve  dunque  amplia- 
vietilo  di  quattro  versi.  -^  104.  armi  C.  —  106.  ti  crede  C.  (e  Ved.  Barbèra  18t>8)  stringi 
C.  —  107.  Soave  negligenza  C.  —  109.  Sopra  —  110  ag.  Siedi  tu  poscia,  e  d'una  niau 
trascina  Più  presso  a  lei  1.  s.  Ognuno  —  116.  o  che  lo  finga  —  118.  In  amoroso  cor 
V.  (B.,  CI.,  C.)  —  119.  Neil'  V.  (CI.,  C.)  Ne  1'  B.  —  120.  ahi  V.  (B.,  CI.,  C). 


101-'03.  iexporrecto  labello,  Persio)  frià  im23rimi  :  tutto  con  languore  e  con 
Compendiata  In  guisa  tal,  cioè  impiccoliia  .   calma.  Nroi  è  passione,  è  smorfia. 
e  ristretta  ne'  modi  descritti.  —  Un  non  116.  o  che  11  somigli  almeno:  la  1*  lez. 
Inteso  mormorio,  un  bisbiglio  indistinto  che  lo  /luya  era  troppo  cruda  e  sco- 
di saluto  e  compliuiento,  un  fll  di  vo-  perta. 
ce:  tratto  verissimo  di  certi  delicati.               119-126.  È  una  delle  trovate  mirabili 

105  sg.  la  destra  ignudu  («iii  la  b.lia  elle  al  nostro  p.  vengono  cosi  opportune 

ti  cede,  ti  abbandona,  ti  lascia  pieudere.  e  spontanee,  e  nel   mentre  che  con   la 

Pretto,  e   qui  dun,',   latino  saiebbe   li  sproporzione  dei  confronti  aggiungono 

crede,  cioè  ti  affida,  ma  è  lezione  che  efficacia  alla  trattazione  satirica,  per  sé 

apparisce  solo  nel  Cantù,  e  forse  dovuta  stesse  arricchiscono  la  materia  di  tanta 

a  inavvertenza  o  incorsa  per  caso.  poesia.  La  tranquillità  non  sia  troppa, 

107-'09.  Qnal  tua  cosa,  più  che  a  l'ap-  non  troppo  pacifico  l'amore:  anche  nel 

pressa  va  strettamente  unito  a  con  8oa\i  mare  la  gran  bonaccia  è  noiosa  e  dan- 

negligenze  (questo  plurale  indica  atti  di  nosa!  Il  navigare  a  vela  era  fatto  impos- 

8oave  negligenza):  recati  quella  mano  sibile  quando  non  spirava  un' aura,  e  la 

alle  labbra  con  la  garbata  placidezza  di  tranquillitas  diveniva  a  dirittui-a,  come 

chi  usa  un  diritto  e  una  cosa  propria;  dicean  grecamente  i  latini,  maiacia.  Alla 

altra  sarebbe  la  furia  d'un  amante  fur-  mente  classica  del  P.  occorsero  iiidub- 

tivo.  Soggiunge  e  cader  lascia...,  non  blamente   ricordi  del  ciclo   troiauo.  — 


74 


IL  MEZZOGIORNO 


Dall'immobile  prora  il  buon  nocchiei'o 

Invocò  la  tempesta  !  e  si  crudele 

Soccorso  ancor  gli  fu  negato;  e  giacque 

Affamato  assetato  estenuato 
l'25        Dal  venenoso  aere  stagnante  oppresso 

Fx-a  le  inutili  ciurme  al  suol  languendo. 

Però  ti  giovi  de  la  scorsa  notte 

Ricordar  le  vicende,  e  con  obliqui 

Motti  pungerl'  alquanto,  o  se  nel  volto 
130        Paga  più  che  non  suole  accor  fu  vista 

Il  novello  straniero,  e  co'  bei  labbri 

Semiaperti  aspettar,  quasi  marina 

Conca,  la  soavissima  rugiada 

De' novi  accenti,  o  se  cupida  troppo 
135         Col  guardo  accompagnò  di  loggia  in  loggia 

Il  seguace  di  Marte,  idol  vegliante 

De'  femminili  voti,  a  la  cui  chioma 

Col  lauro  trionfai  s'avvolgon  mille 

E  mille  frondi  dell' idalio  mirto. 

121.   Da  1'  B.  nocchiere  —  125.  velenoso  (B.)   —    126.  Tra  1'  inutile  ciurma  —  127. 
Dunque   a   te   giovi   V.  (B.,  C),  —  129.  pugnerla  alquanto  V.  (B.  ma  pungerla,    CI.  C.) 

—  131.  straniere  —  136.  L'almo  alunno  di  Marte  V.  (CI.,  0.)  —  137.    fominili  (B.,  CI.) 

—  138.  mille  s'avvolgono  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  139.  de  1'  B. 


Affamato  assetato  estenuato  :  formare  il 
verso  di  più  parole  con  la  stessa  desi- 
nenza pare  aggiungere  con  l' insisten- 
za nel  suono  intensità  all'idea:  Gozzi 
«Rimbalzando,  spumando,  rintuonau- 
do»,  Monti  '  Tutto  strame,  letame  e  pu- 
tridame  ».  —  Dal  venenoso...,  maligno, 
irrespirabile:  in  tal  senso  insolito  pre- 
ferì a  velenoso  la  forma  più  latineg- 
giante,  anche  perché  dà  suono  più  a- 
dalto  a  questo  verso  maestrevolmente 
lento.  —  le  inutili  ciurme,  i  marinai  chà 
non  gli  posson  giovare  a  nulla:  cosi 
ne  la  caduta  disse  vano  il  bastone  die 
non  valse  a  tenerlo  ritto.  Il  plurale  poe- 
tico ha  sua  ragione  precipua  nella  vo- 
lontà di  evitare  il  concorso  di  due  a 
seguendo  al  s;iol:  cfr.  qui  sopra,  v.  107. 
127-'29.  Però  ti  giovi  ..  Ricordar...: 
dunque  cava  tuo  profitto  dal  richiamare 
i  casi  della  notte  innanzi.  Classicamente, 
il  ricordar  le  vicende  è  esplicato  dal  coor- 
dinato successivo  pungerla.  —  con  obli- 
qni  Motti,  quelle  che  si  usan  chiamare 
allusioni,  cioè  non  menzioni  espresse  e 


dirette  ma  accenni  dissimulati  e  mali- 
ziosi. 

129-'34.  0  se...,  0  se...:  sia  che,  sia 
che.  Cfr.  il  Matt.  48-50  e  .la  nota  ivi. 

131-'31.  11  noTcHo  straniero,  arrivato 
di  fresco.  —  De'  novi  accenti,  insoliti,  cioè 
in  lingua  straniera.  —  e  co'  bei  labbri 
Semiaperti  aspettar....:  con  tanta  vivezza 
ed  eleganza  il  P.  figura  la  bellezza,  nel- 
l'atto stesso  di  coglierla  in  fallo.  La 
dama  semhiante  labello  dà  ima:?ine  «li 
una  rosea  conchiglia  (lat.  conc/ta);  e, 
una  volta  somigliatala  a  conchiglia,  le 
parole  che  aspetta  son  dette  snarissinia 
rugiada.  —  marina  Conca:  utile  l'aggiun- 
to, poiché  il  nome  ha  in  italiano  più 
spesso  altri  significati.  Già  il  Boccaccio, 
Dee.  g.  V  nov.  6,  '  la  giovane  un  giorno 
di  state  tutta  soletta  alla  marina,  an- 
dando marine  conche  con  un  coltello 
dalle  pietre  spiccando  ....  ', 

135.  di  loggia  In  loggia,  d'uno  in  al- 
tro palchetto,  nel  teatro:  di  visita  in 
visita:  già  nel  Matt.  961  'l'alte  logge  '. 

136-'39.  Il  seguace   di   Marte:  poi,  in 


ih  MEZZOGIORNO 


75 


140     Colpevole  o  innocente  allor  la  bolla 

Dama  iinprovviso  adombrerà  la  fronte 
D'un  nuvoletto  di  verace  sdegno 
O  simulato,  e  la  nevosa  spalla 
Scoterà  un  poco,  e  premerà  col  dente 

145        L'infimo  labbro,  e  volgeransi  alfine 

Gli  altri  a  bear  le  sue  parole  estremo. 
Foi's'anco  rintuzzar  di  tue  rampogne 
Saprà  l'agrezza,  e  noverarti  a  punto 
Le  visite  furtive  a  i  cocchi'  a  i  tetti 

IljO        e  all'  alte  logge  de  le  mogli  illustri 
Di  ricchi  popolari,  a  cui  sovente 
Scender  per  calle  dal  piacer  segnato 
La  maestà  di  cavalier  non  teme. 
Felice  te,  se  mesta  o  disdegnosa 

135        La  conduci  a  la  mensa,  e  s'ivi  puoi 
Solo  piegarla  a  tollerar  de' cibi 
La  nausea  viniversal.  Sorridan  pure 

147.  di  tue  querele  —  148.  sovvenir  faratti  —  149  ag.  ai  tetti  ai  cocchi  Ed  a  le 
logge  —  151.  cittadini,  —  152.  Per  calle  che  il  piacer  mostra,  piegarsi  —  153.  non 
sdegna.  —  154.  mesta  e  ^  155.  Tu  la  guidi  a  la  mensa,  o  se  tu  puoi  V.  (B.  ma  e  se 
tu  p.,  CI.  ma  Tu  la  guida  [err.  di  stampa  certam.]  alla)  —  156.  a  comportar. 


termini  anche  più  stantii  (sempre  cnn- 
facenti  all'  intenzione  artistica),  il  p. 
pensò  la  var.  L'almo  alunno  di  Marte. 
Tra  runa  e  l'altea  e' è  a  un  di  presso 
la  stessa  differenza  che  tra  le  espres- 
sioni omeriche  Beoùttov  "Aorjog  e  osOs 
"Aoijog.  —  idol  Tegliante...,  cioè  oggetto 
dei  vigili  desidèri;  trasferito  all'idolo, 
con  eleganza  squisitissima,  ciò  eh' è 
proprio  delle  adoratrici.  —  n  la  cui  rhio- 
nia...  :  il  bel  soldato  insieme  con  le  ghir- 
lande dei  valorosi,  l'alloro,  ha  le  ghie- 
lande  degli  amami,  il  mieto.  —  idalio, 
cioè  sacro  a  Venere,  cfr.  il  Matt.  391.  11 
P.  senza  dubbio  aveva  in  mente  il  detto  di 
Virgilio  ad  Asinio  Pollione,  bue.  Vili  12, 

. .  .  atque  hanc  sino  tempora  circum 
jnter  victrices  hederara  libi  serpere  lauros: 

se  non  che,  mentre  là  era  un  giro  d'e- 
dera timidamente  intrecciato  tra  molti 
lauri  trionfali,  qui  i  mirti  son  mille  e 
mille!  La  quale  espressione  mi  sembra 
più  schietta  e  franca  serbando  la  gia- 
citura delle  parole  qual  fu  nel  primo 
testo,  che  non  variandola  in  mille  si 
avvolgono  E  mille... 


111.  improvviso,  all'  improvviso,  im- 
provvisamente: al  sohto,  il  neutro  del- 
l' agg.  per  1'  avv.,  cfr.  il  Matt.  86. 

143-'46.  la  nevosa  spalla:  nivea,  bian- 
chissima; per  il  più  usitato  eburnea. 
—  li'  infimo  labbro,  il  labbro  di  sotto.  — 
alfine...:  fa  spallucce,  si  morde  il  labbro, 
e  da  ultimo  si  volta  a  parlar  con  gli 
altri.  Come  bene  osservata  e  condotta 
la  scenetta  di  quelle  piccole  stizze! 

149  sg.  Le  visite  furtive,  fatte  quasi 
di  soppiatto,  ma  non  si  che  siano  sfug- 
gite alla  dama;  a  i  cocchi,  sul  corso; 
a  i  tetti,  alle  case  (ma  forse  qui  tetti 
per  case  sta  men  bene  che  nel  verso 
ultimo  de  la  caduta);  E  all'alte  logge, 
in  teatro,  ove  i  palchi  delle  non  patrizie 
erano  negli  ordini'  superiori. 

151.  a  cui,  alle  quali  mogli. 

154-'57.  mesta  0  disdegnosa:  è  meglio 
che  la  I"  lez.  tnesta  e  disdegnosa;  fa  i 
due  casi,  che  la  bella  rimanga  afflitta 
oppure  imbronciata.  Neil'  uuo  e  nell'  al- 
tro, sarà  gran  cosa  potere  indurla  a 
andare  a  pranzo  e  più  a  non  aver  fa- 
stidio dei  cibi. 


7G  IL  MEZZOGIORNO 


A  le  vostre  dolcissime  quei-ele 

1  convitati,  e  l'an  l'altro  percota 
160        Col  gomito  maligno:  ali  nondimeno 

Come  fremon  lor  alme,  e  quanta  invidia 

Ti  portan,  te  veggendo  unico  scopo 

DI  si  bell'ire!  Al  solo  sposo  è  dato 

Nodrir  nel  cor  magnanima  quiete, 
165        Mostrar  nel  volto  ingenuo  riso  e  tanto 

Docil  fidanza  ne  le  innocue  luci. 
0  tre  fiate  avventurosi  e  quattro 

Voi  del  nosti'o  buon  secolo  mariti, 

Quanto  diversi  da' vostr' avi  !  Un  tempo 
170        Uscia  d'Averno  con  viperei  crini. 

Con  torbid' occhi  irrequieti  e  fredde 

Tenaci  branche,  un  indomabil  mostro. 

Che  ansando  e  anelando  intorno  giva 

Ai  nuziali  letti,  e  tutto  empiea 
175        Di  sospetto  e  di  fremito  e  di  sangue. 

AUor  gli  antri  domestici,  le  selve, 

L'onde,  le  rupi  alto  ulular  s'udièno 

Di  femminili  strida:  allor  le  belle 

Dame  con  mani  incrocicchiate,  e  luci 

IGO.  Ahi  non  di  meno  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  162.  mirando  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  164.  In  cor 
nodrir  V.  (CI.,  C.)  Nodrire  in  cor  B.  —  165.  Aprir  nel  V.  (B.,  CI.,  C).  —  169.  da'  no- 
8tr' avi  !  V.  (C.)  —  173.  ed  anelando  CI.,  C.  —  173.  Di  sospetto,  di  C.  —  178.  feminilì 
(B.,  CI.)  stridi. 


159  sg.  l'nn  l'altro  percota  Col  go-  169.  da  TOBtr' avi  :  o  nostr' avi  ?  Le 
mito  maligno:  la  frase  è  anche  nei  sa-  due  lezioni  in  fondo  si  equivalgono.  Ma 
tirici  latini,  p.  es.  Orazio  sat.  II  5,  42  ne  '1  Matt.  312  semplicetti  avoli  nostri. 
'  aliquis  cubito  stantem  prope  tangens  ',  170.  con  Tipertl  crini  :  '  vipereum  cri- 
ma  nuovo  è  il  gomito  maligno,  cioè  di  nem' attribuisce  Virgilio  alla  Discordia, 
maligni  e  che  serve  a  malignità.  Aen.  VI  281. 

162.  unico  scopo:  lo  scopo  è  propriam.  173.  ansando    e    ancliindo  :    1'  eUsione 

la  mira,  il  segno  del  bersaglio;  quindi  omessa  in  e-anelando,  con  lasciare  il 

sta  benissimo  con  la  specificazione  che  lor  valore  a  tutti  i  suoni,  fa  che  l' ultima 

segue.  parola  si  scandisca  efficacemente. 

163-'66.   magnanima  quiete  :  eh'  è  in-  176.  gli  antri  domestici  :  a  prima  udita 

vece,  s'intende,  melensa  e  colpevole  ac-  può  sembrare  che  il  nome  e  l'aggiunto 

quiescenza.  —  Mostrar...:  la  var.  Aprir,  mal  concordino  insieme,  e  che  forse  il 

un  po' insolita  e  ricercata,  avrebbe  un  \).  scrìvesse  gli  atrii  domestici.  Ma  in  ve- 

raffronto  nella  canzon.  del  P.  ì^er  nozze  rità  sono  gli  antri  che  servivan  di  casa, 

V.  37  '  E  poi  schiudere  il  sorrisp...  '.  —  le  abitazioni  nelle  grotte:  cfr.  ai  vv.  266- 

ne  le  innocue  luci,  negli  occhi  inoffen-  '68.  Par  designata  l'età  arcaica,  vv.  176- 

sivi.  '78,  e  quindi  il  medio  evo,  vv.  178-'83. 

167.  0  tre  fiate  aTTCnturosl  e  qnattro:  179  sg.  luci  Pavide  al  elei:  o  sia,  oc- 

è   traduzione  del  virgiliano   Aen.   I  94  chi  paurosamente  vòlti  al  cielo,  ma,  cosi 

•  0  terque  quaterque  beati  '  :  v.  anche  collocato,  al  elei  non  ha  bisogno  di  altra 

il  Matt.  v.  537.  aggiunta  determinativa. 


IL  MEZZOGIORNO  77 


180         Pavide  al  ciel,  tremando,  lagrimando, 

Tra  la  pompa  feral  de  le  lugubri 

Sale  vedeau  dal  truce  sposo  offrirsi 

Le  tazze  attossicate  o  i  nudi  stili. 

Ahi  pazza  Italia!  Il  tuo  furor  medesrao 
185        Oltre  l'Alpi,  oltre  '1  mar  destò  le  risa 

Presso  agli  emoli  tuoi  che  di  gelosa 

Titol  ti  dièro,  e  t'è  serbato  ancora 

Ingiustamente.  Non  di  cieco  amore 

Vicendevol  desire,  alterno  impulso, 
190         Non  di  costume  simiglianza  or  guida 

Gl'incauti  sposi  al  talamo  bramato; 

Ma  la  Prudenza  coi  canuti  padri 

Siede  librando  il  molto  oro  e  i  divini 

Antiquissimi  sangui:  e  allor  che  l'uno 
195         Bene  all'altro  risponda,  ecco  Imeneo 

Scoter  sua  face;  e  unirsi  al  freddo  sposo. 

Di  lui  non  già  ma  de  le  nozze  amante. 

La  freddissima  vergine  che  in  core 

Già  i  riti  volge  del  Bel  Mondo,  e  lieta 
200        La  indifferenza  maritale  affronta. 

Cosi  non  fien  de  la  crudel  Megera 

Più  temuti  gli  sdegni.  Oltre  Pirene 

Contenda  or  pur  le  desiate  porte 

Ai  gravi  amanti,  e  di  femminee  risse 
205-        Turbi  Oriente;  Italia  oggi  si  ride 

185.  l'alpe  V.  (CI.,  C.)  —  186.  emuli  C.  —  191.  Giovani  incauti  al  V.  (B.,  CI.,  C.) 
—  193.  il  molt'  oro  —  195.  risponde,  —  199.  Già  volge  i  riti  —  200.  L'indifferenza  — 
204.  feminee  (B.,  CI.). 


183.  Le  tazze  a.  o  i  n.  stili:  il  veleno  ricorda  l'epitalamio  catulliano,  LXI  15, 

o  il  pugnale,  talvolta  anche  a  scelta.  'O  Hymeu, ...  manu  Pineam  quate  tae- 

18S.  Inginstamente  :  v.  il  Malt.  v.  1002  dam'. 

e  la  nota.  —  di  cieco  amore  :  qui  cieco,  e  197.  Verso  bellissimo  e  pien  di  signi- 

Incantl   tre  versi  sotto,  suonano  difetti  iìcato. 

nell'espressione,  ma  non  neir  intenzio-  19S  sg.  in  core  Già  i  riti  volge  del 
ne  del  p. ,  giacché,  senza  tale  cecità  e  Uel  Mondo  :  quanto  a  riti  per  usi,  co- 
tale abbandono,  si  ha  il  freddo  e  Tindif-  stunii,  cfr.  il  Matt.  v.  7.  Qui  viene  a 
ferenza  e  gli  altri  mali  di  cui  appresso.  mente  la  'acerba  virgo'  di  Orazio,  e.  Ili 

189.  Vicendevol  deslre,  alterno  impulso,  6,  21,  la  quale  'incestos  amores  De  te- 
la scambievole  inclinazione.  Il  secondo  nero  meditatur  ungui'. 
emistichio,  come  spesso  nei  classici  an-  201.  de  la  crndel  Megera:  la  Gelosia, 
tichi,  non  fa  che  ripetere  il  primo  con  quéiVindomabil  mostro  di  cui  ha  par- 
parola  più  forte.  lato  poc'  anzi. 

193.  sg.  1  dirini  Antiqaisslmi  sangui:  202-'04,  La  gelosia  degli  Spagnoli  — 

cfr.  il  Matt.  V.  3.  oltre  Pirene  —  è   proverbiale.  —  gravi 

195.  sg.  ecco  Imeneo  Scoter  sua  face:  amanti,  appunto  diflacili  e  pericolosi. 


78  IL  MEZZOGIORNO 


Di  quello  ond'ei'a  già  derisa:  tanto 

Puote  una  sola  età  volger  le  menti. 
Ma  già  rimbomba  d'una  in  altra  sala 

Il  tuo  nome,  o  Signor;  di  già  l'udire 
210        L'ime  officine  ove  al  volnbil  tatto 

Degl'ingenui  palati  arduo  s'appresta 

Solletico  che  molle  i  nervi  scota, 

E  varia  seco  voluttà  conduca 

Fico  al  core  dell'alma.  In  bianche  spoglio 
215         S'affrettano  a  compir  la  nohil  opra 

Prodi  ministri  :  e  lor  sue  leggi  detta 

Una  gran  mente  del  paese  uscita 

Ove  Colbert  e  Richelieu  fur  chiari. 

Forse  con  tanta  maeStade  in  fronte 
220        Presso  a  le  navi  ond'Ilio  arse  e  cadéo 

Per  gli  ospiti  famosi  il  grande  Achille 

Disegnava  la  cena,  e  seco  intanto 

Le  vivande  cocean  sui  lenti  fochi 

Patroclo  fido  e  il  guidator  di  carri 
225        Automedonte.  0  tu  sagace  mastro 

Di  lusinghe  al  palato,  udrai  fra  poco 

Sonar  le  lodi  tue  dall'  alta  mensa. 

209.  Signore,  il  uome  tuo  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  214.  al  centro  V.  —  (B.,  CI.)  de  l'alma 
B.  —  215.  Affrettausi  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  216.  Gravi  ministri  V.  (CI.)  —  218.  Colberto  e 
Riaceliù  V.  (CI.,  C.)  —  221.  A  gli  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  227.  da  l'alta  B. 


207.  Tolger,  mutare.  sat.  i  grandi  v.  38.  —  Colbert  e  Klche- 

208  sgg.  Ma  già...  11  tuo  nome...:  non  lien:  ministri  questo  di  Luigi  XIII,  quello 

s'  aspettava  più  che  il  Giovin  Signore.  di  Luigi  XIV,  uomini  di  stato  celebra- 

210-'14,  L'ime  ol'.lcine:  le  cucine,  pò-  tissimi.  «Dalla  Francia  che  ebbe  loro 

ste  nella  parte  bassa  del  palazzo  :  cf.  al  due  è  giusto  che  vengano  oggi  questi 

V.  677  dagl'  infimi  chiostri.  —  Degl'in-  altri  ìninisCri:  è  un  gioco  di  parole  ben 

geuui  palati:  non  già  semplici,  anzi  raf-  riuscito  »  (M.). 

finali;  ma  iuf^enwi  alla  latina  vai  nobili  219-'25.  Nell'Iliade  IX  201-21  Achille 
o  di  buona  stirpe.  —  arduo  s'appresta  prepara,  insieme  con  Pcilroclo  e  Auto- 
Solletico  ecc.,  cf.  iC  Matt.  v.  79  e  ivi  la  medonte,  l'imbandigione  per  Fenice 
nota.  —  Fino  al  core  dell'alma:  la  frase  Aiace  e  Ulisse  venuti  alla  sua  tenda  per 
bella  per  sé,  e  sproporzionata  ai  gusti  placarlo.  —  Presso  le  nari,  è  proprio 
della  gola,  chiude  la  elaborata  perifrasi  l'omerico  nagà  viavai:  onde  Ilio  a.  e  e, 
della  cucina  siguorile.  per  opera  delle  quali  navi  achèe,  cioè 

214-'18i  In  bianclie  spoglie...   Prodi  de' guerrieri  venuti  con  esse,  Troia  fu 

ministri  :  i  cuochi,  coi  berretti  e  i  grem-  distrutta. 

biuli  bianchi.  Prodi  è  troppo  più  bello  225  sg.  sagace  mastro  Di...  :  vedemmo 

che  gravi  perché  si  possa  accoglierne  già  metaforica  una  frase  simile,  il  Matt. 

il  cambio  a  evitare  l'incontro  opra  prò-  670-72. 

di.  —  e  lor  sne   leggi  detta   Una  gran  iti.  dall'alta  mensa,  cioè  dalla  mensa 

mente  del  paese  uscita  Ore  :  a  dar  legge  di  quei  grandi.  Forse  il  p.  ebbe  in  meute 

a  ministri,  ci  vuole  un  primo  ministro;  '  toro...  ab  alto  ',  nel  convito  di  Bidone, 

«  dotto  Apicio  gallico  «•,  anche  nell'AlIieri  Aeti.  II  2. 


IL  MEZZOGIORNO  79 


Chi  fia  che  ardisca  di  trovar  mai  fallo 

Nel  tuo  lavoro?  Il  tuo  Signor  fia  tosto 
230        Campion  de  le  tue  glorie:  e  male  a  quanti 

Cercator  di  conviti  oseran  motto 

Pronunciar  contro  te;  che  sul  cocente 

Meriggio  andran  peregrinando  poi 

Miseri  e  stanchi,  e  non  avran  cui  piaccia 
235        Più  popolar  de  le  lor  bocche  i  pranzi. 
Imbandita  è  la  mensa.  In  pie  d'un  salto 

Alzati  e  porgi,  almo  garzon,  la  mano 

A  la  tua  Dama;  e  lei  dolce  cadente 

Sopra  di  te  col  tuo  valor  sostieni, 
240        E  al  pranzo  l'accompagna.  I  convitati 

Vengan  dopo  di  voi  ;  quindi  '1  marito 

Ultimo  segua.  0  prole  alta  di  numi, 

Non  vergognate  di  donar  voi  anco 

Brevi  al  cibo  momenti:  a  voi  non  vile 
215        Cura  fia  questa;  a  quei  soltanto  è  vile, 

Che  il  duro  irrefrenabile  bisogno 

Stimola  e  caccia.  All'  impeto  di  quello 

Cedan  l'orso  la  tigre  il  falco  il  nibbio 

L'orca  il  delfino  e  quant' altri  mortali 
250        Vivon  quaggiù;  ma  voi  con  rosee  labbra 

La  sola  Voluttade  inviti  al  pasto, 

La  sola  Voluttà  che  le  celesti 

Mense  imbandisce,  e  al  nettare  convita 

I  viventi  per  sé  Dei  sempiterni. 
255     Vero  forse  non  è  ;  ma  un  giorno  è  fama 

228.  di  trovar  pur  macchia  pur  menda  V.  —  229.  11  tuo  Signor  Tarassi  (C.)  —  232. 
contro  a  te  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  235.  cou  le  —  5!37.  almo  Signor,  —  241.  quindi  lo  sposo 
V.  (B.,  Ci.)  quindi  il  marito  C.  —  244  s^.  Pochi  momenti  al  cibo  :  in  voi  non  sia  [sic, 
ma  forse  erroneam.  per  fia]  Vii  opra  il  pasto  ;  —  249.  irresistibile  —  249.  quaut'  altri 
animanti  Creseon  qua  giù  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  2,ól.  al  pasto  appelli  V.  (B.,  CI.,  G.)  — 
253.  Mensa  apparecchia  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  255.  Forse  vero. 


231-'35.  Cercator  di  conriti:  parasLti,  217.  Stimola  e  caccia  :  spinge,  incalza 

in  somma  ;  e  veram.  la  pittura  che  se-  (Dante  Jnf.  iv  146}  ;  ma  classicam.   il 

guadi  tali  cercatori  ci  fa  sovvenire  di  pa-  concetto  è  in  due  verbi, 

recclii  personaggi  della  commedia  plau-  251.  i  Tirenti  per.  sé  Dei  sempiterni: 

lina. —  popolar  de  le  lor  bocche...  :  impro-  cioè,  per  lor  natura,  non  per  virtù  di 

prio,  diresti,  se  in  vece  non  fosse  felicem.  alimenti.  Verso  da  epico  antico, 

ardito,  espressivo  e  signiOcativo.  2j5.  Vero  forse  non  è...  Questa  forma 

23s  sg.  dolce  cadente  Sopra  di  te:  che  di  esitazione  e  di  riserbo  introduce  più 

si   abbandona,    si    appoggia   languida-  efficacemente  per  l'interiore  ironia  l'af- 

mente.  Per  la  frase  cfr.  il  Matt.  85  le  fermazione  di  un  fatto  verissimo.  «  Ed 

coltrici  Molle  cedenti.  —  col  tuo  rnlor:  ecco  il  passo  tanto  giustamente  ammi- 

•cji'  è  forza  e  prodezza  adeguata  a  ciò.  ratp  per  l'arte  e  lo  stile,  e  tanto  impor- 


80 


IL  MEZZOGIORNO 


Che  fui-  gli  uomini  eguali,  e  ignoti  nomi 

Fur  Plebe  e  Nobiltade.  Al  cibo,  al  bere, 

All'accoppiarsi  d'ambo  i  sessi,  al  sonno, 

Un  istinto  medesmo,  un'  egual  forza 
2C3         Sospingeva  gli  umani,  e  niun  consiglio, 

Niuna  scelta  d'obbietti  o  lochi  o  tempi 

Era  lor  conceduta.  A  un  rivo  stesso, 

A  un  medesimo  frutto,  a  una  stess' ombra 

Convenivano  insieme  i  primi  padri 
2G5         Del  tuo  sangue,  o  Signore,  e  i  primi  padri 

De  la  plebe  spregiata;  e  gli  stess' antri 

E  il  medesimo  suol  porgeano  loro 

Il  riposo  e  l'albergo  e  a  le  lor  membra  * 

I  medesmi  animai  le  irsute  vesti. 
270         Sol' una  cura  a  tutti  era  comune 

Di  sfuggire  il  dolore,  e  ignota  cosa 

Era  il  desire  agli  uman  petti  ancora. 
L'uniforme  degli  uomini  sembianza 

Spiacque  a'  Celesti,  e  a  variar  la  terra 
275        Fu  spedito  il  Piacer.  Ecco  il  bel  Genio, 

..  .Ì"-^^"''^f '"  ^  ^^''^^'  ^-  '^•'  ^'-^  -  ^'^-  a^ooPPiarse  V.  (CI.,  C.)  -  259.  Uno  i.sti„tf 
V.  (B.  CI.,  C.)  una  egual  B.  -  260.  Sospigueva  V.  (B.,  CI.,  C.)  -  2G1.  Nulla  scelta  V. 
(B.,  CI.,  C.)  obietti  CI.,  C.  -  266  8g.  spregiata.  I  medesm'  antri,  Il  m.  suolo  offrieno  lorc 
gli  stessi  antri  E  '1  B.  -  270.  Sola  V.  (B.,  CI.,  C.)  commune  B.  _  274  a.'  ^  va- 
nar  lor  sorte  II  Piacer  fu  spedito.  V.  (B.,  CI.,  C.)  -  275  sg.  Quale  già  i  numi  D'Ilio  su, 
campi,  tal  l'amico  Gemo. 


tante  alla  ragion  del  poema,  come  quello  rini  venne  al  Foscolo  e  ad  altri  moderni, 
che,  mostrando  spiegare  le  origini  della  Al  verso  31  dei  Sep.  «  Celeste  dote  è 
distinzione  tra  nobili  e  plebei,  è,  pei-  negli  umani.  Sev.  Ferrari  annotò-  «Il 
cosi  dire,  il  focolare  di  tutta  l'ironia.  Mamiani  nella  prefaz.  alla  ristampa  delle 
-  Il  quadro  -  fu  detto  giustamente  -  sue  Poesie  fatta  nel  1857  a  Firenze  di- 
nella  pittura  gareggia  coir  Albano,  né  fese  questa  voce  accusata  di  neologi- 
forse  è  indegno  di  un  socialista  nell'in-  amo,  facendo  osservare  che  era  una  de- 
tenzione [C.  Ugonil.  -  Gli  uomini  nati  i-ivazione  pretta  dai  latini  ed  allegando 
eguali  non  sapevano  da  prima  che  fosse  1'  autorità  di  Cicerone  ma  più  special- 
piacere  :  ma  r  istinto  andò  a  gradr  a  mente  il  testo  di  Varrone  che  Nonio  ri- 
grado  trasformandosi  in  desiderio,  e  porta:  natura  humards  omnia  sunt 
ne  venne  quindi  il  bisogno  e  quindi  il  paria.  Si  trova  poi  usato  già  dal  Pul- 
piacere:  nella  lotta  del  bisogno  per  il  ci,  e  dal  Parini ...  ».  -  ni.in  consiglio 
piacere  vinsero  i  meglio  organizzati:  Klnna  scelta  ...:  non  deliberazione  e  non 
onde  la  disuguaglianza  tra  gli  uomini,  discei-mmento,  apuato  perché  tutto  era 
e  la  nobiltà  ereditaria.  Ciò  viene  a  dire  istinto  e  fona,  tutto  intas  monstrO' 
la  favola  dei  Piacere  mandato  dai  celesti  tum. 

tra  i  mortali .  (Carducci,  op.  cit.  Il  x  264.  Convenivano  insieme  :  il  vertw  diw 

®  ^''-  1'  azione  comune  de'  soggetti,  l' avvec 

260  sg.  gli  nmani:  gli  uomini.  Forma  bio    un   rapporto   di   questi    fra   loro,' 

quasi  senza  esempio  prima,  poi  dal  Pa-  quindi  non  e'  è  pleonasmo. 


IL  MEZZOGIORNO 


81 


Qual  già  d'Ilio  su  i  campi  Ii-ide  o  Giano, 

Lieve  lieve  per  l'aere  labendo 

A  la  terra  s'  appressa,  e  questa  ride 

Di  riso  ancor  non  conosciuto.  Ei  move, 
230        E  l'aura  estiva  del  cadente  rivo 

E  dei  clivi  odorosi  a  lui  blandisce 

Le  vaghe  membra,  e  lenemente  sdrucciola 

Sul  tondeggiar  dei  muscoli  gentile. 

Gli  s'aggiran  d'intorno  i  Vezzi  e  i  Giochi, 
285         E  come  ambi-osia,  le  lusinghe  scorrongli 

Da  le  fraghe  del  labbro:  e  da  le  luci 

Socchiuse,  languidette,  umide  fuora 

Di  tremulo  fulgore  escon  scintille 

Ond'arde  l'aere  che  scendendo  ei  varca. 

277.  B.  e  CI.  l'omettono:  e  nella  lez.  variante  da  noi  seguila,  almeno  quale  apparisce 
neW  ed.  Reina,  sarebbe  veratri,  omesso  ;  ma,  non  stmbrando  credibile  che  il  P.  cancellasse 
tal  verso,  lo  serbiamo,  come  lo  serbò  il  C.  —  278.  S'  avvicina  a  la  Terra  ;  —  28t.  A  lui 
giran  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  285.  scorrono  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  286.  fragghe  B.  [certam.  per 
errore  di  slampa,  come  sdrucciolo  al  v.   2S2j  —  287.  fuori  —  288.  tremolo  B. 


276  sg.  d'Ilio  sni  rampi:  le  stesse  pa- 
role, e  forse  uou  a  caso,  ha  il  Monti 
traducendo  a  punto  uno  scender  d'Iris, 
IL  W  170  sgg.  : 

.  .  .  come  sospinta 
Dal  fiato  d'aquilou  sereaatore 
Dalle  nubi  talor  vola  la  neve 
O  la  gelida  grandine;  a  tal  guisa 
D'  Ilio  sui  campi  con  rapido  volo 
Tri  calessi. 

Di  Giunone  vi  sono  i  cavalli,  V  768,  che 

Infra  la  terra  e  lo  stellato  ciulo 
Desiosi  volare. 

Credo  che  l'unione  Irl«le  o  Ginno  venisse 
al  P.  più  specialmente  daìV Eneide,  ove 
Iride  è  il  più  sovente  messaggera  di 
quella,  a  Didone,  a  Turno,  e  il  cammino 
o  solco  luminoso  di  lei  per  l'aria  è  de- 
scritto in  mirabili  versi,  IV  700  sgg.,  e 
particolarm.  V  609:. 

Illa  (Iris)  vlam  celcrans  per  mille  colo- 

[ribus  arcum 
nulli  visa  cito  decurrit  tramite  virgo. 

Forse,  rimeditando  su  questi  suoi  versi, 
il  P.  dubitò  che,  posta  in  comparazione 
anche  Giano,  nell'altra  parte  non  istesse 
bene  il  verso  LloTe  lieve  por  l'aere  la- 
bendo: ma  questo,  se  mai,  fu  da  vero 
uno  scrupolo.  Il  Cantù,  pur  notando 


Questo  bel  verso  manca  neW  ultima 
les.  dei  P.,  lo  mantenne:  i  latini  dicean 
labi,  non  che  dell'  acque  nel  quale  uso 
lo  ripigliò  Dante,  Par.  vi  51  «.  V  alpe- 
stre rocce,  Po,  di  che  tu  labi  »  (cfr.  Oraz. 
ep.  2,  25  «  labuntur  altis  interim  ripis 
aquae  »),  delle  cose  scendenti  a  volo  ra- 
pidamente. Il  Monti,  Feron.  Ili  : 

E  come  stella  che,  alle  notti  estive 
Precipite  labendo,  il  cielo  fende 
Di  momentaneo  solco  : 

tradusse,  e  forse  non  immemore  del  P., 
il  virgiHano  gè.  I  365  «  stellas...  Praeci- 
pites  caelo  labi  ».  Qui,  tra  i  citati  dal 
Cantù,  è  singolarm.  a  proposito,  insieme 
coiul'altro  di  Virgilio  «  labere,  nympha, 
polo»  il  verso  di  Valer.  ¥ìdiCco,  Argon. 
VII  259,  «  cura  levis  a  superis  ad  te  modo 
laberer  auris  ». 

284.  Gli ...:  manifesto  il  ricordo  della 
Venere  oraziana  «  Quam  locus  circum 
volat  et  Cupido  »,  e.  I  2,  34. 

286.  Da  le  fraghe  dal  labbro,  cioè  dalle 
labbra  fresche  e  vermiglie  come  fragole; 
fraghe,  non  frequente  in  luogo  della 
forma  diminutiva  invalsa,  qui  sta  bene. 

287.  Ritrae,  applicandolo  al  Piacere, 
r  atteggiamento  di  chi  prova  uu  alto 
godimento. 

289.  Ond'arde:  si  può  intendere  tran- 
sitivo e  intransitivo,  ma  il  P.  intese   il 


Pasini  —  Albini. 


82  IL  MEZZOGIORNO 


290    Alfin  sul  dorso  tuo  sentisti,  o  Terra, 

Sua  prima  orma  stamparsi;  e  tosto  un  lento 

Fremere  soavissimo  si  sparse 

Di  cosa  in  cosa;  e  ognor  crescendo,  tutte 

Di  natura  le  vìscere  commosse: 
295        Come  nell'arsa  state  il  tuono  s'ode 

Che  di  lontano  mormorando  viene, 

E  col  profondo  suon  di  monte  in  monte 

Sorge,  e  la  valle  e  la  foresta  intorno 

Muggon  del  fragoroso  alto  rimbombo, 
300        Finché  poi  scroscia  la  feconda  pioggia 

Che  gli  uomini  e  le  fere  e  i  fiori  e  l'erbe 

Ravviva  riconforta  allegra  e  abbella. 
Oh  beati  tra  gli  altri,  oh  cari  al  cielo 

Viventi  a  cui  con  miglior  man  Titano 
305         Formò  gli  organi  illustri  e  meglio  tese, 

E  dì  fluido  agilissimo  inondolli  ! 

Voi  l'ignoto  solletico  sentiste 

Del  celeste  motore.  In  voi  ben  tosto 

La  voglia  s' infiammò,  nacque  il  desio  : 
310        Voi  primieri  scopriste  il  buono,  il  megLo; 

E  con  foga  dolcissima  correste 

A  possederli.  Allor  quel  de'  due  sessi 

Che  necessario  in  prima  era  soltanto, 

291.  priin' orma  —  295.  uè  l'arsa  ostate  B.  —  299.  di  smisurato  V.  (B.)  —  300.  poi 
cade  (CI.)  —  303.  fra  gli  altri  e  cari  V.  (B.,  CI.)  fra  gli  a.,  oh  G.  —  305.  gli  òrgani 
egregi  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  3Iì9.  Le  voglie  feriueutàr,  —  311.  Voi  con  foga  V.  (B.,  CI.,  C.) 
—  312.  de  i  duo  sessi  V.  (B.,  CI.,  C). 


secondo  ;   n'  è  prova  1'  el.  —  Nota,  per  inde,  tremor  terras  graviler  pertera- 

chiusa  dopo  i  versi  che  ritraggono  la  Iptat,  et  altum 

grazia  elegante,  questo  verso  che  suona  murmura  percurrunt  caelum  ; 

la  divinità.  poi 

292  Sg.  Nota  la  singolare  bellezza  di  ....  sequitur  gravis  iraber  et  ubar, 

questo  verso.  —  Di  cosa  in  cosa:  Manz.  omnia  utl  videatur  in  imbrem  vertier 

la  Pentec.  41:  •  [aether. 

Come  la  luce  rapida  La  copia  di   parole  dell'  ultimo  distico, 

Piove  di  cosa  in  cosa,  nella  enumerazione  e  in  quel   grupf>o 

E  i  color  vari  suscita  di  verbi,  seconda  vivacemente  all'  ab- 

Dovunque  si  riposa  ....  bondanza  e   agli  effetti  del  fenomeno 

295-302.  Uno  dei  mirabili  passi  che  naturale  qui  descritto, 
ritraggono  fenomeni  di  natura:  la  ve-  301.  Titano:  qui  vale  Prometeo  che, 

rità  dell'  osservazione  in  tutti  i  parti-  secondo  il  notissimo  mito,  plasmò  l'uo- 

colai'i,  la  perfezione  dell'arte  nelle  frasi  mo.  Propriamente  Titani  si  dissero  i  gi- 

e  ne' suoni,  non  voglion  commento.  —  ganti  figli  della  Terra,  trai  quali  Giàpeto 

Alle  parole  la  yalle  e  la  foresta  Intorno  padre  di  Prometeo. 
Mnggon  etc,  e  quindi  Finche'  poi   scro-  308.  Del  celeste  moto.c:  natuialin.,  il 

scia.. ,  si  piiA  ricordare  Increzio  VI  287:  Piacere. 


IL  MEZZOGIORNO  83 


D'amabile  e  di  bello  il  nome  ottenne. 
315        Al  giudizio  di  Pavide  voi  desto 

11  primo  esempio:  tra  femminei  volti 

A  distinguer  s'apprese;  e  voi  sentiste 

Primamente  le  grazie.  A  voi  tra  mille 

Sapor  fur  noti  i  più  soavi  :  allora 
320        Fu  il  vin  preposto  all'  onda,  e  il  vin  si  elesse 

Figlio  de'  tralci  più  riarsi,  e  posti 

A  più  fervido  sol,  ne'  più  sublimi 

Colli  dove  più  zolfo  il  suolo  impingua. 

Cosi  l'uom  si  divise:  e  fu  il  signore 
325        Dai  volgari  distinto,  a  cui  nel  seno 

Troppo  languir  l'ebeti  fibre,  inette 

A  rimbalzar  sotto  i  soavi  colpi 

De  la  nova  cagione  onde  fur  tocche: 

E  quasi  bovi,  al  suol  curvati  ancora 
330        Dinanzi  al  pungol  del  bisogno  andare; 

E  tra  la  servitute  e  la  viltade 

E  '1  travaglio  e  l'inopia  a  viver  nati, 

Ebber  nome  di  Plebe.  Or  tu,  Signore, 

Che  per  mille  feltrato  invitte  reni 
335        Sangue  racchiudi,  poi  che  in  altra  etade 

Arte,  forza,  o  fortuna  i  padri  tuoi 

Grandi  rendette,  poiché  il  tempo  alfine 

Lor  divisi  tesori  in  te  raccolse, 

Godi  degli  ozi  tuoi,  a  te  dai  numi 
340        Concessa  parte:  e  l'umil  vulgo  intanto, 

Dell'industria  donato,  a  te  ministri 

315.  fu  dato  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  316.  femlnei  Tutti  ma  per  uniformità  di  grafia  non  H 
seguo.  —  317.  e  fur  sentite  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  318.  Allor  tra  mille  —  320.  s'  elesse  — 
325.  Da  i  mortali  V.  —  326.  Giacquero  ancor  l'èbeti  V.  (B.)  —  331.  servitude  V.  (B.)  — 
332.    E    il  V.  (B.,  CI.,   C.)   —   333.   garzone,  V.  (B.,  CI.,   C.)  —  334.    feltrato    per    mille 

per  mille  filtrato  B.  —  335.  poiché.  —  339.  Del  tuo  senso  gioisci,  —  341.  sg.  ora 
ministri  A  te 


■     315  seg.  Precorreste  a  Paride  ch'ebbe  731   sgg.,    e   anche  Sallustio   Cadi.  I  ì 

a  giudicare  di  bellezza  tra  le  dèe.  «  pecora  quae  natura  prona  atque  ven- 

320  seg.  Virgilio  gè.  i9  «  Poculaque  tri  oboedientia  fìnxit  ». 
inventis  Acheloia  miscuit  uvis  »  (tellus),  333-'35.  Superfluo  richiamare  i  versi 

e  anche  puoi  ricordare  che  «alte  Mitis  ili  con  cui  s'intona  il  Mattino. 
apricis  coquitur  vindemia  saxis  »  II  522.  336-'38.  Arte,  forza,  o  fortuna  :  accor- 

326  sg.  l'ebeti  fibre  :  ottuse,  spuntate.  gimento,  violenza,  o  caso,    si  avvicen- 

Frequeute  in  lat.   hebetare  detto,  non  darono  ne'  padri;  gli  effetti    si   raccol- 

clie  delle  armi,  dei  sensi.   Il   rimbalzar  sere,  i  divisi  tesori  confluirono,  nel  ni- 

aggiunge  l'idea  di  elastico  a  quella  di  potè, 
acuto.  340.    Concessa    parte,  apposiz.   a   osi 

329.  E  quasi  t»Ti...  :  ricorda  il  Matt.  tuoi. 


84  IL  MEZZOGIORNO 


Ora  i  piaceri  tuoi,  nato  a  recarli 

Su  la  mensa  real,  non  a  gioirne. 

Ecco  splende  il  gran  desco.  In  mille  forme 
345        E  di  mille  sapor,  di  color  mille 

La  variata  eredità  degli  ayi 

Scherza  in  nobil  di  vasi  ordia  disposta. 
Già  la  Dama  s'  appressa,  e  già  dai  servi 

Il  morbido  per  lei  seggio  s'  adatta. 
350        Tu,  Signor,  di  tua  mano  all'agii  fianco 

Il  sottopon,  si  che  lontana  troppo 

Ella  non  sieda,  o  da  vicin  col  petto 

Ahi  !  di  troppo  non  prema  :  indi  un  bel  salto 
^  Spicca,  e  chino  raccogli  a  lei  del  lembo 

355        II  diffuso  volume,  e  alfin  t'  assidi 

Prossimo  a  lei.  A  cavalier  gentile 

11  lato  abbandonar  de  la  sua  dama 

Non  fìa  lecito  mai,  se  già  non  sorge 

Strana  cagione  a  meritar  ch'egli  usi 
360        Tanta  licenza.  Un  nume  ebber  gli  antichi 

Immobil  sempre,  che  al  medesmo  padre 

Degli  Dei  non  cedette,  allor  ch'ei  scese 

Il  Campidoglio  ad  abitar,  sebbene 

E  Giuno  e  Febo  e  Venere  e  Gradivo 
865        E  tutti  gli  altri  Dei  da  le  lor  sedi 

Per  riverenza  del  Tonante  uscirò. 

3J3.  Su  la  mensa  regal,  lu.n  a  gndorne.  V.  (B.,  CI.,  G.)  —  344-347  (?/(«/«  versi  tran 
posti  dopo  quello  che  qui  è  300.  E  il  primo  di  essi  diceva  cosi  Già  s' avanza  la  mensa. 
In  mille  guise  e  l'ultimo  cosi  Scherza  no'  piatti,  e  giuat'  ordine  serba.  Del  primo  una 
prima  variante  fu  questa  Di  già  il  pranzo  s'affretta.  —  348-51.  Ecco  la  Dama  tua  a' ae- 
gide  al  desco:  Tu  la  man  lo  abbandona;  e  mentre  il  servo  La  seggiola  avanzando  all' a. 
f.  La  sottopon,  —  352.  non  sia  né  —  353.  Prema  troppo  la  mensa,  un  picciol  s.  —  355 
sgg.  A  lato  poscia  Di  lei  tu  siedi:  a  e.  g.  Il  fianco  —  359.  cagion  a  meritar  ch'ei  tolga 
V.  cagione  a  meritar  ch'ei  tolga  B.  —  361.  I.  s.  e  ch'alio  stesso  p.  —  362.  ch'ei  venne. 


343. 8u  la  mensa  real,  iperbolicamente.  luogo  del  Giovin  signore   sia  di  regola 

Del  resto,  è  noto  che  in  lat.  reges  valse  fisso,  e   che  è  per  dire  come  quello  di 

spesso  a  dire  «  i  grandi  ».   In  questo  tutti  gli  altri  sia  indistinto  e  mutevole^ 

senso  e'  è  appunto  in  Orazio,  Sat.  ii  2,  ripensa  al  dio  Termine.  Il  quale,  quan- 

45  «  epulis  regum  ».  do  fu  fatto  il  tempio  di  Giove  capitolino 

344-'47.  L'avere  antic'iati  qui  questi  e  tutti  gli  altri  numi,  con  l'assenso  de- 
versi è  opportunissimo:  J  uno  sguardo  gli  àuguri  e  lor  proprio,  abbandonarono 
generale  alle  mense,  prima  della  scena  i  lor  sacelli,  solo  rimase  fermo.  Leg- 
del  mettersi  a  tavola.  Senza  ciò,  si  tor-  giamo  in  Livio  I  55  «  ...  non  motam 
nava  poi  indietro,  importunamente.  E  Termini  sedem  unumque  eum  deorum 
le  correzioni  hanno  tolto  al  passo  più  non  evocatum  ...  ».  E  forse  il  P.  ricor- 
d'una  ineleganza,  p.  es.  quello  scherza  dava  Ovidio,  Fast,  ii  667  «...  novacum 
ne'  piatti.  lierent  Capitolia, ...  deorum  Cuncta  lovi 

360-'66.  Il  p.  che   ha  detto  come  il  cessit  turba  locumquededit.Ternainus... 


IL  MEZZOGIORNO 


85 


Indistinto  ad  ognaltro  il  loco  fia 

Al  nobil  desco  intorno  ;  e  s' alcun  arde 

Ambizioso  dì  brillar  fra  gli  altri, 
G70         Brilli  altramente.  Oh  come  i  vari  ingegni 

La  libertà  del  genial  convito 

Desta  ed  infiamma!  Ivi  il  gentil  Motteggio 

Maliziosetto  svolazzando  reca 

Sopra  le  penne  fuggitive  ed  agita 
375         Ora  i  raccolti  da  la  Fama  errori 

De  le  belle  lontane,  ora  d'amante 

0  di  marito  i   semplici  costumi: 
E  gode  di  mirare  il  queto  sposo 
Rider  primiero,  e  di  crucciar  con  lievi 

380        Minacce  in  cor  de  la  sua  fida  sposa 

1  timidi  segreti.  Ivi  abbracciata 
Co'  festivi  Racconti  intorno  gira 

368.  Presso  al  nobile  desco;  All'alta  mensa  intorno  V.  (B.,  CI.).  —  373  sg.  M. 
È.  Intorno  Reca  su  1'  ali  Malizioso  s.  r.  Sopra  le  p.  V-.  (B.,  CI.)  —  376  sg.  or  degli 
amanti  Or  de' mariti  V.  (B.).  —  382.  R.  esulta  e  scherza  V.   (B.,  CI.,  C.) 


in  aede  Restitit  et  magno  cura  love  tem- 
pia teuet».  Avverti  solennità  conche 
la  comparazione  si  chiude:  è  l'esodo 
degli  dèi  innanzi  al  gran  padre. 

367.  Indistinto,  non  assegnato,  senza 
differenze. 

363.  arde,  vivamente  desidera. 

370.  Brilli  «Itramente,  cioè  non  per  il 
luogo  occupato  :  trovi  altra  via  di  se- 
gnalarsi. —  i  rari  ingegni,  le  indoli  e 
gli  umori  diversi. 

371.  genial  convito,  piacevole,  dilet" 
toso  ;  in  cui  è  secondato  il  genius.  Ved' 
un  festum  geniale  in  Ovidio,  Fast,  ni 
523,  e  ivi  descritto  il  popolo  che  potai 
e  accumbit  lungo  il  Tevere.  E  genialis 
hiems  è  in  Virgilio,  perché  l'inverno  è 
occasione  di  adunarsi  in  lieta  brigata 
presso  il  fuoco. 

372-'81.  Ivi  11  gentil  Motteggio,  la  ur- 
bana dicacità  :  ma  questa  personifica- 
zione, come  le  seguenti  e  le  più  del  poe- 
ma, non  serba  di  astratto  se  non  quanto 
conferisce  all'ornato  poetico;  per  il  re- 
sto è  realtà  viva.  —  Sopra  le  penne  fug- 
gitive, rapide.  —  ed  agita:  precedendo 
sopra  le  penne,  qui  non  è  da  intendere 
«  spinge  innanzi  »  (come  in  agere  pe- 
cus,  agitare  feras,  e  poco  innanzi  al 
v.  34)  ma  «  crolla,  scuote  »,  sicché  le  cose 


recate  su  le  ali  si  spargano  intorno.  — 
i  raccolti  da  la  Fama  errori:  i  falli  ch'esso 
Motteggio  ha  uditi,  appresi  dalla  Fama. 
—  i  semplici  cf)»tnmi:  qualche  goffag- 
gine singolare.  —  E  gode  di  mirare  il 
qneto  sposo:  alla  prima  potrebbe  pa- 
rere che  fosse  stato  da  dire  piuttosto 
di  mirar  gitelo  lo  sposo  ;  ma  no:  quella 
placidità  è  un  attributo  costante,  non 
un  predicato  occasionale;  cfr.  vv.  412- 
'15.  —  Rider  primiero:  è  il  primo  a  ri- 
dere; a  cui  si  adatta  a  capello  l'ora- 
ziano «quid  rides'?  mutato  nomine  de 
te  fabula  narratur».  —  e  di  crncoìar... 
segreti  :  cioè,  il  Motteggio  con  lievi  ac- 
cenni si  diletta  a  metter  paura  alla  fida 
sposa  (sna,  cioè  del  queto  sposo)  che  si 
sveli  e  scopra  qualche  segreto  di  lei. 
Ciò  è  detto  assai  studiatamente,  ma  il 
senso  non  par  dubbio. 

381 -'90,  Ivi  abbracciata  Co'  festivi  Rac- 
conti... L'elegante  Licenza:  itnagine quan- 
to mai  felice  e  opportuna  per  dire  quelle 
oscenità,  tenute  di  buon  gusto  o  bon 
ton,  di  che  sono  sparsi  quegli  allegri 
racconti.  —  or  nnda...,  or  con  leggiadro 
velo...:  quando  più  sfacciata  e  quando 
più  maliziosa.  —  e  pnr  fatica  DI  richia- 
mar etc.  :  cioè,  assidua  essa  Licenza 
s'affatica,  s'ingegna,  ma  non  riesce,  a 


86  IL  MEZZOGIORNO 


L'elegante  Licenza:  or  nuda  appare 

Come  le  Grazie,  or  con  leggiadro  velo 
385        Solletica  più  scaltra,  e  pur  fatica 

Di  richiamar  de  le  matrone  al  volto 

Quella  rosa  natia  che  caro  fi-egio 

Fu  dell'  avole  nostre,  ed  or  ne'  campi 

Cresce  solinga,  e  tra  i  selvaggi  scherzi 
390        A  le  rozze  villane  il  viso  adorna. 
Forse  a  la  Bella  di  sua  man  le  dapi 

Piacerà  ministrar,  che  novo  pregio 

Acquisteran  da  lei.  Tu  dunque  il  ferro 

Che  forbito  ti  giace  al  destro  lato 
395        Quasi  spada  sollecito  snudando 

Fa  che  in  alto  lampeggi,  e  chino  a  lei 

Magnanimo  lo  cedi.  Or  si  vedranno 

De  la  candida  mano  all'opra  intenta 

I  muscoli  giocar  soavi  e  molli: 
400        E  le  Grazie  piegandosi  con  essa 

385.  S.  vie  meglio  ;  e  a'  affatica  —  387  sgg.  Q.  r.  gentil  che  fu  già  un  tempo  Onor 
di  belle  donne,  all'Amor  cara  E  cara  all'Onestade;  ora  ne' campi  natia,  che  caro 
fregio  Fu  de  l'avole  nostre,  a  l'amor  caro  E  caro  a  l'onestade  ;  ora  B.  —  391.  a  la  Dama 
(C.)  —  392  ag.  che  novi  al  senso  Gusti  ottorran  da  lei  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  393.  Veloce 
il  ferro  —  394.  ti  attende  —  395  sgg.  Nudo  fuor  esca;  e  come  quel  di  Marte,  Scintil- 
lando lampeggi:  indi  la  punta  Fra  due  dita  ne  stringi,  e  chino  a  lei  Tu  il  presenta, 
o  Signore.  Or  si  vedranno  —  396  sg.  Fa  che  in  alto  lampeggi,  indi  la  punta  Fra  due 
dita  ne  stringi,  e  chino  B.  —  400.  piegandosi  dintorno 


fare  arrossir  le  dame,  come  arrossivano  Par.  xxni  43  «la  mente  mia,  fatta  più 

le  nostre  nonne  (cfr.  il  Matt.  238  «  le  ac-  grande  Tra   quelle  dape,  di  sé  stessa 

cigliate  gelide  matrone  »)  e  ora  soltanto  uscio»;  metaforicamente  (come  viran- 

le  conladine.  Ma  nota  di  che  maravi-  da  in  Purg.  xxx  143),  per  dire  le  vi- 

glioso  tessuto  poetico  è  avvolto  questo  sioni  beatifiche.  —  Forse  né  pure  il  Bella 

pensiero.  —  Qnella  rosa  natia:  il  natu-  della  var.  qui  finiva  di  piacere  al   p. : 

ralpudore(«pui'pureuspudoi'»,  Ov.  am.  ma   Dama  con  dapi  vicino   gli   dava' 

I  3,  14);  e  continuando  arditamente  la  noia,  e  poi  voleva  mutare  in  tutto  l'e- 

metafora,  che...  or  ne'  campi  Cresce  so-  spressioue  da  quella  del  v.  437  sg. 

Unga  etc.  —  tra  i  selvaggi  scherzi,  troppo  395.  Quasi  spada:  avverti  come  in  que- 

arditi  o  sgarbati.  —  A  le  rozze  Tlllane:  sle  due  parole  ha  compreso  e  compen- 

qui  l'aggiunto   è  pieno  di  significato  :  diato   il  concetto  di  prima,   utilmente 

rozze,  e  pur  più  delicate.  —  La  var.  al  omettendo  il  paragone  e  il  nome  di  Marte, 

V.  386  sgg.  tutt' insieme  è  buona,  special-  e  anche  ha  lasciato  il  particolare  indi 

mente  in  quanto  ha  levato  v'x&aWAmor  la  punta  fra  due  dita  ne  stringi. 

cara  E  cara  all' Onestade,  ch'ei'a  un  399.  I  muscoli  giocar:  in  questo  senso 

commento  freddo  e  inutile.  Della  prima  «  il  gioco   de'  muscoli,  de'  nervi ...  »  si 

lez.  era  da  piacere  Onor  di  belle  donne  dice  comunemente,  e  la  vivace  espres- 

e  più  quell'oro-  ne'  campi  che  veniva  in  sione  fa  qui  ottimo  effetto, 

fine,  avversativo  asindetico.  400-'05.  Orna  poeticamente  questo  pea- 

391.  le  dapi,  cioè  le  vivande,  come  siero:  graziosi  son  tutti  gli  atti  della 

dirà  al  v.  438:   latinismo  raro.  Dante,  dama  china  e  intesa  all'opera,  e  tutte 


IL  MEZZOGIORNO  87 


Vestìran  nuove  forme,  or  da  le  dita 

Fuggevoli  scorrendo,  ora  su  l'alto 

De'  bei  nodi  insensibili  aleggiando, 

Ed  or  de  le  pozzette  in  sen  cadendo 
405         Che  de'  nodi  al  confin  v'impresse  Amore. 

Mille  baci  di  freno  impazienti 

Ecco  sorgon  dal  labbro  ai  convitati; 

Già  s'arrischian,  già  volano,  già  un  guardo 

Sfugge  dagli  occhi  tuoi  che  i  vanni  audaci 
4.10        Fulmina  ed  arde,  e  tue  ragion  difende. 

Sol  de  la  fida  sposa  a  cui  se'  caro 

Il  tranquillo  marito  immoto  siede  : 

E  nulla  impression  l'agita  e  scuote 

Di  brama  o  di  timor;  però  che  Imene 
415         Da  capo  a  pie  fatollo.  Imene  or  porta 

Non  più  serti  di  rose  al  crine  avvolti, 

Ma  stupido  papavero  grondante 

Di  crassa  onda  letea,  che  solo  insegna 

Pur  dianzi  era  del  Sonno.  Ahi!  quante  volte 
420         La  dama  delicata  invoca  il  Sonno 

Che  al  talamo  presieda,  e  seco  invece 

Trova  Imeneo,  e  timida  s'arretra: 

Quasi  al  meriggio  stanca  villanella 

Che  tra  l'erbe  innocenti  adagia  il  fianco 

405.  dei  nodi  —  408.  ma  uq  guardo  C.  —  414.  Di  brama,  di  timor  CI.,  C.  —  416.  av- 
volti al  crine  —  418  sg.  Letèa  :  Imene  e  il  Sonno  Oggi  han  pari  le  insegne.  Oh  come 
spesso  —  420.   dilicata  —  42-'.  e  stupida  rimane 


le  parti  della  sua  mano  si  mettono  leg-  di  rose,..:  a  Imene  lieto  convenivan  ghir- 

giadrainente  in  mostra.  —  su  l'alto  De'  lande  di  liori  lieti  e  odorosi.  Catullo  lxi 

l)('i  nodi  :  ove  le  dita  s'innestano  alla  6  «  Cinge  tempora  floribus  Suave  olentis 

palma,  al  dosso. — de  le  pozzette  in  scn...,  anaraci  ».    Anch'esso  il  P.  in  que' suoi 

The  de' nodi  al  confin...:   cioè  negli   al-  Programmi  di  belle  arti,op^.  V  p.  15, 

vedi  o  cavi  che  si  formano  su  la  mano  pone  «  Imeneo  coronato  di  rose». 

pie;;  i(a  ti'a  i  nodi  su'ldetti.  417-'l'J.  Ma  stnpido  papavero...,  che  in- 

406.  di  freno  impazienti,  che  non  pa-  duce  stu|)0.e,  torpore,  sonnolenza:  cfr. 

tiscouo  freno,  che  non   possono   traile-  il  Mall.v.  Ul.  Di  crassa  onda  lett'a:  den- 

nersi.  Cfr.  morae  impatiens.  sa  (anche  «  aer  grasso  »  dice  Danie),  e 

410.  tue  ragion,  il  tuo  diritto.  che  induce  oblio,  ch'era   proprietà   del 

414.  però  che  Imene  Da  capo  a  pie  f.v  fiume  infernale  di  Lete.  «  Lethaea  p  4)a- 

tollo.  Tutti  sanno  che  ne' poemi   eroici  vera»  è  in  Virgilio, 

e  cavallereschi  si  legge  di  guerrieri  falli  420  sg.  inroca  il  Sonno  Che  al  talamo 

invulnerabili  in  tutto  0  in  parte  per  opera  presieda  :  espressione  classica  secondo 

di  numi  o  per  virtù   d'  incanti.  Quindi  il  rito  o  la  credenza  che  a  ogni  cosa  o 

al  P.  r  idea  di  questa  si  nuova  fata-  luogo  presiedesse  un  dio,  un  genio,  un 

c/ione  :  e  la   felice,   acerba   trovata  gli  arbitro. 

a  pie  adito  alla  digressione  che  va  di  qui  423-'30.  Nella  Eneide,  II  378,  un  guer- 

al  V.  436.  riero  greco  che,  credendosi  tra  schiere 

415  sg.  Imene  or  porta  Xon  pìd  serti  amiclie  (socia  agmina)  avea  loro  rivolta 


88 


IL  MEZZOGIOKNO 


425 


Lieta  e  secura,  e  di  repente  vede 
Un  serpe,  e  balza  in  piedi  inorridita, 
E  le  rigide  man  stende,  e  ritragga 
Il  gomito,  e  l'anelito  sospende; 
E  immota  e  muta  e  con  le  labb.i-a  aperto 
Il  guarda  obliquamente.  Abi  qunnte  volte 
Incauto  amante  a  la  sua  lunga  pena 
Cercò  sollievo,  ed  invocar  credendo 
Imene,  ahi  folle  !  invocò  il  Sonno  ;  e  questi 
Di  fredda  oblivion  l'alma  gli  asperse, 
E  d'invincibil  noia  e  di  torpente 
Indifferenza  gli  ricinse  il  core. 
Ma  se  a  la  Dama  dispensar  non  piace 
Le  vivande,  o  non  giova,  allor  tu  stesso 
La  beli'  opra  intraprendi.  Agli  occhi  altrui 
Più  brillerà  cosi  l'enorme  gemma, 
Dole' esca  a  gli  usurai,  che  quella  osàro 
A  le  promesse  di  signor  preporre 
Villanamente:   e  contemplati  fièno 
I  manichetti,  la  più  uobil  opra 

425.  Quota  e  sicura,  e  d'improviso  —  423.  Il  cubito  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  430.  Obliqua- 
mente il  guarda.  Oh  come  spesso  —  439.  Il  bel  lavoro  improudi.  —  440.  Più  cosi  sma- 
glierà  l'è.  g.  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  443.  ed  osaervati 


430 


435 


440 


la  parola  e  a  un  tratto  s'accorge  d'es- 
sere invece  in  mezzo  a  troiani, 

Obstipuit  retroque  podem  cum  voce  re- 

[pressit  ; 
Improvisum  aspris  velati  qui  sentibus     ' 
(anfeuem 
Pressit  humi  nitens  trepidusque  repeu- 

[te  refugit 
Attollentem  iras  et  caerula  colla  tumen- 
[tem...  : 

comparazione  omerica.  Da  questa,  e  da 
qualche  racconto  di  dormenti  suU'ei'ba 
sopraffatti  all' impi'owiso  da  un  ser- 
pente, il  P.  ebbe  i  germi  di  questo  pa- 
ragone, ch'egli  adattò  si  conveniente- 
mente al  suo  soggetto  e  tratteggiò  con 
tanta  verità  in  ogni  particolare. 

430-'36.  Ahi  qiiaute  volte...,  imocò  11 
SouDO  :  r  innamorato  sperò  di  trovar 
pace  e  consolazione  nel  matrimonio,  ma 
quegli  cui  invocò  per  Imene  era  il  Sonno. 
Di  fredda  cbliviou  l'alma  gli  asperse: 
come  se  il  Sonno  producesse  tale  dimen- 
ticanza nel  marito  spruzzandolo  di  cras- 
sa onda  letèa,  —  torpente,  torpida,  iner- 


t3, letargica,  a  leggere  questi  versi  viene 
a  mente  il  principio  dell'epodo  1 C  di 
Orazio: 

MoUis  inertia  cur  tantani  diffuderìt  imi9 

Óblivionera  sensìbus, 
Pocula  Letliaeos  ut  si  ducentia  soranos 

Arente  fauce  traxerim... 

437  sg.  nou  piace...  o  non  giova:  se  dif- 
ferenza è  ti-a  i  due  verbi,  certo  è  ben 
sottile,  poiché,  non  apparendo  qui  dal 
contesto  che  giova  possa  avere  il  senso 
italiano  di  «  è  utile»,  dev'essere  il  so- 
lito latinismo  che  equivale  press'  a  poco 
a  «  piace  ». 

440-'43.  renorine  gemma,  Dolc'esca  a  gli 
nsnrai,  che  etc.  :  è  dunque  un  anello  che 
qualche  volta  fu  dato  in  pegno;  e  la  vil- 
lania dell'  usuraio  che  preferisce  il  pe- 
gno alla  parola,  richiama  quella  dt-1 
sai-tore  (Il  Matt.  v.  161  sgg.)  non  ben 
Ijago  D'aver  teco  diviso  i  ricchi  drap- 
pi... —  Villanamente  :  cfr.  al  v.  1S8. 

441  sg.  I  manichett'.  Salvini  disc.  3,75 
«Fiorentino  manichini,  romano  mani- 


IL  MEZZOGIORNO  89 


445         Che  tessesser  giammai  angliche  Aracni. 

Invidieran  tua  delicata  mano 

I  convitati,  inarcheran  le  ciglia 

Sul  diffidi  lavoro,  e  d'oggi  in  poi 

Ti  fia  ceduto  il  trinciator  coltello 

450        Che  al  cadetto  guerrier  serban  le  mense. 

Sia  tua  cui'a  fra  tanto  errar  su  i  cibi 

Con  sollecita  occhiata,  e  prontamente 

Scoprir  qual  d'essi  a  la  tua  bella  è  caro; 

E  qual  di  raro  augel,  di  straìiio  pesce 
455         Parte  le  aggrada.  Il  tuo  coltello  Amore 

Anatomico  renda,  Amor  che  tutte 

Degli  animali  noverar  le  membra 

Puote,  e  discerner  sa  qual  abbian  tutte 

Uso  e  natura.  Più  d'ognaltra  cosa 
460         Però  ti  caglia  rammentar  mai  sempre 

Qual  più  cibo  le  noccia  o  qual  più  giovi, 

E  l'un  rapisci  a  lei,  l'altro  concedi. 

Come  d'uopo  ti  par.  Serbala,  oh  dio. 

Serbala  ai  cari  figli.  Essi  dal  giorno 
465         Che  le  alleviàro  il  delicato  fianco 

Non  la  rivider  più:  d'ignobil  petto 

445.  Che  tessesse  giammai  Anglica  Aracne.  —  446.  dilicata  —  448.  Al  V.  (B.)  — 
450.  Dopo  questo  seguivano  i  vv.  Teco  son  io,  Signor;  già  intendo  e  veggo  Felice  osser- 
vatore 1  detti  e  i  moti  De'  Semidei  che  coronando  stanno  E  con  vario  costume  ornan 
la  mensa.  Or  chi  è  quell'  eroe  che  tanta  parlo  :  vedi  qui  al  v.  599.  E  al  v.  Teco  sou 
io,  Signor;  il  Reina  annota:  «  In  un  testo  del  Meriggio,  che  certo  è  l'ultimo  riveduto 
dall'autore,  si  trovano,  oltre  vari  cambiamenti,  le  traslazioni  che  seguono:  dal  verso 
Che  al  cadetto  guerrier  serban  le  mense  si  passa  al  verso  Sia  tua  cura  fra  tanto  errar 
su  i  cibi,  dal  quale  seguendo  si  va  fino  all'altro  Pur  di  commercio  novellava  e  d'arti: 
indi  si  retrocede  al  verso  Ma  chi  è  quell'  eroe,  che  tanta  parte,  e  di  là  ii  prosegue 
fino  al  verso  Da  le  vittime  umane  isti  superba,  con  cui  si  lega  il  seguente  Né  senza  i 
miei  precetti  o  senza  scorta  ».  —  457.  De  gli  animanti  annoverar  V.  (B.,  CI.)  animanti 
noverar  C.  —  458.  aggian  V.  (B.,  CI.,  C).  —  463.  d'uopo  a  te  paro.  Oh  dio,  la  serba 
V.  (CI.,  C.)  —  46').  Che  alleviare  B.  dilieato 


Ghetti  ;  i  Sanesi  gli  chiamai!  rimberci,  ciante  a  tavola.  Abbiamo  udito  or  ora, 
perché  figurano  la  rimboccatura  da  v.  395,  quasi  spada... 
mauo  della  camicia  »  (in  tale,  o  simile,  455-'59.  11  tuo  coltello  Amore  Anato- 
significato  usa  oggi  x>olsinÌ).  Le  ca-  mloo  renda  :  Amore  ti  guidi  la  mano,  in- 
micie del  Gioviu  signore  vengon  di  fuo-  segni  al  tuo  coltello  una  dissezione  sa- 
ri: tessuto  e  ricamo  inglese.  —  Aracni:  pienteeopportuna.  — Amor  che  tntte  ecc. 
dal  nome  della  mitica  tessitrice  lidia  forse  sta  a  giustificare  come  possa 
che  provocò  Minerva  e  fu  mutata  in  Amore  rendere  anatomico  il  coltello; 
ragno.  ma  anche  forse  può  parere  un  po'  lunga 
450.  al  cadetto  guerrier  s.  le  m.  :  in-  la  giunta,  un  po'  strana  la  scienza  at- 
tendo, che  ai  primogeniti  della  casata,  tribuita  ad  Amore. 
o  a  quelli  del  ceppo  vecchio,  erano  ser-  463-'66.  Serbala,  oh  dio.  Serbala  al  cari 
baie  già  altre  armi;  a  costoro,  il  triu-  fljliJ  Dopo  questo   affettuoso  grido  si 


90  IL  MEZZOGIORNO 


Esaurirono  i  vasi,  e  la  ricolma 

Nitidezza  lasciar©  al  sen  materno. 

Sgridala,  se  a  te  par  eh'  avida  troppo 
470        Agogni  al  cibo,  e  le  ricorda  i  mali 

Che  forse  avranno  altra  cagione  e  cli'elLi, 

Al  cibo  imputerà  nel  di  venturo. 

Né  al  cucinier  perdona  a  cui  non  calse 

Tanta  salute.  A  te  ne'  servi  altrui 
d75         Ragion  fu  data  in  quel  beato  istante 

Che  la  noia  o  l'amore  ambo  vi  strinse 

In  dolce  nodo,  e  pose  oi'Jini  e  leggi. 

Per  te  sgravato  d'odioso  incarco 

Ti  fia  grato  colui  che  dritto  vanta 
480         D'irapor  novo  cognome  a  la  tua  Dama, 

E  pinte  sti'ascinar  su  gli  aurei  cocchi 

Giunte  a  quelle  di  lei  le  proprie  insegno  : 

Dritto  sacro  a  lui  sol,  eh'  altri  giammai 

Audace  non  tentò  divider  seco. 
485         Vedi  come  col  guardo  a  te  fa  cenno 

Pago  ridendo,  e  a  le  tue  leggi  applaude, 

Mentre  l'alta  forcina  intanto  ei  volge 

Di  gradite  vivande  al  piatto  ancora. 

468.  serbavo  —  470.  Al  cibo  agogni  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  474.  sui  servi  (C.)  —  475, 
donossi  in  quel  felice  —  476.  o  l'amor  vi  strinser  arabo  —  477.  e  dier  o.  e  1.  —  479.  Ti 
fle  V.  (CI.,  C.)  —  481.  trascinar  —  483.  Dritto  illustre  per  lui,-  e  ch'altri  seco  —  484. 
divider  mai.  —  485-'88.  Sono  aggiunti  (B.,  CI.,  C.) 


aspetterebbe  di  udir  soggiungere  :  «  tu  il  Matt.  note  ai  vv.  569  e  812.  —  a  cni  non 
sai  ch'ella  non  li  parte  mai  da  sé,  sai  calse:  importò,  stiè  a  cuore.  Tanta  sa- 
di  che  assidue  cure  li  circonda  »,  o  altra  Iute:  cioè  cosi  preziosa, 
cosa  simile.  In  vece  :  Kssi  dal  giorno  Che  471  sg.  ne'  servi,  equivale  a  sui  servi 
le  alleTiàro  (alleggerirono,  sgravarono)  della  1'  lez.,  ma  piti  eletto  e  di  miglior 
il  delicato  fianco  Non  la  rhldcr  pio:  che  suono.  liaglon  fn  data,  diritto,  auto- 
forza in  questa  semplice  e  improvvisa  rilà. 

soggiunzione!  Di  tali  mosse  impensate  478-'88.  Per  te,  per  opera  tua,  sgra- 

vedremo,  tra  il  v.  739  e  prece,  e  il  v.  740  vato  d'odioso  incarco,  dispensato  da  un 

e  segg.,  un  altro  splendido  esempio.  ufficio  increscioso  (d'invigilare  e  rego- 

466-'68.  d'ignobil  petto,  cioè  di  balia  lare  l'appetito  e  la  gola  della  moglie), 

plebea.  Esaurirono  i  vasi,  nel  proprio  si-  Ti  fla  grato  colui  che  ecc.  :  acei'bissima 

gnilicato  di    «  vuotare  attingendo,   be-  perifrasi  del  marito.  Questi  è  colui  che 

vendo»  e  qui  «suggendo»  (Virgilio  gre.  dà  il  cognome  alla  moglie,  questi  è  che 

III  309  «  exhausto...  ubere»).   Nella  pa-  su  gli  sporteUi  della  carrozza  congiunge 

rola  un  po'  materiale  i  vasi  è  l' idea  del  gli  stemmi  delle  due  casate  :  guai  se  al- 

seno  abbondante,  e  che  adempie  all'uf-  tri  osasse,  ma  nessuno  osa,  usurpargli 

ficio  suo,  di  nutrice  contadina:  che  luce  nulla  di  tah  sacri  diritti  !  Che  gelosa  lie- 

di  marmo  è  in  vece  nelle  parole  la  ri-  rezza  !   Ma  v'  è  il   terribile  sottinteso  : 

cnlma  nitidezza!  nessuno  osa,  perché  di  ciò   a  nessuno 

473  sg.  No  al  cucinier   perdona:  cfr.  importa;  quanto  agli  altx'i  diritti,  sacr 


IL  MEZZOGIORNO  91 


Non  però  sempre  a  la  tua  bella  intorno 
4.90        Sudin  gli  studi  tuoi.  Anco  talvolta 

Fia  lecito  goder  brevi  riposi, 

E  de  la  quercia  trionfale  all'ombra 

Te  de  la  polve  olimpica  tergendo,  "^ 

Al  vario  ragionar  degli  altri  eroi 
495        Porgere  orecchio,  e  il  tuo  sermone  ai  loro 

Ozioso  mischiar.  Già  scote  un  d'essi 

Le  architettate  del  bel  crine  anella 

Su  l'orecchio  ondeggianti,  e  ad  ogni  scossa, 

De'  convitati  a  le  narici  manda 
500         Vezzoso  nembo  d'arabi  profumi. 

Allo  spirto  di  Ini  l'alma  Natura 

Fu  prodiga  cosi  che  più  non  seppe 

Di  che  il  volto  abbellirgli,  e  all'Arte  disse: 

Tu  compì  il  mio  lavoro;  e  l'Arte  suda 
505         Sollecita  d'intorno  all'opra  illustre. 

Molli  tinture,  preziose  linfe. 

Polvi,  pastiglie,  delicati  unguenti 

Tutto  arrischia  per  lui.  Quanto  di  novo, 

E  mostruoso  più  sa  tesser  spola, 

489-'91.  Ma  non  sempre,  o  Signor,  tue  cure  fieno  A  la  Dama  rivolte:  anco  talora 
Ti  fla  lecito  aver  qualche  ripoao.  —  496.  Frammischiar  ozioso.  Uno  gicà  scote  V.  (B., 
C!.,  C.)  —  498.  Su  la  guancia  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  504.  Compisci  'I  mio  —  Tu  compi  '1 
CI.,  C.  —  SO.*),  dintorno  C.  a  l'opra  B.  —  507.  dilicati 


per  davvero,  oh  quelli  non  sono  né  in-  vi  502,  «...  altum  Aedificat  caput».  —  e 

violabili  né  inviolati.   E  qui,   a  compi-  ad  ogni  scossa ...  :  rassomiglia  al  «  per- 

niento  della  tristemente  comica  figura,  soncino  »  del  Gozzi,  gV  Innam.  mod.  25 

il  p.  rappresenta  e  mostra  il  marito  ap-  sgg.,  che  andando  per  via 

provar  co'  cenni  il  servente  che  tiene  ,  .  .  una  striscia 

in  dieta  la  moglie,  e  intanto  esso  man-  r<ascia  indietro  d'odor,  come  canestro 

giare,  mangiare  tra  tanti  vaporosi  se-  Di  giardiniere,  o  profumiera  ardente 

midei  con  molto    umano    appetito,    lui,  ^^'  fanticella  iu  altra  stanza  apporti, 

l'unico  che  non  ne  dovrebbe  avere.  501-'03.  Sottile  maniera  di  significare 

492  sg.  Due  versi   eroici,  da  cose  e  eh'  è  un  brutt'  uomo.  Madre  Natura  gli 

frasi  ben  note.  Do  la  (inorciii  trioufalc  a  largì  ogni  bellezza  allo  spirito,  sicché  per 

l'cnibra:  Virgilio  Aen.  vi  772  «  umbrata  il  cOrpo  fu  costretta  accomandarlo  al- 

geruiit  civili  tempora  quercu  »,  perché  l'Arte.  A  buou  conto,  di  che  alto  spirito 

di  quercia  erano  le  corone  civiche,  de  ei  sia  dotato,  s'intenderà  poco  appresso 

la  polve  olimpica:  di  cui  si  coprivano  i  udendo  in    quali  cose  riponga  la  sua 

campioni  de' giochi  d'Olimpia;  «  pulve-  gloria. 

rem  Olympicum  »  in  Orazio,  e.  I  1,  3.  508.  Tutto  arrischia  per  lui,  cioè  dà, 

496-500.  Già  scote  un  d'essi.  Col  profu-  largisce  ;  ma  detto   in  modo  originale 

mato  figurino  alla  moda  comincia  a  in-  come  se  fosser  cose  da  tenere  in  ser- 

dividuare  e  lumeggiare  gli  attori  della  ho  e  che  potessero  avere  altro  uso  da 

commedia.  —  Le  architettate  ecc.;  cfr.  il  quello. 

Matt.  5?)&:   e   i  due  luoghi  possono  ri-  509.  E  mostruoso,  lat.  «monstrosum  », 

chiamarci  la  espressione  di  Giovenale,  miracoloso,  straordinario.  Ma  già  sap- 


92 


IL  MEZZOGIORNO 


610        0  bulino  intagliar  gallico  ed  anglo, 

A  lui  primo  concede.  Oli  lui  beato 

Che  primo  può  di  non  più  viste  forme 

Tabacchiera  mostrar!  l'etica  invidia 

I  grandi  eguali  a  lui  lacera  e  mangia; 
515        Ed  ei  pago  di  sé,  superbamente 

Crudo  fa  loro  balenar  su  gli  occhi 

L'ultima  gloria  onde  Parigi  oruollo. 

Forse  altera  cosi  d'Egitto. in  faccia, 

Vaga  prole  di  Sèmele,  apparisti 
520        I  giocondi  rubini  alto  levando 

Del  grappolo  primiero:  e  tal  tu  forse, 

Tessalico  garzon,  mostrasti  a  Jolco 

L'auree  lane  rapite  al  fero  drago. 

510.  Fi'ancese  ed  A.  —  511.  O  lui  (B.).  —  512  sg.  Che  primo  ancor  di  nou  pili  ^iste 
forme  Tabacchiera  mostrò  1  V.  (B.,  CI,  C).  —  516.  Crudo,  fa  1.  b.  su  gl'occhi  B.  — 
522.   Tesalico  B.- 


piamo  che  il  P.  si  compiace  a  usar  pa- 
role le  quali,  secondo  il  colore  del  suo 
eloquio,  paion  latine,  e  intanto  di  sotto' 
il  velo  classico  mostrano  il  significato 
moderno.  Chi  qui  nel  mostruoso  non  in- 
tende il  ridicolo  a  cui  suole  arrivare  la 
novità  delle  fogge?  Cfr.  il  M Ut.  v.  U. 
511-'13.  Oh  Ini  beato  Che  primo  può  ...: 
costrutto  frequente  anche  nei  latini;  un 
aggettivo  esclamativo,  seguito  dal  rela- 
tivo con  forza  dichiarativa  («  Felix,  qui 
potuit  rerum  cognoscere  causas  »  Virg. 
gè.  II  490)  o  causale  («  Demeus,  qui  nim- 
bos  et  non  imitabile  fulmen  Aere  et  cor- 
nipedum  pulsusimularetequorum»  Aen. 
VI  590),  eh' è  il  caso  presente. 

513.  l' etica  invidia  :  tisica  ;  che  si 
strugge  (Intabescit  rtcfendo)  innanzi  alla 
fortuna  o  al  merito  altrui. 

514.  I  grandi  eguali  a  lui  :  e  però, 
intende,  tult'altro  che  grandi:  cfr.  v.770. 
—  lacera  e  mangia,  strazia  e  consuma, 
divora;  «rode  e  lima»,  direbbe  l'Ario- 
sto. 

516.  Crudo,  crudele,  senza  pietà  nello 
sfoggiare  il  suo  trionfo  innanzi  a  quegli 
umiliati  consorti. 

518-23.  A  quel  bravo  signore  mette 
superbia  il  suo  nuovo  gingillo,  inutile 
in  sé,  senza  merito  a  possederlo.  Ed  ecco 
due  comparazioni  eroiche,  l'una  di  una 
novità  utilissima,  l'altra  di  una  conqui- 


sta d'altissimo  merito  :  Bacco  e  la  vite, 
Giasone  e  il  vello  d'oro.  Tanto  discer- 
nimento presiede  alla  inserzione  e  scelta 
di  questi  pezzi  antichi,  i  quali  a  un  let- 
tore frettoloso  potrebber  parere  lusso 
di  erudizione  decorativa  e  ricercata  oc- 
casione a  bei  versi.  —  Forse  altera  cosi, 
compiacendosi  come  tu  ora.  —  d'Egitto  in 
faccia:  perché?  o  che  propriamente  vuol 
dire  ?  Intendo  :  Bacco,  allevato  a  Nisa 
neir  India  (e  c'è  terra  e  mare  di  mezzo, 
ma  in  somma  è  A" Egitto  in  faceta),  di 
là  mosse  per  il  mondo.  Cosi  in  Virgilio, 
Aen.  VI  810: 

...  qui  pampiueis  Victor  iuga  flectit  habenis 
Liber  agens  celso  Nysae  de  vertice  tigrea. 

li  puoi  ricordare  i  bei  versi  del  Foscolo, 
le  Graz,  i  118,  ov'  è  detto  che  Cerere 

...  d'oltre  l'Eufrate 
Chiamò  un  di  Baasareo,  giovane  dio, 
A  ingentilir  di  pampini  le  rupi. 

—  Taga  prole  di  Sèmele:  Bacco,  nato 
a  Giove  da  Sèmele  figliuola  di  Cadmo; 
«  proles  Semeles  Bacchus  »  è  in  Tibullo 
HI  4,  45,  «  Thebanae...  Semeles  puer  » 
in  Orazio  o.  I  19,  2.  —I  giocondi  rubini 
alto  levando  Del  giuippolo  primiero,  cioè 
n  primo  bei  grapftelo  colorito  :  par  di 
vedere,  e  forse  sovvenne  al  p.,  qualche 
bronzo  antico  atteggiato  cosi.  Anch'egli, 
in  que'  suoi  Programmi  di  belle  arti, 


IL  MEZZOGIORNO  93 


Or  vedi,  or  vedi,  qual  magnanim'  ira 
B25        Nell'eroe  che  dell'altro  a  canto  siede 

A  si  novo  spettacolo  si  desta  ; 

Vedi  quanto  ei  s'aiFanua,  e  il  pasto  sembra 

Obliar  declamando.  Al  certo  al  certo 

Il  nemico  è  a  le  porte:  ohimè  i  Penati 
530        Tremano,  e  in  forse  è  la  civil  salute! 

Ma  no  ;  più  grave  a  lui,  più  preziosa 

Cura  lo  infiamma:   «  Oh  depravato  ingegno 

Degli  artefici  nostri  !  In  van  si  spera 

Da  la  inerte  lor  man  lavoro  egregio, 
535        Felice  invenzion  d' uom  nobil  degna: 

Chi  sa  intrecciar,  chi  sa  pulir  fermaglio 

A  patrìzio  calzar?  chi  tesser  drappo 

Soffribil  tanto,  che  d'ornar  presuma 

I  membri  di  signor  che  un  lustro  a  pena 
540        Conti  di  feudo?  In  van  s'adopra  e  stanca 

Chi  la  lor  mente  sonnolenta  e  crassa 

Cerca  destar.  Di  là  da  l'Alpi  è  d'uopo 

Appellar  l'eleganza:  e  chi  giammai 

Fuor  che  il  genio  di  Francia  osato  avrebbe 

524.  Vedi,  o  Signor,. quanto  rn.  i.  —  52ó.  che  vicino  all'altro  siede  —  526.  A  quel 
novo  —  si  desta?  CI.  —  527.  Vedi  come  s'affanna,  e  sembra  il  cibo  —  528.  Obblìar  B., 
C,  —  531.  Ah  no;  —  532.  depravati  iugegai  —  534,  Dall'inerte  1.  m.  1.  industre,  — 
637.  A  nobile  —  539.  Lo  membra  —  540.  Di  feudo  couti?  —  511  sg.  Chi  '1  genio  lor 
bituminoso  e  crasso  Osa  destar.  Di  là  dall'alpi  è  forza  —  512.  da  l'alpi  B.  dall'Alpi 
è  duopo  CI.,  C.  —  543.  Ricercar  —  544.  avria  V.  (B.,  CI.,  C.) 


opp.  V  p.  S2,  poneva  il  dio  «con  pam-  portante;  pld  prezioga,  di  maggior  va- 

pini  iu  capo,  un  grappolo  nella  destra  ».  lore. 

—  Tessallco  garzon:  Giasone,  che  alla  na-  532  sg.  Oh  dipravato  ingegno  Degli  ar- 

tiva  Tessaglia  riportò  dalla  Colchide  il  teflcl  nostri!  Costui  è   il  dispregiatore 

vello.  lolcos   era  città  di   Tessaglia,   e  perpetuo  di  ciò  eh' è  patrio  e  paesano, 

lolciacus  per  tessalico  è  più  volte  ne'  sia  pur  bea  fatto,  e  l'ammiratore  supino 

poeti:  Ciris  377,  Prop.  II  1,51.  —  al  fero  di  ogni  cosa  che  abbia  passato  i  monti 

drago  :  l' idra  custode  del  vello,  v.  Ovi-  o  il  mare.    Anche  qui  ricorre   qualche 

dio  Met.  VII  104-'12.  analogia  con  pensieri  veduti  ne  7  Matt. 

521-26.  Or  Tedi...  A  si  novo  spettacolo:  p.  es.  al  v.  705. 
si  avverta  come  i  personaggi  sono  ac-  537.  A  patrizio  calzar  :  poiché  d'uom 

costati  e  le  scene  connesse.   La  novità  nobil  era  due  versi  sopra,  utile  è  stata 

parigina  del  primo  è  cagione  al  decla-  la  mutazione  qui  di  nobile  iu  patrizio 

mare  del  secondo;  e  cosi  tutto   riesce,  che,  dato  per  agg.  a  calzar,  ha  una  vi- 

esteriormente  e  intimamente,  collegato.  vace  arditezza. 

529  sg.  11  nemico  è  a  le  porte  :  quasi  539  sg.  signor  che  ...  :    di    nobiltà  re- 
proverbiale, per  dire  un  gran  pericolo  centissima,  nobilitato  di  fresco, 
imminente;  dal  lat.  Hannibal  ad  por-  512  sg.  di  là  da   l'Alpi,  da  oltre  le 
tas.  Le. parole  soggiunte  non  sono  che  Alpi;  Appellar,  far  venire, 
esplicazione  di  queste  prime.                            541  Fuor  che  il  genio  di  Francia:  qui 

531.  pia  graTC  a  ini:  per  lui  più  im-  genio,  pur  col  suono  classico,  pende  al 


94 


IL  MEZZOGIORNO 


545        Su  i  menomi  lavori  i  grecH  ornati 

Condur  felicemente  ?  Andò  romito 

Il  Bongusto  finora  spaziando 

Per  le  auguste  cornici  e  per  gli  eccelsi 

Timpani  de  le  moli  a  i  numi  sacre 
550         O  agli  uomini  scettrati  ;  ed  or  ne  scende 

Vago  alfìn  d'agitar  gli  austeri  fregi 

Entro  a  le  man  di  cavalieri  e  dame  : 

Ben  tosto  si  vedrà  strascinar  anco 

Fra  i  nuziali  doni  e  i  lievi  veli 
555        Le  greche  travi,  e  docile  trastullo 

Fien  de  la  Moda  le  colonne  e  gli  ardii 

Ove  sedeano  i  secoli  canuti  ». 
Commercio  alto  gridar,  gridar  commercio 

All'altro  lato  de  la  mensa  or  odi 
560         Con  fanatica  voce:  e  tra  '1  fragore 

D' un  peregrino  d'eloquenza  fiume, 

545.  greci  B.  —  ólG.  Recar  —  517.  Buougusto  B.,  C.  —  548.  Su  le  a.  e.  e  su  — 
549.  al  Nuuie  —  550.  E  agli  u.  s.;  oggi  scetrati  B.  —  551,  V.  a.  di  condurre  i  gravi  f. 
—  552.  Infra  le  Eatro  le  B.  —  553  sg.  Tosto  forse  il  vedrem  trascinar  anco  Su  molli 
veli  e  nuziali  doni  —  559.  A  l'altro  B. 


significato  neologico;  ralTi-oiita  v.C!3e 
la  nota. 

545  sg.  Sa  i  raenoml  laTori  1  greclii  or- 
nati Condor  felicemente:  riprodurre  sui 
più  minuti  oggetti  fregi  e  disegui  greci. 
—  grechi,  desinenza  insolita,  ma  tutt'al- 
tro  che  ingiustificabile.  —  Condur:  pro- 
prio ed  eletto  il  verbo  condurre  che 
significa  la  diligente  fedeltà  nel  fare 
l'opera  secondo  il  modello. 

546-'53.  Andò  romito  II  Boagiisto  fl- 
nora,  la  squisitezza  dell'arte  stiè  solita- 
ria, spaziando  Per  le  anguste  cornici,  le 
fronti  e  i  cornicioni  solenni  degli  edi- 
lizi sacri  e  regi,  e  per  gli  eccelsi  Tim- 
pani, o  tamburi,  termine  d'architettura; 
le  grandi  fasce  su  cui  posano  le  vòlte 
e  le  cupole. 

551.  d'agitar:  mettere  in  moto,  far 
andare  in  giro;  cf.  v.  371. 

553-'57.  Ben  tosto  si  vedrà...:  il  declama- 
tore esalta  {e  il  p.  ne  ride,  ben  s'intende 
e  si  sente)  quel  grande  appassionarsi  di 
cose  greche,  per  cui,  imitando allacieca, 
spesso  si  offendeva  ciò  di  cui  nulla  ebbe 
più  greco  la  Grecia,  il  decoro,  cioè  la 
convenienza   eh' è  condizione  e  perfe- 


zione di  bellezza.  E  chiudono  il  passo 
due  espressioni  tra  icastiche  e  scultorie 
mirabili;  strascinate  le  greche  travi  tra 
un  corredo  di  sposa,  e  giocherellati  tra 
i  ninnoli  alla  moda  i  più  solenni  mo- 
numenti dell'antichità.  Avverti  la  potente 
novità  del  verso  di  chiusa. 

55S-'60.  Commercio  alto  gridar,  gridar 
commercio...:  quasi  a  preoccupare  e 
troncare  ogni  altra  discussione,  sorge 
il  grido  di  chi  si  crede  possedere  il  vero 
segreto,  la  panacèa  universale.  —  Con  fa- 
natica voce,  propria  di  chi  è  invasato  o 
esaltato  da  un  sentimento  o  da  un'  idea. 
(Fanaticus  da  fanum  —  «  fanaticus  er- 
ror  »  in  Orazio  a.  p.  454  —  per  l' insania, 
più  0  men  pia,  che  prendeva  ai  sacerdoti 
di  talune  divinità,  di  Cibele  sopra  tutte).' 

560-'64.  peregrino,  in  apparenza  si- 
gnifica raro,  eh' è,  o  può  esser,  lode, 
ma  in  realtà  forestiero,  eh'  è  biasimo  : 
ciò  dice  il  coutasto,  ove  subito  dopo  si 
accenna  a' neologismi  nuovi  di  zecca.  — 
Brillantati,  luccicanti  del  falso  luccichio 
che  danno  a'  pensieri  le  ambiziose  parole 
o  straniere  o  nuove.  —  plcchin  lo  spirto, 
traduce  la  frase  corrente  f acciari  colpo. 


IL  MEZZOGIORNO  95 


Di  bella  novità  stampate  al  conio 

Le  forme  apprendi,  onde  assai  meglio  poi 

Brillantati  i  pensier  picchiu  lo  spirto. 
5G5        Tu  pur  grida  commercio;  e  un  motto  ancora 

La  tua  bella  ne  dica.  Empiono,  è  vero, 

11  nostro  suol  di  Cerere  i  favori, 

Che  tra  i  folti  di  biade  immensi  campi 

Move  sublime,  e  fuor  ne  mosti-a  a  pena 
570        Tra  le  spighe  confuso  il  crin  dorato. 

Bacco  e  Vertunno  i  lieti  poggi  intorno 

Ne  coronati  di  poma:  e  Pale  amica 

Latte  ne  preme  a  larga  mano,  e  tonde 

Candidi  velli,  e  per  li  prati  pasce 
B75        Mille  al  palato  nman  vittime  sacre. 

Cresce  fecondo  il  lin,  soave  cura 

Del  verno  rusticale  ;  e  d' infinita 

Serie  ne  cinge  le  campagne  il  tanto 

Per  la  morte  di  Tisbe  arbor  famoso. 
5S0        Che  vale  or  ciò  ?  Su  le  natie  lor  balze 

564.  Brilantati  B.  la  mente  —  565  ag.  e  la  tua  Dama  Anco  un  motto  ne  dica.  —  568- 
'70.  Che  per  folti...  Krgesi  altera;  e  pur  ne  mostra  a  pena  Tra  le  spighe  confuse  V. 
(B.)  —  571.  poggi  e  il  monte  V.  (B.)  —  57G  sg.  Sorge  ...  Di  verni  rusticali  V.  (B.,  CI.,  C.) 


566.  Empiono,  è  Taro...:  con  questa  fiori  gli  si  convengano,  e  spiega  cosi  i'. 

concessiva  il  p.  viene  ad  affermare,  di  proprio  nome: 

fronte  alle  nuove   teoriche,   la   vecchia  ^.t  mihi,  quod  formus  unus  vertebar  in 

naturale   ricchezza   d'Italia,  l'agricol-  [onmes, 

tura.  Nomon  ab  eventu  patria  lingua  dedit. 

568-'70.   Splendida    imagine,   degnis-  572-'75.    Pale,  dea  già  ricordata  (il 

sima  di   un  grande   antico.   Tanto  son  j^jatt.  41)  della  pastorizia,  dà  il  latte  la 

prosperose  le  mèssi,  che  Cerere  passeg-  j^Da  le  carni. 

giando  tra  esse  ne  emerge  solo  in  parte  575  gg.  Cresce  fecondo  il  lin,  soafC  cura 
col  capo,  mal  distinguendosi  la  sua  dalla  pei  yemo  rusticale.  Virgilio,  dove  tocca 
loro  biondezza.  Orazio,  sat.  11  2,  121  «  Ac  delle  occupazioni  del  contadino  nell'  in- 
venerata Ceres,  ita  culmo  surgeret  al-  verno,  ha  i  notissimi  versi,  gè.  I  293  : 

'  ■"  *■                                                      .         .  Interea,  longum  cantu  solata  laborem, 

571  sg.  Racco  0  Tertnnno   i  lieti  p.  i.  ^^.^^^^  ^„^i^^  percurrit  pectine  telae. 
Ne  coronan  di  poma:  ne   pronome,  dat. 

d' interesse  ;  chiaro,  precedendo  pochi  577-79. 1» infinita  serie:  di  lunghi  filari, 
versi  sopra  il  nostro  suol.  —  Bacco  pre-  il  tanto  Per  la  morte  di  Tisbe  arbor  fa- 
siedeva  non  pure  alla  vigna  ma  anche  moso:  il  gelso,  alimento  del  baco  da  se- 
ai  frutteti:  e  però  invocato  a  principio  ta;  però  l'abbondanza  de' gelsi  è  posta 
del  lib.  II  delle  Georgiche.  —  Tertnnno,  a  significare  l'abbondante  produzione 
dio  italico,  trasmutabile  in  ogni  forma,  serica:  tanto...  famoso^  peiffhé  notissima 
simbolo  delle  stagioni  e  protettore  dei  è  la  bella  favola  ovidiana,  Met.iv  55-166, 
frutti  diversi.  Una  bella  elegia  è  consa-  di  Pi  ramo  e  Tisbe  :  all'albero  era  il  cen- 
erata a  questo  dio  da  Properzio,  IV  2;  veglio  d'amore,  e  dal  sangue  i  frutti 
in  essa  Vertumnus  espone  con  vaghezza  bianchi  di  quello  furon  fatti  e  rimasero 
di  particolari  come  tutti  i  frutti,  tutti  i  bruni. 


9G 


IL  MEZZOGIORNO 


Rodan  le  capre:  ruminando  il  bae 

Per  li  prati  natii  vada;  e  la  plebe 

Non  dissimile  a  lor,  si- nutra  e  vesta 

De  le  fatiche  sue;   ma  a  le  grand'alme 
585        Di  troppo  agevol  ben  scliife  Cillenio 

Il  comodo  ministri  a  cui  le  miglia 

Pregio  acquistino  e  l'oro:  e  d' ogn' intorno 

Commercio  risonar  s'oda,  commercio. 

Tale  dai  letti  de  la  molle  rosa 
590        Sibari  un  di  gridar  soleva,  e  i  lumi 

Disdegnando  volgea  dai  campi  aviti. 

Troppo  per  lei  ignobil  cura  ;  e  mentre 

Cartagin  dura  a  le  fatiche,  e  Tiro, 

Pericolando  per  l' immenso  sale, 
595        Con  l'oro  altrui  le  voluttà  cambiava, 

Sibari  si  volgea  sull'altro  lato, 

E  non  premute  ancor  rose  cercando. 

Pur  di  commercio  novellava  e  d'arti. 
Ma  chi  è  quell'eroe  che  tanta  parte 
600         Colà  ingombra  di  loco,  e  mangia  e  fiuta 

582.  Lungo    i    prati  —  586.  Il    commodo  CI.   presenti  — 590.   Sibari    ancor    g.  8.  ;  i 
lumi  —  595.  la  voluttà  B.  —  59G.  su  l'altro  B. 


582  sg.  la  plebe  Non  dissimile  a  lor  : 
ricorda  il  v.  329.  Già  sappiamo  che  si- 
mile e  dissimile  si  uniscono  al  terzo  non 
meno  che  al  secondo  caso,  come  in  la- 
tino. 

585.  DI  troppo  agerol  ben  schife,  sde- 
gnose, da  esso  aborrenti:  schifo,  ado- 
perato assolatamente,  vedemmo  già  ne 
il  Matt.  368. —  Cillenio:  Mercurio,  cosi 
detto  dal  monte  Cillene  in  Arcadia,  sul 
quale  nacque,  Aeii.  viii  138  sg.;  dio  de' 
guadagni  e  de' commerci. 

586  sg.  Il  comodo,  l'agiatezza,  gli  agi; 
ma  non  so  se  chiaro  del  tutto  né  bello  : 
ministri,  fornisca  :  a  cui  le  miglia,  cioè 
la  distanza.  Fregio  acquistino  e  l'oro,  al 
qual  comodo,  alle  quali  provvisioni  dia 
valore  l'essere  importate  da  lontano  e 
pagate  a  caro  prezzo. 

589-98.  Sibari  e  i  sibariti  vennero  in 
proverbio  per  la  mollezza  e  morbidezza 
della  vita.  Quella  celebre  colonia  greca, 
della  Lucania,  sul  fiume  Sibari  affluente 
del  Grati,  florentissima  di  commerci,  si 
abbandonò  al  godimento;  e  la  città,  poco 
dopo  i  due  secoli  dalla  sua  fondazione, 


nel  510  a.  C.  fu  distrutta  dai  crotoniati. 

—  Cartagin  dura  a  le  fatiche,  cioè  indu- 
rata ad  esse,  resistente:  Virgilio,  gè.  ii 
170,  chiama  gli  Scipioni  «  duros  bel\i  ». 

—  Tiro,  la  maggior  città  fenicia,  fiori  a 
lungo  e,  risorta  dopo  la  devastazione 
assira,  durò  fino  a  quella  di  Alessandro 
Magno.  —  Pericolando,  cioè  sfidando  i  pe- 
l'icoli,  per  l'immengo  sale,  cioè  mare:  il 
latinismo,  salion  per  tnare,  è  già  in 
Dante  «  per  l'alto  sale  ».  —  Con  l'oro  altrnl 
le  Tolnttà  cambiava,  cioè  della  ricchezza 
non  abusava  a  propria  delizia,  ma  ne 
faceva  materia  a  nuova  ricchezza.  — 
Forse  in  questo  passo  la  eleganza  squi- 
sitissima della  forma  illude  un  poco,  io- 
solita  cosa  nel  nostro,  su  la  giustezza 
intima  del  pensiero.  Danno  di  Sibari  non 
apparisce  essere  stato  il  commercio, 
anzi  il  non  avere  in  esso  perseverato,  o 
almeno  l'avere,  a  differenza  delie  due 
grandi  città  chiamate  in  paragone,  fruito 
spensieratamente  della  naturale  e  ac- 
quisita abbondanza. 

599-602.  Il  secondo  e  il  terzo  interlo- 
cutore ubbiain  visto  clie  sujCiiJoao  al 


IL  MEZZOGIORNO  97 


E  guata  e  de  le  altrui  fole  ridendo 

Si  superba  di  ventre  agita  mole  ? 

Oh  di  mente  acutissima  dotate 

Mamme  del  suo  palato!  oh  da' mortali 
605        Invidiabil  anima  che  siede 

Fra  l'ammiranda  lor  testura,  e  quindi 

L'ultimo  del  piacer  deliquio  sugge  ! 

Chi  più  acuto  di  lui  penetra  e  intende 

La  natura  migliore;  o  chi  più  industre 
610        Converte  a  suo  piacer  l'aria,  la  terra, 

E  il  ferace  di  mostri  ondoso  abisso? 

Qualor  s'accosta  al  desco  altrui,  paventano 

Suo  gusto  inesorabile  le  smilze 

Ombre  de'  padri  che  per  l'aria  lievi 
615        S'aggirano  vegliando  ancora  intorno 

Ai  ceduti  tesori  :  e  piangon  lasse 

Le  mal  spese  vigilie,  i  sobri  "pasti. 

Le  in  preda  all'aquilon  case,  le  antique 

Digiune  rozze,  gli  scommessi  cocchi 
620        Forte  assordanti  per  stridente  ferro 

Le  piazze  e  i  tetti  :  e  lamentando  vanno 

Gl'invan  nudati  rustici,  le  fami 

Mal  desiate,  e  de  le  sacre  toghe 

L'armata  in  vano  autorità  sul  vulgo. 

601.  de  le  altrui  cure  —  606.  Tra  la   mirabil  —  608,  Chi  piti  saggio  di  lui  penetra 

—  611.  E  '1  ferace  —  612.  Qualora  ei  viene  V.  (CI.)  Qualora  s'accosta  C.  ma  dalla  stampa 
errata  si  vede  eh' ei  stava  per  la  i*  lez.  —  614.  de  gli  avi  V.  (CI.  C.)  —  615.  Aggiransi 
vegliando  ancor  dintorno  V.    (B.,  CI,,  C,  ma  B.  e  C.  d'intorno)  —  618.  a  1' aquilon  B. 

—  624.  volgo.  C. 


primo  non  senza  logica  connessione  e  naturale,  o  ciò  eh'  è  di  meglio  in   na- 

irrompendo  focosamente   nel  discorso,  tura;  in  quanto  mangereccio,  si  sottiu- 

II  quarto  spicca  per  contrasto,  scherni-  tende.  —  chi  pld  indnstre  Conrerte  a  suo 

tore  apatico  dell'altrui  foga,  bassamente  piacer  ecc.  :  chi  gusta  in  maggior  copia 

ghiotto,  glorioso  del  suo  ventre.  uccelli,  animali  terrestri,  pesci?  Ma  è 

603-'07.  «  Quanto  ingegno  e  quanto  detto  in  alto   stile,  eroicamente.  Anche 

sentimento  ha  colui  nelle  fauci  !»,  questo  in  Ovidio,  Met.  vai  830,  un  fameHco 
dice,   ma  squisitissimamente,  il   p.  tri-  «  quod  pontua,  quod  terra,  quod  educai 

buendo  mente  acntissima  al  palato  e  prò-  [aer,  Posclt  ». 

prio  alle  inanime  di  esso  (il  palato  molle  613  sg.  Sao  gusto  inesorabile,  il  palato 

è  una  mucosa  e  non  ha  papille,  ma  a  implacabile,  la  gola  spietata.  —  ie  smilze 

questa  mettono   capo  le  ramificazioni  Ombre  de'  padri:  smilze  non  in  quanto 

nervose:  del  l'esto,  la  frase   non  è  né  ombre  («  domus  exiiis  Plutonia  »,Oraz. 

vuol  essere  scientifica  o  tecnica),  e  pò-  e.  i  4,  17),  ma  per  le  vaglie  e  i  digiuni 

nendo  ira  il  delicato  ordito  di  esse  mam-  di  cui  appresso. 

me,  cioè  nell'apparato  del  gusto,  la  sede  615.  vegliando  ancora:  seguitano  a  far 

dell'anima  di  tale  uomo,  la  quale  ivi  pi-  la  guardia, 
glia  piacere  sino  a  svenirne.  616-'24.  Piangon,  transitivam.,  deplo- 

60L-11.  La  natnra  lulglioro,  la  bontà  rano,  he  mal  spese  ecc.  :  male  spese,  da. 

Tahpi  —   Al:i.-;;,  7 


98 


IL  MEZZOGIORNO 


625 


630 


635 


L'altro  vicin  chi  fia?  Per  certo  il  caso 
Congiunse  accorto  i  due  leggiadri  estremi 
Perché  doppio  spettacolo  campeggi, 
E  l'un  dell'  altro  al  par  più  lustri  e  splenda. 
Falcato  dio  degli  orti  a  cui  la  greca 
Làmsaco  d'asinelli  offrir  solea 
Vittima  degna,  al  giovine  seguace 
Del  sapiente  di  Samo  i  doni  tuoi 
Reca  sul  desco  :  egli  ozioso  siede 
Aborrendo  le  carni  ;  e  le  narici 
Schifo  raggrinza  e  in  nauseanti  rughe 
Ripiega  i  labbri,  e  poco  pane  intanto 


625.  Chi  siede  a  lui  vicin?  —  626.  i  duo  V.  (CI.,  C.)  —  628.  de  l'altro  B.  —  630. 
Làmpsaco  C.  —  631.  giovane  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  634.  Dispregiando  Abborrendo  B.  — 
635.  raggrinza,  in  n.  r.  (B.) 


che  a  iiighiuUii'ue  i  risparmi  dovea  giun- 
gere un  tal  diluvio  d'uomo.  Le  in  preda 
uU'aquilon  case,  cioè  non  riparate,  pe- 
netrabili ai  freddi  venti.  —  le  antique  Di- 
giune rózze,  i  vecchi  e  magri  cavalli. 
gii  scommessi  cocclii  ecc.,  le  carrozze 
mezzo  sgangherate,  onde  il  rumore  e  il 
cigolio  empie  i  luoghi  per  cui  passano. 
e  lamentando  ranno  01'  invan  nudati  rn- 
Btici  ecc.  Da'  versi  precedenti  si  direbbe 
che  il  p.  parteggia  per  que'  vecchi  au- 
steri e  li  ammira  :  oh  si  !  Eccoli  co- 
stretti a  trovare  inutili,  all'appressarsi 
di  quel  ghiottone,  non  che  le  proprie 
astinenze,  ancora  le  proprie  colpe.  Si 
rammaricano  di  avere  inutilmente  an- 
gariato i  contadini,  d'essersi  augurati 
le  carestie  per  aver  meglio  obbligata  e 
soggetta  la  plebe  de'  campi  (cosi  intendo 
le  fami  Mal  desiate,  atteso  quel  che  pre- 
cede e  segue  immediatamente  ;  e  una 
ripetizione  de  i  sobri  pasti  non  può  certo 
essere),  e  di  avere  inutilmente  fatto  cal- 
car la  mano  alla  giustizia  sui  da  meno 
(cosi  interpreto  de  le  sacre  toghe  L'ar- 
mata in  vano  autorità  sul  Tulgo),  —  In 
questo  tratto  è  un  gruppo  d'esempi  di 
queir  uso  che  notai  ne  'l  Matt.  ai  vv. 
2M-'16. 

625  sgg.  Gli  estremi  si  toccano:  ciò 
ha  suggerito  al  p.  di  avvicinare  al  pre- 
cedente questo  quinto  personaggio. 

629-'31.  Falcato  dio  degli  orti  ecc.  : 
Priàpo,  guardiano  degli  orti,  armato  di 
una  falce  («  Bacchi...  l'ustica  proles,  Ar- 


matus  curva...  falce  deus  »  Tib.  I  4,  8). 
Làmsaco,  su  le  rive  dell'  Ellesponto,  città 
originaria  del  culto  di  Priapo  («  tuus 
civis,  Lampsace  »,  egli  si  dice  nei  Priap. 
IV  6).  d'aginelli  o.  s.  Vittima  degna:  vit- 
tima, per  «  olocausti,  sacrifizi  »  (A.  Caro 
-  Aeri.  II  202  -  «gli  offeria  d'un  gran 
tauro  ostia  solenne»);  degna,  per  certe 
convenienze  di  tal  vittima  col  dio  salace. 
631  sg.  al  giovine  seguace  Del  sapiente 
disamo:  Pitagora,  celeberrimo  filosofo 
del  VI  sec.  a.  C,  per  effetto  del  suo  si- 
stema del  passaggio  delle  anime,  vie- 
tava di  uccider  bestie  per  mangiarne,  e 
prescriveva  cibi  vegetali,  escluse  le  fa- 
ve. Però  scrisse  Giovenale,  xv  173  : 

Pythagoras,  cunctis    auimalibus  absti- 
Jnuit  qui 

tamquam  liomine,    et   ventri  indulsit 

[non  omne  leguoien... 

Sicché  questo,  che  si  potrebbe  dire  l'avo 
dei  vegetariani,  se  ncn  fosse  da  risa- 
lire a  Orfeo  e  all'orfismo,  era  più  rigo- 
roso de'  moderni.  —  i  doni  tuoi  :  par- 
lando al  dio  degli  orti,  s' intende  che 
sono  frutta  ed  erbe.  «  Un  gran  canestro 
di  erbe  e  di  frutta»  il  P.  colloca  presso 
a  Priapo,  ne'  Progr.  di  b.  a.  p.  82. 

635.  in  nauseanti  rughe  :  nauseare  co- 
muueni.  significa  «  produrre,  cagionare 
nausea  »,  ma  anche  significa  bene,  come 
qui, «avere  a  nausea,  a  fastidio».  Tra- 
sferendo quel  eh'  è  proprio  del  soggetto 
alle  smorfie  ch'ei  fa,  il  p.  disse  nau» 
seaoti  rughe, 


IL  MEZZOGIORNO 


99 


Ramina  lentamente.  Altro  giammai 

A  la  squallida  inedia  eroe  non  seppe 

Durar  si  forte;  né  lassezza  il  vinse 
64.0        Né  deliquio  giammai  né  febbre  ardente: 

Tanto  importa  lo  aver  scarze  le  membra, 

Singolare  il  costume,  e  nel  Bel  Mondo 

Onor  di  filosofico  talento. 
Qual  anima  è  volgar  la  sua  pietade 
G'15         AirUom  riserbi;  e  facile  ribrezzo 

Destino  in  lei  del  suo  simile  i  danni, 

I  bisogni,  e  le  piaghe.  Il  cor  di  lui 

Sdegna  comune  affetto;  e  i  dolci  moti 

A  più  lontano  limite  sospiig). 
6B0        «  Pera  colui  che  prima  osò  la  mano 

f)38.  A  la  squallida  fame  —  641,  scarse  C.  —  Gli  sg.  pietate  Serbi  per  l'uomo  V.  (B., 
CI.,  C.)  —  647.  O  i  bisogni  o  le  piaghe.  11  cor  di  questo  V.  (B.)  O  i  bisogui  o  le  pia- 
ghe. Il  cor  di  lui  CI. 


611-'43.  Questo  epifonema  spiega  il 
metodo  di  vita  di  colui  :  nou  segue  gi'i 
UQ  sentimento  sincero,  ma  vuole,  come 
dicono,  distinguersi  e  farsi  tenere  in 
quella  società  filosofo.  —  scarze:  ben- 
ché etimologicam.  scarso  non  sia  dif- 
ferente da  scarso,  apparisce  adoperato 
nella  particolare  significazione  (anche 
il  Diez  la  i-egisti-a)  di  sottile,  snello  : 
cfr.  Mach.  Mandr.  IV  8,  ove  dice  Nicia 
travestito  :  «  Io  sto  pur  bene  !  chi  mi  co- 
noscei'ebbe  ?  Io  paio  maggiore,  più  gio- 
vane, più  scarzo  ».  —  talento  :  «  nel  si- 
gnificato d' ingegno  fu  male  introdotto 
dal  francese  su  lo  scorcio  del  sec.  xvn: 
qui  serve  all'ironia,  alludendo  al  fran- 
cesismo che  prevaleva  nella  coltura  di 
quel  tempo  »  (Card,  e  Brilli). 

614.  (^ual  anima  è  volgar,  qualunque, 
ogni  anima  dozzinale.  Di  qui  è  l'avvia- 
mento all'episodio  della  caguolina;  il  p. 
ci  fa  molto  opportunamente  un'introdu- 
zione, intonandosi  ai  sentimenti  de'suoi 
eroi,  e  l' intonazione  alta  rende  al  solito 
più  intensa  la  riprovazione  dissimulata. 

6^L7.  11  cor  di  lai,  del  pitagorico  sopra 
descritto. 

618  sg.  i  dolci  moti,  gli  affetti  e  imoti; 
A  pia  lontano  limile,  che  non  sia  il  suo 
simile  ;  sospinge,  volge  e  fa  pervenire. 
Nello  spingersi  tant'  oltre  egli  trascura 
gli  stretti  doveri,  o  diciam  pure  i  co- 


ìnuni  affetti; 

K,  per  un  cane  eh' è  poi  sempre  un  caue, 

(come  diceva  il  buon  Rassereni)  nou 
dubita  di  affliggere  gli  uomini,  che  gli 
sono,  o  dovrebber  essere,  più  prossimi. 
650.  Pera  colai  che  prima. .^,  lat.  pri- 
mum,  cioè  la  prima  volta,  per  primo. 
Quanto  a  simili  forme  d' imprecazione, 
ognuno  ricorda  esempi  classici,  p.  es. 
conti'o  chi  primo  commise  le  vite  al 
mare  in  fragile  barca  o  primo  foggiò 
il  metallo  in  micidiali  armi;  e  di  antica 
derivazione  classica  (dnàXouo,  pereat)  è 
il  pira,  qui  sagacemente  ripreso  in  ser- 
vigio dell'esagerato  sentimento  che  vuol 
caricatamente  esprimere.  Vedemmo  gif), 
il  Matt.  325  «  Péra  dunque  chi  a  te-uozze 
consiglia  »,  e  ivi  è  frase  colorita  d'iro- 
nico disgusto.' — osò  la  mano  Armata  a. 
sa  l'innocente  a.  E  sul  placido  b.:  l'arme 
contrasta  con  queir  innocenza  e  placi- 
dezza, Negl'  insegnamenti  di  Pitagora 
contro  l'uso  delle  carni  (jjriJHits...  ani- 
malia  mensis  Arguii  imponi),  quali 
sono  facondamente  amplificati  da  Ovidio 
nel  passo  che  incomincia,  Met.  XV  75, 

Farcite,  mortales,  dapibua  temerare  nefan- 
Corpora,  (dis 

a  un  certo  punto  si  dice  che  ci  potè  es- 
sere buona  ragione  o  scus*  dell'  ucci- 


100 


IL  MEZZOGIORNO 


Armata  alzar  su  l'innocente  agaella 

E  sul  placido  bue,  né  il  truculento 

Cor  gli  piegàro  i  teneri  belati 

Né  i  pietosi  mugiti  né  le  molli 
655        Lingue  lambenti  tortuosamente 

La  man  che  il  loro  fato,  ahimé,  stringea!  » 

Tal  ei  parla,  o  Signore;  e  sorge  intanto 

Al  suo  pietoso  favellar  dagli  occhi 

De  la  tua  Dama  dolce  lagrimetta, 
GGO        Pari  a  le  stille  tremule  brillanti 

Che  a  la  nova  stagion  gemendo  vanno 

Da  i  pàlmiti  di  Bacco  entro  commossi 

Al  tiepido  spirar  de  le  prim'aure 

Fecondatrici.  Or  le  sovviene  il  giorno, 
665        Ahi  fero  giorno!  allor  che  la  sua  bella 

654.  muggiti  B.,  CI.,  C.  —  657  sg.    o    Signor;   ma   sorge  in   tanto  A  quel  V.  (CI., 
C.)  o  Signore  :  e  s.  i.  t.  A  quel  B.  —  664.  le  sovvien  del  giorno,  V.  (B.,  CI.,  C.) 


dere,  non  del  mangiare,  taluni  animali, 
come  il  porco  che  col  grifo  guasta  i  se- 
minati 0  il  capro  che  col  morso  offende 
la  vite  ;  ma  le  pecore,  i  bovi,  che  colpa 
avevano? 
Quid  meruistia,  oves,  placidum  pecus...  ? 

Quid  meruere  boyes,  animai  sine  fraudo  do- 

[Hsquo, 

Innoeuum,  simplex,   natum   tolerare  labo- 

[rea?... 

6:2.  il  trnciilento,  truce,  feroce. 

651  sg.  le  molli  Lingue  lambenti  tor- 
tuosamente: uno  de' più  osservabili  tra 
questi  versi  che  son  tutti  una  maravi- 
glia d'  arte.  Opportunissimo  anche  il 
suono  ripetuto  della  liquida,  il  cosi  detto 
labdacismo.  Fu  detto  che  il  Manzoni 
ebbe  forse  a  mente  questo  luogo,  quando 
scriveva,  /  pr.  Sp.  XX,  «  Come  la  pecora, 
tremolando  senza  timore  sotto  la  mano 
del  pastore  che  la  palpa  e  la  trascina 
mollemente,  si  volta  a  leccar  quella 
mano...  ». 

656.  H  loro  fato,  fatum,  la  morte;  in 
alto  stile,  r-  stringea  :  con  rapida  vivezza 
poetica;  ha  in  pugno  la  morte  di  uno, 
chi  stringe  1*  arme  che  ne  deV  essere 
strumento. 

657.  e  sorge  intanto...  Come  delicato 
e  sottile  il  passaggio  dalla  declamazione 


generica  a  un  caso  particolare.  La  dama 
fa  sùbito  l'applicazione  di  quelle  massime 
contro  la  crudeltà  a  un  fatto  occorso  a 
lei  e  che  sempre,  a  solo  ripensarlo,  la 
commuove.  Avverti  sorge,  spunta:  puoi 
ricordare  il  virgiliano  lacrimis  obortis. 
659-'64.  dolce  lagrimetta,  cioè  nata  di 
affetto  gentile;  cosi  «  falsae  lacrimulae  » 
in  Catullo,  non  vere.  —  Pari  a  le...:  da 
tutto  il  p.  coglie  occasione  a  vivace  fre- 
schezza, cf.  in  nota  a  il  Matt.  429  sgrg.; 
quella  lagrima  è  come  la  gocciolina  che 
ingemma  i  tralci  a  primavera.  \  pàlmiti, 
latinismo;  entro  commossi,  «è  nel  suo 
significato  naturale  in  arguta  relazione 
con  la  coìnrnozione  della  Dama  »  (Do- 
minici). Gli  aggiunti  tremule  brillanti 
ci  richiamano  il  M.  v.  44  sg.,  e  tutto  il 
passo  fa  ripensare  a  Virgilio,  Gè.  II  330  : 

Parturit  almus  ager  Zepbyrlque  tepentibus 

[auris 
Laxant  arva  sious;  superai  tener  omnibus 

[umor  ; 
luqiie  novos  soles  audent  se  germina  tuto 
Credere,  uec  metuit  surgentes  pampiuua 

[austros 
Aut   actum   caelo    magnis   aquilonibus   im- 

[brem, 
Sed  truditgemmasetfrondes  explicatomnis. 

—  Fecondatrici  :  per  la  collocazione  cfr, 
la  nota  a  il  Matt.  1002. 


IL  MEZZOGIORNO 


101 


Vergine  cuccia  de  le  Grazie  alunna,  ,    • 

Giovenilmente  vezzeggiando,  il  piede 

Villan  del  servo  con  l'eburneo  dente 

Segnò  di  lieve  nota:  ed  egli  audace 
670        Con  sacrilego  pie  lanciolla;  e  quella 

Tre  volte  rotolò,  tre  volte  scosse 

Gli  scompigliati  peli,  e  da  le  molli 

Nari  soffiò  la  polvere  rodente. 

Indi  i  gemiti  alzando  aita  aita 
675        Parea  dicesse;  e  da  le  aurate  volte 

A  lei  l' impietosita  eco  rispose  : 

E  dagl'  infimi  chiostri  i  mesti  servi 

667.  Giovanilmente  V.  (B.,  CI.,  G.)  —  668.  con  gli  eburnei  denti  V.  (B.,  CI.,  C.)  — 
669.  di  lievi  note  B.  —  669  tg.  e  questi  audace  Col  sacrilego  pie  lanciolla  ;  ed  ella  V. 
(B.,  CI.,  C.)  —  672.  Lo  scompigliato  pelo,  e  da  le  vaghe  V.  (B.  ma  molli,  CI.,  C.)  — 
677.  dall'infime  chiostre  V.  (B.  ma  da.  V,  CI.,  C.) 


666.  Vergine  cuccia  de  le  Grazie  alunna, 

cioè  cagnolina  graziosissima;  detto  con 
un  verso  di  squisita  eleganza,  e  non 
senza  malizia.  «  Quando  nei  versi  del 
P,  diveniva  immortale  la  vergine  cuccia 
come  segnacolo  di  sensibilità  barbara, 
il  conte  di  Firmian  aveva  una  cagaolina, 
a  cui  morta  il  gesuita  Ferrari  buon  la- 
tinante  fece  l'iscrizione  (G.  F.,  Opp.  II 
521]  e  la  dicea  virguncula  »  (Carducci, 
op.  e.  p.  87). 

G67.  GlOTeniliiiente  vezzeggiando,  fa- 
cendo scherzi  e  smorfie  di  bestiolina 
giovine;  ma  è  detto  con  tale  squisitezza, 
che  d'  una  creaturina  umana  non  si  po- 
trebbe meglio.  Segue  immediato  con- 
trasto ti  piede  villan  del  servo.  Si  di- 
rebbe che  brutalità  e  umanità  tra  la 
bestia  e  l' uomo  abbiano  scambiato  sede 
(il  che,  non  dico,  avviene  pur  troppo, 
ma  non  è  il  caso). 

638  sg.  con  1'  eburneo  dente  Segnò  di 
lieve  nota,  col  dente  d'avorio,  bianchis- 
simo, morse  tanto  e  non  più  da  lasciarvi 
il  segno  del  dente.  K'on  pare,  sotto  gli 
ornati  della  frase,  ma  si  capisce  che  il 
morso  fu  abbastanza  forte.  Ricorda  per 
la  frase  Orazio,  e.  i  13,  14  «impressit... 
dente...  notam  •  e  Ovidio,  Am.  i  7,  42 
«  deutis  habere  notam». 

070.  Con  sacrilego  pie  :  Ovidio,  nel  1. 
cit.,  ha  «sacrilegae...  manus  »,  che  avean 
battuto  r  amica. 

671-'73.  Tre  Tolte...:  cioè  più  volte, 


ma  tre  è  la  determinazione  classica,  di 
cui  sono  infiniti  gli  esempi.  Tra  i  più 
noti,  il  TQig  omerico  nell'Orf.  XI  206  sg., 
onde  il  ter  virgiliano  neìVAen.  II  792  sg. 
e  VI  700  sg.,  onde  il  tre  volte  di  Dante 
PvA-g.  n  80.  4ggiungi  dell'Ann.  I  116 
«  illam  [la  nave]  ter  fluctus  ibidem  Tor- 
quet  agens  circurn  et  rapidus  vorat 
aequore  vortex  »,  di  cui  è  celebre  la 
versione  del  Caro:  «  Quasi  stanco  palèo 
tre  volte  volta  Calessi  gorgogliando  e 
s'  affondò  ».  —  Del  resto,  non«bisognan 
parole  a  mostrare  la  verità,  l'evidenza 
della  rappresentazione  in  questi  tre  versi; 
e  che  la  verità  è  resa  con  la  maggior 
proprietà  e  finitezza  di  espressione.  —  la 
polvere  rodente,  che  solletica  le  narici. 

674-"76.  aita  aita  :  ognun  sente  che 
il  p.  imita  il  guaito  della  caninn,  e  lo 
traduce  argutamente  in  linguaggio  uma- 
no. E,  dicendo  poi  Impietosita,  volle 
usar  parola  che  inchiudesse  vei-amente 
l'eco  di  quel  guaire. 

677.  dagl'infimi  chiostri:  da  V infime 
chiostre  corresse  poi,  ma  si  1'  una  si 
r  altra  forma  ha  largo  uso  e  varia  de- 
terminazione nei  classici;  qui  sono  i 
cortili  e  le  stanze  in  basso,  a  cui  si 
contrappongono  poi  quelle  in  alto,  le 
somme  stanze.  —  1  mesti  servi,  cioè  tur- 
bati, impensieriti:  l'aggettivo  non  ha 
bisogno  della  collocazione  quale  oggi 
porterebbe  l'uso  (mesti  i  servi  o  i  servi 
mesti)  per  avere  rilievo  predicativo. 


102  IL  MEZZOGIORNO 


Asceser  tutti,  e  da  le  somme  stanze 

Le  damigelle  pallide  tremanti 
680        Precipitàro.  Accorse  ognuno  ;  il  volto 

Fu  spruzzato  d'essenze  a  la  tua  Dama; 

Ella  rinvenne  alfin.  L'ira,  il  dolore 

L'agitavano  ancor;  fulminei  sguardi 

Gettò  sul  servo,  e  con  languida  voce 
685        Chiamò  tre  volte  la  sua  cuccia:  e  questa 

Al  sen  le  corse;  in  suo  tener  vendetta 

Chieder  semhrolle:  e  tu  vendetta  avesti, 

Vergine  cuccia  de  le  Grazie  alunna. 

L'empio  servo  tremo;  con  gli  occhi  al  suolo 
690        Udì  la  sua  condanna.  A  lui  non  valse 

Merito  quadrilustre;  a  lui  non  valse 

Zelo  d'arcani  ufici;  in  van  per  lui 

Fu  pregato  e  promesso:  ei  nudo  andonne. 

Dell'assisa  spogliato  ond'era  un  giorno 
695         Venerabile  al  vulgo.  In  van  novello 

Signor  sperò;  che  le  pietose  dame 

Inorridirò,  e  del  misfatto  atroce 

Odiar  l'autore.  Il  misero  si  giacque 

Con  la  squallida  prole  e  con  la  nuda 
700        Consorte  a  lato  su  la  via  spargendo 

681.  d'essenze  spruzzato  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  682.  alfine.  Ira  e  dolore  V.  (B.)  aian  : 
i.,  d.  C.  —  686.  gli  corse  CI.  —  692.  uffici  B.,  CI.,  C.  —  694  ag.  De  le  assise  spogliato 
onde  pur  dianzi  Era  insigne  a  la  plebe:  e  in  van  V.  (B.,  CI.,  C.)  698.  Il  perfido  V. 
(B.,  CI.)  C. :  'lascio  misero,  benché  il  concero  porti  perfido.' 


681.  d'essenze,  aromatiche.  vrea  la  quale,  benché  insegna  servile, 

683  sg.  I  due  particolari,  cosi  diffe-  incute  al  volgo,  come  recante  in  sé  qual- 
renti,  si  seguono  immediati:  fulmina  cosa  della  signorilità.  —  Dell'assisa  spo-. 
il  servo  con  gli  occhi,  e  carezza  con  la  gllato  parrebbe  seguire  quasi  epesege- 
voce  ancor  malferma  la  cagnuola.  Nota  lieo  al  nudo  andonne  del  v.  innanzi;  se 
ìj  verso  languido,  accentato  alla  set-  non  che  nudo  ha  poi  ben  altra  determi- 
ti ma.  nazione,  facendo  il  paio  con  nuda  del 

636.  in  suo  tener,  al   modo  suo,  con  v.  609,  e  dicendosi  poi  eh'  è  ridotto  a 

quel  brontolio  di  bestiuola  corrucciata.  mendicare. 

687  sg.  e  tn  Tendetta  avesti:   il  tono  696.  le  plotose  dame:  quanto  signifi- 

alto  e  reciso  prende  a  dirittura  dell' e-  cato  in  tale  aggettivo! 

pico  al  ripetersi  del  verso  Vergine  cuccia  698.  II  misero:  il  per/ldo  variò  poi, 

(le  le  Grazie  alunna.  che  a  ragione  il  Cantù  non  volle  seguire. 

690.  la  sna  condanna,  il  hcenziamento  II  p.  avrà  pensato  che  all'ironia  del  tono 

su  due  piedi.  perfido  rispondeva  meglio;  ma  ciò  nelle 

691  sg.  Merito  quadrilustre,  il  buon  tarde  fatiche  della  lima;  nell'ora  fervida 

servigio  di  vent'auni;  e  che  avea  do-  della  composizione  avea  sentito  e  detto 

vuto  abbracciare  cose  d'indole  delicata,  il  misero.   Del  resto,  su  le  lezioni  di 

Zelo  d'arcani  nflcl.  questo   tratto   culminante   dissi   breve- 

694  sg.  Dell'  assisa  spogliato,  della  li-  mente  nel  discorso. 


IL  MEZZOGIORNO 


103 


Al  passeggiere  inutile  lamento: 
E  tu,  vergine  cuccia,  idol  placato 
Da  le  vittime  umane,  isti  superba. 
Né  senza  i  miei  precetti  e  senza  scorta 

705        Inerudito  andrai,  Signor,  qualora    ' 
Il  perverso  desti n  dal  fianco  amato 
T'allontani  a  la  mensa.  Avvien  sovente 
Che  un  grande  illustre  or  1'  alpi  or  l'oceano 
Varca  e  scende  in  Ausonia,  orribil  ceffo 

710        Per  natura  o  per  arte  a  cui  Ciprigna 
Róse  le  nari,  o  sale  impui'o  e  crudo 
Snudò  i  denti  ineguali.  Ora  il  distingue 
Risibil  gobba,  or  furiosi  sguardi 
Obliqui  o  loschi  ;  or  rantoloso  avvolge 

715        Fra  le  tumide  fauci  ampio  volume 

Di  voce  che  gorgoglia  ed  esce  alfine 
Come  da  inverso  fiasco  onda  che  goccia. 

701.  Al  passeggero  inutili  lamenti  :  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  707.  Ti  allontani  —  708  *g. 
Che  con  l'aio  seguace  o  con  l'amico  Un  grande  illustre  or  1'  a.  or  l'o.  Varchi  e  scenda 
V.  (B.)  Che  un  g.  i.  or  l'a.  or  l'o.  Varchi  e    scenda  CI.,  C.  —  7U.  e  sale  —  715.  Tra 


702  sg.  Idol  placato  Da  le  TÌttlme  uma- 
ne, proprio  come  un  di  quegli  idoli  cru- 
deli che  voglion  sacrifizio  d'  uomini.  — 
isti  superba,  suggella  in  fine  ciò  che  in- 
nanzi è  annunciato  con  e  tu  vendetta 
avesti.  In  verità  «  il  Parini  ed  il  Porta 
ne  fecero  la  vendetta  [di  tal  passione 
donnesca  pe'  cani],  quegli  tragica,  questi 
comica  :  la  pudica  sposa  sacrifica  alla 
vergine  cuccia  le  vite  umane,  la  mar- 
chesa Travasa  sacrifica  alla  Lilla  il  ri- 
spetto divino  »  (Carducci,  I.  e). 

704.  senza  scorta,  cioè  senza  la  mia 
guida;  è  chiaro,  precedendo  senza  i  miei 
precetti. 

706.  11  perverso  destin:  tale  aggiunto 
venne  spesso  a  significare  «cattivo,  tri- 
sto »,  ma  qui  serba  anche  il  senso  che 
gli  è  proprio,  di  cosa  fuori  e  contro  l'or- 
dine naturale. 

708  sg.  nn  grande  lllnstre,  un  signore 
di  gran  nome.  —  or  l'alpi  or  l'oceano 
Varca,  viene  da  oltre  l'Alpi  o  da  oltre 
mare:  «o  dalle  nazioni  continentali  o 
dall'  Inghilterra  :  non  è  da  pensare  al- 
l'America né  all'Asia  »  (M  )  ;  ricordiamo 
«  folli  iMilordi,  «  il  Matt.  230  ;  e  a  ciò  con- 
suona anche  il  seg!  scende  in  Ausonia. 
La  denominazione  primitiva  d'una  parte 


meridionale  dell'  Italia  si  allargò  a  signi- 
ficare l'Italia,  nei  poeti  classici,  dietro 
l'esempio  de'  quali  fu  usata  e  abusata 
dai  moderni.  Allo  stesso  modo  vedremo 
al  V.  791  Enotria,  e  la  N.  611  Esperia. 

709'-12.  orribil  ceffo  Per  natura  o  per 
arte:  ceffo  è  propriam.  il  muso  canino 
(onde  acceffare  disse  Dante,  del  cane), 
ma  si  nsa  spesso  per  dire  una  brutta 
faccia.  Colui  è  brutto  o  dalla  nascita  o 
per  l'acconciatura  :  j^sr  natura  o  per 
arte.  —  a  cni  Ciprigna,  Venere  cioè  i 
vizi  di  cui  ella  è  fomite.  Róse  le  nari, 
0  sale  etc.  :  cf.  il  Matt.  16-19. 

7U-'16.  Viene  a  mente  il  canoro  ele- 
fante che  «  manda  per  gran  foce  Di 
bocca  un  fli  di  voce  »  {la  mus.  sti\  I). 
Qui  veramente  la  voce  è  molta  ma  gorgo- 
glia nella  strozza  ed  esce  stentata,  come 
stenta  a  uscire  l'acqua  dal  fiasco  capo- 
volto ;  Ar.  0.  F.,  XXIII  113  : 

L'impetuosa  doglia  entro  rimase 
Che  volea  tutta  uscir  con  troppa  fretta: 
Cosi  veggiam  restar  l'acqua  nel  vase 
Che  largo  il  ventre  e  la  bocca  abbia  stretta  ; 
Che,  nel  voltar  che  si  fa  in  su  la  base, 
L'umor  che  vorria  uscir  tanto  s'affretta 
E  nell'angusta  via  tanto  s' intrica 
Ch'a  goccia  a  goccia  fuore  esco  a  fatica. 


104 


IL  MEZZOGIORNO 


Or  d'avi  or  di  cavalli  ora  di  Frini 

Instancabile  parla,  or  de'  Celesti 
720        Le  folgori  deride.  Aurei  monili 

E  gemme  e  nastri,  gloriose  pompe, 

L' ingombran  tutto  ;  e  gran  titolo  suona 

Dinanzi  a  lui.  Qual  più  tra  noi  risplende 

Inclita  stirpe  ch'onorar  non  voglia 
725        D'un  ospite  si  degno  i  lari  suoi? 

Ei  però  sederà  do  la  tua  Dama 

Al  fianco  ancora  :  e  tu  lontan  da  Giuno 

Tra  i  Silvani  capripedi  n'  andrai 

Presso  al  raai'ito,  e  pranzerai  negletto 
730        Col  popol  folto  degli  Dei  minori. 

Ma  negletto  non  già  dagli  occhi  andrai 

De  la  Dama  gentil,  che  a  te  rivolti 

Incontreranno  i  tuoi.  L'aere  a  quell'urto 

Arderà  di  faville,  e  Amor  con  l' ali 
735        L'agiterà.  Nel  fortunato  incontro 

I  messagger  pacifici  dell'alma 

Cambieran  lor  novelle,  e  alternamente 

Spinti,  rifluiranno  a  voi  con  dolce 

Delizioso  tremito  sui  cori. 

721.  E  nastri  e  gemiiie,  V  (CI.,  C.)  —  726  ag,  Ei  però  col  compagno  ammessi  fieno 
Di  Giuno  a  i  fianchi:  e  tu  loutan  da  lei  V.  (B.).  —738.  ritorneranno  V.  (B.,  CI.,  C.) 


720  sg.  Anrei  monili  E  gemme  e  na- 
stri, catene,  anelli  e  fermagli  (cf.  il  V. 
69  sg.),  decorazioni  :  gloriose  pompe  tutte 
quante,  di  quelle  di  cui  1'  antico  sati- 
rico diceva  ad  populum  phaleras. 

72ò-'30.  Ei  però...  :  per  la  degnila  sua, 
non  che  ricevere  ospitalità,  terrà  il  pri- 
mo luogo  alla  mensa;  e  poiché  siamo 
in  Olimpo,  dice  che  sederà  presso  a  Giu- 
none, soppiantando  il  Giovin  signore. 
Nell'assegnare  il  confine  a  costui  il  p. 
continua  ornatamente  la  metafora  ini- 
ziata con  la  frase  lontan  da  Giuno. 
—  Col  popol  folto...:  in  Ovidio,  Met.  1 
171  sgg.,  è  distinzione  di  «  deorum  no- 
bilium  »  che  abitano  su  la  via  lattea,  e 
di  una  plebs,  «  Plebs  habitant  diversa 
locis»;  indi  a  poco  sono  anche  nomi- 
nati «  Faunique  Sàtyrique  et  monticolae 
Silvani».  Silvanus,  come  Faitnus,  in 
origine  era  dio  singolare,  dei  boschi  e 
de'  campi  ;  poi  furon  molti,  come  i  Sa- 
tiri. —  capripedi,  alylnoòeg,  capripedes 


(l'agg.  è  in  Orazio  e  in  Pi'operzio):  l'a- 
ver pie  di  capra  era  de'  satiri,  e  de'  com- 
pagni di  Pane  («Questa,  che  Pan  somi- 
glia, Capribarbicoruipede  famiglia  »,  di- 
ceva il  Redi),  Panes  o  Aegipanes  (v.  il 
Vespro  425),  a.cui  si  ragguagliano  i  Sil- 
vani. 

731-'39.  con  l'ali  L'agiterà:  ventilerà 
quell'aria  cosi  piena  di  semi  d' incendio. 
—  L' incontro  degli  sguardi  figurato  come 
l'incontro  di  due  ambasciatori  che  mu- 
tuamente danno  e  ricevon  notizie  e  poi 
i  itornano  ciascuno  a  chi  li  inviò  è  della 
più  squisita  eleganza  nella  ricercatezza 
voluta.  —  alternamente  Spinti,  par  signi- 
ficare che,  giunti  a  incontrarsi,  rimbal- 
zano, cioè  pe.rcoteadosi  incontro,  jjo- 
scia  si  rivolge  ciascun  tornando  a  re- 
tro... —  rifiniranno  a  voi,  segnò  poi  ri- 
torneranno che  certo  è  chiarissimo  ma 
non  par  più  bello  della  lez.  1*  a  dir  quel 
viaggio  aereo;  con  dolce  Deliz'ioso  tre- 
mito sui  cori,  verso,  pur  nella  raffinata 


IL  MEZZOGIORNO 


105 


740        Allor  tu  le  ubbidisci,  o  se  t'invita 

Le  vivande  a  gustar  che  a  lei  vicine 

L'ordin  dispose,  o  se  a  te  chiede  invece 

Quella  che  innanzi  a  te  sue  voglie  punge, 

Non  col  soave  odor,  ma  con  le  nove 
7-15        Leggiadre  forme  onde  abbellir  la  seppe 

Dell'ammirato  cacinier  la  mano. 

Con  la  mente  si  pascono  gli  Dei 

Sopra  le  nubi  del  brillante  Olimpo, 

E  le  labbra  immortali  irrita  e  move 
730        Non  la  materia  ma  il  divin  lavoro. 
Né  allor  men  destro  ad  ubbidir  sarai 

Che  di  raro  licor  la  bella  strigue 

Colmo  bicchiere  a  lo  cui  orlo  intorno 

Serpe  striscia  dorata,  e  par  che  dica  : 
755        Lungi,  o  labbra  profane:  ai  labbri  solo         , 

De  la  diva  che  qui  soggiorna  e  regna 

740.  Tu  le  ubbidisci  allora,         obbediaci  B.  ubidisci,  CI.  —  743.  pugne  V.  746.  De 

r  B.  —  747.  si  pascono  le  dive  V.  (B.)  —  749.  E  lor  labbra  V.  (B.,  CI.,  C)  —  751.  obbedir 
B.,  ubidir  CI.  —  751.  igg.  Né  intento  meno  ad  ubbidir  sarai  I  cenni  del  bel  guardo  allor 
che  quella  Di  licor  peregrino  ai  labbri  accosta  (C,  ma,  pur  tenendo  la  prima  redazione, 
accetta  per  il  2"  v.  l'altra  V.  Il  cenno  de'  bei  sguardi  or  che  la  Dama)  —  753,  bicchléro 
B.  —  754.  Serpe  dorata  striscia,  o  a  cui  vermiglia  Cera  la  base  impronta,  e  par  che  dica  : 
—   755.  al  labbro  solo 


maniera,  delicatissimo.  È  assai  proba- 
bile che  il  P.  si  ricordasse  del  Tasso, 
G.  Ili).  XVI  :  «  E  tornò  la  parola  dispe- 
rata Più  amara  indietro  a  rimbombar  sul 
cuore  ». 

740-'46.  Allor  tn  le  ubbidisci ,  cioè 
quando  con  gli  sguardi  ti  lia  significato 
qualche  sua  volontà.  E  di  che  si  tratta? 
Quanto  più  i  vei'si  precedenti  sou  pieni 
di  sottile  e  quasi  vaporosa  eleganza, 
tanto  è  più  forte  contrasto  a  udire  che 
il  linguaggio  appassionato  degli  occhi 
fu  speso  a  parlar  di  vivande.  Cfr.  l'os- 
servazione fatta  ai  vv.  463  e  sgg.  —  o 
te  t'inrita...,  o  se  a  te  chiede...  :  v.  in  n.  a 
il  Matt.  48-52.  —  con  le  nove  Leggiadre 
forme:  sono  le  lusinghe  del  sagace  ma- 
stro, già  innanzi  ricordate,  v.  226. 

747-'50.  Il  pensiero  somiglia  molto, 
con  una  lieve  determinazione  di  più,  a 
quello  che  abbiam  visto  ai  versi  252-'51. 
Ma,  se  un  po'  di  ripetizione  e'  è,  la  por- 
tava naturalmente  la  materia.  A  ogni  mo- 
do credo  fosse  in  ciò  la  cagione  che  in- 
duceva poi  l'autore  a  pensar  di  scrivere 


le  dive  in  luogo  di  gli  dei,  quasi  valesse 
a  far  distinzione  maggiore.  —  irrita  e 
move;  il  primo  verbo  nel  senso  classico 
di  «stimola,  eccita»  (p.  es.  irritamen 
amoris  è  in  Ovidio)  e  classicam.  un  se- 
condo verbo  compie  e  rafforza  il  primo, 
cfr.  il  V.  514. 

751.  Tolti  via  i  dieci  versi  —  troppi 
in  verità,  e  troppo  esagerati,  come  parve 
al  Cantù,  di  pensiei'o,  né  forse  tutti  egual- 
mente eleganti  —  che  in  origine  segui- 
vano a  quello  che  per  noi  è  il  v.  762, 
torna  utile  seguire  qui  la  bella  e  suc- 
cinta variante  in  cui  il  cenno  de' bei 
sguardi  si  tace;  vien  poi  sùbito  al  v. 
704. 

754.  e  par  che  dica...  Il  senso  vivo  e 
fino  di  tutto  ciò  eh'  è  classico  assiste 
sempre  il  P.  ;  qui  il  fregio  d'oro  che  di- 
stingue il  bicchiere  della  signora  di  casa 
gli  sembra,  dice,  che  parli,  e  le  parole, 
una  volta  ridotte  utilmente  e  potate,  al 
pensiero  e  anche  in  parte  alla  forma, 
arieggiano  un'  iscrizione  sul  bicchiere 
stesso,  un  epigramma  dell'antologia. 


106  IL  MEZZOGIORNO 

E  il  castissimo  calice  serbato: 
Né  cavalier  con  alito  maschile 
Osi  appannarne  il  nitido  cristallo, 
760        Né  dama  convitata  unqua  presuma 

I  labbri  apporvi,  e  sien  pur  casti  e  puri, 
E  quanto  esser  può  mai  cari  all'  amore. 
Tu  ai  cenni  del  bel  guardo  e  de  la  mano 
Che  reggendo  il  bicchier  sospesa  ondeggia, 

765        Affettuoso  attendi.  I  lumi  tuoi 

Di  gioia  sfavillando  accolgan  pronti 

II  brindisi  segreto;  e  ti  prepara 
In  simil  modo  a  tacita  risposta. 

Immortai  come  voi  la  nostra  Musa 
770        Brindisi  grida  all'uno  e  all'altro  amante  ; 
All'altrui  fida  sposa  a  cui  se'  caro, 
.    E  a  te.  Signor,  sua  dolce  cura  e  nostra. 
Quale  annoso  licor  Lièo  vi  mesce, 
Tale  Amore  a  voi  mesca  eterna  gioia  ' 

757.  Il  e.  e.  si  serbi:  —  758.  con  l'alito  —  761.  Di  porvi  i  labbri;  —  762.  E' 
quaut'  e.  può  mai  e.  a  l'a.  B.  E  quant'  esser  si  può  cari  Dopo  questo  verso  venivano 
i  seguenti  (ii  versi  di  tal  esagerazione,  che  poi  vi  die  di  frego  »  C,  citandoli  in  nota)  : 
NesBun'altra  è  di  lei  più  pura  cosa  (C  più  cara  cosa)  :  Chi  macchiarla  oserà?  Le  Ninfe 
in  vano  Da  le  arenose  loro  urne  versando  Cento  limpidi  rivi,  al  candor  primo  Tornar 
vorrieno  il  profanato  vaso,  E  degno  farlo  di  salir  di  novo  A  le  labbra  celesti  a  cui  non 
lice  Inviolate  approssimarsi  ai  vasi  Che  convitati  cavalieri,  e  dame  Convitate  macchiar 
coi  labbri  loro.  —  763.  Tu  al  cenno  de' bei  guardi  e  de  la  destra  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  765 
sgg.  I  guardi  tuoi  Sfavillando  di  g.  a.  lieti  II  b.  a.  ;  e  tu  ti  accingi  —  767.  secreto  B.  — 
769.  Ecco  d'estro  già  punta  ecco  la  Musa  V.  (B.)  —  771.   A  l'altrui  B.  —  773.  Come 


764  sgg.  sospesa  ondeggia  :  descrive  a  fatto  umano,  anche  fuggente,  anche  efi- 

punto  l'atto  di  chi  regge  il  bicchiere  in  mero,  anche  iìniente,  uu  ingegno  supe- 

alto,  insieme  cercando  con  gli  occhi  e  riore  ha  notato  e  fermato  con  l'inten- 

aspettando  chi  risponda   e  secondi   al-  dimento  del  bene  e  con  l'arte  del  vero, 

l'invito.  rimane  acquistato  in  eterno  al  patrimo- 

769.  Inimortal  come  voi  lanostra  Musa:  nio  morale  ed  estetico  del  genere  uma- 

essendo  veramente  le  Muse  tenute  e  dette  no».  Cf.  la  Notte  804-' 10. 

immortali,  l'espressione  di  questo  nobile  770.  Brìndisi   grida:  al   brindisi  se- 

verso  ha  l'apparenza  della  maggior  se-  greto  della  dama,  alla  tacita  risposta 

rietà.  Ma  il  termine  di  paragone   del-  del    cavaliere ,   opportunissimo    segue 

l'immortalità    essendo    nel    come   voi,  un  brindisi  alto  e  solenne   della  Musa, 

ognun  sente  bellezza  e  amabile  origina-  commento   ed  enunciato   della  delica- 

lità  d'ironia.  (Pare  incredibile  che  il  p.  tezza  e  della  portata  di   quegl' intimi 

segnasse  poi  una  var.  a  questo  luogo,  voti. 

certo  non  destinata  a  soppiantare  la  772.  sua  dolce  cara  e  nostra:  cura  vale 
prima).  Non  già  per  altro  che  l'autore,  oggetto  di  affezione  e  di  premure  (Virg. 
ii  quale  mostra  parilicare  cosi  nella  du-  «  raucae  tua  cura  palumbes  »,  Tib.  «  Sac- 
rata efimera  i  suoi  eroi  e  l'opera  sua,  chi  cura  Falernus  ager  »).  Avverti  il 
non  dovesse  ricevere  dall'intima  co-  -«osfra  per  mia  come  al  v.  769,  cosi  di- 
scienza ben  altro  affidamento.  Viene  a  gnitoso  e,  per  la  collocazione,  efficace, 
mente  la  giusta  affermazione  del  Car-  774  sg.  eterna  gioia,  eternità  discre- 
ducei  (op.  cit.  VI  IX):   «Ciò  che  d'un  tam.  intesa,  come  dirà  poi. 


IL  MEZZOGIORNO  107 


775        Non  gustata  al  marito,  e  da  coloro 

Invidiata  clie  gustata  l'hanno. 

Veli  con  l'ali  sue  sagace  oblio 

Le  alterne  infedeltà  clie  un  cor  dall'altro 

Potrieno  un  giorno  separar  per  sempre  ; 
780        E  sole  agli  occhi  vostri  Amor  discopra 

Le  alterne  infedeltà  che  in  ambo  i  cori 

Ventilar  possan  le  cedenti  fiamme. 

Di  sempiterno  indissolubil  nodo 

Canti  augurj  per  voi  vano  cantore; 
785        Nostra  nobile  Musa  a  voi  desia 

Sol  quanto  piace  a  voi  durevol  nodo. 

Duri  fin  che  a  voi  piace,  e  non  si  sciolga 

Senza  che  Fama  sopra  l'ale  immense 

Tolga  l'alta  novella,  e  grande  n'empia 
790         Col  reboato  dell'aperta  tromba 

L'ampia  cittade,  e  dell'Enotria  i  monti 

E  le  piagge  sonanti,  e  s'esser  puote, 

La  bianca  Tati  e  Guadiana  e  Tuie. 

Il  mattutino  gabinetto,  il  corso, 
795        II  teatro,  la  mensa  in  vario  stile 

Ne  ragionin  gran  tempo:   ognun  ne  chieda 

Il  dolente  marito;  ed  ei  dall'alto 

La  lamentabil  favola  cominci. 

Tal  su  le  scene  ove  agitar  solea 
800        L'ombre  tinte  di  sangue  Argo  piagnente 

779.  Porièno  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  781.  in  ambo  I  petti  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  782.  Ventilar 
ponuo  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  783  sg.  Un  sempiterno  1.  n.  Auguri  ai  vostri  cor  volgar  cantore; 
—  78G.  Sol  fin  che  piace  a  voi  —  783.  l'ali  —  790.  de  l'aperta  B.  —  791.  de  l'Enotria 
B.  —  79:i.  e  la  mensa  V.  (B.,  CI.,  C.)   —  797.  da    l'alto  B. 


775.  Non  gustata  al  marito,  cioè  dal  di  ''QKsavóg:  bianca,    dalla    spuma),    il 

marito  ;  uso  classico  del  dativo  con  par-  mezzodì  {Guadiana,   nella  penisola  ibe- 

ticipi  passivi.  Cf.  il  Mate.  7S7.  rica)  e  il  nord  (Tuie,  che  identificarono 

790.  Col  reboato:  rimbombo,  dal  re-  per  l'Islanda:  Virg.  ultima  r/iwJe,  «  la 
boare  lat.  ;  sarebbe  ricercatezza  non  divisa  dal  mondo  ultima  Islanda  »). 
bella,  se  non  servisse  a  voluta  e  mani-  797  sg.  11  dolente  marito:  far  narrare 
festa  caricatura.  —  dell'aperta...:  ag-  proprio  al  marito  quell'amorosa  cata- 
giunto  che  descrive  e  distingue.  La  trom-  strofe  e  fingerlo  dolente  è  dell'estrema 
ba  della  Fama  è  a  larga  bocca.  ironia.  —  dall'alto,  con  questo   inciso 

791.  Enotria,  come  Ausonia  al  v.  709:  vuol  far  ripensare  il  notissimo  virgiliano 
Oenotri  viri,  Oenotria  tellus  in  Virgi-  «  toro  pater  Aeneas  sic  orsus  ab  alto  ». 
lio,  Aen.  I  532,  vii  85.  La  lamentabil  favola,  la  compassionevol 

792.  E  le  piagge  sonanti,  aggiunto  epico  tragedia. 

e  sempre  nuovo;   tutto   il  litorale,   so-  799-811.   L'avere  adoprato  la  parola 

nanfe  perché  lo  batte  fonda.  favola  con  accezione  classica  induce  il 

793.  Vuol  dire  il  restante  del  mondo:  p.  a  determinarne  il  senso  nel  suo  più 
r  Oceano  (La  bianca  Tetl,  TrjOvg  moglie  classico  uso,  cioè  di  opera  drammatica 


108 


TL  MEZZOGIORNO 


805 


810 


Squallido  messo  al  palpitante  coro 

Narrava,  come  furiando  Edipo 

Al  talamo  corresse  incestuoso  ; 

Come  le  porte  rovescionne,  e  come 

Al  subito  spettacolo  risté, 

Quando  vicina  del  nefando  letto 

Vide  in  un  corpo  solo  e  sposa  e  madre 

Pender  strozzata;  e  del  fatale  uncino 

Le  mani  armossi,  e  con  le  proprie  mani 

A  sé  le  care  luci  da  la  testa, 

Con  le  man  proprie  misero  strapposse. 

come    V.   (B.,  CI.,  C.)    -  805. 


803.  sen    corse   V.  (B.,  CI.,  C.)  —  804.    rovescionne 
ristette  V.  (B.)  —  809.  armosse  V.  —  811.  strappossi  B, 


o  azione  scenica;  e  cosi  quel  galante 
dissidio  è  paragonato  a  una  grande  tra- 
gedia, e  precisam.  àlVEdipo  re  di  So- 
focle ;  per  cui  il  P.  aveva  tanta  e  ben 
degna  ammirazione.  «  Dicono  che  par- 
lando dalla  cattedra  s'accendesse  della 
sua  stessa  parola  e  dell'esser  li,  come 
una  fiaccola  che  agitata  moltiplica  le 
fiamme,  e  segnatamente  quando  espo- 
neva le  tragedie  di  Sofocle,  e  tra  queste 
r Edipo»,  scrisse  il  Giusti;  il  cui  dicono, 
forse,  a  volerlo  individuare,  avrebbe  tra 
i  suoi  soggetti  il  P.  stesso,  che  del  ca- 
polavoro sofoclèo  e  della  esposizione  che 
ne  faceva  nella  scuola  scrisse  la  nota 
strofe  de  la  gratitudine,  ove  ricorda  il 
di  che  tra  gli  scolari  sopraggiunse  e  as- 
sistè benigno  e  attento  il  card.  Burini  ; 

Onde  osai  seguitar  del  miseran  lo 

Di  Labdaco  nipote 

Le  terribili  note 

E  il  duro  fato  e  i  casi  atroci  e  il  bando. 

Quale  all'attiche  genti 

Già  il  finse  di  colui  l'altero  carme 

Clie  la  patria  onorò  trattando  l'arme 

E  le  tibie  piagnenti, 

E  de  le  regie  dal  destin  converse 

Sorti  e  dell'arte  inclito   esempio  offerse. 

Come  in  tale  strofe  si  può  dire  che  la 
perifrasi  per  designare  Sofocle  sarebbe, 
a  rigore,  più  propria  a  designare  Eschilo 
(«  tinse  Eschilo  pria  [prima  di  scriver 
tragedie]  Ne'  Medi  fuggitivi  il  greco  ac- 
ciaro »  Card.),  cosi  nel  passo  qui  del 
poema  si  potò  facilmente  notare  un'ine- 
sattezza :  la  scena  deW Edipo  re  è  a  Tebe, 
non  ad  Argo.  Se  non  che  mi  par  diffì- 
cile ammettere  che  il  P.,  con  lo  studio 


che  avea  di  quel  dramma,  prendesse 
equivoco  né  poi  se  ne  accorgesse;  e  però 
credo  eh'  ei  volesse  dire  soltanto  «  nel 
teatro  greco  »  o  «  su  la  scena  tragica  » 
ma,  poeticamente  imrticolareggiando, 
nominò  Argo  che  ben  fu  alle  tragedie 
luogo  e  materia:  basterebbero  le  due 
prime  parti  dell'Oresféa.  Anche  può  es- 
sere che  qui  Argo  sia  per  «la  Grecia», 
come  più  spesso  argivi  per  greci,  cfr. 
la  Notte  449  «  le  genti  D'Argo  ».  Quanto 
al  passo  del  dramma  sofoclèo  che  qui 
il  P.  segnala,  è  ai  versi  1228-"69,  che 
sono  parte  del  racconto  che  un  messag- 
gero fa  al  coro  ;  e  il  compendio  è  fedele. 
Contentiamoci  a  notai'e  alcuni  partico- 
lari. Edipo  :  la  pronunzia  piana  di  que- 
sto nome  si  giustifica  daU'accento  gre- 
co, non  già  dalla  quantità  (ti  giovi  ri- 
cordare il  V.  8  della  tragedia  ó  jidai 
K^Etvòg  Olòinovg  KaXov/nevos);  e  in  modo 
essa  era  invalsa,  che  scrissero  anche 
Edippo,  come  puoi  vedere  p.  es.  nella 
versione  di  Stazio  del  Bentivoglio  e  nel- 
l'Alfieri, Polin.  I,  1  «  infelice  ed  inno- 
cente Edippo,  Privo  del  di,  carco  d' infa- 
mia, giace...»  [privo  del  dì,  appunto 
perché  si  era  sepolti  gV\  occhi  «in  eterne 
tenebre  di  pianto  »].  —  Al  talamo,  alla 
camera  nuziale.  —  del  fatale  nneino  :  si 
valse  al  triste  fatto  delle  fibule  d' oro 
ch'ei  tolse  alle  vesti  di  Giocasta  morta, 
(XQvGrjXarot,  neQÓvai).  —  le  care  luci,  gli 
occhi  suoi;  l'aggettivo  può  bene  inten- 
dersi, in  quanto  niente  carius  est  oou- 
lis,  ma  qui  ha  il  colore  del  tplXov  ome- 
rico. —  Con  le  man  proprie,  ripetiz.  en- 
fatica. 


IL  MEZZOGIOENO  109 


Ecco  volge  al  suo  fine  il  pranzo  illustre. 

Già  Como  e  Dionisio  al  desco  intorno 

Rapidissimamente  in  danza  girano 
815        Con  la  libera  Gioia:  ella  saltando, 

Or  questo  or  quel  dei  convitati  lieve 

Tocca  col  dito;  e  al  suo  toccar  scoppiettano 

Brillanti  vivacissime  scintille 

Ch'altre  ne  destau  poi.  Sonaa  le  risa; 
820        E  il  clamoi'oso  disputar  s'accende. 

La  nobil  vanità  punge  le  menti; 

E  l'Amor  di  sé  sol  baldo  scorrendo, 

Porge  un  scettro  a  ciascuno,  e  dice:  regna. 

Questi  i  concilj  di  Bellona,  e  quegli 
823        Penetra  i  tempj  de  la  Pace.  Un  guida 

I  cojadottieri  :  ai  cousiglier  consiglio 

L'altro  dona  e  divide  e  capovolge 

Con  seste  ardite  il  pelago  e  la  terra. 

Qual  di  Pallade  l'arti  e  de  le  Muse 
C30        Giudica  e  libra:  qual  ne  scopre  acuto 

L'alte  cagioni;  e  i  gran  principj  abbatto 

Che  creò  la  natura,  e  che  tiranni 

Sopra  il  senso  degli  uomini  regnare 

Gran  tempo  in  Grecia,  e  nel  paese  tosco 

812.  Ma  già  volge  V.  (B.,  CI.,  C.)  — 813.  E  Como  B.  —820.  Il  clamoroso  V.  (B.,  CI., 
C.)  —  821.  pugne  V.  (CI.,  C)  —  832.  Cui  creò  —  834.  e  ne  la  Toaca  terra 


Hfene 

K 


813-'19.  Como,  V.  la  nota  a  ii  7l/a«.  515.  giudicano  di  guerra  e  di  pace  (Bellona, 
—  e  Dionisio,  propriam.  Dioniso  (iióvo-  dea  della  guerra;  gaudens  Bellona 
005),  latinam.  Bacco.  —  Le  squisitezze  crMe««w),e,  in  ri^spondenza  a  ciò,  danno 
e  i  vini  più  abbondano  come  più  il  pran-  consigli  a  capitani  e  governanti,  e  in- 
zo  illustre  volge  al  fine;  ed  è  il  mo-  somma  cambiano  faccia  alla  terra  e  al 
mento  che  nasce  ne'  convitati  quella  ec-  mare,  dividendoli  a  lor  voglia.  —  Con  se- 
citazione  alacre  e  romorosa,  dal  p.  ri-  ste  ardite,  con  audaci  compassi,  vale  a 
tratta  ornatamente  con  le  solite  mitologie  dire  con  le  chiacchiere  vane.  Questo  mo- 
e  personificazioni.  Noi  diciamo  elettri!-  tivo,  del  discorrer  chiassoso  e  del  senten- 
za», in  simili  casi:  e  si  direbbe  che  il  ziare coraggioso  a  tavola,  fu  poi  trattato 
contemporaneo  del  Galvani  e  del  Volta  dal  P.  nell'ode  la  recita  dei  versi,  str.  2- 
significhi  per  tali  que'  convitati  che  al  4,  per  contrapposto  alla  discreta  e  vere- 
tócco  della  Gioia  mettono  scintille;  ma  conda  delicatezza  che  la  poesia  richiede  ; 
saranno  state  scintille  sotto  'l  focil,  non  e  incomincia  appunto,  con  vivezza  e  leg- 
della  pila  che  a  quegli  anni  era  pros-  giadria  lirica,  da  propositi  di  guerra  : 
sima  a  inventarsi,  non  inventata.  V'ha  chi  al  negato  Scaldi 

822.  l'Amor  di  sé  sol.  cte.il  Matt.&29>  Con  gli  abeti  di  Cesare  veleggia  ... 
sg.  :  qui  tale  amore  si  manifesta  nel  de- 
siderio di  segnalarsi  e  primeggiare.  ^  finisce . 

821-28.   In  quell'ora   fervida   i   com-  Tal  sedendo  confida 

ensali  gareggiano  nell'audacia  dei  loro  Ciascuno,  e  sua  ragion  fa  de  le  grida, 

scorsi  :  essi  danno  legge  al  mondo  ;  829-'35.  Insieme  coi  discorsi  politici 


110 


IL  MEZZOGIORNO 


835        Rinacquer  poi  più  poderosi  e  forti. 
Cotanto  adunque  di  saper  fia  dato 

A  uobil  capo?  Oh  letti  oh  specchi  oh  mense 

Oh  corsi  oh  scene  oh  feudi  oh  sangue  oh  avi, 

Che  per  voi  non  s'apprende?  Or  tu,  Signore, 
840        Co'  voli  arditi  del  felice  ingegno 

Sovi'a  ogualtro  t'innalza.  Il  campo  è  questo 

Ove  splender  più  dèi:  nulla  scienza, 

Sia  quant'  esser  si  vuole  arcana  e  grande, 

Ti  spaventi  giammai.  Se  cosa  udisti 
845        0  leggesti  al  mattino  onde  tu  possa 

Gloria  sperar,  qual  cacciator  che  seguo 

Circuendo  la  fera,  e  si  la  guida 

E  volge  di  loutan,  che  a  poco  a  poco 

A  le  insidie  s'accosta  e  dentro  piomba, 
850        Tal  tu  il  sermone  altrui  volgi  sagace 

Fin  che  là  cada  ove  spiegar  ti  giove 

Il  tuo  novo  tesoro.  E  se  pur  ieri 

836.  di  sapei'  è  dato  C.  —  836  sgg.  di  sapere  è  dato  A  nobil  meute?  Oh  letto,  oh 
specchio,  oh  mensa,  Oh  coi'so,  oh  scena,  —  840.  Col  volo  ardito  —  8tt.  T'  ergi  sopra 
d'  ogualtro.  —  813.  Sia  quant'  esser  mai  puote  arcana  o  grande  V.  (B.  via  e  grande, 
CI.,  C.)  —  845.  onde  tu  deggia  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  819.  S'  avvicina  a  le  —  851  tgg.  Fin- 
ché là  cada  ove  spiegar  ti  giovi  II  tuo  novo  tesor.  Se  nova  forma  Del  parlare  appren- 
desti, allor  ti  piaccia 


quelli  su  l'arte  e  le  arti  di  Pallade  e  de 
le  Mnse:  le  belle  arti  e  in  particolare  le 
belle  lettere.  Giova  ricordare  che  il  trat- 
tato pariniano  De'  principj  delle  Belle 
lettere  è  diviso  in  due  parti,  della  prima 
delle  quali  il  titolo  pieqo  è  Be'  principj 
fondamentali  e  generali  delle  Belle  let- 
tere applicati  alle  Belle  arti,  della  se- 
conda De'  principj  particolari  delle 
Belle  lettere.  —  Giudica  e  libra,  è  quel 
che  i  grammatici  chiamano  posterius 
prius;  in  fatti,  prima  si  pesa,  poi  si 
giudica  :  benché  per  certi  giudici,  e  dove 
ben  pensarlo  il  P.,  non  fa  differenza.  — 
i  gran  principj  abbatte  Clic  creò  la  na- 
tnra,  e  che  tiranni ...  :  se  sono  grandi 
principi  naturali,  come  possono  esser  ti- 
ranni e  sopraffattori  ?  e  se  sono  tiranni, 
come  possono  essere  grandi  principi  na- 
turali? I  poeti  satirici  mettono  talvolta 
insieme  nella  loro  espressione  ciò  ch'è 
il  loro  pensiero  e  ciò  che  essi  dicono  se- 
condo la  mente  dell'avversario.  —Sopra 
il  senso  degli  uomini,  il  discernimento, 
>1  sano  giudizio;  cf,  Ar.  0.  F.  1 56  «  Forse 


era  ver,  ma  non  però  credibile  A  chi  del 
senso  suo  fosse  signore».  —  in  Grecia: 
e  il  P.  cOnduceva  gli  alunni  «  Dietro 
agl'inviti  De  la  greca  beltà  »  la  gratitiid. 
st.  19.  —  nel  paese  tosco,  bella  var.  della 
1"  lez.  ne  la  losca  terra  :  il  bel  sonetto 
dell'Allìeri  L'Arno  già  ...,  dell'a.  17S1, 
chiude  con  le  parole  «  dal  bel  paese 
tòsco  ».  Kinacquer  poi...  :  benché  il  suono 
della  parola  ci  faccia  pensare  a  quel  che 
propriamente  si  dice  Rinascimento,  non 
credo  che  l'espressione  del  p.  sia  limi- 
tata ad  esso;  la  poesia  nuova  d'Italia, 
diciam  pure  di  Dante  e  del  Petrarca,  con 
tutta  la  sua  originalità  serbava  in  sé  e 
ravvivava  gli  stessi  grandi  pr Inditi- 

836-'39.  Il  passo  ha  qualche  analogia 
di  pensiero  con  quello  de  'l  Matt.  690- 
712.  Mirabile  questo  cumulo  di  esclama- 
tivi, specialmente  coi  nomi  al  plurale 
secondo  la  var.  che  anche  danno  miglior 
suono,  in  cui  si  enumerano  i  modi  e  i 
fonti,  onde  l'eroe  ha  attinto  un  si  largo 
e  profondo  sapere. 

852  sg.  pur  ieri  Scesa  in  I.  peregrina 


IL  MEZZOGIORNO 


IH 


Scesa  in  Italia  peregrina  forma 

Del  parlar  t'  è  già  nota,  allor  tu  studia 
855        Materia  espor  che,  favellando,  ammetta 

La  nova  gemma:  e  poi  che  il  punto  hai  colto, 

Ratto  la  scopri,  e  sfolgorando  abbaglia 

Qual  altra  è  mente  che  superba  andasse 

Di  squisita  eloquenza  ai  gran  convivj. 
BGO        In  simil  guisa  il  favoloso  mago 

Che  fé'  gran  tempo  desiar  1'  amante 

All'animosa  vergin  di  Dordona 

Da  i  cavalier  che  l'assalien  bizzarri 

Oprar  lasciava  ogni  lor  possa  ed  arte; 
-    865        Poi  ecco  in  mezzo  a  la  terribil  pugna 

Strappava  il  velo  a  lo  incantato  scudo, 

E  quei  sorpresi  dal  bagliore  immenso 

Ciechi  spingeva  e  soggiogati  a  terra. 
Se  alcun  di  Zoroastro  e  d'Archimede 
870        Discepol  sederà  teco  a  la  mensa, 

860  ss.  il  favoloso  amante  Dell'  animosa  vergin  di  Dordona  (C.  avverti  come  errore 
in  che  il  P.,  lavorando  a  memoria,  fosse  incorso,  di  attribuire  a  Ruggero  l'  artifizio  del- 
l' Atlante  ariostesco)  —  833  sg.  Ai  e.  che  1'  a.  superbi  Usar  —  865.  Poi  nel  miglior  de 
la  —  866.  Svelava  il  don  dell'  amoroso  mago  —  867  sg.  dall'  immensa  luce  Cadeano 
ciechi        sogiogali  CI.  —  839.  Talor  di  V.  (B.,  CI.,  C.) 


forma,  uà  francesismo  o  inglesismo  di 
fresca  importazione. 

859.  squisita,  qui  iuchiude  propriam. 
il  senso  di  «  ricercata  »,  tratta  da  fuori. 

b60-'6S.  L'effetto  della  nova  parola 
straniera  pareggiato  a  quello  dello  scudo 
di  Atlante  è  uno  de'  soliti  impensati  e 
felici  accostamenti,  e  opportunamente 
preparato  dalle  parole  sfolgorando  ab- 
baglia. —  il  faTOloso  mago  Clie...  :  giusta 
perifrasi  dell'Atlante  ariostesco,  l' incan- 
tatore, il  necromante,  che  lungamente 
sequestrò  Ruggiero  dalla  vita  e  dal- 
l'amore della  eroica  Bradamante.  Dai 
cuTalier  che  l'a.  bizzarri,  con  furia,  fo- 
cosamente, Oprar,  schietto  e  squisito  per 
«adoperare,  usare»;  cfr.  Dante  Purg. 
xxvm  15  «operare  ogni  lor  arte»,  e  il 
Matt.  569.  —  Poi  ecco...:  la  natura  e  l'effi- 
cacia dello  scudo  d'Atlante  è  narrata  dal- 
l'Ariosto al  e.  II  st.  55  sg.  e  al  e.  xxii 
85  sg.;  dice  nel  primo  di  essi  luoghi;  . 

Come  avesse  non  so  tanto  sofferto 
Di  tenerlo  nascosto  in  quella  veste, 
Qlj'  immantinente  che  lo  mostra  aperto, 


Forza  è,  chi  '1  mira,  abbarbagliato  resta 

E  cada  come  corpo  morto  cade 

E  venga  al  necromante  iu  potestade  : 

ove  si  può  vedere  che  il  P.  ha  tratto  di 
qui  il  pensiero  eh' è  nel  distico  Ai  ca- 
valier... Oprar  lasciava,  e  il  restante 
ha  ripreso  e  compendiato  stupendamen- 
te.  Donato  lo  scudo  dal  mago  a  Rug- 
giero, 

...  sol  tre  fiate  bisoguolli, 
K  certo  in  gran  perigli,  usarne  il  lume  : 

ma  di  solito  gli  bastava  il  suo  valore,  e 
teneva  coperto 

Lo  spaventoso  ed  incantato  lampo 
AI  cui  splendor  cader  si  convenia 
Con  gli  occhi  ciechi. 

869  sg.  Zoroastro,  il  grande  savio  an- 
tico a  cui,  pur  tra  mistero  e  leggende, 
risalgono  le  dottrine  religiose,  o  almeno 
le  forme  in  che  prevalsero  e  si  defini- 
rono, della  Persia,  e  che,  essendo  quella 
'  una  tal  religione  che  voleva  bastare  a 
render  ragione  di  tutto,  ebbe  la  scienza 
degli  a^gtri  §  della  natura.  —  Archlinedo, 


112 


IL  MEZZOGIORNO 


A  lui  ti  volgi,  seco  lai  ragiona, 

Suo  linguaggio  ne  apprendi,  e  quello  poi 

Quas'  innato  a  te  fosse,  alto  ripeti  : 

Né  paventar  quel  che  l'antica  fama 
875        Narra  de'lor  compagni.  Oggi  la  diva 

Urania  il  crin  compose:  e  gl'irti  alunni 

Smarriti  vergognosi  balbettanti 

Trasse  da  lo  lor  cave  ove  pur  dianzi 

Col  profondo  silenzio  e  con  la  notte 
880        Tenean  consiglio;  indi  le  serve  braccia 

Fornien  di  leve  onnipotenti  ond'alto 

Salisser  poi  piramidi,  obelischi 

Ad  eternar  de'  popoli  superbi 

I  gravi  casi:  oppur  con  feri  dicchi 

871.  Tu  a  lui  ti  volgi,  V.  (B.,  GÌ.,  C.)  -  873.  Qual  se  innato  V.  (B.,  CI.,  C.)  — 
875.  Narrò  de'  suoi  e.  —  878.  de  le  lor  cave  C.  —  878  sgg.  ove  già  tempo  Tenean  con- 
siglio, e  le  servili  braccia  V.  (B.,  CI.,  C,  ma  pure  serbando  tutti  il  v.  879)  —  884.  con 
gravi  dicchi  B. 


uno  de'  più  vasti  e  poderosi  ingegni  del- 
l'antichità,  matematico  e  astronomo, 
fisico  e  meccanico  sommo,  con  la  sua 
unica  arte  (Liv.  xxiv  M)  muni  e  armò 
Siracusa  stretta  da  Marcello  1'  a.  di  R. 
539,  e  quivi  poi  fu  ucciso  come  tutti  san- 
no da  un  soldato  ignaro  mentr'era  as- 
sorto in  suoi  alti  problemi.  —  di  Zoroa- 
stro  e  d'Archimedo  Discepol:  per  la  de- 
terminazione che  vien  poi  mediante  il 
nome  di  Urania,  s'intenderebbe  special- 
mente un  astronomo  e,  per  le  opere  o 
applicazioni  designate  appresso,  un  in- 
gegnere; in  somma,  vuol  dire  un  ma- 
tematico, ovunque  fosse  volta  la  sua 
scienza. 

874-'80.  Né  parentar  ...  de'  lor  compa- 
gni: che  cosa  propriamente,  risulta  poi 
esplicato  da  quel  che  segue,  cioè  la  so- 
litaria selvatichezza,  oggetto  più  che 
bastevole  di  spavento  per  l'elegante  ca- 
valiere. —  la  diva  Urania,  la  musa  del- 
l'astronomia, il  crin  compose,  si  pettinò  ; 
quasi  che  ella  innanzi  portasse  incom- 
ptam  comam,  in  quanto  Irti  erano  gli 
studiosi  di  lei.  —  Smarriti  vergognosi 
balbettanti:  viva  pittura  di  quegli  uo- 
mini portati  a  un  tratto  dall'ombra  alla 
luce,  dalla  raccolta  meditazione  in  mezzo 
alla  gente.  —  cave,  grotte;  tane  e  rin- 
tanali diciamo  volgarmente.  —  Col  pro- 


fondo silenzio  e  con  la  notte  Tenean  oon- 
sigllo,  ossia  gli  studi  loro  facevano  in 
disparte,  fuor  dei  clamori  e  della  luce 
del  mondo  :  e  in  silenzio  e  tiotte  si  può 
vedere  un'endiadi,  quasi  tacita  oscu- 
rità. È.  un  verso  che  ci  fa  venire  a 
mente  quello  de  le  ricordame  «  Lamen- 
tai co'  silenzi  e  con  la  notte  II  fuggi- 
tivo spirto»;  forse  il  Leopardi  l' avea 
negli  orecchi. 

880.  le  serve  braccia,  cioè  de'servi, 
degli  schiavi. 

882.  leve  onnipotenti,  le  quali  cioè  ser- 
vono a  effetti  maravigliosi,  potentissimi. 
Vien  bene  la  menzione  di  leve  onnipo- 
tenti poco  dopo  nominato  Archimede,  al 
quale  si  attribuisce  il  notissimo  :  Datemi 
un  punto  d'appoggio,  e  vi  sollevo  il 
mondo. 

88 (.  I  gravi  casi:  i  grandi  avveni- 
menti ?  Può  essere  ;  ma  classicam.  casus , 
e  tanto  più  con  quest'aggiunto  yravis, 
suona  sventura,  danno.  E  certi  trofei 
presso  il  vincitore  sono  appunto  segui 
perenni  della  iattura  toccata  al  vinto  e 
della  altezza  da  cui  la  sconfitta  lo  fece 
cadere. 

SS1-'9C».  con  firi  dicchi,  forti  bastioni 
a  riparo  del  fiotto.  —  dicchi,  da  dijk  olan- 
dese, è  in  trecentisti  e  nel  Chiabrera; 
più  comunemente  dighe.  —  contro  igran 


IL  MEZZOGIORNO 


113 


885        Stavan  contro  i  gran  letti;  o  di  pignone 
Audace  armati,  spaventosamente 
Cozzavan  con  la  piena,  e  giù  a  traverso 
Spezzate,  rovesciate  dissipavano 
Le  tetre  corna,  decima  fatica 

890         D'Ei'cole  invitto.  Ora  i  selvaggi  amici 
Urania  ingentili:  baldi  e  leggiadri 
Nel  gran  inondo  li  guida,  o  ti'a  '1  clamore 
De'  frequenti  convivj,  oppur  tra  i  vezzi 
De'  gabinetti  ove  a  la  docil  Dama 

895         E  al  saggio  Cavalier  mostran  qual  via 
Venere  tenga  e  in  quante  forme  o  quali 
Suo  volto  lucidissimo  si  cambi. 


888.  dissipate  rovesciavano  —  ?91.  incivili:  —  895.  E  al  caro  (V.  CI.,  C.) 
B.  —  896.  e  quali  B.,  CI.,  C.  —  897.  si  cangi  V.  (B.,  CI.,  C). 


al  fido 


letti,  del  mare:  cosi  l'aggiunto  e  il  fatto 
sembrano  dichiarare.  La  versione  latina 
di  Carl'Ant.  Merendi  (1792)  ha  per  altro 
latos ...  fluniinis  alveos,  e  ferìs  dlscis 
instabant  ftuminis  alveo  quella  di  Ign. 
Guerrieri  (1825);  poco  autorevoli,  del 
resto,  neir  interpretazione,  cerne  pece 
eleganti  nella  versione.  —  pignone,  forte 
costruzione  sporgente  dall'argine  contro 
l'acqua  per  reggere  e  voltare  la  corren- 
te; a  cui  si  appropria  bene  l'aggettivo 
audace.  —  Le  tetre  corna,  le  onde  torbide, 
ribollenti,  minacciose.  E  considera  la 
bellezza  efficace  del  verso  innanzi,  e  le 
ragioni  sottili  per  cui  il  P.  ebbe  a  pen- 
sare la  variante  di  una  prima  lez.  pur 
buona.  —  decima  fatica  D'Ercole  invitto. 
La  lotta  di  Ercole  col  fiume  Acheloo,  il 
quale  tra  la  zuffa  prese  dopo  altre  forme 
quella  di  toro  a  cui  Ercole  ruppe  un 
corno  («  ferus  Alcides  Acheloia  cornua 
fregit  »  Heroid.  xvi  265)  e  fu  il  corno 
dell'abbondanza,  è  accennata  in  prin- 
cipio delle  Trachlnie  di  Sofocle  e  rac- 
contata da  Ovidio  nei  primi  cento  versi 
del  IX  delle  Metamorfosi;  e  come  espres- 
s'one  mitica  d'una  fiumana  costretta  in 
nuovo  corso  e  più  regolare,  lasciando 
migliore  e  prosperosa  la  terra  intorno, 
era  agevole  intenderla,  e  fu  intesa  già 
in  antico.  Ma  questa  lotta  non  figura  tra 
le  dodici  fatiche  di  Ercole,  quali  furono 
nella  tradizione,  si  bene  è  una  delle  tante 
altre  sue  imprese  episodiche  e  accesso- 
rie :   e  però  non   saprei  dire   perché  il 


P.  l'abbia  messa  tra  quelle,  e  tanto  me- 
no perché  1'  abbia  determinata  per  de- 
cima. Ma  forse  egli  qui  pensò  a  tutt'al- 
tro  che  a  una  rigorosa  e  bene  esplorata 
esattezza,  e  pertanto  è  vano,  credo,  che 
tale  esattezza  cerchiamo  noi.  Supporre 
che  qui  decima  abbia  il  significato  che 
ha  talvolta  in  lat.  decimus  analogam. 
a  decumanus,  cioè  grande  (fluctus  de- 
cumanus,  decim,a  unda),  non  sarebbe 
naturale,  da  che  dice  il  numero  d' or- 
dine di  cosa  appartenente  a  un  gruppo 
numerato.  Ripeto,  il  p.  non  volle  altro 
se  non  una  imagine  e  un'espressione 
solenne,  con  la  quale  chiudere  i  versi 
forti  e  felicemente  elaborati  su  le  ardite 
e  vittoriose  opere  dell'ingegneria  e  del- 
l'idraulica. 

891-'97.  Ora  i  s.  a.  U.  ingentllf  :  è  come 
una  ripresa  di  ciò  ch'era  detto  ai  vv, 
875  sgg.  ;  1  selvaggi  amici,  gV  irti  alunni^ 
i  cultori  suoi  eh'  eran  prima  selvatici, 
Ingentilì',  incivili  ;  la  1*  lez.  può  esser 
commento  ma  la  variazione  è  più  poe- 
tica e  schietta  a  dire  una  cosa  selvatica 
che  si  fa  gentile  per  coltura:  «  Ringen- 
tiliscan  su  i  toscani  colli»,  dice  il  Redi, 
B.in  T.  225,  di  magliuoli  di  viti  straniere. 
—  baldi  e  leggiadri  Nel  gran  mondo...:  è 
proprio  l'antitesi  degli  sìnarriti  vergo- 
gnosi balbettanti  e  delle  lor  cave  ;  i  bru- 
chi son  divenuti  farfalle  :  e  il  gran  mon- 
do si  determina  poi  e  distingue,  le  chias 
sose  e  numerose  (frequenti)  brigate  dei 
pranzi,  e  le   moine  dell' intimit;'».   Alla 


Parini  —  Ai.niNi. 


114 


IL  MEZZOGIORNO 


Né  del  poeta  temerai  che  beffi 

Con  satira  indiscreta  i  detti  tuoi, 
900        Né  che  a  maligne  risa  esponer  osi 

Tao  talento  immortal.  Voi  l'innalzaste 

All'alta  mensa,  e  tra  la  vostra  luce 

Beato  l'avvolgeste  e,  de  le  Muse 

A  dispetto  e  d'Apollo,  al  sacro  coro 
905        L'ascriveste  de'  Vati.  Ei  de  la  mensa 

Fece  il  suo  Pindo;  e  guai  a  lui,  se  quindi 

Le  dee  sdegnate  giù  precipitando 

Con  le  forchette  il  cacciano.  Meschino! 

Più  non  potria  su  le  dolenti  membra 
910        Del  suo  infermo  Signor  chiedere  aita 

900.  O  che  V.  (B.  CI.,  C.)  —  901.  immortale.  All'alta  mensa  Voi  lo  innalzaste,  V. 
(B.,  CI.,  C.)  —  905  sff.  Egli  il  suo  Pindo  Feo  de  la  mensa,  e  guai  a  lui  se  quinci 
—  909.  Pili  non  poria  V.  (B.,  CI.,  C.) 


coppia  amorosa  ed  elegante  è  naturale 
che  rastrouorao  parli  del  corso  e  degli 
aspetti  di  Tenere,  uno  de'  sei  Pianeti 
(sic)  annotò  il  F.,  il  bel  pianeta  e  il  loro 
pianeta;  ma,  dice  il  Cantù,  «  l'ambiguità 
è  maligna  ». 

898-901.  Ne'  del  poeta  temerai...  FiuquI 
ha  detto  della  sicurezza  Udente  con  che 
il  Giovia  signore  parlerà  allo  scienziato 
e  di  scienza;  e  non  meno,  dice  qui,  al 
poeta.  Questi  primi  versi  fanno  una  cu- 
riosa impressione  al  lettore  che,  leg- 
gendoli, sente  come  davvero  davvero 
colui  abbia  a  tenersi  sicuro  dal  poeta  e 
dalla  satira!..  Ma,  dopo  quest'effetto 
felice,  si  vede  che  il  P.  accenna  a  ben 
altro  poeta,  a  quello  cui  s'  appartiene 
Vuso  di  recitare  i  versi  alle  mense,  e 
che  «Gonfia  d'audace  verso  inezie  conte  » 
o  «  del  pudore  a  scorno  Annunzia  carme 
onde  a'  profani  piace  »,  o  fa  altri  com- 
ponimenti e  complimenti  di  circostanza 
quali  son  ricordati  appresso,  e  che  in 
somma  non  è  altro  se  non  un  piaggia- 
tore verboso  e  parasito. 

902  sg.  tra  la  vostra  luce  Beato  i'av- 
Tolgeste,  cioè  rendendolo  felice  con  que- 
sto, a  sua  grande  soddisfazione. 

903-'08.  de  ie  Muse  À  dispetto  e  d'Apol- 
lo: come  quasi  tutte  le  frasi  di  questo 
passo,  ricorda  imagini  ed  espressioni 
classiche.  Oltre  all'oraziano  invita.... 
Minerva  e  al  suo  contrario  auspice 
Musa,  a  luoghi  ove  le  Muse  e  Apollo  son 


ricordati  insieme  (p.  es.  Prop.  i  8,  41, 
di  cui  cfr.  anche  iii  2,  7  «  uobis  et  Baccho 
et  Apolline  dextro  »),  è  a  notarsi  certa 
rispondenza  tra  i  pensieri  di  questi  versi 
e  il  prologus  di  Persio,  autore,  come 
sappiamo,  ben  conosciuto  al  P.,  dove  la 
fame  e  la  cupidigia  insegnano  parole 
umane  ai  pappagalli  e  mutano  i  corvi  in 
cigni.  —  ei  de  la  mensa  Fece  11  suo  Pindo, 
si  perché  ivi  s' inspira  e  ivi  recita,  si 
perché  qaeU'aUa  ìnensa  è  il  vertice  a  cui 
si  propose  di  giungere.  —  e  guai  a  lui ...  : 
qui  il  ricordo  di  un  epigramma  di  Ca- 
tullo, 105,  è  scoperto,  e  originalissimo 
l'uso  che  ne  fa  il  P.  Dice  Catullo: 

Mentula  conatur  Pimpleum  scandere 

[moutem. 
Musae  furcillis   praecipitem  eiciunt  : 

dove  le  Muse  figurano  come  belle  mon- 
tanarine  che  coi  forconi  caccian  via  l'in- 
degno che  s'arrampica.  Il  P.  traduce 
furcillis  con  le  forchette,  e  questo,  men- 
tre non  si  può  dire  che  non  risponda 
strettamente  al  diminutivo  catulliano, 
prende  qui  un  alti'o  e  preciso  signifi- 
cato: qui  il  monte  delle  Muse  è  la  ta- 
vola, le  Muse  son  le  dame,  le  forchette 
son  le  forchette. 

909-'19.  sn  le  dolenti  membra  Del  suo 
infermo  Signor  chiedere  aita,  invocare 
la  guarigione  alla  dolorosa  malattia  : 
ma  è  detto  con  eleganza  squisita,  raf- 
finata anzi  a  meglio  volgere  in  beffa  la 
nullaggine  di  quelle  elegiuzze.  —  Da  la 


IL  MEZZOGIORNO 


115 


Da  la  bona  Salute;  o  con  alate 
Odi  ringraziar,  né  tesser  Inni 
Al  barbato  figliuol  di  Febo  intonso  : 
Più  del  giorno  natale  i  chiari  albori 

915        Salutar  non  potrebbe,  e  l'auree  frecce 
Nomì-sempiternanti  all'arco  imporre  : 
Non  più  gli  urti  festevoli  o  sul  naso 
L'elegante  scoccar  d'illustri  dita 
Fora  dato  sperare.  A  lui  tu  dunque 

920        Non  disdegna,  o  Signor,  volger  talora 
Tu'  amabil  voce:  a  lui  tu  canta  i  versi 
Del  dilicato  cortigian  d'Augusto, 
O  di  quel  che  tra  Venere  e  Lièo 
Finse  Trimalcion.  La  Moda  impone 

925        Ch'Arbitro  o  Fiacco  a  i  begli  spirti  ingombri 


i 


911.  Da  la  buona  V.   (B.)        salute  B.  col  R.  —  920.  Non  isdegna,  o  S.,  volger  tal- 
volta —  921.  a  lui  declama  —  922.  delicato  V.  (CI.,  C.)  —  925.  a  un  bello  spirto 


bona  salute,  come  dea,  auche  nei  progr. 
di  b.  arti  p.  81,  ove  la  Dea  Salute  è  pro- 
posta a  effigiare  nella  camei'a  da  pranzo  ; 
e  delineata  «  con  volto  nobile  e  pienotto, 
gioventù  matura,  e  bel  panneggiamen- 
to ».  (Un  inr.o  In  banani  Valetudinem 
ha  il  Flaminio).  —  con  alate  Odi,  alate 
secondo  la  presunzione  e  professione 
degli  autori,  i  quali  studiando  ai  cosi  det- 
ti voli  si  davano  a  credere  di  riuscire  a 
qualcosa  di  alto  (cfr.  il  bel  distico  che 
chiude  l'ode  la  laurea  ove,  di  un  vin- 
citore in  Olimpia,  è  detto: 

£  scotendo  le  corde  amiche  a  i  vati 
Pindaro  lo  seguia  con  gì'  inni  alati)  : 

anche  l' imagine  seguente  dell'auree  frec- 
ce da  imporre  all'arco  (il  germe  è  in 
Pindaro,  p.  es.  Nein.  ix  in  f.  «la  vitto- 
ria Fregiar  di  versi  e  co'  miei  dardi  il 
termine  De  le  Muse  toccar  »,  vers.  Frac- 
caroli),  e  il  pomposo  aggiunto  compo- 
sto di  no  nl-sempiternanti ,  secondano 
canzonandola  quell'inclinazione  a  fare 
i  pindarici  in  un  componimento  per  ri- 
cuperata salute  (inno  a  Esculapio)  o  per 
il  di  natalizio.  Quanta  più  l'ambizione 
di  tal  poetastro,  tanto  più  risibile  a  udire 
il  compenso  ch'ei  ne  poteva  sperare,  e 
che  vien  qui  efficacemente  espresso  in 
coordinazione  sintattica  a  ciò  che  pre- 


cede :  amichevoli  colpetti  nel  ventre,  un 
picchiar  di  mano  su  la  spalla,  e  buffetti 
nel  naso. 

921-'25.  a  lui  tu  canta  i  veri!  Del....  0 
di  quel...  :  di  Orazio  o  di  Petronio  Arbi- 
tro; i  quali  due  autori  sono  prima  de- 
signati in  perifrasi,  e  appresso  chiasti- 
caraente  nominati.  Se  il  P.  avesse  voluto 
dire  Orazio  per  conto  proprio,  e  non  in 
servigio  del  suo  eroe  a  cui  non  era  al- 
tro se  non  un  ingombro  di  tasche  se- 
condo la  moda,  difficilmente  avrebbe 
usato  questa  circonlocuzione  per  il  gran 
lirico  e  satirico  latino,  nel  quale  l'esser 
cortigian  d'Angusto  è  accessorio  e  conta 
certo  assai  meno  che  l'essere  tal  mae- 
stro d'arte  e  pittore  di  costume  quale 
egli  fu.  Petronio  Arbitro  è  bene  indicato 
per  l'autore  della  cena  Trimalchionis, 
eh'  è  il  più  lungo  e  più  noto  passo  a  noi 
pervenuto  delle  Satirae  di  quello  scrit- 
tore dell'età  neroniana,  pieno  d'ingegno 
e  di  varia  e  vivace  eleganza,  e  tutto  in- 
quinato, direbbe  il  P.,  di  fedo  loto.  I 
versi  propriam.  detti  sono  sparsi  qua 
e  là  nel  romanzo  petroniano  che  ha  le 
forme  e  l'andamento  della  satira  menip- 
pea,  e  a  buon  conto  nel  tratto  dell'orgia 
di  Trimalcione  son  pochi  o  punti:  né 
il  P.  dice  che  i  versi  cantati  siano  da 
quel  tratto. 


116 


IL  MEZZOGIORNO 


Spesso  le  tasche.  Oh  come  il  vate  amico 
Te  udrà  maravigliando  il  sermon  prisco 

0  sciogliere  o  frenar  qual  più.  ti  piace: 
E  per  la  sua  faretra  e  per  li  cento 

930        Destrier  focosi  che  in  Arcadia  pasce 
Ti  giurerà,  che  di  Donato  al  paro   . 
Il  difficil  sermone  intendi  e  gusti. 
Cotesto  ancor  di  rammentar  fia  tempo 

1  novi  sofi  che  la  Gallia  o  l'Alpe 

C35        Ammirando  persegue  :  e  dir  qual  arse 
De'  volumi  infelici,  e  andò  macchiato 
D'infame  nota:  e  quale  asilo  appresti 
Filosofia  al  morhido  Aristippo 
Del  secol  nostro;  e  qual  ne  appresti  al  novo 

940        Diogene  dell'auro  spregiatore 
E  della  opinione  de'  mortali. 
Lor  famosi  volumi  o  a  te  discesi 


926  Bgg.  Il  vostro  amico  vate  T'  udrà  m.  il  s.  p.  Or  sciogliere  or  —  933.  E  questo 
ancor  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  93  4  sg.  e  l'Alpe  Esecrando  —  910.  de  l'auro  B.  sprezzatore 
V.  (B.,  CI.,  C.)  —  9il.  E  de  la  B.  —  942.  Lor  volumi  famosi  a,  te  verranno 


926-'35.  il  sermon  prisco  (cioè  il  la- 
tino; emistichio  petrarchesco  del  son. 
S'amore  o  morta...)  0  sciogliere  o  fre- 
nar qnal  piti  ti  piace,  pronunziando  brevi 
le  sillabe  lunghe,  lunghe  le  brevi.  —  per 
la  sna  faretra,  quella  da  cui  trae  le  au- 
ree frecce  di  cui  sopra,  e  per  li  cento 
Destrier  focosi  clie  la  Arcadia  pasce,  ca- 
valli ch'egli  possiede  al  modo  stesso 
della  faretra,  in  quanto  se  li  finge  e  uè 
parla  ne'  suoi  versi.  («  Ma  se  d'altro  ca- 
vai non  si  provvede,  Faccia  pur  conto 
d'andar  sempre  a  piede  »).  Son  queste 
le  cose,  invocando  le  quali  Ti  giurerà: 
la  verità  del  giuramento  e  la  gravità 
delle  cose  invocate  son  pari.  Può  anco 
essere  che  scrivendo  il  v.  Destrier  focosi 
che  In  Arcadia  pasce  il  P.  rammentasse 
che  l'Arcadia  era  in  pregio  per  la  razza 
degli  asini  (Arcadiae  pecuarla  rudere, 
è  iu  Persio;  «le  roussin  d'Ai'cadie  »  è 
detto  l'asino  in  La  Fontaine,  Fabl.  viii 
17),  e  ripensando  ciò  il  verso  è  più  gu- 
stoso :  ma  questa  sarà  una  sfumatura 
accessoria;  il  senso  primo  e  precipuo 
è  il  sopra  detto.  —  di  Donato  al  paro, 
Kiio  Donato,  celebre  grammatico  del  iv 
secolo:   massima   autorità  ebbe   Vara, 


cioè  la  grammatica,  da  lui  scritta,  e  iu 
tempi  non  remoti  la  grammatica  latina 
si  chiamava  il  Donato. 

934-'42.  I  novi  sofl,..:  la  frase,  come 
in  parte  la  situazione,  fa  ripensare  ai 
facili  sapienti  De  la  gallica  Atene  ;  il 
Matt.  683.  Con  l'alternativa  o  l'Alpe  par 
designato  fin  d'ora  peculiarmente  Gian- 
giacomo  Rousseau,  svizzero  di  nascita, 
ginevrino  {171S-177S).  Un  po' dubbie  a 
determinare,  secondo  quel  che  vera- 
mente fosse  il  pensièro  del  p.,  son  le 
parole  susseguenti:  esecrando  persegue 
della  1'  lez.  par 'voler  dire  «esecra» 
(exsecratione  persequitur),  e  in  vece 
aniniirando  persegue  della  correz.  «  am- 
mira» (admiratione  prosequitur)  ;  ma 
forse,  correggendo  cosi,  il  P.  intese  tem- 
perare insieme  i  due  concetti  signifi- 
cando «  ammira  e  perseguita  allo  stesso 
tempo  »,  che  in  fatti  apparisce  vero,  e 
subito  appresso  si  accennano  condanne 
e  falò  che  si  fecero  di  taluni  libri  di 
que'  filosofi.  —  quale  asilo  appresti  Filo- 
sofia... :  oso  dire  che  né  pur  questo  è 
chiarissimo.  A  prima  udita  può  inten- 
dersi :  quale  accoglienza  trovino,  in  gra- 
zia delle  lor  teoriche,  i  filosofi  qui  desi- 


IL  MEZZOGIORNO 


117 


945 


950 


Da  le  fiamme  fuggendo  a  gran  giornate 
Per  calle  obliquo,  e  compri  a  gran  tesoro, 
O  da  cortese  man  prestati,  fièno 
Lungo  ornamento  a  Io  tuo  speglio  innanzi. 
Poi  che  brevi  gli  avrai  scorsi  momenti 
Ornandoti,  o  a  la  man  garrendo  indòtta 
Del  parruccbier;  poi  che  t'avran  più  notti 
Conciliato  il  facil  sonno,  alfine 
A  la  teletta  passeran  di  quella 


946.  innante.  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  947  ag.  Poiché  scorsi  gli  avrai  pochi  momenti  Spec- 
chiandoti, e  a  la  man  B.  e  C.  lenendo  anch'  essi  la  var.  costruiscono  Poi  che  scorsi 
gli  avrai  brevi  momenti  —  949.  poiché  t'avran  la  sera  —  950  sg.  allora  A  la  toilette  al 
fine  Anco  a  lo  speglio  passeran  di  lei  V.  (B.) 


gnati  ;  accoglienza  or  buona  ora  ostile  ; 
e  con  ciò  sarebbero  accennate  le  pere- 
grinazioni di  Voltaire  e  di  Rousseau,  e 
le  ospitalità  eh'  ebbero  talvolta,  p.  es. 
Voltaire  da  Federico  di  Prussia  negli 
anni  1750-'53.  Ma  probabilmente  vuol 
dire  altra  cosa,  cioè  :  qual  parte  essi 
tengano  tra  le  scuole  filosotìche  (asilo 
risponderebbe  ai  modi  latini  per  cui 
una  scuola  di  filosofi  è  una  domus,  un 
lar:  ricorda  più  frasi,  come  quo  me 
duce  quo  Lare  tutev  e  deferor  hospes, 
della  l'epistola  d'Orazio);  e  il  p.  intan- 
to per  conto  suo  definisce  il  Voltaire 
per  un  nuovo  morbido  Arlstlppo  e  il 
Rousseau  per  un  nnovo  Diogene.  —  Vol- 
taire (intorno  al  quale  vedemmo  già 
nel  Matt.  668-'70  discrete  parole  che 
rifuggono  da  ammirazione  supina  e  da 
sconoscente  vilipendio),  come  avverso 
alla  metafisica  perché  genera  sistemi 
e  dà  occasione  a  fanatismi,  come  ir- 
riverente alla  religione  per  geloso  os- 
sequio alla  ragione,  come  troppo  in- 
dulgente ai  sensi  (e,  innanzi  tutto,  al 
buon  senso),  come  scrittore  nell'arguzia 
e  talvolta  nella  lubricità  liberissimo, 
parve  in  somma  filosofo  di  rilasciata 
morale;  e  il  P.  ritrae  la  filosofia  di  lui 
come  un  malsano  edonismo  (il  Bentham, 
quando  uscivano  i  poemetti  pariniani, 
era  adolescente),  e  a  lui  dà  nome  dal 
celebre  scolaro  di  Socrate,  poi  fonda- 
tore della  scuola  cirenaica,  Aristippo, 
la  cui  filosofia  moveva  dal  senso  del  pia- 
cere. —  Rousseau,  dal  fastidio  delle  ini- 
quità della  corruzione  delle  complica- 
zioni sociali  portato  alla  condanna  della 


società,  dalla  prepotenza  del  sentimento 
individuale  e  dal  bisogno  inestinguibile 
di  libertà  fatto  nemico  delle  leggi  e  de- 
gli usi,  è  ragguagliato  a  quel  bizzarro 
ribelle  che  fu  Diogene  (m.  l'a.  323  a.  C), 
il  più  avanzato  e  singolare  dei  cinici; 
e  già  nel  maestro  di  lui  Antlstene  era 
il  grido  di  Rousseau:  torniamo  alla 
natura.  (Ciò  osserva  il  Gomperz.  Tanto 
aggiustatamente  è  pensato  1'  accosta- 
mento del  P.,  che  si  trova  il  simile  in 
un  rilievo  di  fatto  nella  storia  critica  del 
pensiero  greco).  —  Del  resto,  poiché 
non  posso  stendermi  qui  a  dire  di  Vol- 
taire e  Rousseau  oltre  a  quanto  bisogna 
per  chiarire  il  testo,  né  de'  punti  in  cui 
si  differenziano  o  di  quelli  in  cui  si  con- 
vengono tra  loro,  basti  avvertire  che  il 
contrapposto  della  selvatichezza  dioge- 
nica  e  della  indulgenza  aristippèa  de- 
riva al  P.  da  fonte  classica;  e  sopra 
tutto  da  un  luogo  di  Orazio ,  ep.  I  17, 
13-15,  ove  Diogene  e  Aristippo  son  di 
fronte,  col  celebre  dialoghetto  :  «  Se  si 
adattasse  a  pascersi  d'erbaggi,  fami- 
gliarità di  re  sdegnerebbe  Aristippo  »  : 
«Se  fosse  atto  a  famigliarità  di  re,  schi- 
ferebbe erbaggi  il  mio  censore  ». 

Si  pranderet  olus  patienter,  rogibus  uti 
NoUet  Aristippus.  —  Si  sciret  regibus  uti, 
Fastidirei  olus  qui  me  notat. 
943-'51.  a  gran  giornate   (magnis  iti- 
neribus),  del  linguaggio   militare;  Per 
calle  obllqno,  per  vie  traverse,  fuor  da 
la  via  regia  battuta;  a  pran  tesoro,  quasi 
a  peso  d'oro.  A  tanto  sacrificio  e  impe- 
gno per  avere   que'  libri  contrasta   la 
noncuranza  dopo  ricevuti:  stanno  a  luu- 


118 


IL  MEZZOGIORNO 


Che  comuni  ha  con  te  studi  e  licèo 

Ove  togato  in  cattedra  elegante 

Siede  interprete  Amor.  Ma  fia  la  mensa 
955        II  favorevol  loco  ove  al  sol  esca 

De'  brevi  studi  il  glorioso  frutto. 
Qui  ti  segnalerai  co'  novi  sofi 

Schernendo  il  fren  che  i  creduli  maggiori 

Atto  solo  stimar  l' impeto  folle 
960        A  vincer  de'  mortali,  a  stringer  forte 

Nodo  fra  questi,  e  a  sollevar  lor  speme 

Con  penne  oltre  natura  alto  volanti. 

Chi  por  freni  oserà  d'inclita  stirpe 

A  l'animo,  a  la  meato?  Il  vulgo  tema 
9G5        Oltre  natura;  e  quei  cui  dona  il  vulgo 

Titol  di  saggio,  mediti  romito 

Il  ver  celato,  e  alfin  cada  adorando 

La  sacra  nebbia  che  lo  avvolge  intorno. 

Ma  tu  come  sublime  aquila  vola 
970        Dietro  ai  sofi  novelli.  Alto  dia  plauso 

952.  communi  CI.  —  954.  Amore.  Or  fia  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  935.  loco,  onde  V.  (B.) 
—  957.  Qui  segnalar  ti  dei  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  960.  strigner  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  963  sgg.  Chi 
por  freno  oserà  d' almo  Signore  A  la  mente  od  al  cor?  Paventi  il  vulgo  Oltre  natura:  il 
debole  Prudente  Rispetti  il  vulgo  j  e  quei  cui  dona  il  vulgo  (B.  serbò  da  questa  l*  lei.  le 
parole  il  d.  p.  R.  il  vulgo)  —  969  sgg.  Ma  il  mio  Signor  com'aquila  sublime  Dietro  ai  Sofl 
novelli  il  volo  spieghi.  Perché  pili  generoso  il  volo  sia,  Voli  senz'ale  ancor;  né  degni  '1 
tergo  Affaticar  con  penne.   Applauda  intanto  Tutta  la  mens.x  al  tuo  poggiare  arc'ito.  — 


go  SU  la  toilette,  sguardati  appena  ;  poi 
son  presi  per  conciliare  il  sonno;  poi 
passano  alla  toilette  della  dama  :  cfr.  il 
Malt.  664-'6j.  —  breri  gli  arrai  scorsi  nio- 
menli,  troppo  latino  il  distacco  dell'agg. 
dal  nome  :  al  v.  2  U  era  minore.  —  Ornan- 
doti, facendo  toilette  :  Ov.  Am.  I  14,  17 
«  Ante  meos  saepe  est  oculos  ornata  »; 
altrove,  più  determinatam.,  ornare  ca- 
pillos.  —  studi  e  liceo,  o  sia  materia  e 
luogo  di  studio.  —  Ove,  meglio  si  riferisce 
a  la  teletta  die  a  liceo  ;  è  il  gabinetto 
della  dama,  e  quindi  la  toga  e  la  cattedra 
e  il  lettore  sono  da  imaginare  adattali. 
057-''64.  co'  novi  sofl,  insiste,  e  insi- 
sterà ancora  al  v.  971,  in  tal  denomina- 
zione già  vista  al  v.  9sr,,  nella  quale  è 
chiaro  che  il  P.  dà  a  sod,  come  abbiam 
detto,  il  senso  di  facili  sapienti,  cioè  di 
iion  intera  e  sincera  sapienza.  —  11  fren 
cl>e  ...:  larga  perifrasi  della  religione, 
iu  quanto   domi  le  passioni,   affratelli 


gli  uomini,  li  consoli  di  speranze  eter- 
ne. A  ciò  si  contrappone  che  per  la 
razza  privilegiata  non  ha  luogo  ritegno 
né  di  passioni  (a  l' animo  :  cf.  Pers.  V 
30  «premitur  ratione  animus»)  né  di 
pensieri  (a  la  mente). 

961-"6S.  Le  paure  di  ciò  eh'  è  oltre  il 
sensibile  son  volgari,  e  quegli  solo  che 
solo  al  volgo  par  saggio  può  meditare 
misteri  (11  ver  celato)  e  cadere  in  ado- 
razione. Qualcosa  di  solennemente  mi- 
stico il  p.  ha  dato  anche  al  linguaggio. 
—  Quel  debole  Prudente  della  1'  lez., 
già  in  sé  non  perspicua,  non  aggiungeva 
nulla  di  utile  o  ben  determinato. 

970.  Osserva  bene  com'era  il  passo 
nella  prima  redazione.  Alle  parole 

Perché  pili  generoso  il  volo  sia. 
Voli  senz'ale  ancor,  né  degni  '1  tergo 
Affaticar  con  penne, 
Giuseppe  Giusti  annotava  «  dardo  sca- 
gliato contro  coloro  che,  senza  ingegno 


IL  MEZZOGIORNO 


119 


Tutta  la  mensa  al  tuo  poggiare  audace. 

Te  con  lo  sguardo  e  con  l'orecchio  beva 

La  Dama  dalle  tue  labbra  rapita; 

Con  cenno  approvator  vezzosa  il  capo 
975        Pieghi  sovente  :  e  il  calcolo,  e  la  massa, 

E  r  inversa  ragion  sonino  ancora 

Su  la  bocca  amorosa.  Or  più  non  odia 

De  le  scole  il  sermone  Amor  maestro; 

Ma  l'accademia  e  i  portici  passeggia 
980        De'  filosofi  al  fianco,  e  con  la  molle 

Mano  accarezza  le  cadenti  barbe. 
Ma  guardati,  o  Signor,  guardati  oh  dio 

Dal  tossico  mortai  che  fuora  esala 

Dai  volumi  famosi,  e  occulto  poi 
985        Sa,  per  le  luci  penetrato  all'  alma, 

Gir  serpendo  nei  cori,  e  con  fallace 

Lusinghevole  stil  corromper  tenta 

973.  da  le  col  R.  tutti.  —  976.  E  la  V.  (B.,  CI.,   C.)  —  978.  scuole  C.  —  979.  E  V. 
(B.,  CI.,  C.)  V  Academia  e  i   Portici  C.  —  981.  carezza  B.  —  986.  uè'  cori  V.  (B.,  CI.,  C.) 


e  senza  studi,  spensieratamente  slìloso- 
feggiano».  Ma  fu  un  momento  di  sug- 
gestione innanzi  all'  autore  ammirato. 
A  pensarci ,  non  sarebbe  piaciuto  al 
Giusti  ciò  che  spiacque  al  P.:  toH  sen- 
z'ale non  è  arguto  ;  vuol  volar  senz'ali 
signiflca  a  troppo  chiare  note  «  vuol 
r  impossibile». 

972.  Te,  cioè  l'aspetto  e  le  parole  tue; 
con  lo  sguardo  e  con  l'orecchio  beva  ..• 
Alla  frase  cosi  densa  e  intensa  son  ger- 
me il  bibebat  amorem  virgiliano  (cfr.  al 
V,  11)  e  il  bibìt  aure  oraziano. 

675-'81.  '\\caloolo,\di  massa,  l'inversa 
ragion...  «Per  imitare  i  sapienti  fran- 
cesi, volevasi  clie  le  scienze  esalte  di- 
ventassero modello  di  tutte  le  scienze, 
e  chi  non  le  sapeva  dovea  tingere  di 
saperle.  [Del  resto,  viene  a  mente  che 
anche  Platone  cominciava  dalla  mate- 
matica, e  si  narra  che,  durante  una 
delle  sue  dimore  alia  corte  di  Siracusa, 
le  sabbie  de"  giardini  reali  eraii  tutte 
segnate  di  figure  geometriclie,  per  ma- 
no de'  suoi  eleganti  scolari].  In  un'/(a- 
lia,  stampata  nel  1778  come  traduzione 
dal  francese,  si  dice  che  a  Firenze  erasi 
introdotta  la  cicisbeatura  matematica; 
e  che  occorre  di  sentire  fra  galanti  col- 


loqui, In  ragione  comiiosta  del  vostro 
affetto  —  In  ragione  inversa  del  mio 
languore  —  Moltiplicata  la  massa  per 
la  velocità  della  mia  servitù,  ne  ri- 
sulta la  quantità  del  moto  della  vo- 
stra perdonanza  [forse  padronanza] 
—  /  quadrati  dei  tempi  della  mia  spe- 
ranza sono  come  i  cubi  della  distanza 
del  vostro  consenso  —  »  (Cantù).  —  l'ac- 
cademia; propriam.  r Academia,  orti  di 
Academo,  fu  la  scuola  di  Platone  :  i  i>or- 
tici  seguendo  pass<'g?la  fanno  pensare 
la  scuola  d'Aristotele,  i  i)eripatetici  (pas- 
segj,Matori);  benché  Aristotele  insogno 
nel  liceo  di  Atene  e  il  passeggio  era  per 
i  giardini  di  quellu.  Qui  il  P.  vuol  dire 
le  gravi  scuole  filosofiche  senza  speciale 
limitazione;  e  uon  si  hanno  a  intendere 
que'  nomi  come  propri,  l'er  sé  il  por- 
tico, si  sa,  designa  invece  la  scuola  di 
Zenone,  gli  stoici  a  cui  appunto  die  nome 
la  Gxoà  jtoikO.ìj,  porticus  picta.  — conia 
molle  .Vano  accarezza...,  quasi  a  renderli 
miti  e  indulgenti.  Né  il  P.  lascia  occasio- 
ne di  figurar  vive  e  plastiche  le  scene. 
982.  Ma  gaitrdati,  o  Signor,  guardati 
oh  dio  ...  Sembra  proprio  il  grido  am- 
monitore di  uno  spaventato  :  cfr.  463. 
Or  vedi  a  che  conduce. 


120  IL  MEZZOGIORNO 


Il  generoso  de  le  stirpi  orgoglio 

Che  ti  scevra  dal  vulgo.  Udrai  da  quelli, 
990        Che  ciascun  de' viventi  all'altro  è  pari, 

E  caro  a  la  Natura  e  caro  al  Cielo 

E  non  meno  di  te  colui  che  regge 

I  tuoi  destrieri  e  quei  ch'ara  i  tuoi  campi; 

E  che  la  tua  pietade  e  il  tuo  rispetto 
995         Dovrien  fino  a  costor  scender  vilmente. 

Folli  sogni  d'infermo!  Intatti  lascia 

Cosi  strani  consigli,  e  sol  ne  appi*endi 

Quel  che  la  dolce  voluttà  rinfranca, 

Quel  che  scioglie  i  desiri  e  quel  che  nutro 
1000         La  libertà  magnanima.  Tu  questo 

Reca  solo  a  la  mensa,  e  sol  da  questo 

Cei'ca  plausi  ed.ouor.  Cosi  dell'api 

L' industrioso  popolo  ronzando 
'  Gira  di  fiore  in  fior,  di  prato  in  prato  ; 
1005         E  i  dissimili  sughi  raccogliendo 

Tesoreggia  nell'arnie:  un  giorno  poi 

Ne  van  colme  le  pàtere  dorate 

Sopra  I'  ara  de'  numi,  e  d'  ogn'  intorno 

Ribocca  la  fragrante  alma  dolcezza. 

090.  de'  mortali  —  991.  Che  —  995.  Devrien  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  997.  e  solo  attigni  V. 
(B.,  Ci.,  C).  —  998  sg.  Ciò  che  la....  Ciò  che  s.  i  d.  e  ciò  che  n.  V.  (B.,  CI.,  C.  )  —  1002. 
Plauso  cerca  ed  onor.  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  de  l'api  B.  —  1008.  d'ogui  lato  V.  (B.,  CI.,  C.) 


988  sg.  Il  generoso  ...  Che  ti  scevra  ...  piccola  parte  da  essi  e  dalla  loro  opera. 
Non  già  è  la  stirpe  che  ti  separi  dal  —  e  sol  ne  npprcudi  Quel...  riuf ranca, 
volgo,  si  è  l'orgoglio  della  stirpe  :  quindi  Quel  che...  magnanima,  o  sia  quegl'  insu- 
la separazione  è  fittizia.  Pensatissimo  gnameiiti,  que'  principi  che,  facendo  ar- 
tutto.  bitro  e  signore  il  piacere,  licenziano  a. 

990.  Era  difettosa  la  1*  lez.  ciascun  dissolutezza:  quello  cioè  che,  secondo 

de'  mortali,  da  che  nella  denominazione  il  P.,  conveniva  intatto  lasciare.  Facile 

9*iorfaii  è  già  espressa  la  più  essenziale  è  vedei'e  con  quanto  ingegno,  con  die 

eguaglianza.  Ben  lo  senti  il  P.,  e  cor-  inlima  ironia  venga  poi  fuori  la  com- 

l'esse  ciascnn  de'TlTentl.  parazione   delle    api:    queste    suggono 

994.  Avverti  :  non  pure  la  pietà,   ma  umori  da  comporne  il  miele,  e  l'eroe, 

anche  il  rispetto.  Come  schiettamente  e  ape  di  nuovo  genere,  coglie  da  que'  libri 

dignitosamente  umano!  ciò  ch'è  lusinga  di  passioni  e  lascia  ciò 

996-1002.    aegri   somnia ,   Or.   a.  i>.  eh'  è  affermazione  o  rivendicazione  di 

7.   Intatti  lascia...:  cioè,  senza   metter  verità.    «Paragonandolo   alle    api   che 

mano  ad  essi,  senza   prenderne  nulla  ;  traggono  il  meglio  dei  fiori  e  dell'  erbe 

nulla  di    quello  appunto   per   cui   quei  aromatiche»,  per  usar  le  parole  del  Giu- 

filosofi   sono  immortali ,    e  per    cui    il  sti,  il  p.   «  ferisce   di  rimbalzo   quella 

P.  sta  con  loro,   in  quanto   affermano  testa  vana,  impregnata  di  boria  e  di 

eguaglianza,    tolleranza,  libertà,   uma-  presunzione,  che  dei  libri  ritiene  il  male 

nità,  e  son  pieni  di  presagi  che  dovean  che  gli  giova,  e  scarta  il  bene  che  non 

presto  essere  storia,  e  forieri  di  un  av-  gli  va  a  sangue  «. 
venire  che  i  posteiù  conoscono  in  non  1006-'09.  un  gi  imo  poi...  Il  P.  con  lar- 


IL  MEZZOGIORNO  121 


lOlO     Oi'  versa  pur  dall'  odorato  grembo 

I  tuoi  doni,  o  Poraoaa;  e  1'  ampie  colma 

Tazze  che  d'  oro  e  di  color  diversi 

Fregiò  il  Sassone  industre:  il  fine  è  giunto 

De  la  mensa  divina.  E  tu  dai  greggi, 
1015         Rustica  Pale,  coronata  vieni 

Di  melissa  olezzante  e  di  ginebro  ; 

E  co'  lavori  tuoi  di  presso  latte 

Declina  vergognando  a  chi  ti  chiedo  ; 

Ma  deporli  non  osa.  In  su  la  mensa 
1020        Potrien  deposti  le  celesti  nari 

Commover  troppo,  e  con  volgare  olezzo. 

Gli  stomachi  agitar.  Soli  torreggino 

Sul  ripiegato  lino  in  varia  forma 

I  latti  tuoi  cui  di  serbato  verno 
1025         Rassodarono  i  sali,  e  reser  atti 

A  dilettar  con  subito  rigore 

Di  convitato  cavalier  le  labbra. 
Tu,  Signor,  che  farai  poi  che  la  dama 

Con  la  mano  e  col  pie  lieve  puntando, 
1030        Move  in  giro  i  begli  occhi  e  altrui  dà  cenno 

Che  di  sorger  è  tempo?  In  pie  d'un  salto 

1010.  da  l'odorato  H.  —  1013  sg.  Fregia  il  Sassone  industre.  K  tu  dai  greggi  {cosi  omet- 
tendo un  verso)  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  1016.  o  di  V.  (B.)  —  1018.  Vergo3;nando  t'accosta  — 
1020.  Porien  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  1021.  e  con  iguobil  senso  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  1022.  Solo  tor- 
reggino CI.,  C.  —  1022  sg.  Torreggiu  solo  Su'  ripiegati  lini  in  varie  forme  —  1025. 
Assodarono  i  sali  e  fecer  V.  (B.  ma  reser.  Ci.  C.)  —  1028  sg.  poiclié  fie  posto  Fine  a  la 
mensa  e  cbe  lieve  puntando  La  tua  Dama  gentil  fatto  avrà  conno  —  1031.  di  sorgere  B. 


ghezza  epica,  nel  fare  le  comparazioni,  gali  alquanto  porgendo  a  chi  vuole; 
si  abbandona  in  esse,  e  ne  trae  tutta  la  t'accosta  a  chi  ti  chiede  era  men  pro- 
poesia di  che  sono  capaci.  Qui  per  altro  pi'io,  che  accostarsi  deve  a  tutti  e  solo 
è  da  avvertire  che  anche  la  seconda  porgere  a  chi  mostra  di  volere, 
parte  ha  sua  rispondenza  nel  termine  1022  sgg.  Soli  torreggino...  I  latti 
comparato:  a  quel  modo  che  il  miele  tuoi...:  i  gelati  di  crema,  s'intende;  ma 
sopra  l'ara  de'auiiii,  il  melazzo  del  ca-  i  latti  cni  di  serbato  verno  Rassodarono 
valiere  è  recato  ala  mensa.  i  sali  è  squisitezza  poco  perspicua  e  pre- 

1010  sgg.  Or...  Siamo  alle  frutta:  que-  cisa.   Accenna  al  sale  che  mischiato  al 

ste  abbondano  preparate  nelle  grandi  ghiaccio  conservato  nelle  ghiacciaie  ser- 

fruttiere  di  porcellana  dorata  e  fiorata  ve  a  fare  il  gelato.    De'  gelati  udiremo 

di  Sassonia.  Ciò  il  p.  dice  invitando  essa  più  a  lungo  ne  la  Notte  765-'92. 

la  dea  dei  frutteti  a  porgere  copiosa-  1029.  Con  la  mano  e  col  pie  Uere  pnn- 

niente  i  suoi  doni.  tando,  vivamente  rappresentato  e  nova- 

1014  sgg.  E  Pale  i  lavori  suoi,  il  ca-  mente  espresso  1'  atto  della  dama  che 

ciò.  L'eleganza  tutta  virgiliana  dei  versi  dà  segno  di  levarsi  e  attende  che  altri 

diviene  un  po' materialm.  latina  alle  pa-  la  secondi.  Nella  1*  lez.  la  frase  lieve 

role  di  presso  latte,  Bue.  I  81  «pressi  puntando,  senza  nessun  complemento, 

topia  lactis».  Declina  vergognando,  pie-  più  che  concisa  era  monca. 


122  IL  MEZZOGIOKNO 


Balza  primo  di  tutti:  a  lei  soccoitì, 

La  seggiola  rimovi,  la  man  porgi; 

Guidala  in  altra  stanza,  e  più  non  solTri 
1035        Che  lo  stagnante  de  le  dapì  odore 

Il  cèlabro  le  offenda.  Ivi  con  gli  altri 

Gi'atissimo  vapor  la  invita,  ond'  empie 

L'  aere  il  caffè  che  preparato  fuma 

In  tavola  minor  cui  vela  ed  orna 
1040        Indica  tela.  Ridolente  gomma 

Quinci  arde  intanto;  e  va  lustrando  e  purga 

L'aere  profano,  e  fuor  caccia  de' cibi 

Le  volanti  reliquie.  Egri  mortali 

Cui  la  miseria  e  la  fidanza  un  giorno 
1045        Sul  meriggio  guidare  a  queste  porte, 

Tumultuosa,  ignuda,  atroce  folla 

Di  tronche  membra  e  di  squallide  facce 

E  di  bare  e  di  grucce,  or  via  da  lungo 

Vi  confortate,  e  per  le  alzate  nari 
1050        Del  divin  prandio  il  nettare  beete 

Che  favorervol  aura  a  voi  conduce; 

Ma  non  osate  i  limitari  illustri 

Assediar,  fastidioso  offrendo 

Spettacolo  di  mali  a  chi  ci  regna. 
1055     E  a  te,  nobil  garzon,  la  tazza  intanto 

Apprestar  converrà,  che  i  lenti  sorsi 

Ministri  poi  de  la  tua  bella  ai  labbri  ; 

E  memore  avvertir  s'  ella  più  goda 

O  sobria  o  liberal  temprar  col  dolce 
1060        La  bollente  bevanda;  o  se  più  forse 

1032.  prima  di  t.,  a  lei  t'accosta,  —  1057.  t'invita  —  1038.  L'aria  —  1010.  Redolente 
C.  —  1042.  del  cibo  —  104t.  Che  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  1018.  ora  da  lungi  or  via  da 
lungi  B.  —  1019.  per  le  aperte  —  1050.  «pranzo  —  1051.  a  i  nostri  er^i.  V.  (B.  CI.,  C). 
—  1055.  A  te  C.  —  1055-'58.  Or  la  piccola  tazza  a  te  conviene  Apprestare  o  Signor, 
che  i  1.  s.  Ministri  poi  do  la  tua  Dama  ai  1.,  Or  memoro  —  105'J.  con  dolce  C. 


1040  sg.  Olens  è  passato  abbastanza  pisce  e  avviva,  si  ridurrebbe  a  questo: 

vivace  nella  nostra  lingua  poetica,  ma  i  poveri  si  consolino  con  l'odore.  —  bare, 

redolens  no.  E  tra  i  latinismi  troppo  le  barelle  su  cui  giacciono  infermi.  — 

crudi  andrebbe  anche  posto,  credo,  il  per  le  alzate  nari  (che  fa  imagme  meglio 

prossimo  va  lustrando,  delle  purificazioni  che  aperte),  ricorda  l'oraziano,  sat.  H 

rituali,  ma  Te  purga  soggiuntovi  com-  7,  3S,  «  nasum  nidore  supinor  ».  —  a  chi 

pie  e,  direi,  volgarizza  il  va  lustrando.  ci  regina:   tengo  la  1'  lez.  per  le  stesse 

1043-'54.  Egri  mortali...   È  un  movi-  ragioni  per  cui  tenni  quelle  ai  versi  355 

mento  improvviso,  animato  e  pieno  di  e  629  de  H  Mattino.  —  Assediar,  fa.tl- 

rivolta.  11  pensiero,  spoglio  della  veste  dieso...:  nota  i  suoni  strascicati  come 

che  non  soltanto  lo  adorna  ma  lo  com-  i-ispondenti  alla  cosa. 


IL  MEZZOGIORNO  123 


L' ami  cosi  come  sorbir  la  suole 

Barbara  sposa,  allor  che,  molle  assisa 

Su'  broccati  di  Persia,  al  suo  signore 

Con  le  dita  pieghevoli  il  selvoso 
1065        Mento  vezzeggia,  e,  la  svelata  fi'onte 

Alzando,  il  guarda;  e  quelli  sguardi  han  possa 

Di  far  che  a  poco  a  poco  di  man  cada 

Al  suo  signore  la  fumante  canna. 
Mentre  il  labbro  e  la  man  v'occupa  e  scalda 
1070        L'  odorosa  bevanda,  altere  cose 

Macchinerà  tua  iufaticabil  mente  ; 

Quale  oggi  coppia  di  corsier  de'  il  carro 

Condur  de  la  tua  bella  ;  o  1'  alte  moli 

Che  per  le  fredde  piagge  educa  il  Cimbro, 
1075        O  quei  che  abbeverò  la  Di-ava,  o  quelli 

Che  alle  vigili  guardie  un  di  fuggirò 

Da  la  stirpe  campana.  Oggi  qual  meglio 

Si  convenga  ornamento  ai  dorsi  alteri: 

Se  semplici  e  negletti,  o  se  pomposi 
1080        Di  ricche  nappe  e  variate  stringhe 

Andran  su  1'  alto  collo  i  crin  volando  ; 

E  sotto  a  cuoi  vermigli  e  ad  auree  fibbie 

Ondeggeranno  li  ritondi  fianchi. 

Quale  oggi  cocchio  trionfanti  al  corso 
1035        Vi  porterà  :  se  quel  cui  l' oro  copre 

Fulgido  al  sole,  e  de'  vostr'  alti  aspetti 

Per  cristallo  settemplice  concede 

Al  popolo  beai'si,  o  quel  che,  tutto 

1061.  Sorbir  la  gode  V.  (B.  ma  sorbirla,  CI.,  C.)  1063.  Ne'  broccati  V.  (B.,  CI.,  C.) 
—  1064.  pieghevoli  '1  selvoso  —  1069.  i  labbri  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  1070.  L'odoroso  licor, 
sublimi  V.  (B.,  CI.,  C).  —  1071.  Macbiaerà  CI.  —  1072.  sg.  Qual  coppia  di  destrieri 
oggi  de'  il  carro  Guidar  de  la  tua  Dama  —  1073.  dama  B.  —  1074.  Che  su  le  —  1  78. 
Si  convegna  V.  (B.,  CI.,  C.)  —  !086  sgg.  O  quel  su  le  cui  tavole  pesanti  Saggio  pennello 
i  dilicati  finse  Stmli  dell'ago,  onde  si  fregia  il  capo  E  il  bel  sen  la  tua  Dama;  e  pieni 
vetri  Di  freschissima  linfa  e  di  fior  varj  Gli  diede  a  trascinar.  (A  trascinar  gli  die  V). 


1061.  COSÌ  come...,  cioè  senza  zuc-  Wnni  della  var.  Ogauiio  ricorda  il  Petr. 

chero.  «  Stiamo,  Amor,  a  veder  la  gloria  no- 

1062-'68.  Barbara  sposa...   La   deter-  slra.  Cose  sopra  natura  altere  e  nove  >. 

mina  poi  per  la  donna  di  un  turco,  e  fa,  lOTS-'??.  o  l'alte  moli...  O  cavalloni  di 

al  solito,  la  scena;  mirabilmente,  e  non  razza  germanica,  o  cavalli  ungheresi, 

meno   opportunamente,   perché   anche  o  cavalli  napoletani  di  razze  riservate, 

qui  c'è  una  sposa,  pur  non  barbara,  e  quali  è  un  caso  poter  avere, 

un  suo  signore,  servente.  —  la  svelata  10S5-'92.   In    questi    versi,  assai  più 

fronte,  che  fuori  e  per  gli  altri  le  donne  efficacemente  rappresentativi  di  quelli 

turche  velano.  scritti  prima,  son  contrapposti  due  tipi, 

1070.  altere  cose  :  più  eletto  che  il  su-  molto  differenti  tra  loro,  di  carrozze. 


124  IL  MEZZOGIORNO 


Caliginoso  e  tristo  e  a  la  marmorea 
1090        Tomba  simil  che  de'  vostr'  avi  chiude 

I  cadaveri  eccelsi,  ammette  a  pena 

Cupido  sguardo  altrui.  Cotanta  mole 

Di  cose  a  un.  tempo  sol  nell'  alta  menta 

Rivolgerai;   poi  col  supremo  auriga 
1095         Ardao  consiglio  ne  terrai,  non  senza 

Qualche  lieve  garrir  con  la  tua  dama. 

Servi  1'  aui-iga  ogni  tua  legge  ;  e  intanto  - 

Altra  cura  subentri.  Or  mira  i  prodi 

Compagni  tuoi  che,  ministrato  a  pena 
UGO        Dolce  conforto  di  vivande  a  i  membri. 

Già  scelto  il  campo  e  già  distinti  in  banda, 

Preparansi  giuocanJo  a  fieri  assalti. 

Cosi  a  queste,  o  Signore,  illustre  inganno 

Ore  lente  si  faccia.  E  s'altri  ancora 
1105         Vuole  Amor  che  s'inganni,  altronde  pugni 

La  turba  convitata,  e  tu  da  un  lato 

Sol  con  la  dama  tua  quel  gioco  eleggi 

Che  due  soltanto  a  un  tavoliere  ammetta. 

Già  per  ninfa  gentil  tacito  ardea 

1093  Bg.  nell'alto  ingegno  Tu  verserai  ;  V.  (B.,  mane  l'alto,  CI.,  C.)  —  1097.  Servi  le 
leggi  tue  l'auriga:  —  1098  8gg.  Altre  v' occupin  cure.  Il  gioco  puote  Ora  il  tempo  ingan- 
nare: ed  altri  ancora  Forse  ingannar  potrà.  Tu  il  gioco  eleggi  Glie  due  soltanto  a  un 
tavoliere  ammetta  ;  Tale  Amor  ti  consiglia.  Occulto  ardea  Già  di  ninfa  gentil  misero 
amante,  —  1102.  giocando  B.,  CI.,  0.  —  1103.  o  Signor  B.  —  110'\  altrove  C. 


Leggendo,  noi  ci  figuriamo  prima  una  e  lentezza  di  questo   vedemmo  già,  il 

di    quelle   berline    settecentesche    tutte  il/a«f.  8  sgg.:  qui  il  concetto  e  la  parola 

fregi  e  cristalli,  e  poi  uno  di  quei  grandi  ingannare  è  ripetuta  in  senso  proprio 

legni  scuri  con  a  pena  un  piccolo  cri-  s'altri  ancora  Tnole  Amor  che  s'inganni, 

stallo,  che  hanno  veramente  qualcosa  di  oh' è  avviamento   alla  piccola  fantasia 

sepolcrale.  (Solo  può  parere  che  qui  l'ag-  su  l'invenzione  di  un  gioco.  —  altrondr, 

giunta  che  de' Tostr'avi  chiude  I  cadaveri  per  altrove,  non  senza  esempi. 

eccelsi  non  sia  utile  né  felice).  1107  sg.  e  tn  qnel  gioco  eleggi  Che  due 

1094.  Kivolgerai:  lavar.  Tu  verserai  soltanti)  a  un  tavoliere  ammetta:  il  tric- 

è  troppo  latina;  cfr.  il  Mali.  714  e  la  trac.  «  L'on  ne  peut  jouer  que  deux  eii- 

nota.  semble»,   (di   regola;  c'è  poi   qualche 

1098-1106.  Da  prima  il  passaggio  alla  compromissione),  leggo  nella  Académie 

scena  del  gioco  era  troppo  rapido,  e  la  universelle  desjeux  avec  des  inserite- 

scena  ristretta  sùbito  alla  coppia  privi-  tions  faciles  pour  aprendre  à  les  bien 

legiata.  Quindi  molto  opportuno  l'am-  jouer,  nouv.  ed.,  Amsterdam  1758,  ove 

pliamento.  —  a  queste,  o  S.,  Illustre  in-  il  gioco  del  Trictrac,  comme  on  le  joue 

ganno  Ore  lente  si  faccia:  uno  dei  rari  aujourd'hui,  ha  il  suo  ampio  trattato 

casi  che  quest'  intrecci  di  parole  alla  nella  parte  2'  a  pagg.  29-106,  preceduto 

maniera  classica  non  sian  riusciti  feli-  da  una  lesta  canzone. 

cissimi  al  P.,  fors'  anche  per  le  troppe  1109.  Già  por  ninfa  gentil ...  Il  primo 

desinenze  simili.  Ingannare  il  tempo  capitolo  del  libro  innanzi  citato,  che  è 


IL  MEZZOGIORNO  125 


Ilio        D'insoffribile  ardor  misero  amante, 

Cui  nuli'  altra  eloquenza  usar  con  lei 

Fuor  che  quella  degli  occhi  era  concesso; 

Poiché  il  rozzo  marito,  ad  Argo  eguale, 

Vigilava  mai  sempre,  e,  quasi  biscia 
1115         Ora  piegando  or  allungando  il  collo. 

Ad  ogni  verbo  con  gli  orecchi  acuti 

Era  presente.  Oimé  !  come  con  cenni, 

O  con  notate  tavole  giammai, 

0  con  servi  sedotti,  a  la  sua  bella 
1120        Chieder  pace  ed  aita?  Ogni  d'Amore 

Stratagemma  finissimo  vinceva 

La  gelosia  del  rustico  marito. 

Che  più  lice  sperare  ?  Al  tempio  ei  viene 

Del  nume  accorto  che  le  serpi  annoda 
1125        All'  aurea  verga,  e  il  capo  e  le  calcagna 

D' ali  fornisce.  A  lui  si  prostra  umile, 

E  in  questi  detti  lagrimando  il  prega: 

«  0  propizio  agli  amanti,  o  buon  figliuolo 

De  la  candida  Maia,  o  tu  che  d'Argo 
1130        Deludesti  i  cent'  occhi,  e  a  lui  rapisti 

1113.  Poi  che  B.  —  1118.  con  notata  tavola  —  1119.  a  la  sua  ninfa  —  1121.  vin- 
cea  coi  R.  tutti  —  1123.  ei  corre  —  1124.  intreccia  (0.)  —  1125.  A  l'aurea  B.  —  1127.  E 
in  questa  guisa 


Del'excellence  de  ce  Jeu  et  de  Vorigine  celebrasse  il  BeZ  mondo,  non  doveva 
de  son  nom,  incomincia  cosi:  «  Je  ne  passare  in  silenzio  quel  gioco,  ed  era 
dirai  rien  de  l'antiquité  dece  Jeu,etje  ben  giustificato  se,  mentre  per  l'anti- 
n'entreprendrai  pas  de  décider  si  ce  chità  di  quello  si  dubitava  tra  due  po- 
sont  les  Francois  ou  les  Alleinaiids  qui  poli  a  chi  attribuire  la  gloria  dell'averlo 
en  ont  été  les  inventeurs  :  je  sgai  qu'il  inventato  (e  in  vero  poi  sembra  de'  gio- 
y  a  eu  des  gens  qui  ont  donne  cette  chi  originari  di  Persia,  né  senza  afR- 
gloire  aux  Allemands,  et  que  plusieurs  nità  coti  giochi  del  mondo  classico),  egli 
autresl'ont  attribuéeauxFran50is;mais  lo  faceva  rivelazione  di  un  dio. 
je  crois  que  si  l'on  en  juge  par  ce  qui  1113.  ad  Argo  eguale,  dai  cento  occhi 
nous  parolt  journellement,  l'on  se  de-  insonni,  rimasto  in  proverbio;  «custos 
terminerà facilementenfaveur des Fi'an-  virgiuis  Ai'gus  »,  in  Virgilio,  cioè  del- 
gois,  et  que  l'on  conviendra  qu'onjoue  l' argiva  Io,  da  Giunone  per  gelosia  di 
mieux  ce  beau  Jeu  à  la  Cour  de  Fran-  Giove  mutata  in  giovenca, 
ce,  qu'à  celle  de  Vienne.  L'excellence,  1116.  gli  orecchi  acuti,  in  ascolto,  iu- 
la  beante  et  la  sincérité  qui  se  rencon-  teuti;  come  in  Or.  o.  ii  19,  3  «aures  Ca- 
trent  dans  ce  Jeu,  font  que  le  beau  monde  pripedum  Satyrorum  acutas» ascoltando 
qui  a  de  la  politesse  s'y  aplique  avec  Bacchum  docentem. 
beaucoup  de  soin,  en  fait  son  Jeu  favori  1118.  Cangiando  notata  tavola  in  no- 
et  le  préfère  aux  autres  Jeux.  En  effet,  tate  tavole  ha  attenuato  il  cattivo  suono 
ce  beau  Jeu  a  tant  de  noblesse  et  de  e  insieme  resa  col  plurale  più  propria 
distinction,  que  nous  voìons  qu'il  est  l'espressione  ;  so-jpfis  faèeiits,  «  con  in- 
plus à  la  mode  que  jamais  : ...  ».  Dunque  cise  tavolette  »»  o  eia  «  scrivendo  let- 
a  quegli  anni  un  poeta  che,  come  il  P.,  tere  ». 


126  IL  MEZZOGIORNO 


La  guardata  giovenca,  i  preghi  accogli 

D'  un  amante  infelice  ;  e  a  me  concedi, 

Se  non  gli  occHi  ingannar,  gli  orecchi  almeno 

D'  un  marito  importuno  >.  Ecco  si  scote 

1135        II  divin  simulacro,  a  lui  si  china, 
Con  la  verga  pacifica  la  fronte 
Gli  percote  tre  volte  ;  e  il  lieto  amante 
Sente  dettarsi  ne  la  mente  un  gioco 
Che  i  mariti  assordisce.  A  lui  diresti 

1140        Che  l'ali  del  suo  pie  concesse  ancora 
Il  supplicato  dio;  cotanto  ei  vola 
Velocissimamente  a  la  sua  donna  ! 
Là  bipartita  tavola  prepara, 
Ov'  ebano  ed  avorio  intarsiati 

1145        Regnan  sul  piano,  e  partono  alternando 
In  due  volte  sei  case  ambe  le  sponde. 
Quindici  nere  d'  ebano  rotelle, 
E  d'avorio  bianchissimo  altrettante, 
Stan  divise  in  due  parti,  e  moto  e  norma 

1150        Da  due  dadi  gittati  attendon,  pronte 

Gli  spazi  ad  occupar  e  quinci  e  quindi 
Pugnar  contrarie.  Oh  cara  a  la  Fortuna 
Quella  che  corre  innanzi  all'  altre,  e  seco 
Ha  la  compagna,  onde  il  nemico  assalto 

1155        Forte  sostenga!  Oh  giocator  felice 

Chi  pria  1'  estrema  casa  occupa,  e  1'  altro 
Degli  spazi  a  sé  dati  ordin  riempie 
Con  doppio  segno  :  ei  trionfante  allora 
Da  la  falange  il  suo  rivai  combatte, 

1160        E  in  proprio  ben  rivolge  i  colpì  ostili  ! 

1131.  accetta  —  1132,  a  lui  concedi  —  1133.  Il  C.  modifica  V  interpune.  co${  Se  non 
gli  occhi,  ingannar  gli  o.  a.  l'orecchio  B.  —  1131  8g.  D'importuno  marito.  V.  (B.,  CI. 
C.)  s'inchina  V.  (B.,  CI.)  — 1143.  La  B.,  C.  —  111'"-.  In  dodici    magioni  —  1147.  girelle 

—  1150.  Da  duo  V.  (CI.,  C.)  —  1151.  Ad  occupar  le  case  —  1154.  Trae  V.  (B.,  CI.,  C.) 

—  1157,  De  le  proprie  magioni  —  1158.  Con  d.  s.,  e  quindi  poi,  securo 


1133.  Se  non   gli  occhi  ingannar,  gli  Con  ciò  il  p.  riserva  per  sé  di  descri- 

orecchi  almeno...  :   è  bene   a  proposito  vere  il  gioco. 

questa  discrezione  di  preghiera;  il  dio  1143.  Là:  cioè  presso  alla  sua  don- 
deluse  gli  occhi,  e  il  devoto  chiede  d'in-  na;  quando  è  giunto  da  lei.  Male  l'av- 
ganuar  gli  orecchi.  verbio  ha  perso  l'accento  restando  ar- 

1137  8g.  si  scote  II  dirin  simulacro  :  ticolo  in  talune   edizioni   (Bramieri   e 

il  simulacro  della  divinità  si  avviva  e  Cantù). 

move  innanzi  di  rispondere  la  sua  ta-  1143-'60.  In  questo  tratto  è  una  com- 

cita  risposta.  pendiosa  descrizione  del  gioco  del  trtc- 

1133.  Sente  dettarsi  ne  la  mente:  gl'in-  trac,  la  quale,  benché  accurata,  ha  il 

fonde  l'insegnamento,  non  glielo  dice,  difetto  proprio  alle  descrizioni  compen- 


IL  MEZZOGIORNO 


127 


Al  tavolier  s'  assidono  ambìdue, 

L'amante  cupidissimo  e  la  ninfa: 

Quella  lina  sponda  ingombra  e  questi  1'  altra. 

Il  marito  col  gomito  s'  appoggia 
11G5        All'un  de' lati;  ambo  gli  orecchi  tende, 

E  sotto  al  tavolier  di  quando  in  quando 

Guata  con  gli  occhi.  Or  1'  agitar  dei  dadi 

Entro  ai  sonanti  bossoli  comincia  ; 

Ora  il  picchiar  de' bossoli  sul  piano; 
1170        Ora  il  vibrar,  lo  sparpagliar,  l'urtare, 

Il  cozzar  de  i  duo  dadi,  or  de  le  mosse 

Pedine  il  martellar.  Torcasi  e  freme 

Sbalordito  il  geloso:  a  fuggir  pensa, 

Ma  rattienlo  il  sospetto.  Il  romor  cresce, 
1175        II  rombazzo,  il  frastono,  il  rovinio: 

Ei  più  regger  non  puote  ;  in  piedi  balza, 

E  con  ambe  le  man  tura  gli  orecchi. 

Tu  vincesti,  o  Mercurio:  il  cauto  amante 

Poco  disse,  e  la  bella  intese  assai. 

1163.  Quella  occupa  una    a.  e  —  1165.  ambi  —  1168.  Eoti-o    a  souanti  V.    (CI  ,  C.) 
1171.  de'  due  —  1172.  Rotelle  V.  (B.)  —  1174.  Il  fragor  V.  (B.,  CI.,  0.) 


diose  di  cosa  complicata  alquanto;  che 
le  descrizioni,  mentre  la  cosa  è  usitata, 
sembrano  chiare,  poi  si  oscurano  col 
disusare  di  quella.  Né  voglio  né  devo 
insegnarvi  a  giocare,  scrive  il  Cantiì, 
pur  non  senza  cercar  di  esporre  in  com- 
pendio i  caratteri  del  gioco  :  e  certo 
giova  averne  1'  idea  per  inté'ndere  il 
passo  pariniano,  pur  lasciando  che  cer- 
chi altrove  (e  a  ciò  soccorrono  le  buone 
enciclopedie)  chi  voglia  bene  istruirsi  ; 
né,  del  resto,  è  gioco  abbandonato  del 
tutto  né  da  per  tutto.  Avendo  innanzi 
un  trictrac,  s' intende  l'opportunità  di 
aver  mutato  le  dodici  magioni  del  v. 
1146,  classicamente,  in  due  Tolte  sei  case; 
per  un  rilievo  che  traversa  in  mezzo  il 
tavoliere.  Le  case  del  trictrac  non  sono 
quadrate  ma  allungate  in  forma  di  frec- 
ce 0  cuspidi.  Ma  basti,  e  mi  par  quasi 
dia  il  colore  del  tempo,  trascrivere  dal 
libro  citato,  e  propriam.  dal  Diction- 
natre  des  termes  du  Trictrac,  quella 
che  dovrebb'essere  la  definizione  :  «  Tric- 
trac, jeu  qui  se  joue  avec  deux  dés,  sui- 
vant  le  jet  desquels  chaque  Joueur  aìant 
quinze  dames,  les  dispose  artistemente 


sur  des  pointes  marquées  dans  le  tablier, 
et  selon  les  rencontres,  gagne  ou  perd 
plusieurs  points,  dont  douze  fontgagner 
une  partie,  et  les  douze  parties,  le  tour, 
ou  le  jeu.  —  Trictrac:  se  dit  aussi  du 
tablier  sur  lequel  on  joue  le  jeu,  qui 
est  de  bois  ou  d'ébène,  qui  a  d'assez 
grands  rebords  pour  arréter  les  dés 
qu'on  jette,  et  retenir  les  dames  qu'  on 
arrange».  —  Il  P.  al  v.  1149  e  segg.  di- 
ce appunto  come  le  pedine  sian  collocate 
e  mosse  secondo  i  numeri  presentati  dai 
due  dadi;  ma  la  norma  che  vien  da  essi 
può  essere  seguita  e  praticata  in  più 
modi,  e  si  tratta  di  praticarla  artiste- 
ment.  Arte  e  fortuna  è  di  riuscire  a 
occupare  tutte  le  proprie  case  (occu- 
pare l'estrema  casa)  e  attaccare  quelle 
dell'  avversario. 

1163.  Quella  ...  e  «lesti...:  non  sem- 
pre lo  scrittore  classico  riferisce  il  di- 
mostrativo Quello  al  nome  materiato, 
più  lontano  e  questo  al  più  vicino;  ma 
Questo  è  la  cosa  o  persona  che  logicam. 
ha  più  importanza,  e  qui  è  l'innamorato. 

1 179.  Poco  dis  e,  cogliendo  il  momento 
elle  il  marito  avea  gli  orecchi  turati. 


128 


IL  MEZZOGIORNO 


1180     Tal  ne  la  ferrea  età,  qiiando  gli  sposi 
Folle  superstizion  chiamava  all'  arme, 
Giocato  fu.  Ma  poi  che  1'  aureo  fulse 
Secol  di  novo,  e  che  del  prisco  errore 
Si  spogliaro  i  mariti,  al  sol  diletto 

1185        La  dama  e  il  cavalier  volsero  il  gioco 
Che  la  necessità^  trovato  avea. 
Fu  superfluo  il  romor:  di  molle  panno 
La  tavola  vestissi  e  de'  patenti 
Bossoli  '1  sen  :  lo  schiamazzio  molesto 

1190        Tal  rintuzzossi  ;  e  durò  al  gioco  il  nome 
Che  ancor  l'antico  strepito  dinota. 

1181.  armi         a  l'armi  B.  —  1182.  l'aureo  venne  V.  (B.,  CI.)  —  118G.  scoperto 


1180  sgg.  Tal...  Ma  poi...  Potenti  pa- 
rere un  po'  caricale  le  tinte  :  ecco  iu  fatti 
che  il  p.  distingue  :  una  volta  era  cosi, 
ora  no.  Egli  cioè  ha  esagerato  alquanto, 
in  servigio  della  sua  invenzione  mitolo- 
gica e  movendo  forse  dal  nome  stesso 
del  gioco,  non  che  dall'  indole  di  esso. 
—  l'aureo  false  :  poiché  segue  secol,  al 
P.  dovè  spiacere  l'incontro  :  a  ragione 
il  Cantù  non  accettò  la  var.  venne.  — 
In  quanto  alla  folle  snperstizion  e  al  pri- 
sco errore,  cfr.  il  Matt.  461-'65,  la  Notte 
589  sg. ,  ma  specialm.  ricorda  il  passo 
qui  de  H  Mezzog.  167-207. 


11S9.  de' patenti  bossoli,  entro  cui  si 
agitano  i  dadi. 

1190  Sg.  darò  al  gioco  11  nome  Che... 

Citiamo  anche  una  volta  quel  trattato 
del  1758,  il  quale  conosce  anche  un'al- 
tra etimologia  del  nome  trictrac:  dal 
greco  1  Sarebbe  TQig  vQaxi,  e  andrebbe 
interpretato  «  trois  fois  diffìcile»!  E 
difficile  tal  gioco  fu  comunemente  giu- 
dicato; né  da  alcuno  può  o  potè  sul 
serio  esser  messo  in  dubbio  che  non  sia 
orvomatopeica  la  parola  che  lo  designa, 
come  appunto  qui  dice  il  poeta. 


IL  VESPRO 


10 


Ma  degli  augelli  e  de  le  fere  il  giorno 
E  de'  pesci  sqiiammosi  e  de  le  piante 
E  dell'  umana  plebe  al  suo  fin  corre. 
Già  sotto  al  guardo  de  la  immensa  luce 
Sfugge  l' un  mondo  ;  e  a  berne  i  vivi  raggi 
Cuba  s'  affretta  e  il  Messico  e  1'  altrice 
Di  molte  perle  California  estrema: 
E  da'  maggiori  colli  e  dall'  eccelse 
Ròcche  il  sol  manda  gli  ultimi  saluti 
All'  Italia  fuggente,  e  par  che  brami 
Rivederti,  o  Signor,  prima  che  l'Alpe 


Le  varianti  che  si  segnano  qui  dei  versi  iniziali  1-25  rappresentano  la  lezione  di 
questo  passo  qutle  fu  edito  dall'autore  in  fine  del  Mezzogiorno.  Qui  e  in  séguito  le  le- 
zioni distinte  dalle  solite  sigle  B.,  Ct.,  C.  sono  particolarità  di  quelle  edizioni. 

1-4.  Già  de  le  fere  e  degli  augelli  il  giorno  E  de'  pesci  notanti  e  de'  fior  varj,  Degli 
alberi,  e  del  vulgo  al  suo  fin  corre.  Di  sotto  al  guardo  dell'immenso  Febo  —  2.  squa- 
mosi C.  —  3.  de  l'umana  B.  —  8  sg.  Già  da'  maggiori  colli  e  da  1'  eccelso  Torri  da 
maggiori  B.  col  testo  del  Reina  ma  non  è  dubbio  che  l'apostrofo  cadde  da  l'eccelse  B. 
—  10.  All'Italia,  fuggente;   —  A  l'Italia  B.  —  11.  R.,  o  Signore,  anzi  che  l'Alpe 


I.  Ma...  Non  è  raro,  in  poemi  divisi 
il)  più  parti,  che  un  nuovo  canto  co- 
minci con  una  copulativa  o  un'avversa- 
tiva. Ricorda  Virgilio  Aen.  IV  1  «  At  re- 
.gina  gravi  iamJudum  saucia  cura...». 
Di  questo  principio  (vv.  1-25),  ove  la 
bellezza  della  poesia  e  la  fierezza  della 
satira  toccano  il  punto  pii'i  alto  in  una 
perfezione  d'arte  maravigliosa,  notiamo 
piccole  cose;  le  gi'undi  si  rivelano  da  sé. 
4.  Prima  avea  nominato  il  sole,  anzi 
Febo,  poi  corresse  1'  inimetisa  luce, 
espressione  che  con  la  maggior  largliez- 
za  dell'  astratto  è  più  potente  e,  prece- 


dendo sotto  al  guardo,  non  meno  chiara. 

5.  Sfugge  l'nn  mondo.  Fu  delle  prime 
volte  che  anche  in  poesia  si  fé'  stare  il 
sole  e  andare  la  terra;  la  verità  prestò 
nuovaelBcaciaalpoeta.  —  Cuba...  Messico 
e...  California,  cioè  l'emisfero  occiden- 
tale, cosi  designato  in  ordine  procedendo 
da  oriente  verso  occidente.  —  altrice  DI 
molte  perle,  cioè  nel  cui  mare  abbondano 
le  perle,  altrice,  come  altor  nel  Man- 
zoni, da  al^re  latino,  che  è  nutrire  e 
quindi  anche  produrre. 

8-13.  Quanto  più  è  bello,  solenne, 
pieno  della  grandezza  malinconica  del 


Pakini  —  Albini 


9 


130 


IL  VESPRO 


O  l'Ap^pennino  o  il  mar  curvs  ti  celi 
Agli  occhi  suoi.  Altro  tìnor  non  vide 
Che  di  falcato  mietitore  i  fianchi 

15        Su  le  campagne  tue  piegati  e  lassi, 

E  su  le  armate  mura  or  braccia  or  spalle 
Carche  di  ferro,  e  su  le  aeree  capre 
Degli  edifici  tuoi  man  scabre  e  arsicce, 
E  villan  polverosi  innanzi  ai  carri 

20        Gravi  del  tuo  ricolto,  e  su  i  canali 
E  su  i  fertili  laghi  irsuti  petti 
Di  remigante  che  le  alterne  merci 
A' tuoi  comodi  guida  ed  al  tuo  lusso; 
Tutti  ignobili  aspetti.  Or  colui  veggia 

25        Che  da  tutti  servito  a  nullo  serve. 
Pronto  è  il  cocchio  felice.  Odo  le  rote, 
Odo  i  lieti  corsier  che  all'  alma  sposa 
E  a  te,  suo  fido  cavalier,  nodrisce 
Il  placido  marito.  Indi  la  pompa 

30        Affrettasi  de'  servi  ;  e  quindi  attende, 


16.  mura  or  fronti  or  spalle  —  21.  irsute  braccia 
CI.  —  24.  Tult'  ignobili  aspetti.  —  27.  a  l'alma  B. 


Al  tuo  comodo        commodi 


tramonto  =  il  Sol  manda  gli  ultimi 
saluti  A  l'Italia  fuggente  =;  tanto  è 
pili  acre  irrisione  farvi  seguire  imme- 
diatamente =  e  par  che  brami  Rive- 
derti, 0  Signor...  =  il  mar  curvo,  quale 
appare  dal  sole  e  quale  è  per  la  legge 
di  gravitazione. 

11  sg.  falcato  mietitore,  cfr.  Il  Mezzog. 
629  e  n.,  e  Alamanni  Coltiv.  II 33  «  Prenda 
il  buon  mietitor  la  lunga  falce  ».  —  i 
fliinchi...  piegati  e  lassi,  icastico  e  vivo. 
—  SD  le  armate  mura,  fortificate,  si  usa 
intendere:  ma,  poiché  dev'essere  cosa 
di  stretta  attinenza  al  Giovin  signore, 
fors'è  tutt'  uno  col  concetto  seguente.  — 
8  I  le  aeree  capre,  le  impalcature  alte,  e 
propriam.  i  sostegni  su  cui  esse  arma- 
ture s'innalzano  (detti  capre,  cfr.  caval- 
ietti, dall'aver  quattro  piedi).  —  aeree, 
cfr.  in  Virgilio  «aerine  quercus  ». 

19  sg.  Erillan  polverosi...:  che  portano 
il  grano  a'  tuoi  granai.  Superfluo  notare 
la  verità  della  rappresentazione,  la  bel- 
lezza delle  parole,  la  lentezza  de'suoni. 

20.  su  i  canali  E  su  1  f  rtili  laglil...: 
un  solo  aggeitivo,  e  vediam  verdeggiare 


le  rive  de'  bei  laghi  lombardi.  —  le  al- 
terne, or  le  une  or  le  altre.  A'  tuoi  co- 
modi: inchiude  l'eleganza  di  un  latini- 
smo {cominoda)  e  l'efficacia  dell'uso  e 
significato  volgare. 

15-25.  Sa  le  campagne  tue...  Degli  edi- 
fici tuoi...  Gravi  del  tuo  ricolto.,.  A' tuoi 
comoii...  ed  al  tuo  lusso:  avverti  gran 
forza  nel  ripetersi  insistente  del  pos- 
sessivo tuo.  A  cui  segue,  quasi  com- 
pendio della  lunga  e  viva  enumerazione 
di  lavoratori.  Tutti  ignobili  aspetti;  e 
quiiìdi  per  contrapposto  Or  colui  veggia 
Che  da  tutti  servito  a  nullo  strie.  Puoi 
ricordare  il  Matt.  47l-"S9. 

26-29.  il  coffliio  felice,  destinato  a  tal 
coppia.  —  i  lieti  corsier:  mentre  lieti 
accoglie  un  senso  come  felice  qui  in- 
nanzi, dice  anche  la  vera  alacrità  dei 
cavalli  animosi,  di  buona  razza  e  poca 
fatica.  Del  resto,  è  da  ricordare  il  Matt. 
1017  «t'appresta  a  render  baldi  e  lieti 
Del  tuo  nobile  incarco  i  bruti  ancora  ». 
—  all'alma  Sposa  E  a  te...  :  per  voi. 

29-35.  la  pompa,  cfr.  il  Matt.  170.  — 
e  quindi  attende,..  Candida  gloventd...; 


IL  VESPRO  131 


Con  insigni  berretti  e  argentee  mazze. 

Candida  gioventù  che  al  corso  agogna 

I  moti  espor  de  le  vivaci  membra, 

E  nell'  audace  cor  forse  jn-esume 
35        A  te  rapir  de  la  tua  bella  i  voti. 
Ciie  tardi  ornai  ?  Non  vedi  tu  com' ella 

Già  con  morbide  piume  ai  crin  leggeri 

La  bionda  clie  svanì  polve  rendette; 

E  con  morbide  piume  in  su  la  guancia 
40        Fé'  più.  vermiglie  rifiorir  che  mai 

Le  dall'  aura  predate  amiche  rose  ? 

Or  tu,  nato  di  lei  ministro  e  duce, 

L'  assisti  all'  opra  ;  e  di  novelli  odori 

La  tabacchiera  o  i  bei  cristalli  aurati 
45        Con  la  perita  mano  a  lei  riutègra: 

Tu  il  ventaglio  le  scegli  adatto  al  gioruo, 

E  tenta  poi  fra  le  giocose  dita 

Come  agevole  scorra.  Oli  qual  con  lieti, 

Né  ben  celati  a  te,  guardi  e  sorrisi 
50         Plaude  la  dama  al  tuo  sagace  tatto  ! 
Ecco,  ella  sorge  e  del  partir  dà  cenno: 

Ma  non  senza  sospetti  e  senza  baci 

31.  ne  l'audace  B.  —  40.  vermiglio  CI.  —  41.  da  l'aura  B.  —  43.  a  l'opra  B. 


necessità  di  cose  porta  che  qui  si  ripeta  il  belletto  »  (M.). 

(ma   avverti  cou    quanta   varietà)  una  42.  mioistro  e  duce:  parole  che  suo- 

circostanza   che   è   simile    su   la   fine  nano  volentieri  unite  da  che  Dante  le 

de  V  Matt.,  quando,   essendo  il  Giovin  uni,  Inf.  vii  78. 

signore  per  uscire  in  carrozza,  della  43-15.  e  di  norelli  odori ...  rlntègra: 
bipartita  schiera  dei  servi  «  altri  già  riempile  della  polvere  e  delle  essenze 
pronto  via  se  ne  corre  ad  annunciare  odorose  la  tabacchiera  e  le  boccettiue 
al  mondo  Che  tu  vieni  a  bearlo»;  Caa-  fregiate  d'oro.  —  rlntègra,  reJM^gfir»'»,  in 
dida  giorentii,  dal  color  delle  vesti;  Coa  generale  questo  verbo,  come  il  lat.  in- 
insigni  berretti,  che  spiccano,  perché  «e(?ro,  significa*  ristorare,  rinnovare  »; 
piumati  o  gallonati  (per  l'agg.,  mollo  qui  ha  dal  testo  un  più  particolare  si- 
classico,  cf.  p.  es.  Aen.  v  310  «  equum  guifìcato,  «riempi,  rifornisci», 
phaleris  insignem  »).  —  al  corso  agogna  47  sg.  tenta,  «  prova,  saggia,  speri- 
I  moti  espor...,  cioè  far  vedere  nella  menta»;  ricorda  il  Matt.  500,  e' cf.  la 
corsa  l'agilità.  «  Quanto  ai  vv.  34-35,  che  A'otte  429,  dove  significa  più  precisa- 
le speranze  loro  non  fossero  troppo  ir-  mente  «  toccare,  provare  toccando  ». 
reverenti  e  audaci  mostrano  le  cronache  Latinismo  l'uno  e  l'altro.  —  Come  age- 
scaadalose  di  Milano  nel  sec.  xviii;  e  Tole...,  maneggevole,  trattabile  (cf.  il  lat. 
a  quelle  speranze  il  P.  accenna  appunto  habilis):  anche  ne  la  Notte  622  «Age- 
perché  certi  fatti  gli  eran  noti»  (M.).  K  voli  ventagli». 

puoi  cf.  la  Notte  770-'71.  48  sg.  con  lieti  Né  ben  celati  a  te,  guardi 

36-41.  con  morbide  pinme,   «col  più-  e  sorrisi:  la  compiacenza  di  lei  traspa- 

màcciolo  che  serve  a  dare  la  cipria,  e  risce  e  non  ti  sfugge. 
con  gli  altri  si  fatti  che  servono  a  dare  52-55»  non  senza  sospetti  e  senza  baci: 


132 


IL  ve;spro 


A  le  vergini  ancelle  il  cane  affida, 
Al  par  de'  giochi,  al  par  de'  cari  figli 

55        Grave  sua  cura:  e  il  misero  dolente, 
Mal  tra  le  braccia  contenuto  e  i  petti. 
Balza  e  guaisce  in  suon  che  al  rude  vulgo 
Ribrezzo  porta  di  stridente  lima, 
E  con  rara  celeste  melodia 

60        Scende  agli  orecchi  de  la  dama  e  al  core. 
Mentre  cosi  fra  i  generosi  affetti 
E  le  intese  blandizie  e  i  sensi  arguti 
E  del  cane  e  di  sé  la  bella  obblia 
Pochi  momenti,  tu  di  lei  più.  saggio 

G5        Usa  del  tempo;  e  a  chiai'o  speglio  innante 
I  bei  membri  ondeggiando  alquanto  libra 
Su  le  gracili  gambe;  e  con  la  destra. 
Molle  verso  il  tuo  sen  piegata  e  mossa. 
Scopri  la  gemma  che  i  bei  lini  annoda, 

70        E  in  un  di  quelle  ond'  hai  si  grave  il  dito 
L'invidiato  folgorar  cimenta: 
Poi  le  labbra  componi,  ad  arte  i  guardi 
Tempra  qual  più  ti  giova,  e  a  te  sorridi. 

GJ.    oblia  CI. 


qui  il  non  sema,  cf.  il  Matt.  587  in  n., 
ha  tutta  la  sua  efficacia  :  con  mille  pau- 
re, con  mille  baci.  —  A  le  vergini  ancelle, 
espressione  epica,  qui  eroicomica.  — 
G'raTC  sua  cura,  cioè  che  le  sta  a  cuore 
non  meno! 

55-60.  e  il  misero  dolente,  due  agget- 
tivi di  cui  sostantivato  il  secondo; 
espressione  patetica.  —  Mal  tra  le  br. 
contenuto  e  i  p.  Balza:  rende  i  tentativi, 
i  guizzi  della  bestiola  per  liberarsi  e 
correr  dietro  alla  padrona.  —  e  guaisce 
in  Buon  che...  :  che  spiace,  che  fa  ag- 
gricchiare  il  sangue;  ma  nota  l'imagine, 
e  il  suono  con  che  l'imagine  è  resa.  — 
E  :  non  è  congiunzione  semplice  ma  con 
intensità  avversativa,  «  e  pure,  e  intan- 
to ».  —  Scende,  giunge,  perviene;  e  però 
si  adatta  con  proprietà  a  tutti  e  due  i 
termini;  agli  orecchi  e  al  core. 

61-63.  fra  i  generosi  aSTetti  :  avverti 
che  la  specificazione  E  del  cane  e  di  sé 
si  estende  anche  a  questo  pi-imo  termi- 
ne !  —  le  intese  blandizie  e  1  sensi  arguti, 
le  carezze  e  tenerezze  delicate:  tra  il 


cane  e  la  dama  s' intendon  bene.  Ri- 
corda «  in  suo  tenor  vendetta  Chieder 
sembroUe  ». 

64  sg.  Pochi  momenti.  Oggetto  di  ob- 
blia: dimentica  un  po'  il  tempo;  a  cui 
si  contrappone  tu...  Usa  del  tempo. 

67  sg.  I  bei  membri  ondeggiando  al- 
quanto libra  Su  le  gracili  gambe:  ognun 
vede  i  movimenti  con  che  quel  figurino 
si  esamina  e  si  approva.  Quanto  all'agg., 
ricorda  Orazio  e.  i  5, 1  «  Quis  multa  gra- 
cilis  te  puer  in  rosa  Urget...  »,  ove  firra- 
ciiis  j/uer  vale  «  di  sveltezza  elegante, 
sottile,  snello»  (gr.  iaxvóg);  in  questo 
senso  leggeremo  «  la  gracil  mano  »  di 
Amore,  <a  NoUel2i:  è  di  quelle  parole, 
utili  e  consuete  al  P.,  che  classicam.  e 
volgami,  suonano  diverse;  v.  qui  sotto 
ai  vv.  SSe-'S?.  E  ricorda  il  Matt.  780 
«  L'  agili  membra  »  e  il  Mezzog.  641 
«  scarze  le  membra  »  ;  sopra  tutto  cfr. 
qui  appresso  al  v.  356  «  de  le  stese 
gambe  La  snellezza  ». 

72  sg.  i  guardi  Tempra...:  studiato  au- 
che  lo  sguardo,  provato  il  sorriso  ! 


IL  VESPRO 


133 


Alfin  tu  da  te  sciolto,  olla  dal  cane, 

76        Ambo  alfiu  v'  appressate.  Ella  dai  lumi 
Spande  sopi'a  di  te  quanto  a  lei  lascia 
D'eccitata  pietà  l'amata  belva; 
E  tu  sopra  di  lei  dagli  occhi  versi 
Quanto  in  te  di  piacer  destò  il  tuo  volto. 

80        Tal  seguite  ad  amarvi:  e  iasierao  avvinti, 
Tu  a  lei  sostegno,  ella  di  te  conforto, 
Itene  ornai  de'  cari  nodi  vostri 
Grato  dispetto  a  provocar  nel  mondo. 
Qual  primiera  sarà  che  dagli  amati 

85        Voi  sul  vespro  nascente  alti  palagi 

Fuor  conduca,  o  Signor,  voglia  leggiadra? 
Fia  la  santa  Amistà:  non  più  feroce 
Qual  ne'  prischi  eccitar  tempi  godea 
L'un  per  l'altro  a  morir  gli  agresti  eroi; 

90        Ma  placata  e  innocente,  al  par  di  questi, 
Onde  la  nostra  età  sorge  si  chiara. 
Di  Giove  alti  incrementi.  Oh,  dopo  i  tardi 
De  lo  specchio  consigli,  e  dopo  i  giochi, 
Dopo  le  mense,  amabil  dea,  tu  insegni 

95        Come  il  giovin  marchese  al  collo  balzi 
Del  giovin  conte  e  come  a  lui  di  baci 

90.  pacata  C. 


lA-l'è.  Alfln  tn  da  te  sciolto, ...  destò  il 
tuo  Tolto.  «  A  qualcuno  può  parere  pas- 
sato il  segno  dell'ironia  in  questi  versi. 
Ma  rendono  crudamente  bene  il  duro 
egoismo  di  quelle  anime  vane  »  (Card. 
p.  251).  Il  elle  non  toglie  che  le  acu- 
tezze vi  siano  veramente  estreme.  I^a 
dama  deve  spargere  dagli  occhi  sul  ca- 
valiere i  resti  dell'  affettuosa  commo- 
zione provata  (la  eccitata  pietà)  nello 
staccarsi  dal  cane  (l'amata  belva  :  poiché 
belua  in  lat.  è  ogni  animale  bruto,  quan- 
tunque specialm.  bestia  grossa,  il  P. 
tenne  usando  questa  parola  la  stessa 
norma  che  usandone  altre,  come  ozi, 
gracile...,  ma  con  meno  felice  opportu- 
nità) ;  il  cavaliere,  manco  male,  dee  ri- 
flettere e  riversar  su  la  dama  la  lieta 
compiacenza  sentita  nello  specchiarsi. 

80-83.  Quasi  a  compensare  e  conchiu- 
dere le  raffinate  sottigliezze  precedenti, 
ecco  un  tetrastico  limpido  e  corrente. 
—  Grato  dispetto,  o  sia,  che  a  voi  sarà 


di  sodilisfazione  maggiore. 

87-92.  la  santa  Amistà,...  qnal...  godea: 
nota  la  compendiosa  eleganza  del  co- 
strutto, in  vece  di  «  quale  era  ne'  pri- 
schi tempi  quando...  ».  —  L'un  per  l'al- 
tro a  morir...:  v.  qui  appresso  ai  vv.  ll:< 
sg.  ;  se  altri  esempi  speciali  il  p.  ebbe 
in  mente,  dovè  esserci  quel  di  Damone 
e  Pizia.  —  agresti  eroi,  cioè  selvaggi, 
barbari  :  in  contrasto  all'amicizia  pla- 
cata e  innoceute  di  chi  naturalmente  il 
sangue  aborre.  —  placata,  contrario  a 
feroce  ;  è,  del  resto,  forma  che  il  P.  pre- 
feriva a, pacato:  ricorda  «Orecchio  ama 
pacato  La  Musa».  —  Di  Giove  alti  incre- 
menti: i  giovini  signori,  celeste  prole,  di- 
vina schiatta  ecc.  È  nota  frase  di  Virgi- 
lio, solennissima,  Bue.  iv  49  «Cara  deum 
suboles,  magtium  lovis  incrementum  ». 

92  sg.  i  tardi  De  lo  specchio  consigli: 
lunghi,  che  domandan  tempo. 

96  sg.  di  baci  Le  gote  imprima:  più 
eletto  che  '  imprima  baci  su  le  gote  '. 


134 


IL  VESPRO 


Le  gote  imprima,  e  corno  il  braccio  aunoJe 
L' uno  al  braccio  dell'  altro,  e  come  insieme 
Passeggino,  elevando  il  molle  mento 
100        E  volgendolo  in  guisa  di  colomba, 

E  palpinsi  e  sorridansi  e  rispondansi 
Con  un  vezzoso  tu.  Tu  fra  le  dame 
Sul  mobil  arco  de  le  argute  lingue 

I  già  pronti  a  scoccar  dardi  trattieni, 
105         S' altra  giugne  improvviso  a  cui  rivolti 

Pendean  di  già:  tu  fai  che  a  lei  presente 
Non  osìn  dispiacer  le  fide  amiche  ; 
Tu  le  carche  faretre  a  miglior  tempo 
DI  serbar  le  consigli.  Or  meco  scendi, 
110        E  i  generosi  ufici  e  i  cari  sensi 

Meco  detta  al  mio  eroe;  tal  che  famoso 

Per  entro  al  suon  de  le  future  etadi 

E  a  Pilade  s'  eguagli  e  a  quel  che  trasse 

II  buon  Teseo  da  le  tenarie  foci. 

115    Se  dai  regni  che  l'alpe  o  il  mar  divide 
Dall'  italico  lido  in  patria  or  giunse 
11  caro  amico,  e  dai  perigli  estremi 
Sorge  d'  arcano  mal  che  in  dubbio  tenne 
Lunga  stagione  i  fisici  eloquenti; 

120         Magnanimo  garzone,  andrai  tu  forse 
Trepido  ancora  per  1'  amato  capo 

104.  rattieni  C. 


100.  in  guisa  di  colomba,  emistichio 
petrarcliesco,  son.  Io  son  si  stanco  v. 
13;  ma  qui  da  ossei'vazione  vera,  di 
quello  speciale  modo  (noi  diciamo  or- 
goglioso, e  fa  parte  àeWovgoglio  che 
Dante  attribuì  a'  colombi)  con  che  il  co- 
lombo volge  il  capo. 

102-''08.  Tu  fra  le  dame...:  se  pi-ima 
ha  esemplificato  con  nullaggini  gli  offici 
della  nova  amicizia,  qui  la  satira  in- 
calza :  si  dà  pei"  officio  amichevole  il 
sospendere  la  maldicenza  a  carico  d'una 
amica  al  sopraggiungere  di  essa,  e  ca- 
rezzar lei  presente,  e  di  lei  assente  tor- 
nare a  dir  male;  amicizia  queste  mali- 
gnità e  piccole  ipocrisie  !  Nota  il  verso 
Sul  mobil  arco  de  le  argute  lingue  che 
vale,  ma  con  eleganza,  lingue  lunghe  e 
malediche.  —  Pendean  di  già,  cioè  era- 
no già  pronti  a  scoccar. 


113  sg.  a  Pilude  s'eg:iagll,  del  quale 
l'amicizia  con  Oreste  è  gloriosa  nell'an- 
tico e  nel  moderno  teatro;  e  a  quel  che 
trasse  il  buon  Teseo  (che  a  sua  volta  era 
disceso  in  Averno  per  Piritoo),  Ercole: 
cf.  la  Gratitud.   211: 

...  d'Alcide  e  di  Teseo 

Suona  che  da  le  vive 

Genti  a  le  inferno  rive 

L'ardente  cortesia  scender  poteo. 

da  le  tenarie  foci,  Wvg.  Gè.  tv  iòl  «  Tae- 
narias  etiam  fauces,  alta  ostia  Ditis  »  : 
al  e.  Tònaro  (Matapan)  iu  Lacouia  una 
caverna  era  creduta  bocca  dell'  in- 
ferno. 

119.  1  asicl,  i  medici.  —  eloquenti,  che 
sul  dubbio  caso  discorrono  a  lungo  e 
sanno  dire  molte  belle  cose. 

121.  per  l'amato  capo,  per  la  cara  vi- 
ta: è  bellissima  espressione,  frequente 


IL  VESPRO 


135 


A  porger  voti  sospirando  ?  Forse 
Con  alma  dubbia  e  palpitante  i  detti 
E  i  guardi  e  il  viso  esplorerai  de'  molti, 

125        Che  il  giudizio  di  voi,  menti  si  chiare. 

Fra  i  primi  assunse  d'Esculapio  alunni? 
0  di  leni  origlieri  all'  omer  lasso 
Porrai  sostegno,  e  vital  sugo  ai  labbri 
Offrirai  di  tua  mano?  Oppur,  con  lieve 

130        Bisso  il  madido  fronte  a  lui  tergendo, 
E  le  aurette  agitando,  il  tardo  sonno 
Inviterai  a  fomentar  con  1'  ali 
La  nascente  salute?  Ah!  no;  tu  lascia, 
Lascia  che  il  vulgo  di  si  tenui  cure 

135        Le  brevi  anime  ingombri  ;  e  d' un  sol  atto 
Rendi  1'  amico  tuo  felice  appieno. 
Sai  che  fra  gli  ozi  del  mattino  illustri 
Del  gabinetto  al  tripode  sedendo, 
Grand' arbiti'o  del  bello  oggi  creasti 

140        Gli  eccellenti  nell'  arte.  Gnor  cotanto 
Basti  a  darti  ragion  su  le  lor  menti 
E  su  1'  opre  di  loro.  Util  ciascuno 
A  qualch'  uso  ti  fia.  Da  te  mandato. 


ne' poeti  latini:  p.  es.  Oraz.  e.  i  24,  1 
«desiderio...  tam  cari  capitis».  E  ri- 
cordo La  Fontaine  Fabl.  viii  16:  «cette 
chère  téle,  Pour  qui  Tari  d'  Esculape  en 
vaili  fìt  ce  qu'  il  piit  ».  Nota  la  differenza 
nel  luogo  dei  SejJ.  «  ove  doi'me  il  sacro 
capo  Del  tuo  Parini  »,  nel  quale  è,  pur 
cosi  felicem.,  in  senso  proprio. 

123-'26  La  prima  coppia  di  versi 
esprime  l'ansiosa  attesa  di  chi  per  sin- 
cera affezione  cerca  notizie;  la  seconda 
mette  anche  qui  un  po'  di  punta  toc- 
cando celebrità  di  medici  che  sian  tali 
più  per  moda  che  per  merito. 

127  sg.  leni  origlieri  all' oraor  lasso 
rorrai  sostegno:  accomoderai  i  guan- 
ciali sotto  alle  membra  indolenzite  del- 
l'infermo. Ciò  richiama  il  Matt.  108  «  ti 
appoggia  Ahi  origlier  che  lenti  digra- 
dando All'omero  ti  flen  molle  sostegno  ». 

129-133.  «  Asciugandogli  col  fazzoletto 
di  tela  il  sudore,  e  ventilandolo,  fa'  che 
riesca  a  prender  sonno  che  lo  ristori  e 
avvii  a  convalescenza  ».  —  11  madido 
fronte,  v.  u  Matt.  493  in  nota. 


134  sg.  di  si  tenni  cnre  Le  brevi  ani- 
me ingombri:  ricorda  il  Mezz.  618  «i 
dolci  moti  A  più  lontano  limite  sospin- 
ge ».  Superfluo  avvertire  che  queste  si 
tenui  cure  son  quelle  enumerate  nei 
versi  innanzi,  120-'33,  introdotte  con 
Vandrai  tu  forse  e  seguite  con  le  in- 
terrogazioni successive;  sono  cioè  quelle 
del  vero  amico,  che  per  l'amico  ha  in- 
teressamento vivo  e  sa  essergli  visita- 
tore e  infermiere.  11  sol  atto  che  dovrà 
surrogarsi  a  esse  tutte  insieme  è,  udi- 
remo, una  carta  da  visita!  Queste  si 
tenni  cnre  possono  in  qualche  modo  ri- 
chiamare i  «teiiuia rerum  Officia»,  Pers. 
V  91.  brevi,  piccole;  v.  il  Matt.  648. 

137-'43.  fra  gli  ozi  Avi  mattino  illustri, 
frase  ripetuta,  più  o  meno  simile,  alla 
maniera  epica,  cf.  il  Matt.  14  «in  mezzo 
agli  ozi  tuoi»,  7S  «le  fatiche  illustri», 
295  «de  la  giornata  illustre  I  travagli 
e  le  glorie»  ecc.  —  Del  gabinetto  al  tri- 
pode sedendo,  quasi  dettando  oracoli  : 
in  fatti  cfr.  il  Matt.  701  «  il  vulgo  ...  g'.i 
oracoli  attenda».  Grand'  arbitro  dei  bello 


136  IL  VESPRO 


Con  acuto  epigramma  il  tuo  poeta 

145        La  mentita  virtù  trafigger  puote 
D' una  bella  ostinata  ;  e  l' elegante 
Tuo  dipintor  può  con  lavoro  egregio 
Tutti  dell'  amicizia  onde  ti  vanti 
Compendiar  gli  ufici  in  breve  carta: 

150        0  se  tu  vuoi  che  semplice  vi  splenda 
Di  nuda  maestade  il  tuo  gran  nome, 
0  se  in  antica  lapide  imitata 
Inciso  il  brami,  o  se  in  trofeo  sublime 
Accumulate  a  te  mirarvi  piace 

155        Le  domestiche  insegne,  indi  un  lione 
Rampicar  furibondo  e  quindi  1'  ale 
Spiegar  1'  augel  che  i  fulmini  ministra, 
Qua  timpani  e  vessilli  e  lance  e  spade 
E  là  scettri  e  collane  e  manti  e  velli 

160        Cascanti  ai'gutamente.  Ora  ti  vaglia 

Questa  carta,  o  Signor,  serbata  all'uopo: 
Or  fia  tempo  d'  usarne.  Esca,  e  con  essa 
Del  caro  amico  tuo  voli  a  le  porte, 
Alcun  de'  nunci  tuoi  ;  quivi  deponga 

165        La  tèssera  beata,  e  fugga  e  torni 
Ratto  sull'  orme  tue,  pietoso  eroe 
Che,  già  pago  di  te,  ratto  a  traverso 
E  de'  trivi  e  del  popolo  dilegui. 
Già  il  dolce  amico  tuo,  nel  cor  commosso, 

170        E  non  senza  versar  qualche  di  pianto 
Tenera  stilla,  il  tuo  bel  nome  or  legge, 

• 

148.  de  1' B.  —  149.  uffici  B.  —  154.  mirar  vi  B.,  CI.  con  l'ed.  lieina 


Oggi  creasti  Gli  ercellenti  nell'arte,  come  ritrosa,  il  tuo  pittore  ti  farà  la  tessera 
dittatore  del  buongusto;  e  ta,\e  arbitrio  elegantissima  di  che  beare  l'amico», 
al  Giovin  signoi'e,  o  a  simili  suoi,  non  150-'G0.  0  se  tn  tuoI...  0  se...  o  se..., 
fu  mai  disconosciuto  efficacemente.  Luo-  le  diverse  fogge  di  biglietti  da  visita 
ghi  de  H  Matt.  analoghi  a  ciò  che  qui  ch'eran  di  moda:  o  il  nome  solo,  o  il 
è  detto  puoi  vedere  tra  i  versi  76S  e  803.  nome  inquadrato  come  in  una  lapide,  o 
—  Ouor  cotanto  Basti  a  darti  ragion  sn.,.:  lo  stemma  di  famiglia  disegnato  e  coui- 
è  giusto  che  ti  rimunerino  del  primato  piuto  iu  ogni  sua  parte,  tutt'  un  serra- 
che  loro  assegni  lavorando  per  te  e  a  tuo  glie  e  un  arsenale.  Avverti  quel  furi- 
piacere.  Per  la  frase  cf.  il  Mezzog.  474  bendo  aggiunto  al  leone  rampicante,  cioè 
«a  te  ne'  servi  altrui  Ragion  fu  data  ...  ».  rampante,  a  cui  segue  l'aquila  (mini' 
143-'49.  Qui  il  servigio  del  poeta  non  ster  fuìminis  ales);  poi,  in  un  verso, 
entra,  ma  il  costrutto  è  per  coordina-  arnesi  di  guerra  (tamburi,  bandiere,  lan- 
zione  anziché  per  subordinazione  com-  ce  e  spade)  e,  in  un  altro,  di  corte  (scet- 
parativa  :  «  a  quel  modo  che  il  tuo  poeta  tri,  collane,  manti,  ermellini)  :  Cascanti 
saprà  fornirti  l'epigramma  per  una  bella  argatamente,  cioè  con  bella  disposizione. 


IL  VESPRO  137 


Seco  dicendo  :  Oh  ignoto  al  duro  vulgo 

Sollievo  almo  de'  mali  !  Oh  sol  concesso 

Facil  commercio  a  noi  alme  sublimi 
175        E  d' afFotti  e  di  cure!  Or  venga  il  giorno 

Che  si  grate  alternar  nobili  veci 

A  me  sia  dato  !  Tale,  sbadigliando, 

Si  lascia  da  la  man  lenta  cadere 

L'  amata  carta  ;  e  te,  la  carta  e  il  nome, 
180        Soavemente  in  grembo  al  sonno  obblia 
Tu  frattanto  colà  rapido  il  corso 

Declinando  intraprendi  ove  la  dama, 

Co'  labbri  desiosi  e  il  premer  lungo 

Del  ginocchio  sollecito,  ti  spigne 
185        Ad  altre  opre  cortesi.  Ella  non  meno 

All'  impei'io  possente,  ai  cari  moti 

Dell'  amistà  risponde.  A  lei  non  meno 

Palpita  nel  bel  petto  un  cor  gentile. 
Che  fa  r  amica  sua  ?  Misei'a  !  Ieri, 
190        Qual  fosse  la  cagion,  fremer  fu  vista 

Tutta  improvviso,  ed  agitar  repente 

Le  vaghe  membra.  Indomito  rigore 

Occupolle  le  cosce,  e  strana  forza 

Le  sospinse  le  braccia.  Illividirò 
195        I  labbri  onde  1'  Amor  1'  ali  rinfresca  ; 

180.  obblia  B.,  C,  non  l'ed.  R.  che  qui  ha  grafia  diversa  dal  v.  63  —  183.  desiosi  il 
premer  CI.  —  190.  fusse  CI.  con  l'ed.  R. 


175-'S0.  Avverti  intima  arguzia:  tanto  corpo  e  anche  a  cose;  soiliclta  manu 

l'amico  è  tócco  e  commosso  del  ti-atto  più  volte  in   Ovidio.  Ricorda  il   Mezz. 

amichevole,  che  si  augura  di  poterlo  ri-  452  «Con  sollecita  occhiata», 
cambiare,  gentile  intenzione  che  impor-  189.  Che  fa  l'amica  snaJ  Ecco  di  che 

la  il  caso  d'una  grave  infermità  di  quel-  la  dama  è  pensosa.  —  Misera!   Ieri...: 

l'altro  !  E  sbadiglia,  e  lascia  cader  la  car-  ed  ecco  la  ragione  di  tal  premura,  cioè 

ta,  e  s'addormenta.  —  lenta,  allentata.  che  il  giorno  innanzi  quella  fu  còlta  da 

181-'88.  Tn  frattanto...  :  la  gran  prova  convulsioni. 
d'amicizia  all'amico  uscito  di  malattia  190-'94.  Qnal  fosse:  qual  che  ne  fosse, 

è  tale,  abbiam  visto,  che  si  compie  pei'  I  particolari  che  seguono,  coordinati  a 

mezzo  d'u'i  servo,  sicché   il  cavaliere  due  a  due,  ritraggono  i  fenomeni  del- 

puù  intanto  secondare  la  dama  che  me-  l'attacco  nervoso.  —  Iiido;uito  rigore,  vi- 

dita  anch'essa  amichevoli  uffici.  —Co'  gidità  invincibile;  e  strana  forza,  eh' è 

labbri  desiosi  e  il  premer  lungo  Del    gi-  a  punto  lo  spasimo  convulsivo. 
nocchio    sollecito:   maniere    che    fanno  194-'200.  Dopo  la  descrizione  del  male 

fi'etta  altrui  e   gli  ricordano,   special-  in  termini  precisi  e  quasi  tecnici,  altri 

mente  se  altri  è  presente,  una  cosa.  —  particolari   seguono   con    molti,   forse 

sollecito,    non   vuol  dir   «  presto  »   ma  troppi,  adornamenti  poetici.  —  I  labbri 

«premuroso»;  è  il  lat.   soUlcitus   che  onde  l'Amor  l'ali  rinfresca:  «  Anche  l'A- 

dalla  persona  si  trasferisce  a  parti  del  riosto,  non  che  altri,  finsero  Amore  svo- 


138  IL  VESPRO 


Euliò  la  neve  de  la 'bolla  gota; 
E  celato  candor,  dai  lini  sparsi 
Effaso,  rivelossi  agli  occhi  altrui. 
Gli  Amorì  si  schermiron  con  la  benda, 

200        E  indietro  rifuggirousi  le  Grazie. 
Invano  il  cavaliere,  invan  lo  sposo 
Tentò  frenarla,  invan  le  damigelle. 
Che  su  lo  sposo  e  il  cavaliere  e  lei 
Scorrean  col  guardo,  e  poi,  ristrette  in; 

205         Malignamente  sorrideansi  in  volto: 
Ella,  truce  guatando,  curvò  in  arco  • 
Duro  e  feroce  le  gentili  schiene  ; 
Scalpitò  col  bel  piede,  e  ripercosse 
La  mille  volte  ribaciata  mano 

210        Del  tavolier  ne  le  pugnenti  spon  lo. 

Livida,  pesta,  scapigliata  e  scinta, 

Alfin  stancò  tutte  le  forze,  e  caddo 

Insopportabil  pondo  sopra  il  letto. 

Né  fra  l' intime  stanze  o  fra  le  chiuso 

215        Gemine  porte  il  prezioso  evento 

Tacque  ignoto  molt'  ore.  Ivi  la  Fiiina 
Con  uno  il  colse  de'  cent' occhi  suoi, 

201.  il  cavalier  C.  —  216.  fama  B.  col  R. 


lazzante  intorno  gli  occhi  o  le  labbra  vigliate  che  non  sappiano;  poi,  esse  che 
della  bella:  ma  qui  ha  della  ricerca-  sanno  bene,  sorridon  tra  loro.  Cosi  al- 
tezza, senza  corrispondente  effetto  di  trove,  la  Nolt.  253-55,  vedremo  accen- 
rappresentazione,  la  figurina  di  lui  che  nato  a  servi  consapevoli  di  virtucU 
batte  le  aU  dinanzi  a'  labbri  della  dama  ascose  del  signore.  Del  resto,  la  cagione 
e  si  rinfrescale  ali  al  fiato  che  ne  esce»  di  un  attacco  di  nervi  potea  ben  essere 
(M.);  e  non  è  né  pur  chiaro.  —  Enfiò  la  anche  più  lieve  e  innocente  che  non  si 
nere  de  la  bella  gota,  è  quanto  dire  «si  pensi;  v.  sotto  ai  vv.  215-'50. 
gonfiarono  le  belle  gote  color  di  neve»;  206.  trnce  guatando,  l'agg.  per  l'avv. 
modo  classico  già  visto,  e  più  oppor-  classicamente;  Ae>i.  vi  467  «torva  luen- 
tuno,  altrove:  cf.  il  Matt.  1013.  —  E  ce-  tem». 

lato  candor...:  scomponendosi  le  vesti,  213.  Per  la  tecnica  e  il  suono  questo 

(dai  lini  Sparsi),   apparve   (eSfnso  rive-  verso,  specialm.  nella  seconda  parte,  ri- 

lossl)  la  bianclirizza  solitamente  velata  produce,  e  in  caso  analogo,  il  dantest  o 

del  seno.  Gli  Amori,  bendati  come  sono,  E  caddi  come  corpo  morto  cade. 

furon  per  la  benda  riparati  da    quel  214  sg.  fra,  cioè  dentro  (intra).  —  lo 

lampo  improvviso,  e  le  Grazie    abbar-  chiuse  Gemine  porte:  non   già  bipartite 

bagliate  indietreggiarono.  Tale,  da  tutto  o  a  due  battenti  ma  proprio  doppie  ;  le 

insieme  il  contesto,  mi  pare  il  senso  due  porte  delle  stanze  più  interne, 

primo  delle  parole  :  un  altro  maliziosa-  215.  prezioso,  si  spiega  sùbito  fra  tre 

mente  riposto  può  esservene,  special-  versi. 

mente  per  r  ultimo  verso;  si  ritirano  le  216  sg.  La  Fama  Con  nno...  de'  cent' oc- 
Grazie  vuol  dire  che  cessa  il  decoro.  chi  suoi  :  la  Fama,  «  cui  quot  sunt  cor- 
202-'05.  le  damigelle  Che...  :  guardan  pore  plumae,  Tot  vigiles  oculi  subter  », 
gli  altri  per  vedere  se  sanno,  o  mara-  Aen.  iv  1S2. 


IL  VESPRO  139 


E  il  bel  pegno  rapito  usci  portando 
Fra  le  adulte  matrone,  a  cui  segreto 

220        Dispetto  fàuno  i  pargoletti  Amori, 
Che  da  la  maestà  degli  otto  lustri 
Fuggon  volando  a  più  scherzosi  nidi. 
Una  è  fra  lor  che  gli  altrui  nodi  or  cela 
Comoda  e  strigne,  or  d' ispida  virtude 

225        Arma  suoi  detti,  e  furibonda  in  volto 
E  infiammata""negli  occhi  alto  declama, 
Interpreta,  ingrandisce  i  sagri  arcani 
Degli  amorosi  gabinetti;   e  a  un  tein;io 
Odiata  e  desiata  eccita  il  riso 

230        Or  co'  propri  mi=;teri  or  con  gli  aitriii. 
La  vide,  la  notò,  sorrise  alquanto 
La  volatile  dea;  disse:   «Tu  sola 
Sai  vincere  il  clamor  della  mia  tromba  »: 
Disse,  e  in  lei  si  mutò.  Prese  il  venta;^lio, 

233         Prese  le  tabacchiere,  il  cocchio  ascese, 
E  là  venne  trottando  ove  de'  grandi 
E  jl  consesso  più  folto.  In  un  momento 
Lo  sbadigliar  s'arresta;  in  un  momento 
Tutti  gli  occhi  e  gli  orecchi  e  tutti  i  labbri 

240        Si  raccolgono  in  lei;  ed  ella  alfine, 
E  ansando  e  percotendosi  con  ambe 
Le  mani  le  ginocchia,  il  fatto  espone, 
E  del  fatto  le  origini  riposte. 
Riser  le  dame  allor,  pronte  domane 

245        A  fortuna  simil,  se  mai  le  vaglio 


218.  il  bel  pogao,   prezioso  oggetto;  gente  iaterinediaria  e  di  ciò  ch'ella  con 

cosi  in  Orazio,  e.  i  9,  23  «plgnus...  de-  maligna   curiosità   raccoglie    altronde, 

reptum  lacertis  »,  un  braccialetto.  Cosi  mi  par  da  intendere  il  verso,  non 

219-'22.  le  adulte  matrone:    le    deter-  forse  chiarissimo.  Or  co' propri  misteri 

mina  sùbito  appresso  per  quarantenni.  or  con  gli  altrui. 

—  i  pargoletti  Amori:  tolta  l' imagine,  232.  La  volatile  dea,  che  erra  perl'a- 

«  si  rammaricano   dei   nuovi    nascenti  ria:  cf.  la  Notte  517. 
americhe  non  son  più  per  loro  ma  per  231.  Disse,  e  in  lei  si  mutò:    il  disse 

le  più  giovani  ».  cosi  ripetuto,  alla  maniera  epica,  viene 

223-'30.  Una  che  gli  altrni  nodi  or  cela  a  sigiiilicaré  «  e,  appena  ebbe  detto  co- 
Comoda  e  strigne,  alta  e  disposta  a  fa-  si  ». 

vorire  segretamente   amori  altrui;    or  239  sg.  Evidentem.  questo  verso  ox*- 

d'ispida  Tirtnde  Àrnia  suoi  detti,  ripren-  meggia  il  celebre  principio  del  IP  del- 

ditrice  ombrosa  e  implacabile.  —  a  nn  l'Eneide  *  Coniicueve  omnes  intentique 

tempo  Odiata  e  desiata,  conforme  all'ai-  ora   tenebant»,  e  anche  troppo,   può 

ternativa  delle  sue  abitudini  or  ora  de-  sembrare,  in  tutti  i  labhri. 
scritte;  o  anche  perché,   spiacevole   in  24 1-'50.  Risero  allor  alle  spese  di  un'al- 

sé  stessa,  eccita  il  riso  co'  suoi  racconti  ;  tra,  pronte  a  far  ridere  domane  di  sé  per 

racconti  e  di  ciò  ch'ella  sa  come  indù'  cagione   somigliante  (a  fortuna  sìmi'l) 


140  IL  VESPRO 


Lor  fantasie  commoverà  negato 
Dai  mariti  compenso  a  un  gioco  avverso, 
O  in  faccia  a  lor,  per  deità  maggiore, 
Negligenza  d'  amante,  o  al  can  diletto 

250        Nata  subita  tosse  :  e  rise  ancora 

La  tua  dama  con  elle,  e  in  cor  disposo 
Di  teco  visitar  1'  egra  compagna. 
Ite  al  pietoso  ufficio,  itene  or  dunque  : 
Ma  lungo  consigliar  duri  tra  voi 

255        Pria  clie  a  la  meta  il  vostro  cocchio  arrive. 
Se  visitar,  non  già  veder,  1'  amica 
•Forse  a  voi  piace,  tacita  a  le  porte 
La  volubile  rota  il  corso  arresti  ; 
E  il  giovanetto  messagger,  salendo 

2G0        Per  le  scale  sublimi,  a  lei  v'  annunzi. 
Si  che  voi  non  volenti  ella  non  voglia. 
Ma  se  vaghezza  poi  ambo  vi  prende 
Di  spiar  chi  sia  soco,  e  di  tui'barle 
L'anima  un  poco,  e  ricei-cai-le  in  volto 

265        De'  suoi  casi  la  serie,  il  cocchio  allora 

Entri,  e  improvviso  ne  rimbombi  e  frema 
L'  atrio  supei'bo.  Egual  piacere  inonda 
Sempre  il  cor  de  le  belle,  o  che  opportune, 
O  giungano  importune  a  le  lor  pari. 

270    Già  le  fervide  amiche  ad  incontrarse 

Volano  impazienti  j  un  petto  all'  altro 

259.  giovinetto  C. 


cioè  avendo  le  couvulsioni  anch'esse;  cui  il  Carducci  ha  scritto  (p.  271)  :  «  Non 

e  delle  convulsioni  ecco  supposti  i  per-  so  ne'  due  primi  poemetti  cosa  che  o- 

ché  :  0  il  marito  negò  di  rifondere  alla  scuri  la  scena   delle  amiche   nel   Ve- 

moglie  quel  che  avea  perso  al  gioco,  o  spro». 

l'amico  in  presenza  di  altra  dama  più  256  sg.  Se...  Forse...,  come  ne  la  Noi- 
bella  o  cospicua  trascurò  lei,  o  il  cane  te  203  sg.  :  «  se  mai,  se  per  avventu- 
fu  preso  da  tosse  improvvisa.  Puoi  cfr.  ra  ».  È  proprio  il  si  forte  dell'uso  lat. 
le  cause  di  lunga  veglia,  il  Matt.  434-  comune  (puoi  ricordare:  Orazio  ep.  ii 
'60.  2,  95  «Si  forte  vacas,  sequere»,  sat.  i 
250-'r3.  e  rise  ancora...,  e  in  cor  di-  4,  102  «  Liberius  si  Dixero  quid,  si  forte 
spose...  Non  ci  sfugga  l'intimo  senso  di  iocosius,  hoc  mihi  iuris  Cum  venia  da- 
questa  coordinata  cosi  innocua  in  ap-  bis»).  Già  iu  Dante  Purgr.  xxviii  23  «E 
parenza.  La  dama  rise  con  le  altre  e  se  tu  credi  forse  ch'io  t'inganai». 
comete  altre,  cioè  si  prese  gioco  di  261.  non  Tolenti...  non  voglia:  col  man- 
quella  tale,  e  in  cor  dispose  di  andare  a  dare  a  chiedere  è  lasciata  intendere  la 
trovarla:  ognun  vede  quanta  sincerità  voglia  di  non  esser  ricevuti,  e  questa  è 
d'amicizia  possa  moverla  a  tal  visita,  naturalmente  assecondata, 
cf.  sotto  i  vv.  262-'65.  Quindi  prorom-  270-'83.  Uno  de'  più  bei  pezzi  di  ca- 
perà eflBcacemente  Ite  al  pietoso  nllleio...,  ricatura,  fedelissimamente  osservata  e 
e  seguirà  poi  la  scena  della  visita  di  particolareggiata,  che  sia  nel  poema. 


IL  VESPRl  141 


Già  premonsi  abbracciando  ;  alto  le  gote 

D'alterai  baci  risonar  già  fanno; 

Già  strette  per  le  man,  co'  dotti  fianchi 

275        Ad  un  tempo  amendue  cadono  a  piombo 
Sopra  il  sofà.  Qui  1'  una  un  sottil  motto 
Vibra  al  cor  dell'  amica,  e  ai  casi  allude 
Che  la  fama  narrò  :  quella  repente 
Con  un  altro  1'  assale.  Una  nel  viso 

230        Di  beli'  ire  s' infiamma,  e  1'  altra  i  vaghi 

Labbri  un  poco  si  morde  :  e  cresce  intanto 
E  quinci  ognor  più  violento  e  quindi 
11  trepido  agitar  dei  duo  ventagli. 
Cosi,  se  mai  al  secol  di  Turpino 

235        Di  ferrate  guerriere  un  paro  illustre 

Si  scontravau  per  via,  ciascuna  ambiva 
L'  altra  provar  quel  che  valesse  in  arme  ; 
E  dopo  le  accoglienze  oneste  e  belle, 
Abbassa  van  lor  lance  e  co'  cavalli 

200        Urtavansi  feroci;  indi,  infocate 

Di  magnanima  stizza,  i  gran  tronconi 
Gittavan  via  de  lo  spezzato  cerro, 
E  correan  con  le  destre  agli  elsi  enormi. 
Ma  di  lontan  per  1'  alta  selva  fiera 

295        Un  messagger  con  clamoroso  suono 
Venir  s'  udiva  galoppando,  e  1'  una 
Richiamai'e  a  re  Carlo,  o  al  campo  l'  altra 
Del  giovane  Agramante.  Osa  tu  pure, 
Osa,  invitto  garzone,  il  ciuffo  e  i  ricci. 


284-'98.  Questa  comparazione   cavai-  la  storia)  fu  tra  i  morti  a  Roncisvalle, 

leresca,   tanto   felicemeute    trovata,    è  e  al  quale  i  poeti  ascrissero  poi  di  so- 

svoltalai'gamente,  come  usa  il  P.  quando  veute  i  racconti  e  le   finzioni  loro,  per 

il  paragone  è  ricco  di  poesia  e  fecondo  effetto  di  una  cronaca  delle  imprese  di 

di  vivace  varietà  tra  la  satira.    Di  più,  Carlomagno  in  Spagna  riferita  al  suo 

qui  la  comparazione   è   connessa   non  nome.  La  frase  dunque  viene  a  signifi- 

solo  a  quel  che  precede  ma  anco  a  quel  care  «  nel  ciclo  carolingio  ■>.  —  ambiva 

che  segue;  poiché  la  sua  ultima  parte.  L'altra  provar  quel  che   valesse...:   me- 

vv.  294-'98,  conduce  i  versi    che   segui-  glio  che  inversione  è  prolessi,  uso  clas- 

ranno  298-303.  —  Del  resto,  non   credo  sico   e   naturale  insieme.  —  E  dopo  le 

che  il  P.  avesse  in   mente  alcun  luogo  accoglienze...:  è,  leggerm.  modilicato, 

determinato  di  poema  romanzesco,   si  il  verso  di  Dante,  Purg.  vii  I  «  Poscia 

bene  componesse,  con  molta  convenien-  che  le  accoglienze  oneste  e  liete...».  — 

za,  da  ricordi  indistinti  e  secondo  note  l  gran   tronconi   Gittavan...,   ...  agli  elsi 

circostanze.  Dell'Ariosto  puoi  in  qualche  enormi...  :  cioè,  spezzate  le  aste  al  primo 

parte   raffrontare    i   duelli    tra  Brada-  incontro,  mettean  mano  alle  spade, 
mante  e  Marlìsa  nel  e.  xxxvi.  —  al  se-  299-303.  il  ciuffo  e  i  ricci  Si  ben   fln- 

col  di  Tarpino,  l'arcivescovo  che  (secondo  ti...: /Jnyere  lat.  è  formare,   e   questo 

la  Cfianson  de  Roland,  non  secondo  fluti  è  del  numero  di  quelle  parole  che 


142  IL  VESPRO 


300        Si  ben  fìnti  stamane,  all'  urto  esporre 

De'  ventagli  sdegnati;  e  a  nuove  imprese 

La  tua  bella  invitando,  i  casi  estremi 

De  la  pericolosa  ira  sospendi. 
Oh  solenne  alla  patria,  oli  all'  orbe  intero 
305        Giorno  fausto  e  beato,  alfiu  soi'gesti 

Di  non  più  visto  in  ciel  roseo  splendore 

A  sparger  l' orizzonte  !  Ecco,  la  sposa 

Di  ramni  eccelsi  l' inclit'  alvo  alfine 

Sgravò  di  maschia  desiata  prole 
310        La  prima  volta.  Dalle  lucid'  aure 

Fa  il  nobile  vagito  accolto  appena, 

Che  cento  messi  a  precipizio  uscirò,  i 

Con  le  gambe  pesanti  e  lo  spron  duro 

Stimolando  i  cavalli,  e  il  gran  convesso 
315        Dell'  etere  sonoro  alto  ferendo 

Di  scutiohe  e  di  corni  :  e  qual  si  sparse 

Per  le  cittadi  popolose,  e  diede 

Ai  famosi  congiunti  il  lieto  annunzio  ; 

E  qual  per  monti  a  stento  rampicand© 
320        Trovò  le  ròcche  e  le  cadenti  mura 

De'  prischi  feudi,  ove  la  polve  e  1'  ombra 

Abita  e  il  gufo  ;  e  i  rugginosi  ferri, 

Sopra  le  rote  mal  sedenti,  al  giorno 

Di  novo  espose,  e  fé' scoppiarne  il  tuono; 

30t.  alla  CI.  a  l'orbe  B.  —  307.   1' orizonte  !  CI.  —  323.    al    giorno,    C.  {m.a.  certo  è 
ecorsa) 


il  P.  USÒ  dissimulando  nel  suouo  clas-  va  invece   ora  a  cadere  sulle   origini 

sico,  eh'  è  il  pi-imo  a  cogliersi  nel  suo  delle  fortune  feudali  :  che,  come  Roma 

stile,  il  significato  volgare,  oh'  è  il  più  da'  banditi,  cosi  esse  il  più  delle   volte 

rispondente  alle  sue  intenzioni.  nacquero  da  predoni  e  avventurieri.  — 

30 1-'07.  Intona  con  enfasi  l'esposizione  Ramni  eccelsi  vai  qui  dunque  'nobili 

d'un' altra,   singolarmente  importante,  d'antica  nobiltà  feudale';  e  anche  l'epi- 

occasione  di  visita.  —  l>i  non  pìii  visto...,  teto  è  tolto  da  Orazio  che  ha  '  celsi  Ram- 

ricorda  il  dantesco,  Pary.  xxx  23  «  La  nes'  ep.  ai  Pis.  3J2  »  (M.).  A  conferma 

parte  orientai  tutta  rosata  ».  di  ciò,  avverti  che  1'  espressione  sposa 

307-'10.   la   sposa    Di  ramni  eccelsi:  dirami   era  strana  e   impropria,  non 

«Questa  è  la  lezione  vera,  già  dal  loati  già  rapida  e  ardita:    gli  ardimenti  ge- 

ristabilita  nel  testo,  e  confermatami  dal  nuini    pariniani    sono    di    altro   gusto. 

Salveraglio  di  sul  manoscritto  origina-  Quanto  alla  frase  ramni  eccelsi,  aperta 

rio:  errata  lezione  è  rami,  che  faceva  reminiscenza  oraziana,  serba  il  colore 

pensare  all'  albero  genealogico  e  a  una  d'  irrisione  che   ha   Ceisi   Ramnes   in 

maliziosa  allusione  alle  corna  del  cer-  Orazio;  come  in   Persio,  i  20  e  82,  In- 

vo.    I  Ramni  o  Ramnensi  furono  il  nu-  gentes  Titi  e  Trossulus  levis. 
eleo  originario  de'  Romani  raccoltisi  in-  310-'26.  L'annunzio  mandato  intorno 

torno  a  Romolo;  e  l'allusione  maliziosa  del  nuovo  nato.  Un  pei'iodo  solo,  vibrato 


IL  VESPRO 


143 


325 


3C5 


34.0 


E  i  gioghi  de'  vassalli  e  le  vallee 

Ampie  e  le  mai'che  del  gi'an  caso  empieo. 

Ké  le  Muse  devote,  onde  gran  plauso 

Venne  l' altr'  anno  agi'  imenei  felici, 

Già  si  tacquero  al  parto.  Anzi,  qual  suole 

Là  su  la  notte  dell'  ardente  agosto 

Turba  di  grilli,  e  più  lontano  ancora, 

Innumerabil  popolo  di  rane. 

Sparger  d'alto  frastuono  i  prati  e  i  laghi, 

Mentre  cadon  su  lor,  fendendo  il  buio, 

Lucide  strisce,  e  le  paludi  accende 

Fiamma  improvvisa  che  lambisce  e  vola, 

Tal  sorsero  i  cantori  a  schiera  a  schiera, 

E  tal  piovve  su  lor  foco  febèo, 

Che  di  motti  ventosi  alta  compagine 

Fé'  dividere  in  righe,  o  in  simil  suono 

Uscir  pomposamente.  Altri  scoperse 


337.  sorsero  cantori  CI.  —  339.  compaggine  (CI.) 


e  largo,  pieno  d'anima  uell'  insieme  e 
di  bellezze  ne'  particolari.  Nota  tra  que- 
ste il  V.  Con  le  gambe  pesanti  (cioè  sti- 
valate alla  scudiera)  e  lo  spron  duro,  e 
l'altro  E  qual  per  monti  a  stento  rampl- 
caudo,  e  iu  fine,  per  i  suoni^  le  Tallèo 
Ampie  e  le  marche  del  gran  caso  empieo. 
—  il  gran  confesso  Dell'etere  sonoro,  la 
volta  celeste;  alto  ferendo  Di  seutiche  e 
di  corni,  facendo  altamente  risonare  : 
cf.  la  chiusa  del  son.  del  Cassiani  citata 
iu  uota  a  'l  Matt.  76.  La  differenza  tra 
flagello  e  scutica,  latinismi  entrambi,  è 
rilevata  in  un  verso  di  Orazio  Sat.  i  3, 
119  «  ne  scutica  dighum  liorribili  sec- 
tere  flagello  »  (a  non  punire  di  verga  una 
colpa  a  cui  basta  il  frustino)  :  quello 
propriam.  è  lo  scudiscio,  questo  la  fru- 
sta a  più  corde  nodose  e  aggruppate. 
S'intende  che  nei  nostri  sono  chiamati 
senza  tanta  precisione.  —  i  rugginosi 
ferri  Sopra  le  rote  mal  sedenti,  i  can- 
noncini arrugginiti  che  mal  posano  sui 
carretti  sgangherati.  Ricorda  «  gli  scom- 
messi cocchi  Forte  assordanti  per  stri- 
dente ferro...  »  ne  7  Mezzoy.  620. 

327-37.  Dopo  gli  annunzi,  le  poesie 
d'occasione.  I  confronti  de'  grilli  e  delle 
rane  potevan  cadere  in  mente  anche  a 
chi  non  fosse  il  V.,  ma   è  tutto  suo  il 


temperare  insieme  si  felicemente  l'ir- 
risione e  la  poesia.  Nota  i  tre  versi  334- 
'36,  e  sopra  tutti  l'ultimo,  meraviglioso 
e,  com'oggi  usiamo  dire,  suggestivo,  — 
eadon  sa  lor,  i  prati  e  i  laghi  anzidetti  ; 
Lucide  strisce,  stelle  cadenti;  Fiamma im- 
proTTisa,  potrebb'essere  il  riflesso  delle 
stelle  cadenti,  ma  su  le  paludi  è  una 
particolare  fosforescenza,  un  guizzo  ra- 
pido e  improvviso. 

338-'41.  Tal...  foco  febèo,  €he  .,.  :  lo 
scherzo,  o  scherno  che  si  voglia  dire,  è 
nella  inadeguatezza  dei  termini  corre- 
lativi: «una  tale  ispirazione,  che  portò 
a  distribuire  in  righe  un  mucchio  di  pa- 
role piene  di  vento  »,  e  quelle  righe  eran 
la  poesia!  di  motti  ventosi  alta  eonipa- 
giue  [compayyine  scns&e  il  P.,  forse  per 
analogia  ad  altre  parole),  un  monte  di 
vesciche,  —  o  in  simil  snono  Uscir  pom- 
posamente: con  questo  in  simil  suono  mi 
paion  designate  le  prose  d'occasione,  e 
in  fatti,  a  cui  le  Muse  non  eran  cortesi 
né  pure  dell'attitudine  a  «  dividere  in 
rigiie  »  digitis  et  aure  i  lor  concettuzzi, 
non  rimaneva  che  sfoggiare  la  prosa 
delia  festa.  (Non  si  potrebbe  spiegare  in 
simil  suono  [/  simil  suoni,  Tonti]  per 
«  in  versi  sciolti  »,  i  quali  son  pur  versi 
cioè  una  divisione  in  righe). 


IM 


IL  VESPRO 


3d5 


350 


In  que'  vagiti  Alcide,  altri  d' Italia 
Il  soccorso  promise,  altri  a  Bizanzio 
Minacciò  lo  sterminio.  A  tal  clamore 
Non  ardi  la  mia  Musa  unir  suo  voci; 
Ma  del  parto  divino  al  molle  orecchio 
Appressò  non  veduta,  e  molto  in  poco 
Strinse  dicendo  :  Tu  sarai  simile 

Al  tuo  gran  genitore 

Già  di  cocchi  frequente  il  corso  splende, 


3  13.  Bisanzio  C.  —  350.  Il  tratto  da  qui  alla  fine  del  poemetto  era  già  edito  come 
parte  e  chiusa  del  Mezzogiorno,  di  séguito  ai  25  versi  con  che  ora  principia  il  Vespro; 
«  queste  varianti  recano  appunto  quella  lezione  o  le  differenze  da  essa.  Dal  raffronto 
tra  il  testo  e  le  varianti  risultano  anche  gli  ampliamenti  e  gli  accorciamenti  di  alcuni 
pochi  tratti. 


311-M4.  Compendio  verissimo  delle 
gonfiezze  e  delle  piaggerie  a  cui  giun- 
gevano quelle  muse  devote  (ricorda  le 
«Care  muse  devote  a' miei  giacinti», 
in  princ.  alla  nota  canz.  del  Caro).  E 
serve  d*  immediato  contrasto  alla  di- 
screta modestia,  e  cosi  mansueta  in  ap- 
parenza, che  viene  appresso. 

314-'49.  molto  in  poco  Strinse  :  «  Molte 
gran  cose  in  picciol  fascio  stringo  », 
Petr.  Tr.  d.  fama,  ii  133:  «O  stringi 
tutto  in  poche  note  o  parli»,  Metast. 
Cat.  in  Ut.  n  10.  —  Tn  sarai  simile  Al 
tuo  gran  genitore:  stupendo  epigram- 
ma, che  vien  più  efficace  quanto  più  im- 
provviso e  dopo  tanta  riservatezza.  Ne- 
gli appunti  pariniani,  di  cui  alla  nota 
seg.,  il  Carducci  trovò  la  citazione  vir- 
giliana, Aen.  IX  610  : 

Macie  nova  virtute,  puer,  sic  itur  ad  astra, 
Dis  genite  et  geniture  deos. 

Ognuno  sente  che  fa  a  proposito   qui  ! 
Anche  lesse  di  Persio,  i  61  : 

Vos  o  patricius  sauguis,  quos  vivere  fas  est 
Occipiti  caeco,  posticae  ucciirrite  sannae. 

Che  fa  a  proposito  in  più  altri  luogiii. 
319-350.  «  L'episodio  del  ricevimento 
e  della  festa  intorno  la  puerpera  è  tron- 
cato poco  dopo  il  princiino  col  famoso 
Tu  sarai  simile  Al  tuo  gran  genitore. 
Di  qui  al  verso  che  incomincia  la  de- 
scrizione del  corso,  Già  di  cocchi  fre- 
quente il  corso  splende,  è  una  lacuna, 
la  quale  doveva  esser  riempita  dal  sé- 
guito dell'episodio  e  poi  da  ciò  che  ri- 
manesse a  fare  dalla  nobile  coppia  prima 


di  procedere  al  corso  ».  Cosi  il  Carduc- 
ci, p.  261,  che  poi  nelle  pagine  seguenti 
(e  qui  le  accenno  soltanto  ma,  chi  no» 
le  avesse  lette,  dee  leggerle!,  dalle  carte 
del  Pariui  raccolte  dal  Reina  e  posse- 
dute dal  dott.  Cristoforo  Bellotti,  di  tra 
«  note  ed  appunti  di  ciò  che  veniva  in 
mente  al  poeta  d'avere  anche  a  descri- 
vere e  rappresentare  nella  tela  già  or- 
dita degli  ultimi  due  poemetti  »,  reca 
parte  di  ciò  che  riguarda  il  Vespro  e 
che  egli  con  manifesta  probabilità  rife- 
risce qui  all' «episodio  del  primo  par- 
to »,  da  seguire  e  connettersi,  non  sap- 
piamo né  ardiremmo  dir  come,  «  con 
l'apostrofe  al  neonato  ».  Negli  appunti 
è  notato  più  volte  Collegi,  uscita  da  es- 
si, birbino,  carrozzino  —  Uscirà  dal 
collegio ,  apprenderà  i  giuochi  —  Tu 
sarai  in  collegio,  uscirai,  ti  daranno 
un  birbino.  —  Manifestamente  dovea 
essere,  in  iscorcio,  l'educazione  di  col- 
legio e  di  casa.  Dice  una  nota:  Ercole 
uccise  Lino  battendogli  della  cetra  sul 
capo  :  «  e'  è  quasi  da  indovinare  il  con- 
seguente: —  E  tu  tirerai  il  calamaio  o 
qualcos'altro  nella  testa  al  maestro». 
Altri  appunti  del  P.,  in  suo  uso  e  quindi 
senza  maraviglia  piuttosto  informi  per 
noi:  1  figli  in  collegio  lasciano  giovani 
—  Nuovi  araldici  m:ttono  i  figli  in 
collegio,  e  se  ne  lagnano  —  Alla  par- 
toriente parlar  de' nuovi  araldici  — 
Una  volta  i  fanciulli  si  divertivano 
e  i  padri  attendevano  agli  studi  :  ora 
è  il  contrario  —  Nel  Vespro  della  par- 
toriente dame  e  cavalieri  protettori 


IL  VESPRO 


145 


355 


360 


865 


E  di  mille  che  là  volano  rote 

Rimbombano  le  vie.  Fiero  per  nova 

Scoperta  biga  il  giovine  leggiadro, 

Che  cesse  al  carpentier  gli  aviti  campi, 

Là  si  scorge  tra  i  primi.  All'un  de'  lati 

Sdraiasi  tutto,  e  de  le  stese  gambe 

La  snellezza  dispiega.  A  lui  nel  seno 

La  conoscenza  del  suo  merto  abbonda, 

E  con  gentil  sorriso  arde  e  balena 

Su  la  vetta  del  labbro,  o  da  le  ciglia, 

Disdegnando,  de 'cocchi  signoreggia 

La  turba  inferior:  soave  intanto 

Egli  alza  il  monto,  e  il  gomito  protende, 

E  mollemente  la  man  ripiegando, 

I  merletti  finissimi  su  l'alto 

Petto  si  ricompon  con  le  due  dita. 

Quinci  vien  1'  altro  che  pur  oggi  al  cocchio 


353.  giovane  col  R.  tutti. 


de'  birbanti  [da  birba,  birbino]  —  Pri- 
mogeniti, cadetti,  principii  dì  musica, 
architettura.  —  Un'altra:  Confidenze 
tra  padre  e  flgHo  ;  «  chi  sar^eraviglie 
che  ne  sarebbero  uscite  !  ».  Non  più  spet- 
tanti  all'episodio  della  partoriente  (se 
pure  non  entravano  nel  tratto  de'  col- 
legi), ma  si  ad  altre  occupazioni  del  ve- 
spro, occupazioni  da  avvicendarsi  tra 
la  settimana,  sono  altre  note  sotto  il  ti- 
tolo Accademia.  —  Cavaliere  che  strac- 
cia dopo  VAccademia  il  libro  di  Con- 
clusioni  matematiche    inorridito   di 
quelle  cifre  —  Dama  o  cavaliere  invi- 
tati, radunati  e  dato  il  segno  del  tra- 
sferirsi, non  si  movono,  dicendo  che 
hanno  tempo  di  seccarsi  —  Alia  re- 
cita parlano,  gridano  —  Il  recitante 
si  dispetta  del  non  essere  ascoltato  — 
Stanno  più  attenti  alla  musica  —  Cer- 
can  di  fuggire  —  Termina  non  rima- 
nendovi più  di  cinque  o   sei  persone 
—   Quando   recita  il  figlio  dell'  invi- 
tante, i  padri  o  gli   amici   tacciono, 
salvo  a  ciarlare  quando  recita  il  figlio 
altrui.  È  manifesto  che  il  P.  avea  pau- 
sata e  pronta  la  materia  per  adeguare 
l'estensione  di  questo  a  quella  de'  poe- 
mi precedenti  e  che  era  materia  da  ri- 

Pabjsi  —  AvBta 


cevep  da  lui  mirabile  vivezza. 

350.  di  cocchi  freqnente,  denso,  popo- 
lato (frequens),  cf.  il  Mezzog.  893.  —  li 
corso,  ch'era  la  via  di  Porta  Renza  o 
orientale.  —  Splende:  vale  a  ritrarre  la 
ricchezza  dei  cocchi. 

351  sg.  Di  carrozze  che  vanno  al  corso 
risuonano  le  altre  vie. 

352-366.  Fiero  per...  :  altero,  superbo 
della  nuova  carrozza  scoperta,  un  gio- 
vine di  vecchia  casata  decaduta  che  gli 
ariti  campi  ha  dovuti  cedere  al  carra- 
dore, carrozzaio  (ai  carpentier).  —  de 
le  stese  gambe,  cioè  stendendole;  La 
snellezza,  ricorda  il  v.  67.  —  La  cono- 
scenza del  suo  merto,  il  sentimento  di  sé, 
esageratamente  grande  e  per  titoli  inani'. 
Avverti,  inavvertito  spesso  e  non  messo 
in  rilievo  dall'  interpunzione,  che  la  co- 
noscenza è  soggetto  non  solo  di  abbonda 
ma  delle  coordinate  arde  e  balena  e  si- 
gnoreggia; tanf  è  vero  che  nella  propos. 
susseguente  a  quest'ultima  torna  espres- 
so egli.  Ed  è  bello  che  sia  quest'intima 
convinzione  di  sé  stesso  a  uscire  come 
un  sorriso  su  le  labbra,  come  uno  sde- 
gno su  le  ciglia;  egli  intanto  compie 
atti  esteriori,  accessoria 

367-'76.  Quinci  Tìen  l'altro  che...:  uà 

10 


146  IL  VESPRO 


Dai  casali  pervenne,  e  già  s'  ascrive 
Al  concilio  de'  numi.  Egli  oggi  impai'a 

370        A  conoscere  il  vulgo,  e  già  da  quello 
Mille  miglia  lontan  sente  rapirsi 
Per  lo  spazio  de'  cieli.  A  lui  davanti 
Ossequiosi  cadono  i  cristalli 
De'  generosi  cocchi  oltrepassando, 

375        E  il  lusingano  ancor  perché  sostegno 
Sia  de  la  pompa  loro.  Altri  ne  viene 
Che  di  compro  pur  or  titol  si  vanta, 
E  pur  s'  affaccia,  e  pur  gli  orecchi  porge, 
E  pur  sembragli  udir  da  tutti  i  labbri 
880  Sonar  le  glorie  sue:  mal  abbia  il  lungo 

De  le  rote  stridore  e  il  calpestio 
De'  ferrati  cavalli  e  l'  aura  e  il  vento, 
Che  il  bel  tenor  de  le  bramate  voci 
Scender  non  lascia  a  dilettargli  il  core. 

885        Di  momento  in  momento  il  fragor  cresce 
E  la  folla  con  esso.  Ecco  le  vaghe 
A  cui  gli  amanti  per  lo  di  solenne 
Mendicarono  i  cocchi.  Ecco  le  gravi 
Matrone  che  gran  tempo  arser  di  zelo 

390        Contro  al  Bel  Mondo  e  dell'  ignoto  corso 
La  scelerata  polvere  dannaro. 
Ma  poi  che  la  vivace  amabil  prole 
Crebbe  e  invitar  sembrò  con  gli  occhi  Imene, 
Cessero  alfine,  e  le  tornite  braccia 


contadino  arriccliito.  —  oggi  impara  A.  è  resa  efficacemente  dall'insistenza  del- 
conoscere  il  Tolgo  ;  a  conoscerlo  come  1'  E  pur  ripetuto  tre  volte,  e  la  mortifi- 
cosa  distinta  da  sé,  in  quanto  fino  a  cazione  del  non  udire  è  dissimulata  co- 
oggi fu  volgo  anch'esso:  da  ciò  l'acer-  micamente  dall'imprecazione  mal  ab- 
bila del  soggiungere  che  già  si  sente  bia...,  quasi  dipenda  proprio  dal  romore 
portato  mille  miglia  lontan  da  quello  a  eh' è  intorno  s'egli  non  ode  sonar  le  glo- 
spaziare  nell'olimpo.  —  Osseaniosi...  :  la  rie  sue  e  non  in  vece  sia  perché  nessuno 
ragion  dell'ossequio  è  significata  subito  le  celebra. 

dopo.  —  De' generosi  cocchi:  generosus  3S6-'88.  Ecco  le  Taglie:  vedemmo   ne 

vale  di  buona  schiatta,  di  razza,  e  l'agg.  H  Matt.  216  lo  stesso  agg.  sostantivato  al 

è  trasferito  a  ogni  cosa  pertinente  al  maschile. 

soggetto  ;  ricorda  per  es.  il  «  patrizio  388-'97.  Ecco  le  gravi  Matrone  ...,  ri- 
calzar »,  il  Mezzog.  537. —  sostegno  Sia  corda  'le  adulte  matrone'  del  v.  219: 
de  la  pompa  lor,  li  aiuti  a  continuare  nel  qui  son  le  mamme  che  intervengono  al 
loro  lusso.  corso  perché  hanno  figliole  da  marito, 
376-'84.  iltrl  ne  Tiene...  :  il  titolato  di  e  prima  non  lo  frequentavano  e  ne  di- 
fresco e  a  prezzo;  ricorda  'i  compri  cevan  male.  —  Dei  nipoti  di  Giano,  an- 
onori  '  ne'  primi  versi  del  poema.  La  tichissimo  dio  italico  dal  quale  gì'  Itali 
sua  compiacenza  vogliosa  di  udire  al  si  tenner  discesi:  e  poiché  Giano  vedeva 
£uo  passaggio  il  suo  nome  e  il  suo  titolo  dinanzi  e  didietro,  era  cioè   singoiar- 


IL  VESPRO  147 


395        E  del  sorgente  petto  i  rugiadosi 

Frutti  prudentemente  al  guardo  aprirò 
Dei  nipoti  di  Giano.  Affrettan  quindi 
Le  belle  cittadine,  ora  è  più  lustri 
Note  a  la  Fama,  poi  che  ai  tetti  loro 

400        Dedussero  gli  dèi,  e  sepper  meglio 
E  in  più  tragico  stil  da  la  teletta 
Ai  loro  amici  declamar  l' istoria 
De'  rotti  amori,  ed  agitar  repente 
Con  celebrata  convulsion  la  mensa, 

405        II  teatro  e  la  danza.  Il  lor  ventaglio 
Irrequieto  sempfe-  or  quinci  or  quindi 
Con  variata  eloquenza  esce  e  saluta. 
Convolgonsi  le  belle  :  or  su  1'  un  fianco, 
Or  su  l' altro  si  posano,  tentennano, 

410        Volteggiano,  si  rizzan,  sul  cuscino 
Ricadono  pesanti,  e  la  lor  voce 
Acuta  scorre  d' uno  in  altro  cocchio. 
.  Ma  ecco  alfin  che  le  divine  spose 
De  gl'italici  eroi  vengono  anch'esse. 

415        Io  le  conosco  ai  messagger  volanti 

Che  le  annuncian  da  lungi,  ed  urtan  fieri 
E  rompono  la  folla  ;  io  le  conosco 
Da  la  turba  de'  servi,  al  vomer  tolti 
Perché  oziosi  poi  di  retro  pendano 

420        Al  carro  trionfai  con  alte  braccia. 

Male  a  Giuno  ed  a  Pallade  Minerva 

401.  da   la   toilette  —  415.  messaggier 


mente  veggente,  trattandosi  qui  di  obietti  zione,  ritraendo  insieme  lai  mancanze 

lasciati  discretamente  intravedere  (prn-  di  contegno, 

dentemente  al  guardo  aprirò),  la  frase  413-'20.  Ma  ecco  alflnche  ledirlne  spo- 

staforseasigniflcareigiovani  chelianuo  se  De  gl'Italici  eroi...:  le   grandi   pa- 

a  certe  cose  buoni  occhi.   Il  P.  annotò  trizie.  Alla  solenne  intonazione  del  primo 

semplicemente:  Giatio  si  vuole  che  sia  distico  succede  efHcacissimo  quell'Io  le 

stato  il  patriarca  degV  Italiani.  conosco...,  ripetuto  duo   volte:  pare   lo 

397-412.  Affrettai!  quindi  Le  belle  cit-  squillo  che   saluta  le  vere  signore  del 

tadlne...,  venute  in  fama  alquanti  anni  campo.  Ma  la  satira  non  manca  mai  e 

innanzi  per  nobili   amori,  —  ai  tetti  segue  passo  passo:  la  sentiamo  in  quei 

loro  Dedussero  gli  dèi,  classico   (infatti  niessagger  volanti  che  nrtan  Aeri  E  roni- 

puoi  tenerlo  in  lat.  tal  quale  'in   sua  pono  la  folla,  in  quella  tnrba  di  serri  al 

tecta  Deduxere  deos'),  cioè  trasser  giù  vomer  tolti...    Nota  che  mutando  co- 

dall' Olimpo.  —  Convolgonsi;  dice  bene  strutto  dice   Da  la  turba  e  non  più  A 

il  voltarsi  di  qua  e  di  là  con   tutta  la  la  turba  perché  segue  al  vomer. 
persona,  e  i  molti  particolari  soggiunti  421-''26.  «  I  due  ordini,  che  già  si  con- 

reudono  una  certa  esuberante  anima-  tendono  il  presente  e  1'  uno  agogna  al 


148  IL  VESPRO 


E  a  Cinzia  e  a  Citerea  miscliiarvi  osate 
Voi  pettorute  Naiadi  o  Napèe, 
Vane  di  picciol  fonte  o  d'  umil  selva 

425        Che  agli  Egipani  vostri  in  guardia  diede 
Giove  dall'  alto.  Vostr'  incerti  sguardi, 
Vostra  frequente  inane  maraviglia, 
E  r  aria  alpestre  ancor  de'  vostri  moti. 
Vi  tradiscono,  ahi  lasse,  e  rendon  vana 

430        La  multiplice  in  fronte  ai  palafreni 
Pendente  nappa  eh'  usurpar  tentaste, 
E  la  divisa  onde  copriste  il  mozzo 
E  il  cucinier  che  la  seguace  corte 
Accrebber  stanchi,  e  i  miseri  lasciaro 

435        Canuti  padri  di  famiglia  soli 

Ne  la  muta  magion  serbati  a  chiave. 
Troppo  da  voi  diverse  esse  ne  vanno 
Ritte  negli  alti  -cocchi  alteramente, 
E  a  la  turba  volgare  che  si  prostra 

440        Non  badan  punto:  a  voi  talor  si  volge 
Lor  guardo  negligente,  e  par  che  dica: 
Tu  ignota  mi  sei;  o  nel  mirarvi 
Col  compagno  susurrano  ridendo. 

425.  Egipani  CI. ,  C.  (B.    con  la  stampa  e  con  l'ed.  R,  non  accenta) 


possesso  dell' avvenire,  con  quanta  forza  ria  Teresa  aveva  decretato  che  solo  le 

d'osservazione  scrutatrice  sono  posti  di  gentildonne  e  i  magistrati   con  titolo 

fronte  l'uno  all'altro  nelle  donne  !»  Card.,  d'eccellenza  potesser  ornare  di  nappe  i 

259).  —  Che  .igli  Egipani  Tostri... :  tolta  cavalli»  (M.).  E  (s'intende  ancora  ren- 

l'imagine,  pare  voglia  dire  «  che  tra(?te  don  vana)  la  dirisa...  :  per  avere  an- 

superbia  dagli  uffici  conferiti  ai  mariti  ch'esse  i  servi  ritti  in  piedi  dietro  la 

vostri  dal  sovrano  ».  Cfr.  il  Mezzog.  *2S.  carrozza,  queste  tali  mettevan  la  livrea 

Male  in  talune  edizioni  Egipani  prese  ac-  al  moz^o  di  stalla  e  al  cuoco   (avverti 

cento  di  sdrucciolo,  contro  ogni  ragione  l'efficacia  di  stanehi  cosi  collocato);  e 

quantunque  il   Redi  abbia   esempio   di  cosi  se' e' era  in  famiglia  un  povero  vec- 

tale  abuso,  B.  in  Tose.  405:  chio  (probabilm.  il  P.   sapeva  qualche 

caso),  restava  solo,  chiuso  in  casa. 


E  l'ebre  Alenadi 
E  i  lieti  Egipani. 


437-'43.  Compendia  il  contrasto  a  ciò 
che  fu  introdotto  col  v.  421  Male  a  Giù- 
426-'36.  La  sicurezza  dello  sguardo,  no...  e  svolto  coi  periodi  seguenti,  e  chiu- 
il  non  mostrar  maraviglia,  il  moversi  de  la  rappresentazione  con  la  fiera  alter- 
agevolmente  sono  i  segni  dell'abitudine,  nativa  del  gaardo  negligente  che  dice  Tn 
opposti  a  quelli  dell' inesperta  novità  in  ignota  mi  sei  (avverti  la  forza  del  Ta 
uno  stato,  qui  molto  felicemente  espres-  staccato  da  ignota,  non  elidendosi)  o  del 
si:  del  marito  d' una  di  queste  novel-  guardare  sogghignando  e  parlando  bas- 
tine dirà  ne  la  Nott.  584  «Gli  atti  egli  so  al  compagno.  «In  questo  scontro 
accenti  ancor  serba  del  monte  ».  —  e  di  donne  »,  conchiude  il  Carducci,  «  è 
rcudou  vana,  fanno  che  non  basti,  La  l'urto  di  due  secoli,  l'un  contro  Valtro 
mnltiplice ch'usurpar  tentaste:  «Ma-      armato.    La   borghesia  resta    ancora 


IL  VESPRO  149 


Le  giovinette  madri  degli  eroi 

445        Tutto  empierono  il  corso,  e  tutte  han  seco 
Un  giovinetto  eroe,  o  un  giovin  padre 
D'altri  futuri  eroi,  che  a  la  teletta, 
A  la  mensa,  al  teatro,  al  corso,  al  gioco 
Segnaleransi  un  giorno,  e  fìen  cantati, 

450        S'io  scorgo  l'avvenir,  da  tromba  eguale 
A  quella  che  a  me  diede  Apollo,  e  disse: 
€  Canta  gli  Achilli  tuoi,  canta  gli  Augusti 
Del  secol  tuo  ».  Sol  tu  manchi,  o  pupilla 
Del  più  nobile  mondo  ;  oi*a  ne  vieni  ; 

455        E  del  rallegrator  dell'universo 

Rallegra  or  tu  la  moribonda  luce. 
Già  tarda  alla  tua  dama,  e  già  con  essa 
Precipitosamente  al  corso  arrivi. 
Il  memore  cocchier  serbi  quel  loco 

460        Che  voi  dianzi  sceglieste,  e  voi  non  osi 
Tra  le  ignobili  rote  al  vulgo  esporre, 

447.  che  a  la  toilette  —  449.  Segneleransi  l'ed.  del  H.  e  il  C.  ma  non  può  esBere  che 
scorrezione.  —  455.  K  del  rallegratore  de  le  cose  —  457.  Già  d'uutuosa  polvere  novella 
Di  propria  man  la  tabacchiera  empisti  A  la  tua  Dama  e  di  novelli  odori  II  cristallo  do- 
rato ;  ed  al  suo  crine  La  bionda  che  svanio  polve  tornasti  Con  piuma  dilicata;  e  adatto 
al  giorno  Le  scegliesti  '1  ventaglio  [c/r.  il  testo  ai  versi  43-Jfì]:  al  pronto  cocchio  Di 
tua  niau  la  guidasti,  e  già  con  essa  Precipitosamente  —  401.  esporre  al  vulgo  (C.) 


schiacciata:  ma  che  vendetta  nel  pros-  del  poema»  non  s'erano  innanzi  veduti 

Simo  avvenire !».  I  vv.  438-40  fanno  ri-  se  non  «i  due  esemplari,   maschio  e 

cordare  il  Matt,  636  «le  matrone,  Che  femmina,  nello  svolgimento  loro  iudivi- 

da'  sublimi  cocchi  alto  disdegnano  Chi-  duale  e   ne'  contrasti  coi  gruppi  vicini 

nar  lo  sguardo  a  la  pedestre  turba».  domestici»:  ma  ecco  che  *  nel  corso... 

444-"53.  Tutte  le  giovani  coppie,   ap-  la  nobile  coppia  è  atomo  essa,  e  viene 

paiate  secondo  Amore  e  non  secondo  da  ultimo:  l'appresentazione  la  società 

Imene,  s'intende,  cioè  di  Giovini  signori  stessa,  la  compagnia,  la  casta...».  —  E 

e  di  pudiche  spose  altrui,  sono  nel  corso.  del  raliigrator  dell'  unircrso  Rallegra...: 

La  denominazione  insistente  di  croi  ha  richiamo,  in  maniera  non  indegna  (nota 

infinedeterminatoilcampodell'eroismo:  bellezza  dell'ultimo   verso),  dell' K  pur 

futuri  eroi  clie  a  la  teletta...  Segnaleransi  che  brami  Rivederti,  o  Signor,.... 
«n  giorno;  e  flen  cantati....,  quasi  una  457  sg.   Già  tarda  alla  tua  dama,  ar- 

conseguenza  ;   e   però   meriteranno   un  rivare  al  corso. 
poema  epico  simile  a  questo  mio.  459-165.  11  memoro  cocchier,  avver- 

452.  Cf.  -il  Matt.  269.  timmo  altrove,  il  Mezzog.  677,  che  il  P. 

453-'56.  .Sol  tu  manchi,  o  pupilla  Del  usa  di  raro  quella  posizione  che  oggi  è 
pid  nobile  mondo:  il  Giovin  signore,  c/em-  usitata  per  i  predicativi  {memore  il  coc- 
ma  degli  eroi,  atteso  a'  suoi  pietosi  gen-  Ghiere),  lasciando  che  tale  significato 
tili  uffici,  e  al  quale  si  conviene  arri-  risulti  dal  contesto.  —  memore,  degli  or- 
vare  soltanto  quando  la  frequenza  e  dini  prima  ricevuti.  —  e  toì  non  osi  ecc., 
l'animazione  sono  al  colmo.  Osservò  il  ed  oltre  scorra  ecc.,  specificano  parti- 
Carducci  (p.  257)  come  «  della  società  colarmente  la  contenenza  generica  di 
feudale  aristocratica,  che  è  il  soggetto  serbi  quei  loco  Che  toì  dianzi  sceglieste: 


150  IL  VESPRO 


Se  star  fermi  a  voi  piace,  ed  oltre  scorra, 

Se  di  scorrer  v'  aggrada,  e  ai  guardi  altrui 

Spiegar  gioie  novelle  e  nuove  paci 
465        Che  la  pubblica  fama  ignori  ancora. 

Né  conteso  a  te  fia  per  brevi  istanti 

Uscir  del  cocchio,  e  sfolgorando  intorno, 

Qual  da  repente  spalancata  nube. 

Tutti  scoprir  di  tua  bellezza  i  rai, 
470        Nel  tergo,  ne  le  gambe  e  nel  sembiante 

Simile  a  un  dio  ;  poiché  a  te,  non  meno 

Che  all'  altro  semideo.  Venere  diede 

E  zazzera  leggiadra  e  porporino 

Splendor  di  gioventù,  quando  stamane 
475        A  lo  speglio  sedesti.  Ecco,  son  pronti 

Al  tuo  scendere  i  servi.  Un  salto  ancora 

Spicca,  e  rassetta  gì'  increspati  panni 

E  le  trine  sul  petto  ;  un  po'  t' inchina  ; 

Ai  lucidi  calzari  un  guardo  volgi  ; 
480        Ergiti,  e  marcia  dimenando  il  fianco. 

O  il  corso  misurar  potrai  soletto, 

462.  vi  piace  —  463.  v'  aggrada.  Uscir  del  cocchio  Ti  fia  lecito  ancor.  T'accolgan 
pronti  Allo  scendere  i  servi.  Ancora  un  salto  Spicca,  e  ra89etta  i  rincrespati  panni, 
(con  ciò  Siam  già  a  quello  che  qui  è  il  v.  477).  —  465.  publica  CI.  —  471.  a  un  Dio  CI. 
col  R.  a  un  nume  C.  a  un  Dio  ;  poi  che  a  te  B.  —  479.  Ed  ai  lievi  calzari  —  481. 
Il   Corso 


in  quanto  l'ordine  può  essere  stato,  o  Nota  Vos  humerosque  com"  è  tra.m\it2Lto 
di  fermarsi  a  un  dato  punto  senza  en-  dal  P.  e  ampliato  con  ne  le  gambe  !  —  pol- 
trare  tra  la  folla  delle  carrozze,  o  in-  che  a  te  non  meno  Che  all'altro  semideo 
vece  di  trottare  pe  '1  corso  se  e'  è  qual-  Venere  diede  :  a  Enea.  Dal  luogo,  onde 
elle  novità  da  sfoggiare.  ha  tratto  la  frase  innanzi,  il  p.  trae  an- 
466-''75.  Ne'  conteso  a  te  fla  ...  :  nel  caso  che  l'accostamento  dei  due  personaggi, 
che  la  carrozza  stia  ferma  a  un  luogo  A  cui  segue  poi  in  cauda  venenum, 
designato  ;  cf.  vv.  487-'91.  —  Qnal  da  re-  cioè  nelle  ultime  parole  la  satira:  i  doni 
pente  spalancata  nube:  da  nube  che  dirada  di  Venere  sono  la  parrucca  e  i  colori 
improvviso;  imagine  presa  dai  poemi  posticci.;  cfr.  299  «  il  ciuffo  e  i  ricci  Si 
omerici,  ove  gli  dèi  e  gli  eroi  cari  agli  ben  fiuti  stamane  ». 
dèi  secondo  opportunità  sono  avvolti  di  476  sg.  Un  salto  ancora  Spicca...  :  per- 
nuvola  o  ne  emergono  a  un  tratto.  —  che  ancora  ?  O  come  ultimo  de'  movi- 
Nel  tergo  ne  le  gambe  e  nel  sembiante  menti  dello  scendere,  o,  meglio,  ricor- 
Simile  a  un  dio:  omerico  e  virgiliano  dando  altri  salti  che  il  p.  è  venuto  fa- 
anche  questo.  E  per  questi  vv.  567-'71  il  cendo  spiccare  al  suo  eroe:  cf.  il  Mez- 
P.  avea  precisamente  innanzi  quelli  di  ~og.  256  «  in  pie  d'un  salto  Alzati  »,  353 
Virgilio,  Aen.  i  586:  «un  bel  salto  Spicca»  e  1031  «in  pie 

d'un  salto  Balza  ».  E  questo  tratto,  ricor- 

...  circumfusa  repente  diamo,  facea  parte  de  '1  Mezzogiorno. 

Sciudit  se  nubes  et  in  aethera  P"rgat^aper-  ^gj_gj_  g^^^^^  ^  passeggia  O  va  a  sa- 

Restitit  Acneas  claraque  in  luce  refulsit  '  lutar  le  signore.  —  inerpicarti,  come  bi- 

Os  bumerosque  deo  similis.  sognava   per  l'altezza  delle    carrozze 


IL  VESPRO  151 


Se  passeggiar  tu  brami,  o  tu  potrai 

Dell'  altrui  dame  avvicinarti  al  cocchio, 

E  inerpicarti,  ed  introdurvi  il  capo 
485        E  le  spalle  e  le  braccia,  e  mezzo  ancora 

Dentro  vei'sarte.  Ivi  salir  tant'  alto 

Fa  le  tue  risa,  che  da  luuge  le  oda 

La  tua  dama,  é  si  turbi  ed  interrompa 

Il  celiar  degli  eroi  che  accorser  tosto 
490        Tra  il  dubbio  giorno  a  custodirla,  intanto 

Che  solinga  rimase.  0  sommi  numi, 

Sospendete  la  Notte,  e  i  fatti  egregi 

Del  mio  Giovin  Signor  splender  lasciate 

Al  chiaro  giorno.  Ma  la  Notte  segue 
495        Sue  leggi  inviolabili,  e  declina 

Con  tacit'  ombra  sopra  1'  emispero  ; 

E  il  rugiadoso  pie  lenta  movendo, 

Rimescola  i  color  vari  infiniti, 

E  via  gli  sgombra  con  l' immenso  lembo  - 
500        Di  cosa  in  cosa  ;  e  suora  de  la  morte, 

Un  aspetto  indistinto,  un  solo  volto 

Al  suolo,  ai  vegetanti,  agli  animali. 

Ai  grandi  ed  a  la  plebe  equa  permette  ; 

E  i  nudi  insieme  e  li  dipinti  visi 
505        De  le  belle  confonde,  e  i  cenci  e  l'oro: 

482.  S'arai  di  passeggiare  ;  anco  potrai  —  484.  et  introdurvi  '1  —  486.  versarti.  Ivi 
sonar  —  487.  gli  oda  —  490.  Tra  '1  —  iW  sg.  a  custodir  la  bella  Che  solinga  lasciasti. 
—  499.  gli  spazza        li  spazza  C.  —  504.  ed  i  dipinti  (C.) 


mozzo  ancora  Dentro  Tersane,  iu  caso  che  qui  proprissimo  a  rendere  quello  smor- 
o  la  Oonna  o  il  discorso  ti  mova  a  più  zarsi  e  confondersi  de'  colori,  che  pre- 
avvicinarti.  E  qui  le  grandi  risate  —  cede  l'oscurità.  —  vari  infiniti:  Leop. 
cosi  disformi  dalla  squisitezza  delle  ma-  Palin.  173  «varia,  inlinita  una  fami- 
uiere  —,  e  da  lungi  il  turbamento  della  glia  Di  mali  immedicabili».  —  via  gli 
dama  a  udirle.  sgombra  con  l'immenso  lembo  Di  cosa  in 

491-94.  Le  parole  del  v.  innanzi   tì'a  osa:  e  qui  bella  assai  era  la  1'  lez.  gli 

il   dubbio  giorno  cioè    nel  crepuscolo  spazza  che  il  Cantù   ripose  annotando 

hanno  già  inclusivamente  ammonito  elle  «Ecco  una  delle  parole  comuni  abbel- 

frattanto  la  sera  è   avanzata.  Ed  ecco  lite;  sicché  il  Foscolo  se  ne  valse  a  giii- 

un'  invocazione  agli  dèi  che  indugino  la  stiflcar  quel  suo  {i  Sep.  231  sg.).  «  Il  tem- 

notte:  tratto  efficacissimo,  inspirato  for-  pò  con  sue  fredde  ale  vi  spazza  Fin  le 

se  da  ricordi  epici,  là  dove  a  punto  rovine»;  pure  i  manoscritti  surrogano 

spesso  si  lamenta  il  sopravvenire  della  sfiromùra».  L'opposto  effetto,  quando  cioè 

notte  in  quanto  vela  le  azioni  degli  eroi.  la  luce  torna,  è  neh'  inno  la  Pentec.  già 

494-505.  Versi  di  perfetta  bellezza,  in  cit.  a  pag.  82.  —  suora  de  la  morte,  perché, 

cui  l'imagine  e  il  fatto,  la  poesia  e  la  come  dice  appresso,  una  e  uguale  eoa 

verità  si  armonizzano  nel  tutt' insieme,  tutti.  La  notte  ragguagliata  alla  morte 

—  Bimescolu,  che  parrebbe  volgare,  è  può  richiamare  lo  stupendo  sonetto  fo- 


152 


IL  VESPRO 


510 


Né  veder  mi  concede  all'  aer  cieco 
Qual  de'  cocchi  si  parta,  o  qual  rimanga 
Solo  all'  ombre  segrete  ;  e,  a  me  di  mano 
Tolto  il  pennello,  il  mio  Signore  avvolgo 
Per  entro  al  tenebroso  umido  velo. 


606.  aere  col  R.  tutti  —  509.  Toglie  il  pennello;  e  il  mio  9.  a. 


scoliano  «Forse  perché  de  la  fatai  quiete 
Tu  sei  rimago,  a  me  si  cara  vieni,  O 
sera...  ».  Tegetanti,  vegetali,  cou  desi- 
nenza più  eletta  ;  cfr.  la  var.  animanti, 
ne  V  3Iezz.  249.  —  eqna,  inchiude  inten- 
zionalmente il  senso  di  «  giusta  »,  ma 
suona  «  eguale  »  :  cosi,  aequo  pede  la 
morte  va  alle  reggie  e  a'  tugùri. 

506-*10.  Ne'  veder  mi  concede...   Si  di- 


rebbe che  con  queste  parole  il  p.  preoc- 
cupi e  prepari  l'occasione  di  andar  poi 
cercando,  come  farà  nel  poemetto  ul- 
timo, il  suo  Signore  che  qui  ha  perso 
di  vista.  Non  è  bisogno  di  avvertire  la 
bellezza  della  chiusa.  —  all'aer  (cosi  la 
stampa  1765,  ed  è  miglior  bisillabo  che 
aere)  cieco,  ricorda  il  dautesco  l' aer 
bruito. 


10 


LA    NOTTE 


Né  tu  contenderai,  benigna  Notte, 

Che  il  mio  Giovane  illustre  io  cerchi  e  guidi 
Con  gli  estremi  precetti  entro  al  tuo  regno. 

Già  di  tenebre  involta  e  di  perigli 
Sola  squallida  mesta  alto  sedevi 
Su  la  timida  terra.  11  debil  raggio 
De  le  stelle  remote  e  de'  pianeti 
Che  nel  silenzio  camminando  vanno 
Rompea  gli  orrori  tuoi  sol  quanto  è  d'uopo 
A  sentirli  vie  più.  Terribil  ombra 
Giganteggiando  si  vedea  salire 


2.  Che  il  mio  Giovla  Signore  V.  —  8.   passeggiau'lo  V. 


1.  Né  tu...  Cf.  U  Vesijr.  1  e  la  nota. 
Puoi  ricordare  tra  gli  ess.  Virgilio  Gè. 
Ili  1  «Te  quoque,  magna  Pales,  et  te 
memorande  canemus  Pastor  ab  Am- 
phryso  »,  e,  de'  lirici,  Foscolo  sou.  a  Fi- 
renze «  E  tu  ne'  carmi  avrai  perenne 
vita.  Sponda  che  Arno  saluta  in  suo  cam- 
mino...». 

2.  io  cerchi  e  gnidi:  per  quanto  illu- 
stre, gli  convien  cercarlo  tra  l'ombra; 
cf.  i  versi  69-76. 

3.  Con  gli  estremi  precetti:  ultimi.  Virg. 
Bmc.  X  1  «Extremum  huuc.laborem», 
V  ultimo  lavoro. 

4-28.  «  Per  effetto  poetico  immediato, 
la  desci'izione  della  notte  resta  unica. 
È  un  vero  presentimeuto  del  romantici- 
smo... Onde  attinse  tale  presentimento 
il  Parini  ?  Non  da  letture,  certo,  ma  dal- 
l' intuizione  accesa  del  reale,  da  ricordi 
de'  primi  anni  in  Brianza  e  nella  me- 
dieval montagna  di  Como.  Certo,  la  ve- 


rità viva  e  palpitante  di  cotesta  descri- 
zione colpisce  più  che  non  tutte  le  bal- 
late romantiche:  è  indimenticabile  .... 
I^rimo  momento  :  impressione  dalle  li- 
nee generali,  austera  concisa  desolante 
(Già  di  tenebre...  Su  la  timida  terra). 
Secondo  momento  :  dall'alto  in  basso. 
La  quiete  solitaria  e  muta,  sentita  e  resa 
in  due  versi  che  lian  del  divino,  si  va 
perdendo  nell'avvicinare  la  terra  (Il  de- 
bil raggio...  A  sentirli  vie  più).  Terzo 
momento  :  dal  basso  in  alto.  Passaggio 
e  trasformazione  del  vero  nel  fantastico 
pauroso.  Come  lungo  il  v.  11  con  l'emi- 
stichio avanti  !  come  determinato  il  12  ! 
come  pieno  de'  germi  della  paura  il  13  ! 
(Terribil  ombra...  seminate  al  piede). 
Quarto  momento,  la  paura:  in  tre  par- 
ticelle. Motivi  della  paura,  all'  udito  ; 
motivi  della  paura,  alla  vista;  due 
versi  rispondenti  a  due  versi,  incerti 
i  primi,  mobili  i  secondi;  il  16  «  il  19 


154  LA  NOTTE 


Su  per  le  case  e  su  per  l'alte  torri, 

Di  teschi  antiqui  seminate  al  piede; 

E  ùpupe  e  gufi  e  mostri  avversi  al  sole 
16        Svolazzavan  per  essa,  e  con  ferali 

Stridi  portavan  misei-andi  augurj  : 

E  dal  terreno  lievi  e  smorte  fiamme 

Di  su  di  giù  vagavano  per  1'  aere 

Orribilmente  tacito  ed  opaco  ; 
20        E  al  sospettoso  adultero  che  lento 

Col  cappel  su  le  ciglia,  e  tutto  avvolto 

Nel  mantel,  se  ne  già  con  1'  armi  ascose, 

Colpieno  il  core  e  lo  strignean  d'  affanno. 

E  fama  è  ancor  clie  pallide  fantasime 
25        Lungo  le  mura  dei  deserti  tetti 

Spargean  lungo  acutissimo  lamento 

Cui  di  lontan  per  entro  al  vasto  buio 

I  cani  rispondevano  ululando. 
Tal  fusti,  o  Notte,  allor  che  gì'  inclit'  avi, 
30        Onde  pur  sempre  il  mio  Garzon  si  vanta, 

Eran  duri  ed  alpestri,  e  con  1'  occaso 

14.  Upupe  e  gufi  B.  —  17.  lievi  dal  terreno  e  smorte  (CI.,  C.  col  R.)  Dopo  il  v. 
quale  ho  seguito,  (giusta  la  comunicaz.  del  Salveraglio  al  M.)  e'  è  di  pia  il  seg.  Sor- 
geano  in  tanto,  e  quelle  smorte   fiamme  —  22.  Entro    al    manto  san  già   V.  —  23.  Col- 


piano  V.  —  27.  di  lontano  per'lo  vasto 


di  grand' estensione  e  comprensione  si  tura  ducere  voces  »  e  xii  863  «  Quae  [ales] 
di  suoni  SI  di  termini.  La  terza  è  de-  quondam  in  bustis  aut  culmiuibus  de- 
gli effetti  morali:  versi  di  suoni  incerti  sertis  Nocte  sedens  serum  canit  impor- 
e  interrotti,  poi  tardi  e  gravi.  (E  ùpupe  tuna  per  umbras  ». 

e  gufi e  lo   strignean  d'affanno).  21-28.    pallide    fantasime...:    ricorda 

Quinto  momento.  Il  fantastico  pauroso  Virgilio  Gè.  i  470  sgg.,  specialm.  «etsi- 

piglia  al  fine  nelle  menti  sbigottite  par-  mulacra  modis  pallentia  miris  Visa  sub 

venze  soprannaturali,  in  versi  d' armo-  obscurum  noctis  »,   poi  «  et  aitae  Per 

iiia  prima  ondulante  poi  acuta  e  fedente  noctem  resonare  lupis  ululantibus    ur- 

(E  fama  è  ancor....  acutissimo  lamen-  bes  ».  E  altri  luoghi  virgiliani  si  potreb- 

to).  Si  ritorna  al  naturale  con  la  sensa-  ber  trascrivere,  di  cui  è  derivato  qui  al- 

zioue  del  buio  e  della  lontananza  {Cui  cuno  elemento;  di  memoria,  ben  inteso, 

di  lontan ....  ululandb).   La  fine  della  e  compenetrato   nella  nuova    imagina- 

visione  risponde  al  principio,  semplice  zione.  Questa  notte  medievale  romantica 

indeterminata  e  concisa  più  anche  d'idee  è  stupendamente  classica:  che  cosa  più 

che  di  parole»  (Carducci,  332-'3J).  stupendamente  romantico  dei  classici  a 

11-16.  E  lipiipe  e  gnB...  :  il  Foscolo  ne'  certi  luoghi  ? 
Sep.  «  L'upupa  svolazzar  su  per  le  croci  31  sg.  con  l'occaso  Cadean...  al  sonno 
Sparse  per  la  funerea  campagna»  ri-  in  preda:  cfr.  il  Malt.  56  «col  cadente 
cordò  apertamente  il  luogo  pariniano  e  Sol...»,  e  qui  nota  la  figura  gramma- 
ne  serbò,  che  non  è  esatto,  il  nome  di  ticale;  decedente  die,  riposavano  an- 
ùpupa  a  un  uccello  notturno.  Virg.  Aeu.  ch'essi,  il  che  vuol  dire  che  vivevano 
IV  462  «  Solaque  culminibus  ferali  car-  conforme  a  natura,  come  poi  solo  i  la- 
mine bubo  Saepe  queri  et  longas  in  fle-  voratori. 


LA  NOTTE  155 

Cadeau  dopo  lor  cene  al  sonno  in  preda, 

Fin  che  l'aurora  sbadigliante  ancora 

Li  richiamasse  a  vigilar  su  l' opre 
35        De  i  per  novo  cammin  guidati  rivi 

E  su  i  campi  nascenti,  onde  poi  grandi 

Furo  i  nepoti  e  le  cittadi  e  i  regni. 
Ma  ecco  Amore,  ecco  la  madre  Venere, 

Ecco  del  gioco,  ecco  del  fasto  i  Geni, 
40        Che  trionfanti  per  la  notte  scorrono. 

Per  la  notte  che  sacra  è  al  mio  Signore. 

Tutto  davanti  a  lor,  tutto  s'irradia 

Di  nova  luce.  Le  nimiche  tenebre 

Fuggono  riversate,  e  1'  ali  spandono 
46        Sopra  i  covili  ove  le  fere  e  gli  uomini 

Da  la  fatica  condannati  dormono. 

Stupefatta  la  notte  intorno  vedesi 

Riverberar,  più  che  dinanzi  al  sole. 

Auree  cornici  e  di  cristalli  e  spegli 
60        Pareti  adorne  e  vestimenti  vari, 

E  bianche  braccia,  e  pupillette  mobili, 

E  tabacchiere  preziose,  e  fulgide 

Fibbie  ed  anella,  e  mille  cose  e  mille. 

Cosi  r  eterno  caos,  allor  che  Amore 
65        Sopra  posovvi  e  il  fomentò  con  1'  ale, 

Senti  il  generator  moto  crearsi. 

Senti  schiuder  la  luce,  e  sé  medesmo 

Vide  meravigliando,  e  i  tanti  aprirsi 

Tesori  di  natui-a  entro  al  suo  grembo. 

35.  De'  V.  —  37.  nipoti  V.  —  43  ag.  Le  inimiche  t.  F.  rovesciate  V.  —  46.  A  la 
fatica  C.  —  50-53.  Pareti  adorne  e  vesti  varie  e  bianchi  Omeri  e  braccia  e  pupillette 
mobili  E  tabacchiere  preziose  e  fulgidi  Monili  e  gemme  e  mille  cose  e  mille.  V.  (B.,  C.) 
—  55.  e  l'adombrò  V.  —  56.  crearse  (CI.,  C.)  —  58.  e  tanti  aprirse  (CI.,  C.)  e  tanti 
aprirsi  B.  e  i  novi  aprirse  V. 


38-59.  Dopo  la  notte qual  fu  (vv. 4-28),  Da  la  fatica  condannati:  gli  uomini  non 

la  notte  qual  è;  dopo  quella  degli   avi,  sono  i  semidei,  anzi  si  pospongono  an- 

tenebrosa  e  paurosa,  quella  de'  nipoti,  che  a  le  fere.  Nota  Da  la  fatica,  non  A 

luminosa  e  gioconda.  E  il  tratto  è  ani-  la  fatica:  cfr.   il  Mezz.  23  «Dominati 

mato  da  briosa  vivacità,  d'imagini  e  di  dal  tempo  ». 

suoni:  notevole   l'uso  e  l'effetto  degli  47  sgg.  Stupefatta  la  notte  ...  Virgilio, 

sdruccioli.  Gè.  ii  82,  dice  dell'albero  selvatico  eh'  è 

43  sg.  Le  nimiche  tenebre  Fuggono  ri-  innestato  «  Miraturque  novas  frondes  et 

versate  :  o  rovesciate,  cioè  vinte  e  cac-  non  sua  poma  ».   Della  stessa  guisa  è 

ciate  violentemente  indietro.   Ricordati  questo  maravigliarsi,  stupirsi  della  not- 

le  onde  spezzate,  rovesciate  dai  potenti  te,  che  vede  intorno  tanta  luce  e  tanto 

ripari,  il  Mezzog.  888.  luccichio. 

45  sg.  i  covili  ore  le  fere  e  gli  uomini  51-59.  Il  caos,  eterno  cioè  che  era  da 


156 


LA  NOTTE 


60 


65 


70 


O  de' miei  studi  generoso  alunno, 

Tu  seconda  me  dunque,  or  eh'  io  t' invito 
Glorie  novelle  ad  acquistar,  là  dove 

0  la  veglia  frequente  o  1'  ampia  scena 

1  grandi  eguali  tuoi,  degna  degli  avi 
E  dei  titoli  loro  e  di  lor  sorte 

E  dei  pubblici  voti,  ultima  cura, 
Dopo  le  tavolette  e  dopo  i  prandi 
E  dopo  i  corsi  romorosi  aduna. 
Ma  dove  abi!  dove  senza  me  t'aggiri. 
Lasso!  da  poi  che  in  compagnia  del  sole 
T'involasti  pur  dianzi  agli  occhi  miei? 


60.  glorioso  V.  —  61  sgg.  t'invito  Colmo  di  glorio  ad  ottener  là  dove  V.  m'innoltro 
Per  li  varj  spettacoli  notturni,  E  vo  segnando  a  te  1'  ultime  norme  Che  compiaa  tua 
magnanima  carriera.  V.  —  64.  degni  degli  avi  C.  —  68.  1  corsi  clamorosi  occupa.  (CI.) 
clamorosi  aduna.  B.,  C.  —  69.  Or 


infinito,  buio  e  cieco,  fatta  la  luce,  vide 
per  la  prima  volta,  e  però  meraTìgUando, 

sé  stesso,  poi  vide  uscire  da  sé  tutte  le 
bellezze  e  gli  splendori  dell'universo, 
nella  cui  ordinata  produzione  esso  ve- 
niva a  cessare.  La  sproporzione  del  raf- 
fronto tra  l'universo  ch'esce  dal  caos  e 
della  notte  eh'  è  stenebrata  dall'eleganza 
è  manifesta  e  secondo  i  modi  ironici 
consueti  all'autore.  —  il  fomentò  con 
l'ale  (fovit),  viene  a  dire  «  covò  »,  e  l'ima- 
gine,  pure  in  un  luogo  non  intimamente 
serio  ma  in"  servigio  dell'ironia,  non 
dovè  finir  di  piacere  al  P.  ;  ma  la  var. 
e  Vadombrò  ognun  sente  che  qui  suo- 
nerebbe importuna. 

60.  Può  intendersi  «  illustre  discepolo 
delle  materie  che  io  insegno  »,  ma  an- 
che, e  forse  meglio  per  l' intimo  sapore 
classico  della  frase,  «  o  nobile  allievo 
delle  mie  cure  ». 

63-68.  0  la  Teglia  frequente  o  l'ampia 
scena,  0  la  conversazione  (per  l'agg.  cf. 
il  Vespr.  350)  o  il  teatro;  le  due  parti 
che  dovean  comporre  questo  poemetto, 
e  di  cui  solo  è  fatta  la  prima.  Più  bella 
è  la  frase  e  meglio  determinata  che  nel- 
l'altra lez.  li  varj  spettacoli  notturni, 
che  pure  tornan  sempre  a  quelli  annun- 
ciati nel  Matt.  65  «  le  veglie  e  le  canore 
scene  E  il  patetico  gioco».  È  detta  ul- 
tima cura,  cioè  ultima  del  giorno;  essa 
è  l'occupazione  della  notte,  come  del 
mattino  la  toilette,  del  mezzogiorno  il 
pranzo,  della  sera  il  corso,  —  degna  de- 


gli avi  E....:  apposizione  anticipata  a 
ultima  cura;  adeguata  cioè  alle  borie 
della  casata,  al  privilegio  della  sorte,  e 
tale  da  soddisfare  il  pubblico  desiderio; 
cfr.  il  Matt.  1219  sg.  Ho  cercato  aiutare 
con  l'interpunzione  la  pronta  intelli- 
genza di  questo  passo  alquanto  diflBcile 
(più  facile  ma  alieno  da  qui  il  degni  eh'  è 
nel  Gantù  ;  allora  l'apposiz.  è  ai  grandi 
eguali;  son  essi  degni  degli  avi  ecc., 
essi  dei  pubblici  voti  ultima  cura,  cioè 
obietto  dell'interessamento  comune)  :  la 
conversazione  o  il  teatro,  quale  ultima 
occupazione  del  giorno,  degna  ecc. ,  ra- 
duna i  grandi  ogaali  tuoi  (frase  che  ri- 
torna, epicamente,  in  più  luoghi  tal  quale 
0  molto  simile,  e  che  non  può  parafra- 
sarsi senza  guastarne  il  malizioso  signi- 
ficato). —  le  tavolette,  cfr.  il  Matt.  485 
e  la  nota.  —  aduna:  poiché  col  Bramieri 
il  Cantù  e  con  lui  il  Carducci  hanno  ac- 
colta questa  variante,  l'accolgo  in  buona 
compagnia.  La  lez.  dopo  i  corsi  clamo- 
rosi occupa,  con,  senza  prò  né  perché, 
quella  licenza  d'accento,  è  probabile  che 
avrebbe  ceduto  il  luogo  all'  altra,  o  ad 
altra.  Men  male  Voccupa  al  v.  337;  e 
basta  una  volta;  cfr.  anche  var.  de  H 
Matt.  224. 

69-76.  Il  p.  incominciando  ha  chiesto 
alla  Notte  che  gli  permetta  cercare  e 
guidare  entro  il  suo  regno  il  Giovin  si- 
gnore ;  ed  ecco  eh'  ei  lo  cerca,  quasi 
l'abbia  smarrito,  e  stenta  fino  al  v.  122 
a  ritrovarlo. 


LA  NOTTE  157 

Qual  palagio  ti  accoglie,  o  qiial  ti  copre 

Dai  nocenti  vapor  eh'  Espero  mena 

Tetto  arcano  e  solingo;  o  di  qual  via 
75        L'ombre  ignoto  trascorri,  ove  la  plebe. 

Affrettando  tenton,  s'urta  e  confonde? 

Ahimé!  tolgalo  il  ciel,  forse  il  tuo  cocchio, 

Ove  il  varco  è  più  angusto,  il  cocchio  altrui 

Incontrò  violento;  e  qual  dei  duo 
80        Retroceder  convenga,  e  qual  star  forte. 

Disputano  gli  aurighi  alto  gridando. 

Sdegna,  egregio  garzon,  sdegna  d' alzare 

Fra  il  rauco  suon  di  stèntori  plebei 

Tu'  amabil  voce;  e  taciturno  aspetta, 
85        Sia  che  all'un  piaccia  riversar  dal  carro 

Lo  suo  rivale,  o  riversato  anch'esso 

Perigliar  tra  le  rote,  e  te  per  1'  alto 

De  lo  infranto  cristal  mandar  carpone. 

Ma  r  avverso  cocchier  d' un  picciol  urto 
90        Pago  sen  fugge  o  d'  un  resister  breve  : 

Alfin  libero  andrai.  Tu,  non  per  tanto, 

Doman  chiedi  vendetta;  alto  sonare 

Fa  il  sacrilego  fatto;  osa,  pretendi; 

E  i  tribunali  minimi  e  i  supremi 

75.  onde  V.  —  77.  Airaè  (Ci.)  —  78.  Dove  V.  —  80.  convegna  V.  —  81.  i  cocchieri  V. 
—  85.  rovesciar  V.  —  86.  rovesciato  V.  —  87.  fra  le  V.  —  89.  di  V.  —  90.  Contento 
parte  V.  —  92  sg.  Alto  rimbombi  II  V,  (B.)  —  93.  Fa  l'oltraggio  a  te  fatto;  V. 


77-81.  Una  prima  ipotesi:  che  sia  bil  roce.  —  di  steutori  plebei,  i  cocchie- 
nata  contesa  tra  due  coccliieri,  quello  ri:  dairomerico  Steutore  di  voce  ferrea 
del  Giovine  illustre  e  di  un  altro  signo-  (j(a).K£o<pùva})  clie  grida  per  cinquanta 
re,  chi  dovesse  tornare  indietro,  trova-  (II.  v  785  sg.)  è  venuto  un  nome  comune 
tisi  in  luogo  ove  il  varco  è  pili  angnsto,  e  un  aggettivo  comunissimo.  Anche  Gio- 
cioè,  o  per  istrettezza  di  spazio  o  per  venale  scrisse,  xm  112,  «  Stenterà  vin- 
affoUarsi  di  carrozze,  v'è  il  passo  per  cere». 

un  solo.  Questa  scenetta  abbozzata  ri-  87  sg.  Perigliar,  correr  pericolo  :  si- 
chiama  quella  narrata  ne  i  Promessi  mile  al  pericolando  che  vedemmo  ne 
Sposi,  ove  quegli  che  dovea  poi  essere  'l  Mezzog.  594.  —  e  te  per  l'alto...  luan- 
il  padre  Cristoforo,  per  non  ceder  la  dar  carpone:  determinando  l'alternativa 
mano,  uccise  chi  contendeva  con  lui.  —  ch'era  nel  Sia  che  all'un  piaccia  ...  o  ... 
Disputano tdwptUaJio  accentò,  pare,  l'au-  coglie  1' occasione  di  far  ridere  anche 
tore,  ma,  in  lingua  che  ammette  i  più  qui  del  Giovin  signore  mostrandolo  ca- 
che sdruccioli,  non  vedrei  ragion  suEfì-  scar  fuori  dal  finestrino  della  carrozza 
ciente  di  suono  la  quale  raccomandi  con  le  mani  per  terra, 
tale  licenza:  cf.  la  nota  al  v.  68.  93.  osa,  pretendi:  impossibile  non  ri- 

83  sg.  il  ranco  suon,  emistichio  tas-  pensare  l'emistichio  del  superbo  sonetto 

sesco  «Il  rauco  suou  de  la  tartarea  troni-  a  Vittorio  Alfièri  «  osa,  contendi  »  ;  e  an- 

ba»;  qui,  le  grida  incomposte   che  né  che  il  pretendi  ha  un  senso  compiuto  iu 

pure  soD  Toci  :  in  contrapposto  a  Ta'  am»*  sé. 


158  LA  NOTTE 


95        Sconvolgi  agita  assorda  :  il  mondo  s'  empia 

Del  grave  caso,  e  per  un  anno  almeno 

Parli  di  te  de'  tuoi  corsier  del  cocchio 

E  del  cocchiere.  Di  si  fatte  cose 

Voi  progenie  d'  eroi  famosi  andate 
100        Ne  le  bocche  degli  uomini  gran  tempo. 
Forse  indiscreto  parlator  trattiene 

Te  con  la  dama  tua  nel  vuoto  corso. 

Forse  a  nova  con  lei  gara  d' ingegno 

Tu  mal  cauto  venisti;  e  già  la  bella 
105        Teco  del  lungo  repugnar  s'adira, 

E  la  man  che  tu  baci  arretra  e  tenta 

Liberar  da  la  tua  ;  di  già  minaccia 

Ricovrarsi  al  suo  tetto,  e  quivi  sola 

Involarsi  ad  ognuno,  infin  che  il  sonno 
110        Venga  pietoso  a  tranquillar  suoi  sdegni. 
In  van  chiedi  mercé,  di  mente  in  vano 

A  lei  te  stesso  sconsigliata  incolpi: 

Ella  niega  placàfi'se  :  il  cocchio  freme 

Dell'  alterno  clamore  :  il  cocchio  intanto 
115        Giace  immobil  fra  1'  ombre  ;  e  voi  sue  care 

Gemme  il  Bel  Mondo  impaziente  aspetta. 

Ode  il  cocchiere  alfin  d'  ambe  le  voci 

101  sg.  Forse  ciarlier  fastidioso  indugia  —  Forse  indiscreto  parlator  assedia  —  Forse 
OZIOSO  parlator,  con  alte  Braccia  pendendo  dal  tuo  coechio,  assedia  —  Vv.  nel  voto  corso 

B.  —  106.  Già  (CI.,  C.)  —  107.  e  già  (B.,  CI.,  C.)  —  109.  Involarse  (CI.,  C.)  —  111.  Ahi 
lasso!  luvan  chiedi  mercé:  di  mente  —  Tu  iuvan  chiedi  mercé;  tu  a  lei  di  mente  In- 
van  te  stesso  s.  i.  :  Vv.  —  114.  e  il  cocchio  V.  —  114  sg.  e  giace  intanto  Immobile  B,, 

C.  —  115.  ombra:  V.  —  116.  appella.  V.  —  117.  l'auriga  V.  (B.,  C.) 


95.  SconTolgi,  metti   sossopra;    agiti»  queir  a  lei  eh' è  frapposto:  ben  lo  senti 

assorda,  efficacissimo  asindeto.   Cf.   un  il  P.,  come  si  vede  dall'ultima  variante 

altro  al  v.  173.  •  eh'  egli  segnò. 

99.  sg.  famosi  andate  ìie  le  bocche  de-  114  sg.   il   cocchio  Intanto...;  a   spie- 

gli  nomini:  è  l'enniano  e  virgiliano  vo-  garti  perché  il  p.  torni  a  dire  il  eocchio 

litare  per  ora  vlrum;  a  che  proposito  !  qui,  come  gii'i  avea  detto  nel  verso  in- 

101-110.  Un  gruppo   di  altre  ipotesi.  nanzi  (chi  non   badò  a  questo,  variò  il 

—  nel  vuoto  corso,  cioè  dopo  die  già  testo),  osserva  che  questa  proposizione 
tutti  ne  son  partiti.  —  del  Iniigi)  repii-  è  in  rilevato  contrasto  con  la  seguente  : 
gnar,  del  tuo  persistere  a  contraddirla.  «  il  cocchio  risuona  di   quel   diverbio  ; 

—  arretra,  coordinato  com'è  a  tenta  Li-  intanto  il  cocchio  sta  là  nell'ombra,  e 
bi^rar,  mostra  esser  usato  transitivo  :  il  Bel  Mondo  aspetta  con  impazienza  le 
«  tira  indietro,  ritira  ».  sue  care  gemme  »  (frase  che  fa  pensare 

111  sg.  di  mente...  sconsigliata  incoi-  ai  «duo  lumina  mundi»  di  Virgilio): 
pi:  inutilmente  ti  accusi  d'aver  torto,  cfc.il  MaitA^l  «O  gemma  degli  eroi», 
di  non  intender  nulla.  Ma  mente  e  scon-  117-120.  d'ambe  le  voci  Fn  comando 
sigliatn  paion  troppo  lontani  tra  loro,  indistinto:  le  voci,  alternale  prima  a  di- 
ne senza  lieve  anlibologia  iu  causa  di  scordi  nel  litigio,  si  uniscono  a  un  tratto 


LA  NOTTE  159 

Un  comando  indistinto,  e  bestemmiando 

Sferza  i  corsieri,  e  via  precipitando 
120        Ambo  vi  porta;  e  mal  sa  dove  ancora- 
Folle!  di  che  temei?  Sperdano  i  venti 

Ogni  augurio  infelice.  Ora  il  mio  eroe 

Fra  r  amico  tacer  del  vuoto  corso 

Lieto  si  sta  la  fresca  ora  godendo 
125        Che  dal  monte  lontan  spira  e  consola. 

Siede  al  fianco  di  lui  lieta  non  meno 

L'altrui  cara  consorte.  Amor  nasconde 

La  incauta  face  ;  e  il  fiero  dardo  alzando, 

Allontana  i  maligni.  0  Nume  invitto, 
130        Non  sospettar  di  me,  eh'  io  già  non  vegno 

Invido  esplorator  ma  fido  amico 

De  la  coppia  beata  a  cui  tu  vegli. 

E  tu,  Signor,  trónca  gì'  indugi.  Assai 

Fur  gioconde  quest'  ombre,  allor  che  prima 
135        Nacque  il  vago  desio  che  te  congiunse 

All'altrui  cara  sposa,  or  son  due  lune. 

Ecco,  il  tedio  a  la  fin  serpe  tra  i  vostri 

Cosi  lunghi  ritiri:  e  tempo  è  ornai 

Che  in  più  degno  di  te  pubblico  agone 

Ito.  i  cavalli  V.  -  123.  del  voto  B.  -  12G.  lieta  del  paro  V.  -  129.  Oh  CI.  -  136. 
A  l'altrui  B.  —  138.  ormai  V.  —  139.  publico  CI. 


per  dare  un  ordine,  forse  diverso,  certo  d'un  gerundio  o  d'un  aggettivo  :  '  risto- 

confuso,  al  cocchiere,  che  solo  intende  rando  '  o  '  ristoratrice  '. 

di  dover  partire.  Nota  i  versi  118  e  119  128.  La  incauta  face:  perché,  col  suo 

desinenti  in  gerundio  e  rimanti  :  son  due  chiarore,  rivelatrice. 

momenti  successivi  d' una  stessa  azio-  129-'32.  Questa  apostrofe  al  dio  che 

ne,  che  qui  è  anche  romorosa.  Cf.  Fo-  vigila  in  guardia,  cosi  schietta  e  rimessa 

scòlo  Sep.  79  sg.:  i"  apparenza,  quanta  malizia  nasconde  I 

E  quale  esploratore  era  da  tener  lontano 

La  derelitta  cagna  ramingando  -^  ^.  q^gg^Q  poeta...  se  fosse  stato  pos- 

S«  le  fosse  e  famelica  ululando.  ^.^^^^^^  _  ^  ^^^  ^^  ^^^,.^  .^^  ^^^  ^^^^^.^  ^^ 

Qualcosa  di  simile  potrebbesi  esempli-  vigili  :  cfr.  il  dantesco  «  L'una  vegghiava 

ficare  da  poeti  latini,  ove  si  tratti  a  a  studio  della  culla  ». 

punto  di  paiti   o  d' un' azione  stessa  o  133.   tronca    gl'indugi,  rumpe   mo- 

d'uno  stesso  insegnamento.  ras;  già  visto. 

123.  Fra  l'amico  tacer,  amica  silen-  134-140.    allor   che   prima,  primiera- 

^^^^  mente,  da  prima;  primum.  —  il  vago 

124  sg.  la  fresca  Ora  godendo  Che ...  :  desio,  potrebbe  scambiarsi  senza  mutar 
l'aria  fresca  (ora  per  aura  qui  giovò  senso  in  desiosa  vaghezza.  —  or  son 
anche  a  evitare  l'incontro /Tese»  aura)  due  lune,  due  mesi;  e  pare  una  circo- 
che  vien  dalla  parte  dei  monti.  -  spira  stanza  determinativa  innocentissuna. 
e  consola:  notevole  questa  felice  unione  Ma  dal  soggiungere  Ecco,  il  tedio  a  la 
d'un  intransitivo  e  d'un  transitivo  senza  fln  serpe  tra  i  vostri  Cosi  lunghi  ritiri 
complemento,  il  quale  ultimo  tieu  luogo  scoppia  l' ironia.  -  Splendano  igeni  tuoi: 


160 


LA  NOTTE 


140        Splendauo  i  geni  tuoi.  Mira  la  NuLte 
Che  col  carro  stellato  alta  sen  vola 
Per  l' eterea  campagna,  e  a  te  col  dito 
Mostra  Teseo  nel  ciel,  mostra  Polluce, 
Mostra  Bacco  ed  Alcide,  e  gli  altri  egregi 

145        Che  per  mille  d' onore  ardenti  prove 
Colà  fra  gli  astri  a  sfolgorar  salirò. 
Svegliati  ai  grandi  esempi,  e  meco  affretta. 
Loco  è,  ben  sai,  ne  la  città  famoso, 
Che  splendida  matrona  apre  al  notturno 

150        Concilio  de'  tuoi  pari  a  cui  la  vita 
Fora  senza  di  ciò  mal  grata  e  vile. 
Ivi  le  belle  e  di  feconda  prole 
Inclite  madri  ad  obliar  sen  vanno 
Fra  la  sorte  del  gioco  i  tristi  eventi 

155        De  la  sorte  d'  amore,  onde  fu  il  giorno 
Agitato  e  sconvolto.  Ivi  le  grandi 
Avole  auguste  e  i  genitor  leggiadri 
De' già  celebri  eroi  il  senso  e  l'onta 
Volgon  degli  anni  a  rintuzzar  fra  l' ire 

160        Magnanime  del  gioco.  Ivi  la  turba 

144.  Illustri  V.  —  151.  senza  di  ciò  epregiata  V.  —  158.  Tonto  V. 


«  cfr.  sopi-a  al  v.  39,  e  il  riscontro  ti 
darà  la  chiave  di  questa  malizia  »  (M.). 
140-'47.  MirB  la  Notte  Che...  Uno  dei 
raaravigliosi  movimenti  con  che  il  P.  si 
allarga  alla  grande  poesia  della  natura 
e  l'associa  agl'intenti  della  satira,  ser- 
bando Integra  quella,  facendo  questa  più 
forte.  —  col  carro  stellato  alta  sen  rola  Per 
l'eterea  campagna:  nessuno  ripensa  all'o- 
rigine mitologica  dell'  imagine,  espressa 
cosi,  con  tanto  fresca  e  potente  larghez- 
za: e  a  te  col  dito  Mostra...,  ingegnosis- 
simo ;  la  Notte  ne'  suoi  astri,  nelle  sue 
costellazioni  ti  designa  eroi  divinizzati. 
cui  tu  debba  emulare.  Si  può,  pur  tra 
tanta  bellezza,  notare  forse  alcuna  par- 
ticolarità meno  perfetta:  lasciamo  che 
si  nomina  Pollnce  senza  Castore,  per- 
ché r  uno  sta  per  entrambi  (se  mai  ai 
P.  il  verso  si  presentò  da  prima  cosi 
Mostra  Castore  in  ciel,  mostra  Pol- 
luce ,  che  mi  par  verisimile ,  non  lo 
scrisse  spiacendogliene  i  suoni),  ma  si 
nominano  insieme  coi  Gemini  Teseo, 
Bacco,  Ercole,  fatti  immortali  si  ma  non 


astri,  bene  aventi  tuttavia  tra  gli  altri  re- 
lazioni e  parentele,  e  in  somma  nel  cielo 
anch'  essi.  Tra  certi  soggetti  di  cammei 
{Progr.  di  B.  A.  74  sg.)  puoi  vedere  che 
il  P.  proponeva  «  dodici  degli  Eroi  che 
meritarono  d'esser  collocati  in  cielo», 
e  v'  è  «  Bacco  con  Arianna  [ricordane 
la  costellazione],  Ercole  con  Dejanira, 
Castore  con  Polluce»,  poi  Teseo  ecc. 

14S-'51.  Loco  è...  Spunto  classico  «Est 
locus...»,  frequente. 

156-'C0.  Per  la  lontananza  e  l'inver- 
sione dei  termini  non  riesce  molto  per- 
spicuo. Pure  il  senso  non  è  dubbio  :  «  Le 
nonne  maestose  e  i  babbi  agghindati  ivi 
Tolgon,  cioè  vanno  là  {ivi  sen  vanno, 
dice  il  periodo  precedente),  a  rintuzzar 
il  senso  e  l'onta  degli  anni,  a  svagarsi 
dall'afflizione  e  dalla  vergogna  che  sen- 
tono dell'età,  a  vendicarsene,  fra  l'ire 
magnanime  del  gioco  ». 

lOO-'òO.  I  giovani.  Nota  il  verso  epico 
De  la  feroce  giorentii  divina.  Scende  a 
pngnar:  scendere  è  rimasto  in  queste 
frasi  da  antico  ;  in  certamen  descendere. 


LA  NOTTE  161 

De  la  feroce  gioventù  divina 

Scende  a  pugnar  con  le  mutabil'  arme 

Di  vaghi  giubboncei,  d'  atti  vezzosi, 

Di  bei  modi  del  dir  stamane  appresi; 
165        Mentre  la  vanità  fra  il  dubbio  marte 

l^obil  furor  ne'  forti  petti  inspira, 

E  con  vario  destin  dando  e  togliendo 
-    Le  combattute  palme,  alto  abbandona 

I  leggeri  vessilli  all'  aure  in  preda. 
170     Ecco  che  già  di  cento  faci  e  cento 

Gran  palazzo  rifulge.  Multiforme 

Popol  di  servi  baldanzosamente 

Sale  scende  s'  aggira.  Urto  e  fragore 

Di  rote  di  flagelli  e  di  cavalli 
175         Che  vengono  che  vanno,  e  stridi  e  fischi 

Di  gente  che  domandan,  che  rispondono, 

Assordan  l' aria  all'  alte  mura  intorno. 

Tutto  è  sti-epito  e  luce.  O  tu  che  porti 

La  dama  e  il  cavali er,  dolci  mie  cure, 
180        Primo  di  carri  guidator,  qua  volgi} 

E  fra  il  denso  di  rote  arduo  caraminQ 

Con  olimpica  man  splendi  ;  e  d'  un  corso 

Subentrando  i  grand'  ati-j,  a  dietro  lascia 

Qual  pria  le  porte  ad  occupar  tendea. 

162.  con  le  mirabil'  arme  col  P,  tutti  —  168.  La  combattuta  palma  V.  (B.)  —  177, 
&  l'alte  B. 


—  con  le  inutabir  arme  :  «Il  Reina  legge  differenti  le  azioni.  I  tre   versi  dal  174 

mirabWarme,  ma  già  il  Tonti  avverti,  al  176,  egualmente  tonati  sulla  6»,  con 

e  il  Salveraglio  mi  conferma,  che  gli  au-  di  più  tutti  e  tre  un   accento  sulla  2», 

tografi  hanno  mutabil' arme  ;   onde  la  rendono  egregiamente  quel  rumore  as- 

correzione  è  ormai  doverosa.  Naturai-  Bordante,  indistinto;  e  la  continuità  ne 

mente,  mutabili  vale  che  si   mutano  e  è  resa  dal  terzo  verso  con  lo  sdrucciolo 

rimutano,  come  vuole  la  moda,  di  giorno  finale  che  si  lega  strettamente  alla  pa- 

in  giorno»  (M.):  ed  è  aggiunto,   come  rola  iniziale  del  verso  successivo, 
ognun  sente,  appropriatissimo  e  signi-  178-'80.  0  ta...  Primo  di  carri  gnida- 

Ucativo,  di  conio  pariniano;  che  richiama  tor:  appellativo  epico  per  «  auriga,  eoe- 

«il  volubil  tatto  Degl'ingenui  palati»,  chiere  »,  cf.  Mezzog.  224-';;5.   La  deter- 

il  Mezzoij.  206.  —  fra   il   dubbio  marte,  minaz.  clie  porti  la  dama  e  il   caralier 

tra   l'incertezza  della  battaglia:  frase  dolci  mie  cure  mostra  a  quale  guidatore 

latina,  anche  della  prosa.  E  il  séguito  il  p.  parli:  cfr.  per  questo  verso  il  AfSz 

mostra  la  vittoria  inclinante  e  accen-  sog.  772. 

nante  or  da  una  parte  or  dall'altra,  raen-  lSl-'84.  fra  il  denso  di  rote  arduo  cam- 

tre  le  bandiere  fluttuano  nell'aria.  mino,  diflicile  a  punto  per  la  frequenza 

170-'78.  «  Descrizione  d'arte  perfetta,  delle  carrozze,  per  cui  il  varco  è  an- 

per  rapidità,  densità,  evidenza  »  (M.).  .Sale  gusto  (viene  a  mente  la  felicissima  espres- 

gcende  s'aggira,  staccati  i  verbi  come  sioae  de  M  cacfwfa  «  tra  l'obliqua  Furia 

Pablni  —  Albini.  XI 


162 


LA  NOTTE 


185        Qaasi  a  propria  virtù,  plauda  al  gran  fatto 

Il  generoso  eroe;  plauda  la  bella, 

Che  con- l'agii  pensier  scorre  gli  aurigM 

De  le  dive  rivali,  e  novi  al  petto 

Sente  nascer  per  te  teneri  orgogli. 
190    Ma  il  bel  carro  s'arresta;  e  a  te  la  dama, 

A  te  prima  di  lei  sceso  d'  un  salto. 

Affidata,  o  Signor,  lieve  balzando. 

Col  sonante  calcagno  il  suol  percote. 

Largo  dinanzi  a  voi  fiammeggi  e  grondi, 
195        Sopra  l'ara  de' numi  ad  arder  nato, 

Il  tesoro  dell'  api  :  e  a  lei  da  tergo 

Pronta  di  servi  mano  a  terra  proni 

Lo  smisurato  lembo  alto  sospenda; 

Somma  felicità  che  lei  separa 
200         Da  le  ricche  viventi,  a  cui  per  anco, 

Misere  !  su  la  via  1'  estrema  veste 

Per  la  polvei'e  sibila  strisciando! 

190,  102.  e  a  te,  Signore,  —  Affidata  la  Dea  V.  (C.)  —  194.  gronde  (CI.,  C.)  —  198. 
alto  raccoglie  V.  (B.)  —  sostiene  V.  —  201.  sg.  Misere!  Sopra  il  suol  l'estrema  veste 
Sibila  per  la  polvere  strisciando  —  Misere  !  per  la  via  l'è.  v.  Sibila  fra  la  p.  s.  Vv. 


flj'  Ccarri  »).  —  Con  olimpica  man  splendi: 

segnalati  con  la  sicurezza  e  bravura  uel 
guidare,  quale  d'un  vincitore  alla  corse 
d'Olimpia;  la  qual  frase,  splendida  ve- 
ramente e  solenne,  prende  sua  determi- 
nazione dalla  coordinata  susseguente. 
—  d'nn  corso  Subentrando  1  grand'atrj: 
cioè,  non  già  or  affrettando  or  rallen- 
tando ma  a  corsa  eguale  e  spiegata.  Per 
il  costrutto  di  subentrare  transit.  cf.  il 
subire  latino,  «  tecta  subimus  ».  —  (^nal 
pria...  :  chi  già  era  avviato  e  prossimo 
a  entrare. 

187-'89.  con  l'agii  pensier  scorre  gli 
anrighi  De  le  dive  rivali:  cioè,  pensa  ra- 
pidamente tutti  i  cocchieri,  o  sia  tutte 
le  carrozze  rimaste  indietro.  L'agilità, 
la  celerilas,  è  delle  doti  precipue  della 
mente,  qui  mentovata  e  usata  a  ben  te- 
nue proposito.  —  per  te,  per  opera  tua: 
sempre  parlando  al  cocchiere.  Può  pa- 
rere strano  che  il  P.,  cosi  difficile  e  quasi 
scrupoloso  in  fatto  di  suoni,  lasciasse 
correre  questa  durezza  Sente  n.  per  te 
teneri  o.  ;  tanto  più  che  teneri  orgogli 
non  è  gran  fatto  perspicuo  né  però  ef- 
ficace :  forse,  moti  d'orgoglio  misti  d'una 
(erta  commozione  affettuosa. 


190  sgg.  A  te...  ABidata,  cioè  alla  mano 
che  le  porgi.  —  lieve  balzando,  saltando 
giù  agilmente.  —  Col  sonante  calcagno 
il  snol  percnote,  bello  l'aggettivo  che  fa 
pensare  alle  scarpette  dall'alto  tacco, 
bello  il  verso  per  opportunità  di  suoni. 

191-'£6.  Largo,  in  abbondanza.  E  nel 
flammeggi  e  grondi  è  viva  rappresenta- 
zione de'  grandi  torchi  accesi;  mentre 
il  tesoro  dell'api  dal  contesto  s'intende 
bene  che  qui  non  vale  il  miele  ma  la 
cera.  —  Sopra  l'ara  de'  numi...  :  de'  numi 
celesti,  e  in  servigio  de'  numi  terreni. 

197.  L'intreccio  delle  parole  è  tutto 
alla  latina,  felicemente.  —  mano  è  la 
mano,  o,  classicam.,  stuolo,  drappello? 
Forse  questo,  puoi  cfr.  il  Mate.  :J70-'91 
e  891-'98,  ma  è  un  po'  dubbio. 

199-202.  Somma  feliciti^...,  grande  pri- 
vilegio. —  Da  le  ricche  Tiventi,  dalle  non 
patrizie.  —  l' estrema  Teste,  latinam., 
l'estremità  della  veste:  ricorda  la  gio- 
venca virgiliana  che  «  gradiens  ima  ver- 
rit  vestigia  cauda»,  cioè  cammina 

Spazzando  l'orme  con  la  coda  estrema, 

come  tradusse  Ant.  Nardozzi.con  un  ver- 
so pariniano. 


LA  NOTTE 


163 


Alii!  se  uovo  sdegnuzzo  i  vostri  petti 
Dianzi  forse  agitò,  tu  chino  e  grave 
A  lei  poi-gi  la  destra,  e  seco  innoltra 
Quale  ibèro  amador,  quando,  raccolta 
Dall' un  Iato  la  cappa,  contegnoso 
Scorge  r  amanza  a  diportarse  al  vallo, 
Dove  il  tauro  abbassando  i  corni  irati 
Balza  gli  uomini  in  alto,  o  gemer  s'ode 
Crepitante  giudeo  per  entro  al  foco. 
Ma  no,  che  1'  amorosa  onda  pacata 
Oggi  siede  per  voi  ;  e  quanto  è  d'  uopo 
A  vagarvi  il  piacer,  solo  la  increspa 
Una  lieve  aleggiando  aura  soave. 
Snello  adunque  e  vivace  offri  a  la  bella 
Mollemente  piegato  il  destro  braccio; 
Ella  la  manca  v'inserisca:  premi 
Tu  col  gomito  un  poco;  un  poco  anch' ella 

203    se  novo  —  lieve  Vv.  —  208.  Guida  la  dama  V.  Guida  l'amanza  0.         a  diportarai 
B    —  210.  Spinge  V.  —  219.  Anch'  olla  un  poco  —  Tu  col  g.  alquanto  :  un  poco  a.  e.  Vv. 


205 


210 


215 


203-'05.  se...  forse:  cf.  il  Vesp.  256  e 
la  nota.  —  chino  e  graye,  ossequioso  ma 
serio. 

206-211.  Quale  ibèro  amador...  :  Io  spa- 
gnuolo,  altrove  addotto  iu  esempio  di 
gelosia,  il  Mezzog.  202-'01,  qui  sta  a  ri- 
trarre la  maestosità  coutegnosa  dell' in- 
cedere; raccolta  Dall' un  lato  la  cappa, 
cioè  sur  un  braccio,  e  la  disposizione 
del  drappeggio  conferisce  molto  al  ca- 
rattere della  figura.  —  Scorge  l'amanza  a 
diportarse,  accomiiagna  la  sua  donna  a 
divertirsi  —  al  vallo,  allo  steccato,  cioè 
al  luogo  riservato  e  ricinto  per  uno  spet- 
tacolo. Nota  come,  trattandosi  d'uno 
spago uolo,  il  p.  scelga  spettacoli  pecu- 
liari alla  Spagna,  1"  uuo  tuttora  nsitato, 
la  corrida  dei  tori,  l' altro  naturalmente 
disusato,  l'arsione  degli  eretici;  e  come 
designi  il  primo  con  una  particolarità, 
con  una  perifrasi  (al  vallo  Dove  il  taiin) 
abbassando  i  corni  irati  Balza  gli  nomini 
in  alto)  alta  a  significare  l'inumanità 
di  esso  spettacolo,  e  del  secondo  renda 
con  un'imagine  la  ripugnante  barbarie 
(gemer  s'oda  Crepitante  giudei)  per  entro 
al  foco).  È  naturale  che  vengano  a  mente 
gli  sciolti  de  U  autodafé  (auto  de  fé, 
supplizio  de'  condannati  dall'  Inquisi- 
zione) che  dice  a  punto 


....  in  qual  guisa  l'Ibero 
Amator  di  spettacoli  funesti 
Soglia  a  sé   far  delizioso  obbietto 
De  la  morto  de  gli  empi  ecc. 

e  descrive     , 

....  l'orribile  teatro 
Spalancato  ingoiar  per  cento  vie 
La  ognor  di  stravaganze  avida  plobe. 

E  il  vallo  vi  è  poi  significato  con  le  pa- 
role 

Ecco  sorger  da  un  lato  anfiteatro 

Lagrimevole  e  tristo  ... 

Ma  tutto  ciò,  e  il  rimprovero  a  Iberia 
Che  si  spesso  ritorni  al  fero  gioco, 

esce  più  efficace  dal  tócco  eh"  è  per  in- 
cidenza nel  poema  che  non  da  quel  com- 
ponimento apposito:  perché  il  tócco  è 
di  vero  poeta  e  di  perfetto  artefice. 

212-'15.  Oggi  il  mare  è  tranquillo,  l'a- 
mor vostro  è  in  bonaccia.  Ma  detto  con 
la  solita  eleganza.  Avverti  specialm.  l'a- 
morosn  onda  pacata  Oggi  siede.  Non  è 
quella  irauquiUitàc/ie  nuoce,  di  cui  parla 
un  luogo  insigne  de  'l  Mezzog.  117-'26. 

2l6-'23.  La  verità  di  tutti  i  particolari 
diventa  vivace  quadretto  negli  ultimi 
versi.  E  di  che  vital  e  come  osservata! 
Ricordo,  descritte  'da  Alf.  Daudet  {le 


164 


LA  NOTTE 


220        Ti  risponda  premendo,  e  a  la  tua  lena 

Dolce  peso  a  portar  tutta  si  doni, 

Mentre  lieti  celiando  a  brevi  salti 

Su  per  1'  agili  scale  ambo  affrettate. 
Oh  come  al  tuo  venir  gli  arcbi  e  le  volte 
225        De'  gran  titoli  tuoi  forte  rimbombano  ! 

Come  a  quel  suon  volubili  le  porte 

Cedono  spalancate,  ed  a  quel  suono 

Degna  supèrbia  in  cor  ti  bolle,  e  face 

L'anima  eccelsa  rigonfiar  più  vasta! 
230        Entra  in  tal  forma,  e  del  tuo  grande  ingombra 

Gli  spazi  fortunati.  Ecco  di  stanze 

Ordin  lungo  a  voi  s'  apre.  Altra  di  servi 

Infimo  gregge  alberga,  ove  tra' lampi 

Di  molteplice  lume  or  vivo  or  spento 
236        E  fra  sempre  incostanti  ombre  scbiamazza 

Il  sermon  patrio  e  la  facezia  e  il  riso 

Dell'  energica  plebe.  Altra  di  vaghi 

220.  e  a  le  tue  forze  —  e  a  te  fidata  Vv.  —  222.  Mentre  insieme  celiando  V.  —  222 
sg.  Mentre  a  piccioli  salti  arabo  affrettate  Per  le  sonanti  scale  alto  celiando.  V.  (B.)  — 
231  sg.  Ecco  a  te  s'apre  —  Ecco  a  voi  s'apre  Di  stanze  ordine  lungo  Vv.  (la  2*  B.)  — 
234.  lume  acceso  e  spento  V. 


Nabab,  iv),  signore  che  arrivano  a  una 
soirée  :  «  Les  femmes,  sans  rien  enten- 
dre,  préoccupées  d'elles-mémes,  avec  de 
petits  caracolements  sur  place,  des  grà- 
ces  frissonnantes,  des  jeux  de  'prunelles 
e  t  d'épaules,  murmuraient  quelques  mots 
d'accueil  ». 

224-'29.  «  Mi  comunica  il  Salveraglio 
che  il  P.  cancellò  questi  versi.  Né,  a  dir 
vero,  erano  notevoli  in  nulla  »  (M.).  Di 
più,  il  sonoro  annunzio  del  nome  è  cir- 
costanza ripetuta  da  'l  Mezsog.  208  sgg. 
—  Toliibili  le  porte,  presto  giranti  sui 
cardini. 

230.  del  tuo  grande:  l'aggettivo  so- 
stantivato per  l'astratto,  uso  al  P.  anche 
troppo  caro.  Ognuno  ricorda  i  versi, 
non  belli,  di  un"  ode  che  ne  ha  di  glo- 
riosi, ov'egli  dice  a'  suoi  colli  nativi: 

Dal  bel  rapirmi  sento 
Che  natura  vi  die. 

E  cf.  più  innanzi  al  v.  686. 

231  sg.  di  stanze  Ordin  lungo:   cf.  il 

Matt.  1173-"74. 

232-'37.  Altra,  stanza,  cioè  una,  l'au- 


ticamera,  ove  sta  di  serri  Infimo  gregrge 
(cf.  in  vece  il  Matt.  266  «  del  primo  or- 
dine servi  »),  e  sono  lampi  Di  molteplice 
Inme  e  sempre  Incostanti  ombre  a  cagione 
del  frequente  alzare  e  abbassar  le  por- 
tiere delle  stanze  più  interne,  dell'aprire 
e  chiuder  la  porta,  del  passar  della  gente. 

—  Il  sermon  patrio  :  poiché  sùbito  in  al- 
tra stanza  udiremo  accento  stranier, 
potrebbe  intendersi  la  lingua  italiana, 
ma  s'  ha  a  intendere  particolarm.  il  dia- 
letto (quel  che  altrove  dirà  vernacolo 
accento),  appartenendo  al  primo  ter- 
mine non  meno  che  ai  due  seguenti  la 
specificazione  Dell'energica  plebe:  ener- 
gica, in  quanto  il  suo  parlare  e  motteg- 
giare è,  col  suo  bene  e  col  suo  male, 
l'opposto  della  delicatezza  raflSnata. 

237-'43.  Altra,  stanza,  più  interna.  — 
di  vaghi  Zazzerati  donzelli  :  «  correggo 
su  gli  autografi,  per  cortesia  del  Salve- 
raglio,  zazzerati  (il  Reina  e  tutti  gli  al- 
tri han  zazzeruti),  -  col  parrucchino  -  » 
(M.)  :  cosi  già  il  Tonti,  e  sembra  dir  me- 
glio che  si  tratta  di  zazzera  posticcia. 

—  certa  sede,  stabile:  questi  valletti  non 


LA  NOTTE  165 


Zazzerati  donzelli  è  certa  sede, 

Ove  accento  straniar  misto  al  natio 
240        Molle  susurra,  e  s'apparecchia  intanto 

Copia  di  carte  e  moltiforme  avorio; 

Arme  1'  uno  a  la  pugna,  indice  1'  altro 

D'  alti  cimenti  e  di  vittorie  illustri. 
Al  fin  più  interna,  e  di  gran  luce  e  d'  oro 
245        E  di  ricchi  tappeti  aula  superba, 

Sta  servata  per  voi  prole  de'  numi. 

10  di  razza  mortale  ignoto  vate 
Come  ardirò  di  penetrar  fra  i  cori 
De'  semidei,  ne  lo  cui  sangue  in  vano 

260        Gocciola  impura  cercheria  con  vetro 

Indagator  colui  che  vide  a  nuoto 

Per  l'onda  genitale  il  picciol  uomo? 

Qui  tra  i  servi  m'arresto;  e  qui  da  levo 

Nuove  del  mio  Signor  virtudi  ascose 
255        Tacito  apprenderò.  Ma  tu  sorridi, 

Invisibil  Camena,  e  me  rapisci 

Invisibil  con  te  fra  li  negati 

Ad  ogni  altro  profano  aditi  sacri. 
Già  il  mobile  de'  seggi  ordine  augusto 
260        Sovra  i  tiepidi  strati  in  cerchio  volge  : 

E  fra  quelli  eminente  i  fianchi  estende 

11  grave  Canapè.  Sola  da  un  lato 
La  matrona  del  loco  ivi  s'  appoggia  ; 

E  con  la  man  che  lungo  il  grembo  cade 
265        Lentamente  il  ventaglio  apre  e  socchiude. 

238.  Zazzeruti  col  R.  tutti  —  241.  multiforme  CI.,  C.  —  246.  È  servata  V.  (B.)  — 
247.  di  stirpe  V.  —  248.  penetrar  nel  tempio  V.  (B.)  —  260.  Sopra  CI.  —  263.  ivi  si 
posa;  V.  (B.) 


hanno  a  moversi  sempre  e  andare  in-  il  p.  eh' ei  non  può  entrare,  ne  verrebbe 

nanzi  e  indietro  come  i  camerieri  d'an-  che  avrà  poco  a  dire:  in  vece,  mentre 

ticaraera.  —  accento  straniei*  misto  al  si  rassegna  a  stare  co'  servi,  soggiunge 

natio,  o  perché  essi  son  parte  italiani  e  che  imparerà  da  questi  nuore...  virtudi 

parte  forestieri,  o  perché  sanno  un  po'  le  ascose  del  signore  ;  e  qual  dubbio  ch'essi 

lingue.  —  Molle  snsnrra,  in  contrapposto  ne  sappian  qualcuna?  Cf.  il  Vespro2(ìì- 

a  schiamazza  del  v.  235.  —  Occupazione  '05.  Ma  è  un  tócco.  Segue   il  son-idere 

di  questi  paggi  è  preparare  i  giochi.  della  Musa  :  e  il  sorriso  è  innanzi  tutto 

251  8g.  colui  che  vide...  :  Antonio  Leu-  perché  la  Musa  ben  sa  come  passar  oltre 

wenhoech  olandese  (1612-1723),  celebre  all'ostacolo  a  cui  il  poeta  cedeva;  e  poi, 

naturalista:  vetro  Indajfator,  il  micro-  quanto  altro  non  dice,  in  questo  luogo,  a 

scopio.  questo  momento,  il  sorriso  della  Musa? 

253-'58.  Gran  prontezza  di  acume  nel  259-'62.  Già  le  sedie  son  poste  in  cir- 

far  tutto  cospirare  all'  ironia.  Dicendo  colo.  —  1  tiepidi  strati  (lat.  strato). 


16G 


LA  NOTTE 


Or  di  giugner  è  tempo.  Ecco  le  snelle 

E  le  gravi  per  molto  adipe  dame 

Che  a  passi  velocissimi  s'  affrettano 

Nel  gran  consesso.  I  cavalieri  egregi 
270        Lor  camminano  a  lato:  ed  elle,  intorno 

A  la  sedia  maggior  vortice  fatto 

Di  sé  medesme,  con  sommessa  voce 

Brevi  note  bisbigliano,  e  dileguansi 

Dissimulando  fra  le  sedie  umili. 
275    Un  tempo  il  Canapè  nido  giocondo 

Fu  di  risi  e  di  scherzi,  allor  che  1'  ombre 

Abitar  gli  fu  grato  ed  i  tranquilli 

Del  palagio  recessi.  Amor  primiero 

Trovò  l' opi'a  ingegnosa.  «  Io  voglio,  ei  disse, 
280        Dono  a  le  amiche  mie  far  d'  un  bel  seggio, 

Che  tre  ad  un  tempo  nel  suo  grembo  accoglia. 

Cosi,  qualor  de  gì'  importuni  altronde 

Volga  la  turba,  sederan  gli  amanti 

L'  uno  a  lato  dell'  altro,  ed  io  con  loro  ». 
285        Disse,  fé'  plauso  con  le  palme,  e  1'  ali 

Apri  volando  impaziente  all'  opra. 

271.  A  la  sede  V.  (B.)  —  276.  di  riso  V.  (B.)  —  285  sg.  fé'  plauso  a  sé  medesmo  (B). 
Disse,  percosse  ambe  le  palme,  e  l'ali  Spiegò  Vv. 


tappeti,  morbidi  e  grossi,  che  impedi- 
scono il  freddo.  —  i  fianchi  estende,  si 
allunga. 

266-'69.  Oltre  all'armonia  che  seconda 
sempre  il  pensiero,  è  da  notare  la  ve- 
rità: non  che  le  snelle,  anco  le  gravi  per 
molto  adipe  dame  a  passi  relocissinii  s'af- 
frettano ;  a  passettini  brevi  e  rapidi,  quasi 
trotterellando. 

270-'74.  la  sedia  maggior ...,  le  sedie 
nmili...:  il  canapè  e  le  seggiole  in  cer- 
chio dette  poi  v.  318  te  sedie  minori.  — 
vortice  fatto  Di  sé  medesme  :  caudate  co- 
me $ono,  nell'atto  che  inchinatesi  alla 
padrona  di  casa  si  volgono  per  andare 
a  posto,  fanno  come  un  gorgo.  —  dlle- 
gjansi  Dissimulando,  con  bel  garbo,  senza 
parere,  vanno  lontane;  ivi  si  sta  a  mi- 
glior agio,  come  udremo  ai  v.  346-'48. 

275-318.  Come  in  fine  de  H  Mezzog. 
è  la  favola  su  l'invenzione  mitologica 
del  Trictrac,  qui  è  quella  del  Canapè, 
trovato,  dice,  da  Amore  in  servigio  de- 
gli amanti,  etrasferito  daminori  e  noiosi 


geni  a  ti'ono  di  noia  nelle  conversazioni. 
Questa  favola,  come  anche  quella,  non 
ha  grandi  o  riposti  intendimenti  :  è  una 
varietà  elegante,  intonata  al  tempo  e 
all'ambiente;  uno  dei  tratti  di  settecento 
che  il  P.  inserì  nel  poema  con  naturale 
convenienza  alla  sua  materia. 

276.  di  risi,  preso  da  sé  spiacerebbe 
a  ragione,  benché  sia  nel  poema  anche 
da  sé,  ma  in  unione  a  di  scJierzl  è  bene 
giustificato,  né  importa  la  variante;  e 
dipendendo  da  nido  giocondo,  il  plurale 
sta  a  dirittura  meglio,  né  risa  qui  suo- 
nerebbe altrettanto  bene.  Gf.  v.  339. 

2Sl-'84.  tre  ad  nn  tempo...  gli  amanti... 
ed  io  con  loro.  È  una  garbata  acutezza, 
trovata  per  rendere  accettabile  la  pic- 
cola invenzione.  Il  canapè  non  pare  per 
due  soli  :  volendo  che  sia,  il  restante 
spazio  SI  finge  serbato  ad  Amore.  Ve- 
dremo poi,  vv.  306-*'12,  che  gì' ivi  seduti 
potevano  anco  essere  altri. 

285.  fé'  planso  con  le  palme,  batté  la 
mani. 


LA  NOTTE  167 


Ecco,  il  bel  fabbro  lungo  pian  dispone 
Di  tavole  contesto  e  molli  cigne. 
A  reggerlo  vi  dà  vaghe  colonne 

290        Che  del  silvestre  Pane  i  pie  leggeri 
Imitano  scendendo:  al  dorso  poi 
V  alza  pàtulo  appoggio,  e  il  volge  ai  lati 
Come  far  soglion  flessuosi  acanti 
0  ricche  corna  d'  arcade  montone. 

295        Indi  predando  a  le  vaganti  aurette 

L' ali  e  le  piume,  le  condensa  e  chiude 
In  tumido  cuscin  che  tutta  ingombri 
La  macchina  elegante;  e  alfìn  l'adorna 
Di  molli  sete  e  di  vernici  e  d'  oro. 

300        Quanto  il  dono  d'Amor  piacque  a  le  belle  ! 
Quanti  pensier  lor  balenaro  in  mente  ! 
Tutte  il  chiesero  a  gara:  ognuna  il  volle 
Ne  le  stanze  più  interne:  applauso  ognuna 
A  la  innata  energia  del  vago  arnese 

305        Mal  repugnante  e  mal  cedente  insieme 
Sotto  ai  mobili  fianchi.  Ivi  sedendo 
Si  ritrasser  le  amiche;  e  da  lo  sguardo 
De'  maligni  lontane,  ai  fidi  oi'ecchi 
Si  mormoraro  i  delicati  arcani. 

310        Ivi  la  coppia  de  gli  amanti  a  lato 
Dell'  arbitra  sagace  o  i  nodi  strinse 
0  calmò  l' ira  e  nuove  leggi  apprese. 


3.  e  tese  clgne.  V.  (B.)  —  298.  machina  CI. 


287.  il  bel  fabbro,  esso  Amore.  morbido  de'  cuscini,    dice    che   Amore 

289  sgg.  Taghe  colonne  Che...  I  piedi  aduaò  dentro  questi  l'ali  e  le  piume  por- 
dei  canapè  finiscono  in  forma  simile  al  tate  via  a  le  Taganti  aurette.  E  questa 
pie  caprino  del  dio  Pane.  è,  forse,  in  eleganti  parole  raffinatezza 

292-'94.  pàtnlo  appoggio,  larga  spai-  soverchia  di  concetto, 
liera:  ma  l'agg.  è  pretto  latino.  —  il  304-'06.  la  innata  energia  del  v.igo  ar- 
Tolge  a  l  lati,  gli  dà  forma,  lo  arro-  nese:  innata,  cioè  singolarmente  pro- 
tonda. —  Come  far  soglion,  come  usano  pria  di  esso,  e  Venergia  è  ben  descritta 
volgersi,  flessnosi  acanti,  Vlrg.  Bue.  in  45  nel  v.  seg.,  ov'  il  canapè  è  detto  Mal  re- 
«  Et  molli  circum  est  ausas  amplexus  pugnante,  come  elastico  per  le  molle,  e 
acantho  »  (Teocr. ,  vygòg  duavùos).  —  0  mal  cedente,  per  la  tensione  delle  molle 
ricche  corna,  non  brevi  né  scarse.  —  d"ar-  stesse.  Cf.  in  vece  «  le  coltrici  Molle  ce- 
cade  montone,  arcade,  per  restare  nel  denti  »,  il  Matt.  86. 
regno  di  Pan  e  per  i  copiosi  armenti  311.  Dell'arbitra  sagace  o  i  nodi  strinse 
d'Arcadia,  ma  è  determinazione  esor-  0...:  vedemmo  ne  '/  Vespr.  223  «Una... 
nativa,  come  'l'iblèomiele,  le  caònie  co-  che  gli  altrui  nodi  or  cela  Comoda  e 
lombe,  le  tigri  ircane'.  strigne,  or...»,  nnove  leggi  apprese:  for- 

295-"98.  A  sigiiilicare   il   gonlio   e   il  se,  veiiue  ad  altri  patti  o  accordi. 


168  LA  NOTTE 

Ivi  sovente  i'  amador  faceto 

Raro  volume  all'  altrui  cara  sposa 
315        Lesse  spiegando,  e  con  sorrisi  arguti 

Lepida  imago  fé'  notar  tra  i  fogli. 

Il  fortunato  seggio  invidia  mosse 

De  le  sedie  minori  al  popol  vario: 

E  fama  è  che  talora  invidia  mosse 
320        Anco  ai  talami  stessi.  Ah!  perchè  mai, 

Vinto  da  insana  ambizione,  uscio 

Fra  lo  immenso  tumulto  e  fra  il  clamore 

De  le  veglie  solenni?  Avvi  due  Geni 

Fastidiosi  e  tristi,  a  cui  dier  vita 
325        L'Ozio  e  la  Vanità;  che,  noti  al  nome 

Di  Puntiglio  e  di  Noia,  erran  cercando 

Gli  alti  palagi  e  le  vigilie  illustri 

De  la  stirpe  de'  Numi.  Un  fra  le  mani 

Porta  verga  fatale  onde  sospende 
330        Ne' miseri  percossi  ogni  lor  voglia, 

E  di  macchine  al  par  che  1'  arte  inventi 

Modera  1'  alme  a  suo  talento  e  guida  ; 

L'  altro  piove  da  gli  occhi  atro  vapore, 

E  da  la  bocca  sbadigliante  esala 
335        Alito  lungo  che  sembiante  ai  pigri 

Soffi  dell'  austro  si  dilata  e  volve 

E  d'inane  torpor  le  menti  occupa. 

314.  Celato  libro  V.  (B.)  —  316.  Fé'  tra  1  fogli  notar  lepida  imago.  V.  (B.  ma  ira- 
mago).  —  320.  A  le  coltrici  stesse.  V.  —  322.  l'immenso  V.  (B.)  —  328.  De  la  prole  de' 
Numi.  Un  ne  lo  mani  V.  (B.)  —  331.  machine  CI. 


316.  Lepida  imago...  trai  fogli:  ricorda  328-'37.  Un...:  il  Puntiglio.  È  giusta- 

la«  incisa  con  venereo  stile...  serie  d'ima-  mente  osservato  che  il  puntiglio  sopraffa 

giui  interposta  »,  il  Matt.  595.  ogni  altra  voglia  e  prende  il  posto   di 

317-'20.  Fece  invidia  alle  seggiole  e  tutte;  verga  che  affattura  il  volere,  mac- 

alle  poltrone.  Nota  la  classica  efficace  china  che  move  l'anima.  Per  altro,  la 

ripetizione    della   8tessa    frase   Inridia  frase  di  macchine  al  par  che  l'arte  Inventi 

mosse,  trattandosi  che  la  cosa  viene  a  non  è  si  facile,  a  volerla  determinare, 

essere  affermata,  non  pur  delle  sedie,  Modera  ...   e   gnida:  cfr.   il  'Matt.   635. 

ma  di  esso  il  letto  nuziale.  —L'altro...:  la  Noia;  bene  rappresentata, 

323.  le  veglie,  le  conversazioni  che  si  in  conformità  degli  effetti  ch'essa  produ- 

prolungano  avanti  nella  notte.  ce.  Nota  il  suono  insistente  dell'  a  in  da 

323-' 28.  A  snaturare  l' uso  dell' inven-  labocca  sbadigliante  esala  Alito....,  e  come 

zione  d'Amore  intravengono  due  geni  tale  alito  è  convenientemente  parago- 

spiacevoli  e  infausti,  procreati  dall'Ozio  nato  al  pigri  Soffi  dell'austro,  cioè  allo 

e  dalla  Vanità:  degni  dei  genitori,  si  spirare  snervante  dello  scirocco:  pigri 

chiamano  il  Puntiglio  e  la  Noia,  e  abi-  soffi,  che  impigriscono,  come  «  stupido 

tano  le  case  de'  grandi  e  ne  frequentano  papavero  »  che  istupidisce,  «stupide  emi- 

le  adunanze.  cranie  »  ecc.  —  ocoiipa,  cf.  nota  al  v.  63. 


LA  NOTTE  169 


Questa  del  Canapè  coppia  infelice 

Allor  prese  l'imperio;  e  i  Risi  e  i  Gioclii 
340        Ed  Amor  ne  sospinse,  e  trono  il  fece 

Ove  le  madri  de  le  madri  eccelse 

De'  primi  eroi  esercitan  lor  tosse  ; 

Ove  l'inclite  mogli,  a  cui  beata 

Rendon  la  vita  titoli  distinti, 
345        Sbadigliano  distinte.  Ah!  fuggi,  ah!  fuggi. 

Signor,  dal  tetro  influsso;  e  là  fra  i  seggi 

De  le  più  miti  dee  quindi  remoto 

Con  1'  alma  gioventù  scherza  e  t'  allegra. 
Quanta  folla  d'eroi!  Tu,  che  modello 
350        D'  ogni  nobil  virtù,  d'  agn'  atto  egregio, 

Esser  dèi  fra'  tuoi  pari,  i  pari  tuoi 

A  conoscere  apprendi;  e  in  te  raccogli 

Quanto  di  bello  e  glorioso  e  grande 

Si^arse  in  cento  di  loro  arte  o  natura. 
055        Altri  di  lor  ne  la  carriera  illustre 

Stampa  i  primi  vestigi;  altri  gran  parte 

Di  via  già  corse;  altri  a  la  meta  è  giunto. 

In  vano  il  vulgo  temerario  agli  uni 

Di  fanciulli  dà  nome,  e  quelli  adulti, 
OGO        Questi  omai  vegli  di  chiamare  ardisce  : 

Tutti  son  pari.  Ognun  folleggia  e  scherza; 

339.  l'imperio;  i  risi  i  gioclii  B.  e  i  Risi  e  i  Gioclii  CI.,  C.  —  339  sg.  l'imperio; 
e  quindi  or  spande  Sopra  qual  vi  s'accosta  eterno  influsso  :  V.  —  340.  sospinse.  Il  trono  è 
questo  V.  —  345  sg.  Sbadigliano  distinte.  Ah!  se  tu  sai,  Fuggi  ratto,  o  Signor,  fuggi  da 
tanto  Pernicioso  influsso  :  e  là  fra  i  seggi  V.  —  350.  eccelso  V.  —  300.  Questi  già  vegli  V. 


333.  Questa...  coppia  Infelice:  proprio  taol:notarefficaciadi  questa  ripetizione 

il  vento  auster  è  detto  da  Persio  !«in-  immediata  e  cliiastica. —A  conoscere  ap- 

felix  pecori  »;  e  ne  hai  il  senso  dell'agg.  prendi  :  il  modo  e  il  fine  di  tal  conoscenza 

pariniano  :  maleflco.  è  divisato  -  e  in  ciò  la  satira,  presente 

339  sg.  1  Klsi  e  i  Giochi,  cf.  v.  276.  —  sempre  -  nella  proposiz.  successiva;  a 

ne  sospinse,  spinse  via  da  esso.  conoscerli,  non  già  per  voler  esser  di- 

312.  esercitan  lor  tosse,  frequentemente  verso,  ma  anzi  per  farti   il   compendio 

tossiscono.  delle  leggiadrie  delle  glorie  delle  gran- 

311  sg. ...  titoli  distinti  Sbadigliano  di-  dezze,  acquisite  e  naturali,  che  sono  in 

stinto:  cioè  per  titoli  cospicui  in  luogo  loro. 

cospicuo,  ma  non  par  detto  con  la  felice  355-'57.  Con  frasi   tolte  dallo  stadio 

chiarezza  consueta.  dice  che  tra  essi  sono  i  novellini,  i  ma- 

.    319.  Quanta  folla  d'eroi!  L'esclamazio-  turi,    gli  emeriti,  o   sia   i   giovani,  gli 

ne  serve  benissimo  a  rallargare  lo  sguar-  adulti,  i  vecchi:  in  fatti,  dirà  sùbito  ap- 

do,  già  ristretto  intorno  al  canapè,  ed  è  presso,  tali  son  proprio  i  nomi  che  dà 

inoltre  delle  solite  frasi  felici  con  insito  loro,  temerariamente,  il  volgo. 
il  sarcasmo:  folla  ed  eroi  sou  termini  3Gl-'65,  Tntti  son  pari:  come  se  fosse 

in  contrasto.  naturale  che  le  differenti  età  si  confoa- 

351  sg.  Esser  de'i  fra'  tuoi  pari,  1  pari  dano  insieme ,  e  non  serbino  nella  vita 


170  LA  NOTTE 

Ognun  giudica  e  libra;  ognun  del  pari 

L'altro  abbraccia  e  vezzeggia:  in  ciò  soltanto 

Non  simili  tra  lor,  che  ognun  sua  cura 
365        Ha  fra  1'  altre  diletta  onde  più.  brilli. 
Questi  or  esce  di  là  dove  ne'  trivi 

Si  ministran  bevande,  ozio  e  novelle. 

Ei  v'andò  mattutin,  partinne  al  pranzo, 

Vi  tornò  fino  a  notte  :  e  già  sei  lustri 
370        Volgon  da  poi  che  il  bel  tenor  di  vita 

Giovinetto  intraprese.  Ab  !  obi  di  lui 

Può  sedendo  trovar  più  grati  sonni 

O  più  lunghi  sbadigli,  o  più  fiate 

D'  atro  rapè  solleticar  le  nari, 
375        O  a  voce  popolare  orecchio  e  fede 

Prestar  più  ingordo,  e  declamar  più  forte? 

Quegli  è  1'  almo  garzon  che  con  maestri 

Da  la  scùtica  sua  moti  di  braccio  v 

Desta  sibili  egregi,  e  1'  ore  illustra 
380        L'  aere  agitando  de  le  sale  immense 

Onde  i  prischi  trofei  pendono  e  gli  avi. 

L'  altro  è  l' eroe  che  da  la  guancia  enfiata 

362.  del  paro  V.  (B.)  —  36-1.  che  ognun  CI.,  C.  col  R.   —  365.  Ha  diletta  fra  l'altre 
V.  (B.,  C.)  —  366.  ne'  fori  V.  (B.)  —  375.  orecchi  V.  (B.) 


quella  convenienza  che  pur  su  la  scena  folla  d'eroi,  il  frequentatore  del  caffé, 
si  richiede  («  mobilibusque  decer,  ma-  Al  caffé  è  vissuto  e  vive;  là  s' addor- 
turis  daudus  et  annis  »  diceva  Orazio),  menta,  là  sbadiglia,  là  si  tenta  destare 
E  la  parità  si  delinea:  essa  è  fatta  di  fiutando  tabacco;  curioso  e  credulo  di 
leggerezza,  di  presunzione,  di  effusa  chiacchiere  e  dicerie,  e  declamatore.  — 
scambievole  affettuosità.  Una  sola  diver-  dove  ne' trivi  Si  ministran  bevande  ozio 
genza:  ognuno  vuol  primeggiare.  Os-  e  novelle,  è  perifrasi  dei  caffé:  frlui  son 
serva  l'elegante  euritmia  delle  tre  cop-  propriamente  i  crocicchi  delle  vie,  ma 
piedi  verbi  folleggia  e  sclierza...,  giudica  sta  senza  rigore  a  significare  le  vie,  le 
e  libra...,  abbraccia  e  vezzeggia...  (di  cui  piazze.  —  Eiv' andò  mattutla:  uso  già  no- 
ia seconda  già  vedemmo  il  Mezzog.  830,  tato  dell'agg.  per  l'avv.;  nel  Tasso  «  Se 
ed  è  uno  degli  ammaestramenti  al  Gio-  parte  matutino...».  —  D'atro  rapè,  cf.  U 
vin  signore, ?7  Malt.9.\\).  Non  cosi  schiet-  Matt.  1008. 

ta  pare  l'espressione  Ognnn  sua  cura  Ha  377-'81.  Segue  ungi  caricatura.  Le  pa- 

fra  l'altre  diletta  onde  pitì  brilli,   a  si-"  role  scntica  e  sibili  mi  farebber  pensare 

gniflcare,  credo,  che  «  ciascuno  predi-  a  uno  che  sa  far  lischiar  bene  il  fru- 

lige  i  fatti  e  gli  atti  propri,  volendo  per  stiao,  ma  si  usa  intendere  un  «  grande 

essi  meglio  segnalarsi».  È  pensiero  ana-  schioccatore  di  frusta  »  (Card.).  Cfr.  il 

logo  a  quello  de  '/  Mezzog.  821  «  La  no-  Vespr.  316.  Notevole  l'intreccio  con  mae- 

bil  vanità  punge  le  menti  ;  E  l'Amor  di  stri  Da  la  scntica   sna   moti  di  braccio 

sé  sol  baldo  scorrendo   Porge  un  scet-  Desta  sibili  egregi,  e  l' alta  solennità  di 

tro  a  ciascuno,  e  dice:  regna».  quel  che  segue. 

36ó-'70.  Apre  una  serie  di  quadretti,  3S2-'91.  E  qui  colui  che   si  diletta  a 

ove  sono  individuati  taluni  tra  quella  suonar  la  tromba  o  cornetta  da  posti- 


LA  NOTTE  171 

E  dal  torto  oricalco  ai  trivi  annunzia 

Suo  talento  immortai,  q[ualor  dall'  alto 
385        De'  famosi  palagi  emula  il  suono 

Di  messagger  che  frettoloso  arriva. 

Quanto   è  vago  a  mirarlo,  allor  che  in  veste 

Cinto  spedita,  e  con  le  gambe  assorte 

In  ampio  cuoio,  cavalcando  ai  campi 
390        Rapisce  il  cocchio  ove  la  dama  è  assisa 

E  il  marito  e  1'  ancella  e  il  figlio  e  il  cane  ! 

Vuoi  su  lucido  carro  in  di  solenne 

Gir  trionfando  al  corso?  Ecco  quell'uno 

Che  al  lavor  ne  pi-esieda.  E  legni  e  pelli 
395        E  ferri  e  sete  o  carpentieri  e  fabbri 

A  lui  son  noti  :  e  per  l'Ausonia  tutta 

È  noto  ei  pure.  Il  càlabro,  di  feudi 

E  d'  ordini  superbo,  i  duchi  e  i  prenci 

Che  pascon  Mongibello,  e  fin  gli  stessi 
400        Gran  nipoti  romani,  a  lui  sovente 

Ne  commetton  la  cura:  ed  ei  sen  vola  * 

D'una  in  altra  officina,  in  fin  che  sorga, 

Auspice  lui,  la  fortunata  mole: 

Poi  di  tele  ricinta,  e  contro  all'  onte 
4.05        De  la  pioggia  e  del  sol  ben  forte  armata, 

Mille  e  più  passi  1'  accompagna  ei  stesso 

Fuor  de  le  mura,  e  con  soave  sguardo 

La  segue  ancor  sin  che  la  via  declini. 

S83.  anuuncia  V.  (B.)  —  386.  arrivi  B.  —  402.  surga  V.  —  408.  fin  che  V.  (B.) 


gliene  e,  vestito  alla  postigliona,  cavai-  sionato  e  intelligente  del  genere,  il  quale 
care  olla  carrozza  della  sua  dama.  —  assumerà  il  carico  di  fartela  fabbricare, 
da  la  gnaacia  enfiata  E  dal  torto  oricalco,  come  ne  assume  spesso  anche  per  gran 
propriani.  <  dal  torto  oricalco,  gonliando  signori  lontani.  E  questa  macchietta  vi- 
le guance  »,  ma  l'endiadi  è  felicissima.  vace  riceve  felice  compiutezza  dal  tratto 

—  Sno  talpnto  inimortal,  per  il  nome  cf.  (inale,  dell'  accompagnar  la  carrozza, 
il  Mezzog.  613,  per  l'agg.  tutto  il  Giorno  nuova  e  lucente  e  tutta  ben  riguardata 
è  commento.  —  in  reste  Cinto  spedita,  da  possibili  intemperie,  per  lungo  tratto 
in  veste  succinta;  qui  l'intreccio  delle  di  strada,  e  del  seguirla  poi  lungamente 
parole  è  ardito.  —  assorte  In  ampio  cuoio,  con  1'  ultima  occhiata.  —  Ecco  qnell'uno 
che  spariscono  entro  gli  stivaloni,  ri-  t'he  al  lavor  ne  presieda,  «colui  eh' è 
corda  il  v.  313  de  'l  Vespro.  —  Rapisce  meglio  d'ogni  altro  in  grado  d' invigi- 
li cocchio,  fa  correre  a  furia,  o  strascina.  lame  la  fattura»:  la  frase  classica,  co- 

—  ove  la  dama  è  assisa  E...  Il  cane:  que-  me  tutto  classico  il  costrutto,  non  tanto 
sti  nomi  alla  rinfusa  rendon  bene  quel  vuol  dire  unicità  quanto  sovrecceilenza; 
disordine  di  sentimenti  e  d'affetti.  cf.   Aen.  ii  426  «Ripheus,   iustissimus 

392-408.  Vuol...  Gir  trionfando  al  corsoi  unus  Qui  fuit  in  Teucris  »,  e  Orazio  Sai. 

cioè   «vuoi    una   carrozza   proprio  da  ii  3,  24  «  egregiasque  domos  mercarier 

trionfatore?»  Eccoti  un  signore,  appas-  unus  Cum  lucro  noram  ».  In  tal  senso 


172 


LA  NOTTE 


1 


Or  non  conosci  del  fìglìuol  di  Maia 
410        II  più  celebre  alunno,  al  cui  consiglio 

Nel  gran  dubbio  de'  casi  ognaltro  cede, 

Sia  che  dadi  versati,  o  pezzi  eretti, 

0  giacenti  pedine,  o  brevi  o  grandi 

Carte  mescan  la  pugna?  Ei  sul  mattino 
415        Le  stupide  emicranie  o  1'  aspre  tossi 

Molce  giocando  a  le  canute  dame: 

Ei,  già  tolte  le  mense,  i  nati  or  ora 

Giochi  a  le  belle  declinanti  insegna  : 

Ei,  la  notte,  raccoglie  a  sé  dintorno 
420        Schiera  d'  eroi  che  nobil  estro  infiamma 

D' apprender  1'  arte  onde  1'  altrui  fortuna 

Vincasi  e  domi,  e  del  soave  amico 

Nobil  parte  de'  campi  all'  altro  ceda. 

411,  ogn' altro  C.  —  422  sg.  Vincasi  e  domi;  e  di  sonanti  spoglie  D'abbattuto  rivai 
si  torui  opimo.  V.  (B.  ma  Di  abbattuto) 


noi  diciamo  spesso  unico:  «Michela- 
gnolo  Buonarroti,  scultore  e  pittore  uni- 
co» (Condivi).  —  li  Calabro,  grandi  si- 
gnori calabresi  ;  con  un  nome  partico- 
lare indica  in  genere  i  meridionali  d'Ita- 
lia, tra  i  quali  la  pompa  delle  carrozze 
è  consueta:  E  d'ordini,  equestri.  —  Che 
pascon  Mongibello,  siciliani,  anche  qui 
designati  da  una  parte  di  essi,  quelli 
presso  l'Etna:  «non  è  frase  felice;  seb- 
bene certamente  cercata  a  bella  posta, 
non  già  sfuggita  a  disattenzione  »  (M.). 
In  fatti,  sulle  prime  riesce  quasi  anli- 
bologica  {la  ragione  è  che,  oltre  a  es- 
sere squisita,  è  compendiosa:  pascere 
V  Etna  sta  per  «  i  campi  intorno  a 
l'Etna»;  un  po' duro  e  disforme);  m:i 
è  analoga  a  note  maniere  classiche  :  ri- 
corda il  gr.  vé^ueiv,  ìlOibere  lat.  (Virg. 
Bue.  I  62  «  Aut  Ararim  Parthus  bibet 
aut  Germania  Tigrim  »),  e  usi  nostri 
come  E  quei  che  il  jVì^o  e  che  l'Orante 
beve.  —  Gran  nipoti  roniaui  :  i  priuciiii 
l'omani,  la  cui  grandezza,  in  quanto  di- 
scendenti de'  romani  antichi,  è  chiaro 
come  dal  p.  sia  intesa.  —  sorga,  cf.  il 
Matt.  509  e  la  nota. 

409-'23.  Un  gran  giocatore,  e  maestro 
e  giudice  di  gioco  :  allievo  di  Mercurio, 
dio  de'traffichi,  de'  guadagni,  de'  giochi  : 
Matt.  16  «  al  giocatore  Mercurio  »,  — 
Sia  che...,  significa  sol  questo:  «sia che 


si  giochi  ai  dadi,  o  sia  che  agli  scacchi 
0  alla  dama  o  alle  carte  lunghe  o  cor- 
te »;  ma  essi  gli  strumenti  del  gioco  son 
fatti  soggetto,  e  il  giocare,  qui  come  al- 
trove, è  espresso  per  una  battaglia,  ten- 
zone: mesean  la  pngna,  combattano  ;  Virg. 
«  proelia  naiscent»,  Ariosto  xxxvi  30 
«  La  scaramuccia...  si  mesce  ».  —  dadi 
versati,  cioè  scossi  per  poi  gettarli  (ver- 
satur  urna  sors),  e  il  versati  ha  por- 
tato per  euritmia  «  i  pezzi  eretti  »  e  «le 
giacenti  pedine  ».  Avverti  l'anafora  di 
Ei  a  principio  di  tre  proposizioni  suc- 
cessive che  epilogano  geste  del  perso- 
naggio. —  Le  stupide  emicranie,  cf.  il  Mez- 
zog.  417  «lo  stupido  papavero»  e  ricorda 
il  Matt,  516  sg.  —  i  nati  or  ora  Giochi, 
le  ultime  novità.  —  l'arte  onde...,  sem- 
bra non  escludere  gli  artifizi  :  vincasi 
per  fortuna  o  per  inganno,  importa 
N  incere.  —  e  del  soave  amico...,  è  una 
determinante  e  conseguente  della  frase 
l'altrui  fortuna  Vincasi  e  domi  :  «  e 
buona  parte  de'  possedimenti  di  colui 
col  quale  gioca  {del  soave  amico)  venga 
a  esso  giocatore  (all'altro)  in  possesso»; 
è  la  cosa  per  cui  si  combatte,  e  cede  al 
vincitore.  —  «  Mi  comunica  il  Salvera- 
glio  che  negli  autografi  son  cancellati 
tutti  questi  versi  sul  giocatore,  409-423  ; 
forse  parvero  al  P.  eccessiva  caricatu- 
ra »  (M.). 


LA  NOTTE  173 

Vedi  giugner  colui  che,  di  cavalli 
425        Invitto  domator,  divide  il  giorno 

Fra  i  cavalli  e  la  dama?  Or  de  la  dama 

La  man  tiepida  preme ,  or  de'  cavalli 

Liscia  i  dorsi  pilosi,  o  pur  col  dito 

Tenta,  a  terra  prostrato,  i  ferri  e  1'  ugna. 
430        Ahimè  !  misera  lei  quando  s' indice 

Fiera  altrove  frequente  !  Ei  1'  abbandona, 

E  per  monti  inaccessi  e  valli  orrende 

Trova  i  lochi  remoti,  e  cambia  o  merca. 

Ma  lei  beata  poi  quand'  ei  sen  torna 
435        Sparso  di  limo  e  novo  fasto  adduce 

Di  frementi  corsieri,  e  gli  avi  loro 

E  i  costumi  e  le  patrie  a  lei  soletta 

Molte  lune  ripete!  Or  vedi  l'altro 

Di  cui  più  diligente  o  più  costante 
440        Non  fu  mai  damigella  o  a  tesser  nodi 

O  d'  aurei  drappi  a  separar  lo  stame. 

A  lui  turgide  ancora  ambo  le  tasche 

Son  d'  ascose  materie.  Eran  già  questo 

Prezioso  tappeto  in  cui  distinti 
445        D'  oro  e  lucide  lane  i  casi  apparvero 

D' Ilio  infelice  :  e  il  cavalier,  sedendo 

Nel  gabinetto  de  la  dama,  ormai 

Con  ostinata  man  tutte  divise 

In  fili  minutissimi  le  genti 
450        D'Argo  e  di  Frigia.  Un  fianco  solo  resta 

De  la  Greca  rapita  :  e  poi  1'  eroe, 

Pur  giunto  al  fin  di  sua  decenne  impresa, 
Andrà  superbo  al  par  d'ambo  gli  Atridi. 

428.  ovver  V.  —  430.  Airaè!   CI.    col  R.  —  438.  Or    mira   uq    altro    (CI.  C.)  —  44). 
ambe  V.  (B.)  —  450.  avanza  V.  (B.)  —  451.  De  la  bella  V.  Bella  B. 


424-'38.  L'appassionato  de'  cavalli  o  stile  che  uou  V  ha  distanza  o  difficoltà 
con  nobiltà  epica,  di  caTalli  InTitto  do-  di  luoghi  la  quale  lo  trattenga.  —  TroTa, 
mator  (a  somiglianza  di  Ettore,  'Ekxoqos  vi  si  reca,  adlt,  —  e  cambia  o  raerca,  fa 
\nnoòàiioio).  Fra  i  raralli  e  la  dama.',  cambi  o  compre.  È  una  bea  nota  uscita 
com'essa  il  suo  affetto  tra  il  cavaliere  e  dantesca,  Par.  xvi  61,  «e  cambia  e  mer- 
li cane:  l'alternativa  è  avvivata  nel  seg.  ca  »,  e  tassesca,  xx  112,  «  Guerreggio 
Orde  la  dama...,  or  de'eaTalii...  col  dito  in  Asia,  e  non  vi  cambio  o  merco».  — 
Tenta...,  chino  a  terra  tocca  ed  esamina  Ma  lei  beata...  qnand'ei  sen  torna  Sparso 
le  zampe  e  la  ferratura.  —  frequente,  cf.  di  limo:  quella  felicità  della  dama  e 
il  V.  350.  —  per  monti  inaccessi  (inacces-  questa  sozzura  del  flHppo  sembrano  ri- 
sibili, cfr.  Virg.  Aen.  vii  11  «  inacces-  pugnare,  e  la  satira  se  ne  avvantaggia. 
SOS...  lucos»).  —  e  valli  orrende,  cupe  438-'53. l' altro,  di  cui  nessuna  donna 
e  buie:  carica  le  tinte  per  dire  in  alto  fu  mai  più  abile  e  operosa  a  farla  rete 


174 


LA  NOTTE 


Ve'  chi  sa  ben  come  si  deggia  a  punto 
455        Fausto  di  nozze  o  pur  d'  estremi  fati 

Miserabile  annuncio  in  carta  esporre. 

Lui  scapigliati  e  torbidi  la  mente 

Per  la  gran  doglia  a  consultar  sen  vanno 

I  novi  eredi  :  né  già  mai  fur  viste 
4G0        Tante  vicino  a  la  cumèa  caverna 

Foglie  volar  d'oracoli  notate, 

Quanti  avvisi  ei  raccolse,  i  quali  un  giorno 

Per  gi'an  pubblico  ben  serbati  fièno. 
Ma  chi  r  opre  diverse  o  i  vari  ingegni 
465        Tutti  esprimer  porla,  poi  che  le  stanze 

Folte  già  son  di  cavalieri  e  dame  ? 

Tu  per  quelle  t'  avvolgi  ardito  e  baldo, 

Vanne  torna,  t'  assidi  ergiti,  cedi 

Premi,  chiedi  perdono,  odi  domanda, 
470        Sfuggi  accenna  schiamazza  entra  e  ti  mesci 

Ai  divini  drappelli,  e  a  un  punto  empiendo 

Ogni  cosa  di  te,  mira  ed  apprendi. 

468.  ti  assidi  V.  —  472.   mira  e  conosci  V.  (C.)  vedi  ed  apprendi.  V.  vedi  e  co- 
nosci. B. 


(tesser  nodi)  o  a  sfilare  tappeti  (d'aurei 
drappi  separar  lo  stame).  E  sul  secondo 
di  questi  lavori  il  p.  si  dilunga,  sceglien- 
do un  caso  ove  la  dappocaggine  del  fare 
è  aggiunta  alla  insipienza  del  disfare. 
Quel  messere  ha  le  tasche  gonfie  di  fila, 
eh'  erano  già  un  arazzo  figurante  i  casi 
di  Troia,  ed  egli  ha  sfilacciato  tutto, 
greci  e  troiani  (che  vivezza  elegante 
nell'espressione  Con  ostinata  man  tutte 
divise  In  fili  minutissimi  le  genti  D'Ar^ 
e  di  Frigia  I)  :  non  gli  resta  a  disfare  se 
non  una  parte  del  corpo  di  Elena  (un 
franco...  De  la  Greca  rapita:  conche  senso 
plastico  è  designato  questo  residuo!),  e 
poi  avrà,  anch'esso,  a  modo  suo,  di- 
strutto Troia,  decenne  impresa,  e  andrà 
posto  per  terzo  con  Agamennone  e  Me- 
nelao. 

454-'63.  Un  autorevole  compilatore 
d'annunzi  di  matrimoni  e  di  morti.  Egli 
poi  ne  fa  collezione,  sicché,  dice  il  p., 
non  furon  tante  a  Cuma,  presso  ran|;ro 
della  Sibilla,  le  foglie  d'oracoli  notate 
(cioè,  su  cui  erano  scritti  i  responsi; 
secondo  Virgilio  Aen.  iii  444  «  Fata  ca- 


nitfoliisque  uotas  et  nomina  mandat»), 
quanti  sono  presso  lui  fogli  di  tali  av- 
visi, raccolta  destinata  a  essere  di  chi 
sa  quanto  bene  per  il  pubbUco.  —  «  An- 
clie  questo  ritratto  (vv.  454-463)  il  P. 
cancellò  dagli  autografi;  cosi  mi  comu- 
nica il  Salveraglio  :  probabilmente  gli 
parve  figura  scolorita,  ed  è  veramente; 
e  pensava  o  sostituirla  con  qualche  al- 
tra o  darle  più  vita  »  (M.).  Fors'  anche 
gli  parevano  omai  soverchi  questi  esem- 
pi di  nullaggini,  e  troppo  singolari  per 
essere  efficaci. 

464-'72.  In  forma  di  transizione  si 
spaccia  da  quelle  e  altre  figure,  e  rap- 
presenta, al  solito  foggiando  la  rappre- 
sentazione come  un  ammaestramento, 
l'andare  e  venire  e  il  gran  da  fare  del 
Giovin  signore  tra  la  conversazione  : 
una  congerie  di  verbi  dà  in  compendio 
i  momenti  e  gli  atti  di  quella  mobilità 
e  attività.  —  a  nn  punto  empiendo  Ogni 
cosa  di  te  mira  ed  apprendi:  «  al  tempo 
stesso  che  tu  tieni  il  campo  e  figuri  per 
tutto,  abbi  occhi  e  orecchi  per  quanto 
e'  è  intorno  da  vedere  e  udire  ». 


LA  NOTÌPE  175 

Là  i  vezzosi  d'Amor  novi  seguaci 

Lor  nascenti  fortune  ad  alta  voce 
475        Confidansi  all'  orecchio,  e  ridon  forte, 

E  saltellando  batton  palme  a  palme; 

Sia  che  a  leggiadre  imprese  Amor  li  guidi 

Fra  le  oscure  mortali,  o  che  li  assorba 

De  le  dive  lor  pari  entro  a  la  luce. 
480        Qui  gli  antiqui  d'Amor  noti  campioni, 

Con  voci  esili,  e  dall'  ansante  petto 

Fuor  tratte  a  stento,  rammentando  vanno 

Le  già  corse  in  amar  fiere  vicende. 

Indi  gl'imberbi  eroi  cui  diede  il  padre 
485        La  prima  coppia  di  destrier  pur  ieri, 

Con  animo  viri!  celiano  al  fianco 

Di  provetta  beltà  che  ai  risi  loro 

Alza  scoppi  di  risa  e  il  nudo  spande 

Che  di  veli  mal  chiuso  i  guardi  cerca 
490        Che  il  cercarono  un  tempo.  Indi  gli  adulti, 

A  la  cui  fronte  il  primo  ciuifo  appose 

Fallace  parrucchier,  scherzan  vicini 

A  la  sposa  novella;  e  di  bei  motti 

Tendonle  insidia  ove  di  lei  s' intrichi 
495        L'  alma  inesperta  e  il  timido  pudore. 

Folli!  che  ai  detti  loro  ella  va  incontro 

Valorosa  cosi  come  una  madre 

Di  dieci  eroi.  V'ha  in  altra  parte  assiso 

4SI.  da  r  ansante  B.,  C.  —  483.  Le  superate  al  fin  tristi  vicende.  V.  (B.) 


473-'79.  I  dongiovanni  alle  prime  ar-  girne  »  (Disìon.  di  ortog.  e  pro'n.). 
mi  :  si  il  parlare  con  aria   di   segreto  484-'90.  Gli  adolescenti  accanto  a  una 

e  pure  alto  (ad  alta  voce  Confldansl  al-  provetta,  e  che  cerca  esser  provocante, 

l'orecchio),  si  il  rider  forte   e   gli  altri  b.^ltà. 

scoppi  di  soddisfazione  chiassosa,  soa  490-'98. 1  provetti  intorno  a  una  sposa 

còlti  dal  vero.  novella.  —  11  primo  cinTo  appose:  quindi 

480-*S3.  Gli  emeriti  :  e  il  verso  iniziale  posticcio  —  Fallace  parrucchier,  che  co' 

di  questo  gruppo  è  calcato  a  parte  a  suoi  artifizi  illude,  inganna,  cf.  «  fallax 

parte  su  quello  del  gruppo  innanzi  Là  servus  »  e  ricorda  il  Matt.  1088-'90.  — 

i  vezzosi  d'Amor  novi  seguaci,   come  Improvviso  e  terribile  il  tócco  che  viene 

qui  lo  sforzo  e  lo  stento  contrastano  a  in  fine:  quei  corrotti  pensano  cogliere  a 

quell'esuberante  rigoglio.  —  Con   voci  insidia  la  verecondia  d' un'ingenua,  e 

esili,  deboli,   stanche.  Avverti   esili,   e  costei  li  affronta  Valorosa  cosi  come  nna 

sempre  cosi  accentato  ne'  nostri  poeti  :  madre  Di  dieci  eroi.  Par  Giovenale. 
exilis  come  subtilis  serbò  in  italiano  la  498-504.  Npn  mai  perduto  in  società 

sua  quantità;  la  pronunzia  sdrucciola  è  questo  tipo,  d'uno  che  racconta  promet- 

invalsa  da  poco.  Certo  il  Rigutini  avea  tendo  interessare  e    far   ridere,  e  non 

molta  più  ragione  ammonendo  «  esile  e  ride  che  lui.  E  pure  anche  il  Galateo 

non  èsile»  che  non  «  rcgrirae  e  non  rè-  ammonisce,   cap.  30:  «Né  de' tuoi  me- 


176  LA  NOTTE 


Olii  di  lieti  racconti,  o  pur  di  fole 

600        Non  ascoltate  mai,  i-aro  promette 
A  le  dame  trastullo,  e.  ride  e  narra 
E  ride  ancor,  ben  che  a  le  dame  intanto 
Sul  beli'  arco  de'  labbri  aleggi  e  penda 
Non  voluto  sbadiglio  :  e  v'  ba  chi  altronde 

503        Con  fortunato  studio  in  novi  sensi 
Le  parole  converte,  e  i  simil  suoni 
Pronto  a  colpir,  divinamente  scherza. 
Alto  al  genio  di  lui  plaude  il  ventaglio 
De  le  pingui  matrone,  a  cui  la  voce 

510        Di  vernacolo  accento  anco  risponde: 
Ma  le  giovani  madri,  al  latte  avvezze 
Di  più  gravi  dottrine,  il  sottil  naso 
Aggrinzan  fastidite;  e  pur  col  guardo 
Sembrau  chieder  pietade  ai  belli  spirti 

515        Che  lor  siedono  a  lato,  e  a  cui  gran  copia 
D'  erudita  effemeride  distilla 
Volatile  scienza  entro  a  la  mente. 
Altri  altrove  pugnando  audace  innalza 
Sopra  d'  ognaltro  il  palafren  eh'  ei  sale, 

520        0  il  poeta  o  il  cantor  che  lieti  ei  rende 

499.  ovver  V.  (B.)  —  502  sgg.  E  ride  ancora  :  e  de  le  dame  in  tanto  SuU'  arco 
de'  bel  labbri  aleggia  e  pende  Insolente  sbadiglio.  Avvi  chi  altronde  V.  (B.)  —  506.  o 
V.  (B.,  C.)  in  Bimil  coZ  R.  tutti,  —  510.  risona;  V.  (B.)  —  511  sg.  Ma  le  giovani  madri 
assai  pili  vaghe  De  le  Galliche  grazie,  il  sottil  naso  V.  (B.)  al  latte  avvezze  De  le  galli- 
che grazie,  C.  —  512.  Di  pili  nuove  V.  —  514.  Chieder  sembran  pietade  V.  (B.)  —  516. 
efemeride  0.  —  518.  Quel  fra  molti  pugnando  V.  (B.)  —  519.  Sovra  V.  ogn' altro  B. 


M 


desimi  motti  voglio  che  tu  ti  rida,  che  l'aria  in  particelle;  ricorda  «la  volatile 

è  un  lodarti  da  te  stesso.  Egli  tocca  di  dea»  {la  Fama],  il  V.  232:  e  il  passo  non 

ridere  a  chi  ode,  e  non  a  chi  dice  ».  manca  di  analogia  con  quello  de  7  Mail. 

504-'07.   Quegli  che   gioca  di   doppi  ove  si  notano  «  color  che  a  sé  fingon  di 

sensi  e  si  compiace  di  coglierli  a  volo.  sapere  »,  673. 

La  lez.  i  slmil  suoni  accolgo  dal  Tonti,  5l8-'35.  Altri  altrove,  accostamento  di 

lasciando  la  divulgata  in  simil  suoni  gustoclassico.  — pugnando,  gareggiando, 

(cioè,  con  gli  equivoci  far  colpo).  —  certans.  —  Qui,  in  più  gruppi  di  versi, 

altronde,  da  altra  parte;   e  il  P.  l'usa  è  un'enumerazione  addensata,  di  con- 

più  volte   per  «altrove»:  cfr.  il  Mezz.  chiusione.  Primo  colui  che  vanta  il  suo 

1105  e  la  nota.  —  dlTÌnamente  scherza,  cavallo,  o  pure  (quasi  caso  meno  impor- 

tutto  che  fa  un  dio  è  divino.  tante,  vien  dopo)  il  poeta  o  il  cantante 

508-'17.  il  ventaglio  già  più  volte  ab-  ch'egli  degna  della  sua  mensa:  i50i,  chi 

biam  visto  esser  mezzo  di  espressione,  ha  una  spada  lavorata  in   Inghilterra: 

—  le  pingui  matrone  a  cui...:  nella  cui  poi  uno  che  novera  le  vivande  di  un  gran 

voce  e  nell'intonazione  è  l'eco  del  dia-  pranzo,  e  un  altro  le  tavole   da  gioco 

letto.  Ma  a  le  giovani  madri  quelle  grosse  d'una  soiree.  In  fine  gli  scherzi  :  altri  ar- 

spiritosaggini  sanno  di  rancido,  e  cer-  rivandonon  visto  a  un  amico,  gli  stringe 

cano  compenso  da  i  belli  spirti  che  at-  il  ganasciuc  ;  altri  da  dietro  porta  via 

.  tingono  ai  giornali  erudizione  e  scienza,  all'amico  il  cappello  che  ha  sotto  il  brac- 

.  —  Volatile,  che  si  sparge  e  disperde  per  ciò,  e  s'applaude  del  suo  scherzo. 


LA  NOTTE  177 

De  le  sue  mense.  Altri  dà  vanto  all'  elso 

Lucido  e  bello  de  la  spada  ond'  egli 

Solo,  e  per  casi  non  più  visti,  al  fine 

Fu  dal  più  dotto  anglico  artier  fornito. 
625        Altri,  grave  nel  volto,  ad  altri  espone 

Qual  per  1'  appunto  a  gran  convito  apparve 

Oi'din  di  cibi:  ed  altri,  stupefatto, 

Con  profondo  pensier,  con  alte  dita 

Conta  di  quanti  tavolieri  a  punto 
630        Grande  insolita  veglia  andò  superba. 

Un  fra  l' indice  e  il  medio  inflessi  alquanto 

Molle  ridendo  al  suo  vicin  la  gota 

Preme  furtivo;  e  l'un  da  tergo  all'altro 

Il  pendente  cappel  dal  braccio  invola, 
535        E  del  felice  colpo  a  sé  dà  plauso. 
Ma  d'  ogni  lato  i  pronti  servi  intanto 

E  luci  e  tavolieri  e  seggi  e  carte 

Suppellettile  augusta  entran  portando. 

Un  sordo  stropicciar  di  mossi  scanni, 
540        Un  cigolio  di  tavole  spiegate 

Odo  vagar  fra  le  sonanti  risa 

Di  giovani  festivi  e  fra  le  acute 

Voci  di  dame  cicalanti  a  un  tempo, 

Qual  dintorno  a  selvaggio  antico  moi'O 
645        Sali'  imbrunir  del  di  garrulo  stormo 

Di  frascheggianti  passere  novelle. 

526.  apparve  a  gran  convito  V.  —  529.  Narra  V.  —  534  tg.  Il  pendente  cappel  sotto 
all'  ascella  Ratto  invola,  e  del  colpo  a  sé  dà  plauso,  V.  (B.  ma  sotto  1'  ascella)  —  535. 
E  del  colpo  felice  V.  —  536  sgg.  Qual  d'ogni  lato  i  molti  servi  in  tanto  E  seggi  e  tavo- 
lieri e  luci  e  carte  Suppellettile  augusta  entran  portando  !  E  sordo  stropicciar  di  molli 
scanni,  E  cigolio...  V.  (B.  ma  il  2°  v.  come  nel  testo  e  nel  4"  mos6i  :  C.  lo  flesso  e  pronti 
nel  V  V.)  —  544.  Come  intorno  V.  (B.,  C.). 


536-'45.  Si  portano  e  preparano  le  ta-  272)  <  tra  i  duecento   versi  che  danno 

vola  di  gioco.   —  Sappellettlle  augusta,  descritto  l'ordine  della  sala  e  il  soprav- 

apposizione  ai  termini   enumerati  nel  venire  degli  invitati  e  l'accendersi  della 

verso  innanzi.  —   entran  portando,    co-  conversazione  »  il  seguente  frammento 

strutto  al  modo  classico.   —  cigolio  di  inedito,  che  «  è  1'  entrata  d'  una  dama, 

tavole  spiegate,  tavole  rientranti  che  si  non  quella  del  Giovin  signore,  una  sposa 

distendono.  —  Il  p.,  passando  dalla  scena  novella»;  ma  il   P.  poi   non  1' accolse, 

della  conversazione  a  quella  del  gioco,  solo  «  si  giovò  d' alcuni  termini  e  d'  un 

interpone  un  tratto  finale  che  raccoglie  verso  »  [v.  489  sg]. 
tutt' insieme  l'effetto   dell'animato  con-  •A-  lei  vegnente 

versare,  e  lo   chiude  con  tre   versi  di  ^°'"S'»>  plaudendo  1  cavalier  gentili. 

quelli  ove  il  riso  della  satira  si  avvolge  ^  ^^'  '^^''^'''^  /''"<="!«  matrone 

j.   -  .  .  .      °  Con  severo  contegno  in  au  le  gote 

di  fresca  poesia.  -  frascheggianti,  che  stampan  di  mano  in  man  due  baci  a  punto, 

etanno  tra  le  frasche.  —  «Avrebbe  pò-  e  con  pari  contegno  in  su  le  gote 

tato  trovar  luogo  »  (dice   il   Carducci,  Poi  ricevon  da  lei  due  baci  a  punto. 

PaKINI  —  ALBINI.  18 


178 


LA  NajTE 


Sola  in  tanto  rumor  tacita  siede 
La  matrona  del  loco;  e,  chino  il  fronte 
E  increspate  le  ciglia,  i  sommi  labbri 

550        Appoggia  in  sul  ventaglio,  arduo  pensiero 
Macchinando  tra  sé.  Medita  certo 
Come  al  candor,  come  al  pudor  si  deggia 
La  cara  figlia  preservar  che  torna 
Doraan  da  i  chiostri  ove  il  sermon  d' Italia 

555        Pur  giunse  ad  obliar,  meglio  erudita 
De  le  galliche  grazie.  Oh  qual  dimane 
Nei  genitor,  ne'  convitati,  a  mensa 
Ben  cicalando  ecciterai  stupore 
Bella  fra  i  lari  tuoi  vergin  straniera! 

560        Errai.  Nel  suo  pensier  volge  di  cose 


551.  Machinando  CI.  —  555.  obbliar  B.,  C. 


Tal,  se  volgendo  i  due  begli  occhi  grandi 
Ne  le  eale  del  ciel  Giano  sen  viene 
Dal  talamo  immortai  ove  rendette 
Padre  d'un  altro  nume  il  gran  Tonante, 

I  maschi  eterni  e  le  divine  femine 
Di  letizia  e  di  festa  a  lei  dan  segno. 
A  lei  di  Cirra  il  vago  dio  che  torna 
Pur  or  dal  giro  suo,  dove  correndo 
Sparse  di  raggi  d'oro  ampia  ricchezza, 
Chinasi  e  versa  dal  bocchin  socchiuso 
eleganze  straniere  :  a  lei  Gradivo, 
Stretti  i  gomiti  al  fianco  e  il  petto  alzato 
E  la  canna  pendente  in  fra  le  dita, 
Mollemente  sorride  :  anco  Cillenio 

Col  piumato  cappel  sotto  a  l'ascella 
£ì  d'alati  fermagli  il  piede  ornato 
Rompe  la  folla,  e  di  lontan  comincia 
A  spander  di  parole  alto  profluvio 
Applaudendo  a  la  diva.  Idalia  intanto, 
Chiara  nel  ciel  per  variati  amori 
£}  per  argute  di  parlar  licenze, 
Corre  improvviso  ad  abbracciarla,  e  s'alza, 
E  un  non  so  che  susurrale  a  l'orecchio. 
Quella  semplice  ancor  tigne  il  bel  volto 
D'un  vermiglio  importuno,  e  questa  cade 
Supina  in  sul  sedile  alti  mandando 
Scoppi  di  risa,  e  rigonfiando  ansante 
Ciò  che  del  molle  sono  anco  le  resta. 
Che  di  veli  mal  chiuso  i  guardi  cerca 
Che  il  cercarono  un  tempo.  A  tale  aspetto 
Tu  castissima  dea  de'  boschi  amica 
Torci  il  candido  collo,  i  labbri  aggrinzi, 
E  fastidita  a  contemplar  ti  volgi 
Del  biondo  Ganimede  il  volto  e  i  moti, 
Mentr'  ei  girando  per  lo  ciel  dispensa 

II  nettare  gelato  o  pur  l'ambrosia 
De  i  divini  palati  almo  conforto. 

547-'51.  La  padrona  di  casa  in  grave 
atteggiamento   meditativo.   —  ehlno  11 


fronte,  v.  il  Matt.  493  e  la  n.  :  i  sommi 
labbri,  la  punta  delle  labbra. 

551-'59.  Un'ipotesi  che  sarebbe  ra- 
gionevolissima e  che,  a  sentir  poi  com'è 
lungi  dal  vero,  divien  satira  amara.  — 
Come  al  candor....  preserrar  :  «  preser- 
vare il  candore  e  il  pudore  della  figlia  », 
sarebbe  il  modo  comune;  preservarla 
al  candore,  al  pudore,  è  un  po'  strano, 
e  forse  questi,  meglio  che  termine  («  ser- 
barla al  candore  »),  son  relazione  («pre- 
servarla quanto  al...»).  —  da  i  chiostri, 
dal  convento  cioè  collegio  retto  da  mo- 
nache :  ore  li  sermon  d'Italia  Par  glonse 
ad  obliar;  il  Pur  dà  rilievo  alla  frase, 
quasi  che  queir  oblio  sia  stato  l' ultimo 
frutto  di  tale  educazione.  —  Poiché  que- 
sto tratto  inaspettato  e  rilevantissimo  su 
l'istruzione  delle  fanciulle  di  cospicua 
nascita  termina  con  un  verso  epigram- 
matico stupendo  Bella  fra  1  lari  tnol  ver- 
gin straniera,'  non  è  da  lasciare  senza 
osservazione  che  qui  il  P.  in  somma  non 
già  riprendeva,  e  tanto  meno  oggi  ri- 
prenderebbe, lo  studio  di  altre  lingue, 
ma  riprendeva,  e  tanto  più  riprende- 
rebbe oggi,  che  quello  sia  a  scapito  della 
lingua  d'Italia,  e  che  poi  in  fondo  la 
conoscenza  delle  lingue  si  riduca  spesso 
a  un  ben  cicalare. 

560-'6J.  di  cose...  mole  pid  grande,  cose 
di  maggior  gravità,  di  singolare  diffi- 
coltà: tantae  molis...\  —  a  sé...  chiede 
a  consiglio,  chiama  a  sé  per  consultare 
eoa  lui. 


LA  NOTTE  179 


L'alta  madre  d'eroi  mole  più  grande; 
E  nel  dubbio  crudel  col  guardo  invoca 
De  le  amiche  l'aita,  e  a  sé  con  mano 
TI  fido  cavalier  chiede  a  consiglio. 

565        Qual  mai  del  gioco  ai  tavolier  diversi 
Ordin  porrà,  che  de  le  dive  accolte 
Nulla  obliata  si  dispetti,  e  nieghi 
Più  qui  tornare  ad  aver  scorno  ed  onte? 
Come,  con  pronto  antiveder,  del  gioco 

570        II  dissimil  tenore  ai  geni  eccelsi 
Assegnerà  conforme,  ond'  altri  poi 
Non  isbadigli  lungamente,  e  pianga 
Le  mal  gittate  ore  notturne,  e  lei 
De  lo  infelice  oro  perduto  incolpi? 

575        Qual  paro  e  quale  al  tg-volier  medesmo 
E  di  campioni  e  di  guerriere  audaci 
Eia  che  tra  loro  a  tenzonar  congiunga. 
Si  che  già  mai  per  miserabil  caso 
La  vetusta  patrizia,  essa  e  lo  sposo 

580        Ambo  di  regi  favolosa  stirpe, 

Con  lei  non  scenda  al  paragon,  che  al  grado, 

Per  breve  serie  di  scrivani,  or  ora 

Fu  de' nobili  assunta,  e  il  cui  marito 

Gli  atti  e  gli  accenti  ancor  serba  del  monte? 

585        Ma  che  non  può  sagace  ingegno  e  molta 
D'anni  .e  di  casi  esperienza?  Or  ecco, 
Ella  compose  i  fidi  amanti,  e  lungi, 

666.   che  B.   col  R.   —  567.  obbliata  B.,  C. 


565-'68.  Qaal mal... Ordin... cbe...: cioè,  stirpe,  nota  i  due  sensi:  par  che  dica 

qual  mai  ordine  si  fatto,  che...  —  Non  «  stirpe  di  principi  che  risale  a'  tempi 

rara  è  l'omissione  del  correlativo  tale,  mitici  »  e  intende   «  favoleggiata,  non 

quando  il  senso  o  la  forza  di   esso   ri-  vera  ». 

sulta  senza  esprimerlo.  —  Nulla  obliata  58I-'84.  Con  lei...  che...:  di  famiglia  no- 

Bi  dispetti,  nessuna,  perché  lasciata  in-  bilitata  per  avere  avuto  alcuni  de'suoi 

dietro,  si  adonti.  investiti  di  pubblici  uffici  o  magistrature 

569-'7'l.  del  gioco   II    dissimil   tenore,  (per  breve  serie  di  serlrani  è  frase  che 

come  dire,  i  giochi  diversi.  —  pianga  Le  avvilisce  la  cosa  secondo  la  mente  de  la 

mal  gittate  ore  notturne,  cf.   per  il  co-  vetusta  patrizia);  nobiltà  di  toga,  cfr. 

strutto  il  Mezzog.  469.  il  Vespro  42i-'26. 

575  sg.  (^ual  paro  e  quale...,  cioè  qual  585-'97.  La  sagacia  naturale  e  l'espe- 

di  campioni  e  quale  di  guerriere.  rienza  della  vita  le  insegnano  vincer  la 

579.  essa  e  lo   sposo  Ambo...  :  libera  difficoltà.  Ecco  il  primo  caso  :  ella  ha 

apposizione  che  abbrevia  e  allevia  il  co-  messi  insieme  (compose)  due  amanti,  e 

strutto  regolare  «  la  quale  è,  essa  e,  co-  il  marito,  uno  che  ha  ancor  l'ubbia  del 

m'essa,  il  marito...  ».  —  di  regi  favolosa  geloso  (a  di  si  lieti,  è  proprio  la  stagione 


180  LA  NOTTE 


De  la  stanza  nell'  angol  più  remoto, 
Il  marito  costrinse,  a  di  si  lieti 
590        Sognante  ancor  d'  esser  geloso.  Altrove 

Le  occulte  altrui,  ma  non  fuggite  all'  occhio 
Dotto  di  lei,  ben  che  nascenti  a  pena. 
Dolci  cure  d'  amor,  fra  i  meno  intenti 

0  i  meno  acuti  a  penetrar  nell'  alte 

595        Dell'  animo  làtèbre,  in  grembo  al  gioco  _ 
Pose  a  crescer  felici:  e  già  in  duo  cori 
Grazia  e  mercé  de  la  beli'  opra  ottiene. 
Qui  gl'illustri  e  le  illustri;  e  là  gli  estremi 
Ben  seppe  unir  de'  novamente  compri 

600        Feudi  e  de'  prischi  gloriosi  nomi 

Cui  mancò  la  fortuna.  Anco  le  piacque 
Accozzar  le  rivali,  onde  spiarne 

1  mal  chiusi  dispetti.  Anco  per  celia 
Più  secoli  adunò,  grato  aspettando 

G05        E  per  gli  altri  e  per  sé  riso  dall'  ire 
Settagenarie  che  nel  gioco  accense 
Fien  con  molta  raucedine  e  con  molto 
Tentennar  di  parrucche  e  cuffie  alate. 
Già  per  l'  aula  beata  a  cento  intorno 

6  LO        Dispersi  tavolier  seggon  le  dive, 

Seggon  gli  eroi  che  dell'  Esperia  sono 
Gloria  somma  o  speranza.  Ove  di  quattro 

599  sg.  Piacquele  unir  de'  noTamente  compri  Feudi  a  gli  antiqui  g.  n.  V. 


questa!;  cfr.  il  Matt.  461  sg.),  giù  nel-  603-'08.  per  cella:  celia  che  fa  ridere 

l'angolo  più   lontano.   Poi,  altri  tra  i  di  altrui,  e  massime  di  vecchi,  natural- 

quali  è  simpatia  e  inclinazione  nascosta  mente  è  contro  queir  educazione  e  de- 

ma  ben  visibile  a  lei,  li  ha  accostati,  licatezza  che  dovrebb'  essere  la  prima 

collocandoli  in  mezzo  a  tali  che  non  ba-  nobiltà  della  g»'an  dama.  —  Pld  seeoll 

dano  e  non  s'avvedono:  di  ciò  le  hanno  adunò:  o  nel  senso  che  q uè' tali,  presi 

segreta  riconoscenza  (Grazia  e  merce':  insieme,   facevan    parecchie    centinaia 

nel  Tasso  II  82  «  grazia  e  merto  »).  d'anni,  o  pure  vivacemente  chiamò  se- 

598-601.  Qui  grillastri  e  le  lllnstri:  coli  que' vecchi  stessi.  —  ire  Settagena- 
pare  applicazione  della  cautela  accen-  rie,  di  settuagenari.  —  accense,  susci- 
nata  a'  vv.  578  sgg.  :  vetusti  patrizi  e  pa-  tate  :  la  forma  latina  di  accese  è  in  Dante, 
trizio  insieme.  —  là,  invece,  insieme  i  —  parrncche,  gli  uomini.  —  cuffie  alate, 
due  estremi,  ciò  sono  i  l'icchissimi  di  le  donne. 

fresco  nobilitati  e  i  nobilissimi  oggi  im-  609-'12.  La  disposizione  e  distribuzio- 

poveriti.  ne  è  avvenuta.  —  dell'  Esperia,  Italia  cf. 

602  sg.  onde  spiarne  :  qui,  non  è  dub-  il  Mezzog.  709  ;  si  sa  che  per  sé  Eespe- 

bio,  onde  è  di  fine  e  non  può  risolversi  in  ria,  cioè  occidentale,  è  denominazione 

un  relativo;  costrutto  men  classico,  cfi*.  relativa  a  chi  l'attribuisce;  conveniva 

il  Matt.  290.  e  la  nota.  —  I  mal  ehinsi  di-  all'Italia  rispetto  alla  Grecia,  alla  Spa- 

spetti,  il  non  ben  dissimulato  malaaimo.  gna  rispetto  all'  Italia  ;  e  sono  le  dua 


LA  NOTTE  181 


Un  drappel  si  raccoglie,  e  dove  un  altro 
Di  tre  soltanto.  Ivi  di  molti  e  grandi 

615        Fogli  dipinti  il  tavolier  si  sparge  : 

Qui  di  pochi  e  di  brevi.  Altri  combatte; 
Altri  sta  sopra  a  contemplar  gli  eventi 
De  la  instabil  fortuna  e  i  tratti  egregi 
Del  sapere  o  dell'  arte.  In  fronte  a  tutti 

620        Grave  regna  il  consiglio,  e  li  circonda 
Maestoso  silenzio.  Erran  sul  campo 
Agevoli  ventagli,  onde  le  dame 
Cercan  ristoro  all'  agitato  spirto 
Dopo  i  miseri  casi.  Erran  sul  campo 

625        Lucide  tabacchiere  :  indi  sovente 

Un'util  rimembranza,  un  pronto  avviso 
Con  le  dita  si  attigue;  e  spesso  volge 

I  destini  del  gioco  e  de  la  veglia 
Un  atomo  di  polve.  Ecco  se  n'ugne 

630        La  panciuta  matrona  intorno  al  labbro 
Le  calugini  adulte:  ecco  se  n'ugne 
Le  nari  delicate  e  un  po' di  guancia 
La  sposa  giovinetta.  In  vano  il  guardo 
D'  esperto  cavalier  che  già  su  lei 

GCò  Medita  nel  suo  cor  future  imprese, 
Le  domina  dall'  alto  i  pregi  ascosi  ; 
E  in  van  d'  un  altro  timidetto  ancora 

II  pertinace  piò  1'  estrema  punta 

C29,  631.  sen  ugne  B.,  CI.  eoi  R. 


più  classiche  Esperie.  —  Gloria  somma  oleoso  vedemmo  per  agg.  di  tabacco, 

0  speranza,  secondo  la  età.  il  Matt.  1009. 

612-'16.  Otc  di  quattro...,  e  dorè  un  al-  631.  Le  calugini    adulte;   «  È    un  ar- 

tro  Di  tre..  :  secondo  i  giochi  :  quattro  guto  uso  della  voce,  che  veramente  si- 

p.  es.  a' tarocchi,  al  tresette;  tre  alle  gnifica  la  peluria  degli  uccellini  di  nido 

ombre.  —  molti  e  grandi  Fogli  dipinti  —  e  anche  quella  de'  giovinetti  nella  prima 

di  pochi  e  di  breil,  a  seconda  dei  gio-  pubertà;  per  ciò  qui  sou  dette  adulte  » 

chi  differenti.  (M.).  —  e  un  po' di  guancia,  ove  sta  male; 

016-'19.  gli  (Tenti dell'arte,  cf.  al  è  un  tratto  che  risponde   all'intensità 

V.  421.  febbrile,  quale  udiremo,  con  che  quella 

622.  AgeTOli  Tentagli,   sotto   mano   e  sposina  gioca, 

scorrevoli:  ricorda  il  Vespr,  48.  636.  Le  domina:  dativo  in  luogo  d'un 

625-'29.  indi  sovente...:  ancor  dicono,  possessivo:  «dominai  suoi  pregi  ascosi», 

quei  che  fiutano  tabacco,  ch'esso  ha  vir-  Per  questi,  ricorda  Leop.  As2i.  «al  seno 

tu  simili  a  quelle  qui  designate.  —  volgi-,  ascoso  e  desiato  ». 

fa  mutare;  cfr.  il  Mezzog.  207.  638.  Il  pertinace  pie,  molto  tenace,  che 

629-'33.  se  n'ugne:    ungere  nel   liii-  non   desiste,  insistente;   Orazio  e.  i  9, 

guaggio   poetico  ha   significato  esteso  24  «digito  male  pertinaci»,  non   resi- 

oltre  al  suo  proprio  e  preciso;  del  resto,  slente. 


182  LA  NOTTE 


Del  bel  pie  le  sospigne.  Ella  non  sente 

640        O  non  vede  o  non  cura.  Entro  a  que'  fogli, 
Ch'ella  con  man  si  lieve  ordina  o  turba, 
De  le  pompe  muliebri  a  lei  concesse 
Or  s'  agita  la  sorte.  Ivi  è  raccolto 
Il  suo  cor,  la  sua  mente.  Amor  sorride, 

G15         E  luogo  e  tempo  a  vendicarsi  aspetta. 
Chi  la  vasta  quiete  osa  da  un  lato 
Komper  con  voci  successive,  or  aspre 
Or  molli,  or  alte  ora  profonde,  sempre 
Con  tenore  ostinato,  al  par  di  secchi 

CóO         Che  scendano  e  ritornino  piagnenti 

Dal  cupo  alveo  dell'onda;  o  al  par  di  rote 
Che,  sotto  al  carro  pesante,  per  lunga 
Odansi  strada  scricchiolar  lontano? 
L'  ampia  tavola  è  questa  a  cui  s'  aduna 

655         Quanto  mai  per  aspetto  e  per  maturo 
Senno  il  uobil  concilio  ha  di  più  grave 
O  fra  le  dive  soccre  o  fra  i  nonni 
O  fra  i  celibi  già  da  molti  lustri 
Memorati  nel  mondo.  In  sul  tappeto 

660        Sorge  grand'  urna,  che  poi  scossa  in  volta 
La  dovizia  de'  numeri  comparte 
Fra  i  giocator,  cui  numerata  è  innanzi 
D'immagini  diverse  alma  vaghezza. 

6G1.  difTonda  V.  (B) 


6 10-' 13.  con  man  si  liere,  pronta  e  agi-  come  il  cigolare  de' secchi  quando  la 

le;  ordina  o  turba,  a  principio  e  in  fine.  corda  per  la  carrucola  li  trae  su  di  fondo 

—  Da  quelle  carte  dipende  la  sorte  delle  al  pozzo  (dal  cupo  bItco  dell'onda).  —  pia- 

sue«oi?6«es(Iepoinpemuliebri), inquanto  gnentl,  cigolanti,   propriam.    gementi. 

arrischia  al  gioco  il  suo  denaro,  i  suoi  Avverti  il  suono  mirabile  di  questo  ver- 

assegnamenti,    come    son   detti   nelle  so,  e  come  qui  piangenti  »sa.i'ia.,  cosi 

commedie  deirAll)ergati  settecentista.  conforme,  assai  men  bello»;  avverti  l'ac- 

614  sg.  Amor  sorride,  E ...  Il  sorriso  di  centazione  e  la  fattura  del  verso  Che  sotto 

Amore  par  che  dica:  «Non  sempre  tu  al  carro  pesante,  per  lunga...  e  nel  susse- 

avrai  cosi  grave  faccenda  coni'  è  il  gio-  guente  i  suoni  strada  scricchiolar  ...;  poi 

co  ».  E  la  chiusa  di  questa  scenetta  pare  va  e  credi  a  chi  afferma  che  parlar  di 

il  compendio  de' versi  petrarcheschi:  armonia  imitativa  sia  vieta  retorica. 

Ter  fare  una  leggiadra  sua  vendetta  659-'63.  Descrive  il  gioco  della  cava- 

E  punire  in  un  di  ben  millu  offese,  gnola:  i  numeri  SÌ  cavano  dall'urna  e 

Colatamente  Amor  l'arco  riprese,  si  segnano  SU  cartelle,  abbellite  di  figure. 

Come  uom  che  a  nocer  luogo  e  tempo  —  coi  numerata  è  innanzi  D'immagini  di- 

[aspetta.  ^dge  alma  vaghezza  vuole  appunto  dire, 

617-'53.  sempre  Con  tenore  ostinato,  pur  e  non  negheremo  che  sovrabbondi  squi- 

con  lor  varietà  quelle  voci  si  succedono  sitezza  all'espressione  :  «  i  giocatori  han» 

senza  tregua,  continuatamente,  cf.  755,  no  ciascuno  innanzi  una  cartella  coi  nu 


LA  NOTTE 


183 


Qual  finge  il  vecchio  che  con  man  la  negra 

GG5        Sopra  le  grandi  porporine  brache 

Veste  raccoglie  e,  rubicondo  il  naso 
Di  grave  stizza,  alto  minaccia  e  grida, 
L' aguzza  barba  dimenando.  Quale 
Finge  colui  che  con  la  gobba  enorme 

670        E  il  naso  enorme  e  la  forchetta  enorme 
Le  cadenti  lasagne  avido  ingoia. 
Quale  il  multicolor  zanni  leggiadro 
Che,  col  pugno  posato  al  fesso  legno, 
Sovra  la  punta  dell'  un  pie  s' innoltra, 

675        E  la  succinta  natica  rotando, 

Altrui  volge  faceto  il  nero  ceflfb. 

Né  d'  animali  ancor  copia  vi  manca, 

0,  al  par  d' umana  creatura,  1'  orso 

Ritto  in  due  piedi,  o  il  micio,  o  la  ridente 

CS9        Simia,  o  il  caro  asinelio,  onde  a  sé  grato 
E  giocatrici  e  giocator  fan  speglio. 
Signor,  che  fai?  Cosi,  dell'opre  altrui 
Inoperoso  spettator,  non  vedi 


meri  (numerata)  e  eoa  belle  e  varie  fi- 
gure ». 

631-'76.  Qui  il  p.  si  compiace  a  colo- 
rire alcune  di  quelle  imagint,  e  forse 
su  le  cartelle  nou  furon  mai  colorite 
cosi  bene.  E  ci  dà  tre  maschere,  Pan- 
talone veneziano,  Pulcinella  napoletano. 
Arlecchino  bergamasco,  cogliendo  le 
note  più  spiccate  degli  abiti  e  de'  ca- 
ratteri loro.  Pantalone,  con  la  veste  nera, 
bracato  di  rosso,  che  grida  stizzoso,  e 
la  stizza  gli  tinge  il  naso  e  il  gridare 
gli  fa  mover  la  barbetta.  Pulcinella  che 
mangia  avidamente  i  maccheroni  :  Ve- 
normità  della  gobba,  del  naso,  della 
forchetta  può  intendersi  in  quanto  la 
supposta  figurazione  sia,  come  carica- 
tura, esagerata.  (Nota  come  opportuna- 
la  ripetizione  di  enorme:  cfr.  per  l'  insi- 
stenza in  un  aggettivo  ma  a  proposito  di 
tutt'altro  personaggio,  Carducci  Faida, 
di  comune  «  Uguccion  de  la  Faggiola..., 
il  grande  capo  ignudo.  Sta  su  '1  grande 
cavai  bianco  E  imbracciato  ha  il  grande 
scudo  »).  Arlecchino,  giustamente  peri- 
frasato in  multicolor  zanni  dal  vestire 
a  scacchi  o  liste  variopinte,  onde  ha 
nome  ogni  maniera  di  arlecchini,  è  rap- 
presentato avanzarsi  alla  guisa  sua  con- 


sueta, saltellante  facendo  con  la  gamba 
un  grande  arco  e  posando  il  piede  leg- 
germente in  punta,  e  volgendo  or  qua 
or  là  scherzosamente  il  viso  con  la  ma- 
scherina nera.  Il  particolare  men  chiaro 
è  col  pugno  posato  al  fesso  legno,  «  con  la 
sua  spatola  di  legno  in  mano  {fesso  le- 
gno perché  cosi  sonava  di  più  ne'  colpi 
onde  abbondano  le  scene  arlecchinesche 
nelle  commedie  dell'arte...).  Ma  avverte 
il  Salveraglio  che  il  P.  cancellò  il  v.  674, 
ponendo  Che  su  la  punta  deWun  pie 
s' inoltra»  (M.). 

677-'81.  Dopo  le  maschere  le  bestie, 
e  la  breve  enumerazione  Unisce  con  un 
motto.  —  onde  a  sé...  fan  speglio:  in  cui 
si  specchiano,  cioè  vedono  il  proprio 
ritratto.  È  un  motto  trai' insolenza  aper- 
ta e  la  facezia  scherzosa:  «  si  lascia  ca- 
dere la  maschera  a  disvantaggio  »,  pa- 
reva al  Giusti.  Ma  in  vero  tutto  questo 
luogo  (vv.  6tò-'81)  è  garbata  rappresen- 
tazione d'  un  passatempo  abbastanza 
innocente,  e  qui  la  satira  non  è  né  pro- 
fonda né  acerba. 

6S3-'89.  la  sacra  del  gioco  ara,  cf.  il 
Matt.  16  sg.  ;  disposta  A  te,  per  te.  — 
nell'aurato  bronzo  Che  d'attiche  colonne 
il  grande  imita  I  lumi  sfHTillanti  :  le  can- 


184  LA  NOTTE 

Già  la  sacra  del  gioco  ara  disposta 

685        A  te  pur  anco  ?  E  nell'  aurato  bronzo, 
Che  d'  attiche  colonne  il  grande  imita, 
I  lumi  sfavillanti,  a  cui  nel  mezzo, 
Lusingando  gli  eroi,  sorge  di  carte 
Elegante  congerie  intatta  ancora? 

690        Ecco  s'  asside  la  tua  dama,  e  freme 

Ornai  di  tua  lentezza:  eccone  un'altra; 
Ecco  l'eterno  cavalier  con  lei 
Che,  ritto  in  pie  del  tavolino  al  labbro. 
Più  non  chiede  che  te,  e  te  coi  guardi, 

695        Te  con  le  palme  desiando  affretta. 

Questi,  or  volgon  tre  lustri,  a  te  simile 
Corre  di  gloria  il  generoso  stadio 
De  la  sua  dama  al  fianco.  A  lei  l' intero 
Giorno  il  vide  vicino,  a  lei  la  notte 

700        Innoltrata  d'  assai.  Varia  tra  loro 

Fu  la  sorte  d'  amor,  mille  le  guerre, 
Mille  le  paci,  mille  i  furibondi 
Scapigliati  congedi,  e  mille  i  dolci 
Palpitanti  ritorni,  al  caro  sposo 

705        Noti  non  sol,  ma  nel  teatro  e  al  corso 
Lunga  e  trita  novella.  Alfine  Amore, 
Dopo  tanti  travagli,  a  lor  nel  grembo 
Molle  sonno  chiedea;  quand' ecco  il  Tempo 
Tra  la  coppia  felice  osa  indiscreto 

710        Passar  volando,  e  de  la  dama  un  poco, 
Dove  il  ciglio  ha  confln,  riga  la  guancia 
Con  la  cima  dell'  ale  ;  all'  altro  svelle 
Parte  del  ciuffo,  che  nel  liquid'  aere 
Si  conteser  di  poi  1'  aure  superbe. 


dele  ne'  candelabri  magnifici,  imitanti  o  vicende.  —  1  furibondi  Scapisrllatl  con- 
colonue  ateniesi.  Non  è  al  tutto  fuor  di  gedi  e  dolci  Palpitanti  ritorni,  concetti  ri- 
luogo  ricordare  il  Mezzog.  61S-'59.  —  spondeuti.rispoudeule  reuritralae  Tele- 
I.using.indo,  allettando,  invitando,  —  di  ganza  dei  termini.  —  nel  teatro  e  al  corso, 
carte  Elegante....,  un  mazzo  nuovo.  v.  lo  stesso  emistichio  ne  V  Matt.  184.  — 

692.  l'eterno  caraller,  il  solito,  che  è  lionga  e  trita  novella,  per  molto  tempo 
con  lei  sempre;  il  che  è  poi,  vv.  696  sgg.,  materia  di   tutti   i   discorsi;    Petr.  «al 
dichiarato.  Eterno  è  anche  dell'uso  vivo  mondo  tutto  Favola  fui  gran  tempo  ». 
in  tal  senso.  707  sg.  a  lor  nel  grembo  Molle  sonno 

693.  del  tavolino  al   labbro,  all'  orlo,  cliledea,  cioè  di  riposare    tranquillo,   o, 
presso  la  sponda.  tolta  l'imagine,  sperava  ch'essi   vives- 

698-700.  A  lei...,  d'assai.  Cf.  il  Matt.  sero  tranquillamente  amorosi. 
316-'50.  709.  Indiscreto,  par  biasimo,  ed  è  es- 

700-'06.  Tarla  tra  loro  Fn  la  sorte  d'a-  senziale  del  tempo:  non  discerne. 
mor,  cioè  il  loro  amore  ebbe  molte  fasi  711-'14.  Dove  II  ciglio....  Con  la  cima 


LA  NOTTE 


185 


715        Al  fischiar  del  gran  volo,  ai  dolci  lai 
Degli  amanti  sferzati,  Amor  si  scosse, 
Il  nemico  senti,  1'  armi  raccolse, 
A  fuggir  cominciò.  Pietà  di  noi, 
Pietà,  gridan  gli  amanti:  oi*,  se  tu  parti, 

720        Come  sentir  la  cara  vita,  come 

Più  lunghi  desiarne  i  giorni  e  l'  ore  ? 
Né  già  invan  si  gridò.  La  gracil  mano   • 
Verso  l'omero  armato  Amor  levando, 
Rise  un  riso  vezzoso;  indi  un  bel  mazzo 

725        De  le  carte  che  Felsina  colora 

Tolse  da  la  faretra,  e,  Questo,  ei  disse, 
A  voi  resti  in  mia  vece.  Oh  meraviglia! 


dell'  ale  :  le  solca  il  viso  della  prima  ruga. 
—  all'altro  sTelle  Parte  del  ciuffo,  gli  di- 
rada i  capelli.  —  che  nel  liqnld'aere  SI 
conteser...:  questo  particolare  può  iu- 
cliiudere  un  discreto  ricordo  della  chio- 
ma di  Berenice;  fors'  anche  de  7  riccio 
rapito  di  Pope,  —  l'anre  superbe,  di  ave- 
re tal  preda  in  loro  balla. 

715-'1S.  Al  fischiar  del  gran  volo,  quello 
anzidetto  del  tempo.  —  sferzati,  colpiti 
nella  guisa  descritta.  —  si  scosse,  quasi 
fosse  già  addormentato.  —  senti,  sensit, 
si  accorse  della  sua  presenza.  —A fug- 
gir cominciò,  dopo  l'armi  raccolse  che 
farebbe  pensare  a  chi  si  prepari  a  di- 
fendersi, riesce  improvviso  e  quasi  co- 
mico. 

720  sg.  sentir  la  cara  vita,  cioè  vivere 
sentendo  e  gustando  il  vivere.  —  desiar- 
ne, di  essa  vita. 

722-'27.  La  gracil  mano,  sottile;  cf.  il 
Vespro  67  e  nota,  ma  qui  in  pretto  senso 
classico.  —  Rise  un  riso  vezzoso:  cf. 
Tasso  G.  L.  XIX  «  Sorrise  il  buon  Tan- 
credi un  cotal  riso  Di  sdegno  ».  —  le 
carte  che  Felsina  colora.  Credo  che  al 
luda  specialmente  al  cosi  detto  taraci 
chino  bolognese,  fin  dal  sec.  xiv  «  in. 
trodotto  e  raoditìcato  in  Bologna»  da 
uno  di  casa  Fibbia  (Cicognara,  Calco, 
grafia  p.  137).  «  ...  Il  est  pourtant  un 
artiste  assez  h  abile  qui  vers  le  commen- 
cement  du  dix-huitième  siècle  a  dessiné 
et  grave  un  Tarocchino.  [Ma  in  verità 
molti  altri  giochi  disegnò].  Joseph-Marie 
Mitelli,  connu  par  1'  originante  de  son 
burin,  a  grave  pour  la  familleBenti  vo- 


glio un  jeu  bolonais  dont  les  cuivres 
existent  encore  dans  le  commerce,  se- 
lon  Cicognara  [op.  cit.  p.  138],  et  1*  ico- 
uographe  vénitien  n'hésite  pas  à  mettre 
ce  jeu  au  nombre  des  meilleures  produ- 
ctions  de  Mitelli.  Et  de  fait  le  dessia  en 
est  facile,  varie,  la  gravure  légère  et  spi- 
rituelle,  et  cette  oeuvre  ne  peut  étre  re- 
jetée  dans  la  catégorie  des  pauvretés  ar- 
tistiques  produites  ordinairement  pour 
rusag6desjoueurs»(R.  Merlin,  Origine 
des  Cartes  à  jouer  etc,  Parigi,  1869). 
Di  Gius.  M.  Mitelli  o  Metelli  (I634-17I8), 
figlio  di  Agostino  celebre  frescante  (1609- 
'60),  puoi  vedere  la  Felsina  pittrice  del 
Malvasia,  p.te  iv,  e  gli  appendicisti  di 
quell'opera,  e  la  Storia  dell' Accad.  Cle- 
mentina di  Giampietro  Zanotti,  I  181. 
Uomo  pien  di  vivacità  attiva  e  artistica, 
danzatore  e  suonatore,  giocator  di  pal- 
lone e  gran  cacciatore,  pittore  e  inta- 
gliatore in  rame,  coglieva  prontamente 
figure  e  macchiette  ed  era  non  grande 

0  finito  artista  ma  inesauribile  di  ca- 
pricciose invenzioni.  Giacché  mi  è  ac- 
caduto menzionarlo  qui,  ricordiamo  ol- 
tre al  suo  tarocchino  suoi  versi.  Il  Mal- 
vasia narra  avere  avuto  in  dono  da  lui 
un  suo  disegno  Apollo  che  scortica  Mar- 
sìa  e  sott'esso  questi  versi  : 

Troppo  pensai  saper  per  mia  sveutura 
E  con  Apollo  io  volsi  cimentarmi: 
La  camicia  che  femmi  la  natura, 
Fortuna  poi  non  seppe  conservarmi. 

1  quali  suo  padre  Agostino  corrèsse,  o 
credè  correggere,  cosi  : 


18G 


LA  NOTTE 


Ecco  que'  fogli,  con  diurna  mano 
E  notturna  trattati,  anco  d'  amore 

730        Sensi  spirano  e  moti.  Ab,  se  un  invito 
Ben  comprese  giocando  e  ben  rispose 
Il  cavalier,  qual  de  la  dama  il  fìede 
Tenera  occhiata  che  nel  cor  discende, 
E  quale  a  lei  voluttuoso  in  bocca 

736        Da  una  fresca  rughetta  esce  il  sogghigno! 
Ma  se  i  vaghi  pensieri  ella  disvia 
Solo  un  momento,  e  il  giocatore  avverso 
Util  ne  traggo,  ah!  il  cavaliere  allora 
Freme  geloso,  si  contorce  tutto, 

740        Fa  irrequieto  scricchiolar  la  sedia, 
E  male  e  violento  aduaa  e  male 
Mesce. i  discordi  de  le  carte  semi, 
Onde  poi  1'  altra  giocatrice  a  manca 
Ne  invola  il  meglio:  e  la  stizzosa  dama, 

745        I  due  labbri  aguzzando,  il  pugne  e  sferza 
Con  atroce  implacabile  ironia, 
Cara  a  le  belle  multilustri.  Or  ecco 
Sorger  fieri  dispetti,  acerbe  voglie, 


Io  già  provai  con  l'istromento  mio 
Pareggiar  chi  di  luce  il  mondo  indora  ; 
Ma  la  cetra  di  lui  dolce  e  sonora 
Mi  fa  pagar  con  la  mia  vita  il  fio.  — 

Amanti  invecchiati  che  si  consolano  con 
la  briscola  o  simili  giochi,  non  può  ne- 
garsi che  sia  cosa  dal  vero.  Ma  che  sia 
Amore  a  far  dono  a  quelli  delle  carte, 
di  questa  fiche  de  consolalion,  non  pro- 
duce molto  effetto,  dopo  che  vedemmo 
Mercurio  insegnare  il  trictrac.  Sembra 
ripetizione  di  cosa  non  abbastanza  dis- 
simile. E  per  me  oso  credere  che  quella 
descrizione  d'un  gioco,  la  quale  pure 
sta  cosi  bene  a  chiudere  il  Mezzogiorno, 
tolga  efficacia  di  novità  a  queste  più 
ampie  scene  di  giochi  che  la  Notte,  na- 
turalmente, accoglie  :  sembrano  varia- 
zioni d'un  motivo  già  noto.  Il  che  nulla 
toglie,  anzi  aggiunge  alla  virtù  poetica 
e  artistica,  con  cui  il  P.  trattò  e  animò 
le  precedenti  scene  e  quest'  ultima. 

728-'30.  qoe'  fogli  con  diurna  mano  E 
notturna  trattati  :  di  giorno  e  di  notte  ; 
è  quasi  parodia  del  notissimo  oraziano 
«  Vos  exemplaria  Graeca  Nocturna  ver- 
sate mauu,  versate  diurna  »,  del  quale 


già  una  sembra  essere  in  Orazio  stesso 
«  Nocturno  certare  mero,  putere  diur- 
no ».  —  d'amore  Sensi  spirano  e  moti: 
quali  si  dichiara  appresso;  compiacen- 
za, se  il  compagno  gioca  bene;  lunghi 
corrucci,  se  male. 

730-735.  se  nn  invito  Ben  comprese  gio- 
cando e  ben  rispose:  termini  di  gioco 
quasi  tecnici.  La  dama  e  il  cavaliere 
stanno  insieme,  sono  compagni,  nella 
partita  in  quattro  :  invitare  è  far  gioco 
tale  che  l'altro  debba  intendere  e  secon- 
dare, rispondere.  —  fresca  rughetta,  ag- 
giunto e  nome  che  ad  arte  suonan  di- 
scordi ;  e  sogghigno  non  è  più  sorriso. 

736-'42.  Se  la  dama  ha  un  istante  di 
distrazione,  di  che  l'avversario  s'avvan- 
taggi, il  cavaliere  s' inquieta.  —  E  male... 
semi:  raccoglie  e  mescola  furiosamente 
le  carte.  —  semi,  cosi  si  chiamano  i  grup- 
pi diversi,  cioè  cuori,  fiori,  quadri,  pic- 
che ;  0  coppe,  spade,  bastoni,  ori  o  denari. 

743  sg.  He  invola  il  meglio,  profittando 
della  furia  iucomposta  con  che  l'avver- 
sario raduna  le  carte. 

716  sg.  Con  atroce...,  Cara  a  le  belle 
mnltllastri,  e  però  dispettose,  inacerbite. 


LA  NOTTE  187 

Lungo  aggrottar  di  ciglia,  e  per  più  giorni 
750        A  la  veglia  al  teatro  al  corso  in  cocchio 

Trasferito  silenzio.  Alfìn  chiamato 

Un  per  gi'an  senno  e  per  veduti  casi 

Nestore  tra  gli  eroi  famoso  e  chiaro 

Rompe  il  tenor  de  le  ostinate  menti 
765        Con  mirabil  di  mente  ai'dao  consiglio. 

Cosi,  ad  onta  del  tempo,  or  lieta,  or  mesta, 

L'  alma  coppia  d'  amarsi  anco  si  finge  ; 

Cosi  gusta  la  vita.  Egual  ventura 

T'  è  serbata,  o  Signor,  se  ardirà  mai, 
7G0         Ch'io  non  credo  però,  l'alato  veglio 

Smovere  alcun  de'  preziosi  avori 

Gnor  de'  risi  tuoi,  si  che  le  labbra 

Si  ripieghino  a  dentro  e  il  gentil  mento 

Oltre  i  confin  de  la  bellezza  ecceda. 
765     Ma  d'ambrosia  e  di  nettare  gelato 

Anco  ai  vostri  palati  almo  conforto. 

Terrestri  déitadi,  ecco  sen  viene; 

E  cento  ganimedi,  in  vaga  pompa 

E  di  vesti  e  di  crin,  lucide  tazze 
770        Ne  recan  taciturni,  e  con  leggiadro 

E  rispettoso  inchin  tutte  spiegando 

Dell'omero  virile  e  de' bei  fianchi 

Le  rare  forme,  lusingar  son  osi 

De  le  Cinzie  terrene  i  guardi  obliqui. 
775        Mira,  o  Signor,  che  a  la  tua  dama  uu  d'  essi 


749-'51.  per  pili  giorni...  Trasferito  si-  dentro,  il  mento  in    fuori;    è   perifrasi 

lenzio,  portato  di  luogo  in  luogo,  con-  elegante  per  dire  «  sicché  tu  faccia  la 

tinuo.  bazza  ». 

75l-'55,  A  tali  ire  bisogna  un  paciere,  765-774.  Son  portati   i  rinfreschi,   e 

del  senno,   dell'esperienza  di  Nèstore:  propriamente  i  gelati.  Anche  qui,  quasi 

egli  solo,  con  l'avvedutezza  e  la  loquela  per  necessità  di  cose,  si  ripresenta  con 

sua  persuasiva,  fa  cessare  il  lungo  brou-  più  larghezza  una  circostanza  che  già 

ciò  di  que'  due,  Rompe  il  tenor  de  le  osti-  ci  presentò  il  Mezzog.,  vv.  1033-"38.  — 

n  .te  menti.  ganimedi  chiama  i  giovani  servi  si  per 

756 '58.  Èquasirispostaai versi 720-'21.  la  leggiadria  e  l'eleganza  si   perché  il 

758-'61.  Tentnra,  par  che  suoni  «lieta»  giovinetto    frigio    rapito   in   cielo   dal- 

ma  l'intendimento  è  altro  dal  suono,  e  l'aquila  si  Unse   coppiere    di   Giove.  — 

quale  ella  sia  ognun  vede.  —  Clj'io  non  lusingar  son  osi,  cfr.  il  Vespro  32-35.  — 

credo  però,  comica  riserva  !  Il  però  è  nel  De  le  Ciuzie  terrene  ;  tutte  simili  a  Diana 

senso  moderno  di  «  tuttavia  ».— de' pre-  (djnthia  dal  m.  Cijnthus  in   Belo  sua 

z'iosi  arori  Gnor  de'  risi  tuoi,  preziosa  an-  patria),  la  castissima  dea  (che  pure  ebbe 

che  la  frase:  può  ricordarsi  il  catulliano  occhi  per  Endimione).  —  i  guardi  obli- 

«  Egnatius,  quod  candidos  liabet  dentes,  qui,  di  sottecchi. 

Kenidet  usquequaque  ».  —  si  che  le  lab-  775-'80.  Lene  s'accosta,  con  garbo,  con 

bra...  e  il  gentil  mento..:  le  labbra  in  riguardo.  E  il  servo  elegante  che   vuol 


188  LA  NOTTE 


Lene  s' accosta  e  con  sommessa  voce 
E  mozzicando  le  parole  alquanto, 
Onde  pur  sempre  al  suo  signor  somigli, 
A  lei  di  gel  voluttuoso  annuncia 
780        Copia  diversa.  Ivi  è  raccolta  in  neve 
La  fragola  gentil  clie  di  lontano 
Pur  col  soave  odor  tradì  sé  stessa  ; 

V  è  il  salubre  limon;  v' è  il  molle  latto; 

V  è  con  largo  tesor  culto  fra  noi 
785        Pomo  stranier  che  coronato  usurpa 

Loco  ai  pomi  natii  ;  v'  è  le  due  brune 
Odorose  bevande  che  pur  dianzi, 
Di  scoppiato  vulcan  simili  al  corso, 
Fumanti  ardenti  torbide  spumose 

790        Inondavan  le  tazze,  ed  or  congeste 
Sono  in  rigidi  coni,  a  fieder  pronte 
Di  contraria  dolcezza  i  sensi  altrui. 
Sorgi  tu  dunque,  e  a  la  tua  dama  intendi 
A  porger  di  tua  man,  scelto  fra   molti, 

795        II  sapor  più  gradito.  I  suoi  desiri 

Ella  scopre  a  te  solo:  e  mal  gradito, 
O  mal  lodato  almen,  giugno  il  diletto 
Quando  al  senso  di  lei  per  te  non  giu-ge. 
Ma  pria  togli  di  tasca  intatto  ancora 

800        Candidissimo  lin,  che  sul  bel  grembo     - 
Di  lei  scenda  spiegato,  onde  di  gelo 
Inavvertita  stilla  i  cari  veli 


pur  somigliare  al  padrone  elegantissimo  ro?  Meglio,  diversa  da  quella  che  re- 

è  da  osservazione  viva.  —  di  gel  rolnt-  cano  in  bevanda.  Ma  forse  non  è  chia- 

tnoso:  è  delle  frasi,  numerose  in  questo  rameute  espresso, 

luogo,  che  temperano  la  preziosità  vo-  793-'98.  Il  servo  annuncia  le  varietà, 

luta  dalla  materia  e  dall'  ambiente  con  ma  la  dama  dice  solo  al  cavaliere  la 

la  sobria  eleganza  di  cui  il  P.  era  mae-  sua  scelta.  —  iatendi  A  porger.»,  attendi 

stro.  a...,  adempì  1'  ufficio  di... 

780-92.  Enumera  qualità  di  gelati  tra  799-804.  Stendi  su  le  sue  ginocchia  un 
cui  la  bella  può  scegliere  :  fragola,  li-  fazzoletto  fine  e  nuovo  perché  goccia  di 
mone,  crema,  ananas,  cioccolata,  caffè.  gelato  non  macchi  la  veste,  di  macchia 
—  con  largo  tesor  culto  fra  noi  Pomo  str  a-  disperata,  indelebile,  che  non  va  vi.i. 
nier... :  l'ananas.  —  v'è  le  due  brune....:  Notò  Bonav.  Zumbini  che  questo  partl- 
poiché  a  punto  soglion  esser  bevande  colare  è  imitato  dal  poemetto  di  Pope 
e  ben  calde,  colorisce  forte  ciò  per  av-  Tfie  iJaj^e  of  the  Look  e  che,  se  pare 
vivare  il  contrasto,  che  ora  sono  rasso-  atto  poco  signorile,  l'imitazione  da  an- 
date e  ghiaccie,  congeste...  in  rigidi  coni,  tore  allora  assai  noto  era  fatta  «con 
Nota  il  T'è  seguendo  due  soggetti  :  uso  la  speranza  di  conseguire  un  felice  ef- 
classico,  e  anche  de'  nostri  classici.  —  fetto  poetico  ».  (Del  poema  di  Pope  pub- 
Di  contraria  dolcezza:  contraria  tra  lo-  blicato  nel  1711-12,  poi  nel  '14,  v.  Card. 


LA  NOTTE 


189 


E  le  frange  pompose  invan  minacci 
Di  maccliia  disperata.  Umili  cose 
805        E  di  picciol  valore  al  cieco  vulgo 

Queste  forse  parraii  che  a  te  dimostro 
Con  si  nobili  versi,  e  spai-go  ed  orno 


pp.  120- '39:  ove  delle  imitazioni  del  P. 
dal  poeta  inglese,  quali  avvisarono  lo  Za- 
nella o  lo  Zumbiui,  si  discorre  a  fondo, 
riducendole  a  poche  o  punte  e  recando 
particolari  raffronti  da  Preciirs.  e  imi- 
tatori del  Giorno  di  G.  Agnelli).  Certo 
è  che  nel  canto  in  del  Ratto  del  riccio 
si  legge  come,  pronto  e  versato  il  caffè 
(cito  dalla  traduzione  di  Ant.  Conti,  del 
1756,  non  molto  felice  a  questo  punto, 
ma,  in  ultimo,  fedele), 

I  Silfi,  non  men  ch'api  a  fior  novello, 
Volano  Intorno  alla  guardata  Bella. 
Altri  sventa  il  liquor  quand'olia  il  sorsa, 
Altri  contro  ogni  sorso  oppone  l'  ale 
Tremante  e  conscio  del  broccato  ricco. 

804-'06.  Umili  cose...:  umili  in  verità, 
e  di  più  in  più  le  immediatamente  pre- 
cedenti a  questo  passo  in  cui  il  P.  si  ri- 
sente e  risorge.  Ma,  nonostante  l'appa- 
rente connessione,  e  ammettendo  che 
«  cotesti  versi,  col  tratto  supremo  del- 
l' ironia,  potevano  e  possono  benissimo 
essere  epilogo  e  conchiusione  a  tutto  il 
poema  »,  non  è  men  vero  che  «  e'  è  una 
lacuna  tra  il  sorbir  de'  gelati  e  l'epilo- 
go »,  come  afferma  il  Carducci.  A  giu- 
dizio del  quale  resta  sempre  salda  la 
ragione  di  Cesare  Canti'i  :  «  Qui  lasciò 
interrotta  la  pittura  il  gran  Lombardo. 
Chi  avrà  posto  mente  al  principio  della 
Notte,  di  leggeri  avviserà  quel  che  vi 
manca.  Perocché  ivi  erasi  proposto  di 
guidar  il  suo  generoso  alunno  alla  ve- 
glia frequente  e  aWampia  scena  [v.  63. 
E  mi  pare  a  proposito  ricordare  il  Matt. 
65  *Tu  tra  le  veglie  e  le  canore  scene 
E  il  patetico  gioco  oltre  più  assai  Pro- 
ducesti la  notte»].  Compiuta  la  prima 
parte,  questa  seconda  rimaneva  ;  e  deh 
l'avesse  potuta  o  voluta  colorire  !  »  E 
questa  salda  ragione  il  Carducci  con- 
fermò a  oltranza  raccogliendo  note  au- 
tografe del  P.  (pag.  276  sg.)  quali:  Il 
teatro  è  un  alveare,  i  palchi  le  celle, 
i  siovani  le  api  che  fanno  il  miele.  — 


Al  teatro  gli  altri  vanno  per  solle- 
varsi dalle  fatiche,  tu  solo  vi  vai  per 
coronare  colVestrema  le  fatiche  del 
giorno.  —  Porti  il  sacco,  lo  levi,  lo 
adatti;  segga  in  faccia  alla  dama, 
pulisca  il  cannocchiale,  esibisca  dia- 
voletti, porti  ambasciate.  —  Godere 
in  un  punto  con  la  vista  gli  spetta- 
coli, coli' udito  la  tnusica,  coll'olfato 
gli  odori,  col  gusto  gli  spargimenti, 
col  tatto  del  ginocchio  la  donna.  — 
Gli  attori  applaudi  non  quando  il  me- 
ritano ma  quando  vien  capriccio.  Il 
volgo  adopera  la  ragione  e  quel  senso 
che  per  ciò  è  detto  comune;  ma  le  vo- 
glie repentine  sieno  sole  la  tua  nor- 
ma. —  Donne  di  teatro:  Amore  guar- 
da le  dame,  e  sorride.  —  Celibi.  — 
Marito.  —  Bando  o  nastro  da  notte 
ricamato  a  caratteri  amorosi  dalla 
bella.  —  Cavalier  savio,  dama  sa- 
via. —  Caratteri  di  donne  da  visi- 
tare in  teatro.  —  Maschere.  Chauves- 
souris.  Tornando  svegliarsi  alV  im- 
provvisa e  applaudire  a  chi  stona.  — 
Cavalieri  che  mantengono  donne.  — 
Cavalieri  che  danno  ciarle  e  prote- 
zione alle  donne  di  teatro  non  poten- 
do dar  altro.  —  Dame  guardano  ai 
ballerini,  cavalieri  alle  ballerine.  — 
In  palco  non  ceder  la  mano,  tornan- 
do ripigliarla.  —  Nella  platea  discendi 
talora,  accomunati  co'  musici,  bufToni 
mutoli.  —  Degna  talora  gli  uomini  di 
talento,  ma  come  none.  —  Parlar 
forte  dalla  platea  al  palco.  —  Nel  par- 
tir dal  palco  cerchi  dello  staffiere  per 
la  mantiglia,  la  metta  alla  dama,  ne 
acconci  le  code  nel  cappuccio.  —  «  Ver- 
seggiata e  compiuta  che  fosse  la  descri- 
zione, che  lascia  imaginar  tanto  pur 
dalle  linee,  del  modo  di  passar  la  sera 
al  teatro,  avrebbe  fatto  séguito  a  quella 
della  veglia»;  e  cou  pari  convenienza 
esteriore,  e  maggiore  intima,  si  sareb- 
be soggiunta  la  chiusa  Umili  cose...  — 
(jneste...  elio  «  (e  dimostro~>> ...  non  faro: 


190 


LA  NOTTE 


810 


De'  vaghi  fiori  de  lo  stil,  eh'  io  colsi 
Ne' recessi  di  Pindo  e  che  giammai 
Da  poetica  man  tocchi  non  furo: 


il  P.  si  può  dar  questi  vanti,  giacché 
per  il  tono  dominante  del  poema  le  belle 
parole  posson  sembrare  in  fondo  scher- 
zose, ma  intanto  egli  è  ben  conscio  che 
dice  giusto  e  quindi  in  realtà  parla  sul 
serio.  Puoi  cf.  il  Mezzog.  769  «  Immor- 
tai come  voi  la  nostra  Musa  >.  —  di  tanta 
notte,  di  si  gran  tenebra,  d'ignorfinza 
tanta.  —  e  sorger...:  cosi  divenire  illu- 
stri tanti,  che  poi,  cioè  fatti  per  tal  via 
gloriosi  e  splendidi,  11  cieco  vnlgo  adora: 
cieco  in  quanto  ignaro  e  grosso  (cf.  v. 
805),  0  pure  in  quanto  li  adora]  L'animo 
del  p.  s'intende,  e  la  chiusa,  definitiva 
o  no  ch'ella  avesse  a  essere  (e  forse  si  : 
la  lacuna  è  prima)  è  degna  del  poema. 
Per  la  frase  ricorda  il  Vespr.  439  «la 
turba  volgare  che  si  prostra  »;  e  avverti 
prosteso  adora  nel  Leop.  Palin.  214, 

Qui  per  compiutezza  è  da  soggiun- 
gere un  frammento  inedito,  e  che  forse 
non  sarebbe  entrato  mai  nel  poema,  e 
lo  soggiungo  con  le  parole  e  le  osser- 
vazioni verissime  del  Carducci  (p.  27S). 
«  Ma  dove  avrebbe  il  poeta  cacciato  la 
morte  dell'eroe  e  la  discesa  all'inferno? 
Perocché  tra  altri  appunti  trovo  anche 
questi  : 

Meraviglia  de'  posteri  pensando  che  tu 
abbi  fatto  ogni  giorno  tante  cose  per  tanti 
anni. 

Morte  dell'eroe,  funerali,  apoteosi. 

Inferno.  Mostri  vari,  ombre  pallide,  tutti 
eguali.  Giudici  sedendo  distribuiscon  le 
pene:  tolgono  agli  uni  il  frutto  de'  lor  pec- 
cati, danno  ad  altri  un  premio  che  tornerà 
in  loro  danno  ecc. 

E  trovo  questo  frammento  : 

Poi  che  tant'opre  e  gloriose  hai  solo 
Fatte  in  un  giorno,  almo  signore,  or  vieni 
Meco  e  discendi  ne  la  valle  infama. 
Né  il  lusingante  con  la  cetra  Orfeo 
Né  l'armato  di  clava  Ercole  invitto 
Sarien  si  chiaro  a  scintillar  saliti 
Là  per  la  volta  .de  l'etereo  polo, 
Se  non  tentato  già  per  l'ombre  eterne 
Lasciato  avesser  l'ultimo  periglio  ; 
Né  di  te  degno  e  de  l'eterna  Clio 
Saria  il  tuo  vate,  se  de  gli  altri  al  paro 
Poi  non  guidasse  il  suo  cantato  eroe 


Felice  temerario  in  faccia  a  Fiuto. 
Vergine  furibonda  e  scapigliata 
De  le  cui  voci  profetanti  tutta 
Ululava  l'euboica  riviera 
Ne'  prischi  tempi  e  che  guidasti  a  Dite 
Il  timoroso  de  gli  dei  troiano. 
Tu  predinne  le  sorti  e  tu  ne  assisti. 
Mentre  d'un  aemideo  guidando  1  passi 
Scendo  uom  mortale  e  penetrar  son  oso 
I  ridotti  de  l'ombre  e  il  regno  avaro. 
Ma  oh  Dio  già  mi  trasformo.  Ecco  ecco  un 
Ampio,  nero,  lugubre  a' me  d' intorno     [velo 
Si  diffonde,  mi  copre.  In  grembo  ad  esso 
Si  rannicchian  le  braccia,  e  veggio  a  pena 
Zoppicarmi  del  pie  la  punta  estrema 
Sotto  spoglie  novelle.  Orrida  giubba 
Di  negro  velo  anch'essa  a  me  dal  capo 
Scende  sul  dorso  e  si  dilata,  e  cela 
E  mento  e  gola  e  petto.  Ahimé  il  sembiante 
Sorgo  privo  di  labbra,  esangue,  freddo 
E  di  squallore  sepolcral  coperto. 

È  la  mascheratura  del  domino  nero  1  A 
ogni  modo,  il  poeta  pare  abbandonasse 
certe  fantasie  di  reminiscenza.  E  fece 
bene.  Troppo  avrebbero  stonato  con  la 
realità  viva  che  animava  tutto  il  poema. 
—  E  lo  anima  tuttora  ». 

Non  lasciare  però  di  notare  la  bel- 
lezza dell'arte  pariniana  in  questi  versi 
per  sé  considerati,  p.  es.  in  quello  Fe- 
lice temerario  in  faccia  a  Pluto,  e  nei 
susseguenti  che,  se  fossero  di  alcuni 
anni  più  tardi,  si  direbbero  stupenda- 
mente foscoliani. 

In  quanto  alla  descrizione  del  teatro, 
nel  sermone  intitolato  a  punto  il  teatro 
(opp.  Ili  165,  ed  è  anche  nelle  ed.  Le 
Mounier  e  Barbèra),  magrissimo  com- 
penso di  certo  alla  trattazione  che  il  P. 
avrebbe  fatta  con  ben  altra  arte  nel 
poema,  c'è  qualche  tocco  e  accenno  che 
a  noi  giova  conoscere.  Incomincia  da  uno 
sguardo  al  carnevale  in  piazza. 

Entrerem  noi  su  l'ondeggiante  piazza 
A  veder  le  magnanime  tenzoni 
Dell'Insubre  di  Brenne  inclita  razza? 

Br'iarei  i  fanciulli  e  Geri'oni 
Fansi  a  raccor  la  pubblica  treggea 
Ch'  è  in  vece  d'arme  a'  fervidi  campioni. 

Ma  noi  non  già  de  la  pazzia  plebea 
Frustiam  le  spalle  :  andiam  là  've  s'aduna 
E  la  ricca  e  la  nobile  assemblea. 


LA  NOTTE 


191 


Ma  di  si  crasso  error,  di  tanta  notte 
Già  tu  non  hai  1'  eccelsa  mente  ingombra, 
Signor,  che  vedi  di  quest'  opra  ordirsi 


Audiancene  al  Teatro:  oramai  l'una 
Ora  è  di  notte:   quivi  '1  caruesciale 
Gli  apropositi  suoi  tutti  raguna. 

Odi  '1  romor  de'  cocchi  universale 
Che  van  precipitando  iu  ver  la  corte 
Dal  cocchier  spinti  e  dal  padron  bestiale. 

Eccoci  del  Teatro  in  su  le  porte  : 

Vedi  '1  portier  con  minaccevol  fronte, 
Che  le  pubbliche  lance  il  rendon  forte. 

Non  parti  '1  ceffo  del  crudel  Caronte 
Che  l'obolo  a  le  vote  animo  chiegga 
Su  la  riva  dell'ultimo  Aoheront  •  ? 

Entriam  ;  ma  fa  ben  poi  chg  tu  ti  regga 
Incontro  all'ira;  e  il  periglioso  a  dire 
Sol  nel  volto  sdegnoso  altri  ti  legga. 

Entriam  dopo  costui  che  tanto  a  uscire 
Sta  di  carrozza,  e  seco  al  fianco  valli 
L'altrui  moglie  ch'egli  ha  tolto  a  servire. 

Il  marito  aspettando  a  casa  stalli  ; 
E  de  la  melonaggin  del  marito 
Ridono  i  consapevoli  cavalli. 

Stimasi  oggi  un  error  d'esser  punito, 
Non  che  da  tinger  por  rossor  le  guance, 
Veder  lo  sposo  a  la  sua  moglie  unito. 


Ma  già  slam  dentro,  o  Musa:  il  bel  severo 
Contegno  verginal  pon  giù  e  spalanca. 
Ben  che  cosi  modesta,  i  lumi  al  vero. 

Vedi  qual  ampio  sorge  a  destra  e  a  manca 
Edifizio  sublime:  il  fulgid' auro 
Del  vario  ordin  de'  palchi  il  guardo  stanca. 

Vide  a  pena  Quiriu  tanto  tesauro 
Sparso  ne'  suoi  teatri,  allor  ch'odile 
Fu  di  Siila  il  figliastro  Emilio  Scauro. 

Forse  per  udir  qui  l'ornato  stile 

Di  Tullio  o  di  Maron  credi  che  stretta 
Stia  tanta  femminil  turba  e  virile  ? 

E  ciò  in  vero  sarebbe  un  po'  troppo  pre- 
tendere. No,  i  belati  d'un  soprano. 

Ecco  s'apre  la  scena  :  ecco  da  i  Iati 
Utica  s'erge:  e  in  faccia  al  suo  periglio 
Esce  il  fiero  Caton  con  pochi  armati. 

Dunque   si  rappresenta   il    Catone   in 
Utica. 

Se  gli  legge  sul  volto  il  gran  consiglio; 

E  seguon  più  versi  solenni  su  lui  e  Ce- 
sare, il  che  fa  scoppiar  dal  riso  la  Musa, 

.  .  .  voggcuilo  ad  ambedue 

Di  biacca  il  muso  e  solimato  intriso. 

Ma  non  e'  è  da  ridere  :  v'  è  fa  Lisa  spet- 


tatrice che  potrebbe  sconciarsi,  e  però 
è  bene  il  rigor  de' Romani  Co'minj 
ornar,  e  Catone  esangue  Cantar  mo- 
rendo  : 

...  II  popol  tenerino 

Troppo  a  le  doglie  altrui  s'agita  elangue. 

Cha  importan  leggi  al  poeta  meschino, 
Pur  che  quel  poco  al  fin  vada  buscando 
Che  avanza  a  Farinello  e  a  Carestiuo? 

Ma  vaglia  il  vero,  o  Musa,  or  come  or  quan- 

[do 
Fu  serbato  il  decer  meglio  e  '1  costume, 
Se  gl'impavidi  eroi  muoion  cantando? 

La  vecchia  loda  alla  figlia  il  sopran  /la- 
scio :  ma  questa  vagheggia  Vamante,  e 
le  espugnano  la  già  salda  mente  gli  ob- 
bietti, il  suono,  il  canto,  e  ';  loco. 

Vod'  ella  già  ne  la  platea  fervente 
Sconosciute  arrivar  donne  e  donzelle 
Giunte  co'  vaghi  lor  procacemente. 

Dan  le  maschere  ardir  ... 

C'è  un  frate  Uguecion  scappato  di  con- 
vento, ci  sono  con  Clori  e  Filli  I  Vezzosi 
Xbatin,  profumati  Co''  tnanichetti  can- 
didi d"  Olanda.  La  correttrice  satira 
non  ha  riguardo  a  servi  né  a  padroni, 
ma  usa  discrezione  :  indulgente  a  chi  per 
ire  a  teatro  fé'  privazioni  lunghe,  non  a 
chi  fé'  mercato  turpe.  Inveisce  contro  al 
Ridotto,  ove  un  ricco  sdondolato  Sur 
una  carta  spiantasi  di  botto. 

Perdio  !  meglio  saria,  Musa,  ch'entrato 
Io  non  ci  fossi  mai,  però  eh'  io  trovo 
Materia  da  miei  versi  iu  ogni  lato. 

E  poi  dice,  guardando  le  varie  e  folte 
maschere. 

Quanti  vedrai  spropositi  massicci  ! 
Quanti  birboni  avviluppati  in  ostri  I 
E  in  pelle  di  lioue  oh  quanti  micci! 

Finisce  con  ri4ersi  del  poeta  che  fa  boc- 
ca da  piangere  e  si  richiama  ad  Apollo 
perché  tanto  tesoro  vada  a  certa  gente. 
Che  ogni  sua  gran  virtù  posta  ha  nel 
foro  De  la  gola.  Ciò  fa  perder  la  pa- 
zienza al  poeta,  che  ai  detti   esecrandi 


192 


LA  NOTTE 


De'  tuoi  pari  la  vita,  e  sorger  quindi 
815        La  gloria  e  lo  splendor  di  tanti  eroi 
Che  poi  prosteso  il  cieco  vulgo  adora. 


e  allo  sciocco  favellar  del  suo  diserto 
compagno  dice  conchiudendo  : 

Bestia  1  non  sa  che  l'or,  le  vesti  e  i  prandi 
Premi  del  volgo  sou  che  ha  *1  viver  corto  ? 


E  che  vlvon  d'onor  l'anime  grandi  ? 

Non  sa  che  '1  nostro  mondo  oggi  è  si  torto 
Che  a  drizzarlo  dal  posto  ov'ei  si  siede 
Non  basterebbe  l'argano  più  accorto 

Di  quol  gran  matematico  Archimede  ? 


GIUNTE  E  CORREZIONI 


,    23.  aborri     {tutti   eoi    Beino,   ab- 
borri). 
39.  figlioletti    intepidir    {tutti  in- 
tiepidir). 
131.  scegli  '1. 
135.  Caribbeo. 

211.  alle  impure  {tutti  ale,  tranne 
il  Valmaggi,  nel  suo  •  Il  Giorno 
ridotto  e  comm.,  1904  3»,  eh' è  ri- 
salilo oltre  il  Reina  alle  prime 
stampe)  :  cosi  v.  698  alle  gru  (tutti 
a  le).  ** 

212.  macchiarsi  {tutti  raacchiarae). 

215.  All'orecchio.  E  cosi  226  Del- 
l'ardente, 397  dall'altro,  608  al- 
l'ara, 616  all'urto  e  all'Impeto,  739 
sull'arti,  745  dell'amorosa,  948  dal- 
l' inciso. 

216.  de  le  {lutti  col  £.  da  le,  menu 
il  Vaivi.). 

260.  berà  (e.  «.). 

293.  obbietto.  E  cosi  322  Subbietti. 

327.  (giovane  dama  ed  altrui  sposa 

era  la  stampa,  non  e  d'altrui  come 

col  R.  tutti  tranne   F.). 

437.  ufici. 

468.  tra  poc'anui. 

546.  le  tempia  (tempie    tutti   meno 

V.). 


—  607.  pettine  {Solo   V.,  ma  era  ino- 
babilm.  errore  di  stampa). 

—  609.  Phallo. 

—  632.  travviai. 

—  720.  ch'osi. 

—  792.  Kt  ondo  (Mazs.   Valm.). 

—  799.  Rafael  (e.  ».). 

—  808.  Allo  scrosciar. 

—  812.  Se  'I  primo. 

—  818.  fa  cuore. 

—  836.  Fuligìnoso. 

—  862.  a  poco  bear  {forse  errore). 

—  954.  I magia 

—  955.    Cannochiale     aggiugni    {scor- 
rezione). 

—  973.  Paladio  {e.  s.  ?). 

—  975.  fomìnili  E   cosi   Mezzog.  178: 

ivi  316  feminei 

—  997.  ognaltro 

—  1072.  e  '1  limo 

—  1153.  d'elsa   E   cosi    1159    l'elsa    è 
superba 

—  1155.  r  impugni 

—  1158.  et  ordinar  {tutti  ed). 

—  1168.  tra  i 
Il  3IezzOg.  79.  Bizauzio 

—  141.  improviso 

—  214.  in  voi  non  fia 

—  299.  Mugon 


*  Questa  1'  lista  A  porla  lezioni  delle  slampe  1763,  't>5,  lezioni  che,  da  poche  in  fuori,  avrei 
lasciate  ai  loro  lunghi,  se  per  qualche  tempo  non  mi  fosse  mancato  il  raffronto  di  quelle  stampe. 

**  Benché  il  P.  seguisse  in  varj  tempi  diversi  metodi  d'ortografia  (Reina),  mi  pare  che 
risulti  come  suo  uso  costauto  dividere  l'articolo  dal  segnacaso  quando  la  preposizione  artico- 
lata era  intera,  non  dividerlo  quand'  era  apostrofata  ;  quindi  p.  es.  ne  le  Gallie,  de  la  vita, 
ma  all'opre,  dell'  incerto  :  ma  non  è  maraviglia  che  qua  e  là  non  osservi  la  regola,  poiché  unica 
norma  certa  per  lui,  in  cosa  che  si  fa  solo  nel  verso  in  servigio  del  suono,  era  quel  che  gli 
paresse  suono  migliore. 


Fabini  —  AuJiNi 


13 


194 


GIUNTE  E  CORREZIONI 


Il  Mezzog.   410.  et  arde 

—  ii2.  et  invocar 

—  451  8gg.  ria  tua  cura,  o  Signore, 
or  elle  più  ferve  La  mensa,  di  ve- 
gliar su  i  cibi  ;  e  pronto  Scoprir 
qual  d'essi  a  la  tua  Dama  è  caro: 
O  qual 


II  Mezzo?.  461.  nuooa 

—  604.  da  mortali 

—  646.  Destino  in  lui  {tulli  In  lei). 

—  796.  ne  chiedea,  869.  Zorastro  («cor- 
rezioni). 

—  073.  da  le 


B.     Pag 


87 
133 


156 
181 


note  col.  2'  lin.  10':  il  V.  337.  correggi  Meszog.  339. 

"  »      29:  516  e  sgg.  »        518  nelle  varianti. 

»         1'  8:  della  ....  »         delle 

V.  237  la  lez.  prov.  dal  C.  :  L'ipo- 

crito Il        L' ipocrita 

n.  col.  2  1.  9  :  993 •>         972 

«  15:  Saul  12, I.         II  1, 

»     11.     9:  V.  28,  261 n         v.  28,  53,  261  var. 

Varianti  1.  2*,  dopo:  421.    .        .         ag„'i ungi  abbia  piuttosto 

i>  1.  6  :  valletti dir.         valetti 

»  1.  2'  :  vendeste n         scendeste 

"  1.  1':  di  quella  all'   .    .    .     aggiungi  uso  istesso 

Il  1.  2'  :  onde corr.  indi  [l'onde  è  del  R.].         ' 

»  I.  3 inserisci  945.  s' unio 

»  1.  2*:  oleosa corr.         oleoso 

»  1.  3-8 aggiungi  1038  sg.  Ecco  obe    splende,    Chiuso 

in  picciol  cristallo  —  Nota  che  que- 
Btiversinella  stampa  originale  hanno 
le  lezz.i  dell'altro  secolo...,  all'a- 
spetto —  Del  non  meno  di  voi  — 
Dell'oriolo  —  all'  innocenza. 

nota  col.  1*  1.  14:   1144 corr.  1044. 

Var.  1.  5  Inserisci —  1066  tu  adunque 

Var.  in  princ aggiungi  1079  manca. 

»       lin.     9  :   core corr.         cuore 

Il       1.       12 inserisci  1151  sg.  Tu  al  mio  giovane  Kroe  la 

spada  or  cingi  Lieve  e  corta 

»     1.  4:  stridi agg.  stridi  V. 

Note  col.  8*  in  fine »  Fors'anche,  dignitosi  e 

solenni  ;  cf.  83  e  la  N.  204-208. 
»     e.  2*  1.  4:  anaraci  .......     corr.         amaraci 

Il     e.  2*  1.  9  :  Piiia corr.  Finzia 

»     15  :  pacato »        placato 

Il     col.  2'  :  in.  terzultima.    .    .    .         Cancella  [I  aimil  suoni,  Tonti]  —  eie  spetta 

a  un  luogo  della  Notte. 
Il     col  1'  lin.  '«il,  dopo:   delle  mio  curo»,  agg.  of.  Mezz.  490. 
v.  703  Bg.  e  in  nota  :  dolci  Palpitanti  corr.  dolce  Palpitanti. 


ELENCO  E  SUPPLEMENTO  DI  OSSERVAZIONI 
su  l'arte,  lo  stile  e  la  lingua 


AggettlTO  avverbio.  Esempi  II  Slatt.  86  «Molle 
cedenti  »,  496  «  alto  gonfiando  »,  573  n  lieve 
solca  »,  637  o  alto  disdegnano».  Il  Slezz. 
145  «Improviso»,  238  a  dolce  cadente», 
1062  «  molle  assisa  »,  Il  Vespr.  206  «  truce 
guatando  a.  La  Kott.  703  sg.  «  i  dolce  Pal- 
pitanti a. 
Il  a  persona  o  cosa  per  avverbio  di  tempo. 
Ess.  M.  (v.  tra  le  varie  lezz.  p.  57)  «  l'arme 
che  ...  Givan  notturne  »,  N.  368  h  Ei  v'an- 
dò mattutin  ». 
Il  neutro  per  sostantivo  astratto.  M.  224  »  il 
vano  »,  N,  270  «  del  tuo  grande  »,  686  «  il 
grande  ». 
»  predicativo,  senza  risalto  di  collocazione. 
Me.  378  e  412,  677,   V.  459. 

Allitterazione,  il.  386  ■  Vaglio  e  vo'  »,  N.  31 
«  Con  l'occaso  Cadeau  ». 

Anafora.  -V.  414-  '17-  '19. 

Apuslopesl  (reticenza  o  interruzione)  M.  297 
(ina  avverti  che  1  puntolini  dopo  «  Al  gio- 
vane Signore  »  appariscono  posti  dal  Bra- 
mieri  :  né  la  stampa  del  P.  né  quella  del 
Reina  ha  tal  segno  di  sospensione,  e  il 
senso  infatti  può  ben  esser  compiuto),  1031 
•  E  il  crin...  Ma  il  crln  ». 

Apposizione  libera.  N.  579  ig. 

Armonia  particolare  cercata  o  secondata  col 
verso.  Ess.  M.  42,  360,  452,  539,  599,  626, 
708,  1026,  1134,  ile.  83,  124,  173,  427  sg., 
681,  886,  888,  1047,  1053,  1153,  V.  113,  319, 
A'.  118  sg.,  174-'76,  193,  202,  213,  268, 
334  sg. 

Asindeto  tra  verbi  di  azione  alterna  o  succes- 
siva. M.  797   11  loda  riprendi  »,  N.  95,173. 
■     tra  aggiunti  che  si  compiono  tra  loro.  Ess. 
M.  3  o  Purissimo  celeste  »,    68  ag.  «  calde 
Precipitose  rote  »,  178  «  Smarrite  tituban- 


ti »,  238  «  le  accigliate  gelide  matrone  », 
332  sg.  «il  cieco  Incauto  nume»,  835  sg. 
«leggera  Candida  polve».  Me.  180  «tre- 
mando lagrimando  »,  193  sg.  «  i  divini  An- 
tiqulssimi  sangui  »,  679  «  pallide  tremanti  », 
733  «  dolce  Delizioso  tremito  «,  V.  498  «  i 
color  vari  infiniti  »,  N.  702  sg.  u  i  furibondi 
Scapigliati  congedi  ». 

Astratto  seguito  da  complemento  per  aggettivo 
e  sostantivo.  M.  517  sg.  •  di  polvi...  Color 
diversi  »,  1013  «  Vivo  splendor  di  preziose 
anella»,  V.  196  «la  neve  de  la  bella  go- 
ta u,  356  sg.  «  de  le  stese  gambe  La  snel- 
lezza »,  N.  663  ■  D'immagini  diverse  alma 
vaghezza  a. 

ATTCrbio,  o  altro  aggiunto  descrittivo,  in  fine 
di  periodo  e  principio  di  verso.  Ess.  M. 
1002,  1154,  M.  188,  443,  664. 

Cadenze  o  versi  intieri  ripetuti.  Me.  46,49,666 
e  688,  N.  317  e  319. 

Catacresi.  M.  375  «  De' suoi  unguenti  impeci  ». 

Chiasmo.  M.  801  ■  a  le  tavole  ignote  i  noti  no- 
mi a,  N.  351. 

Collocazione  del  complemento  tra  l'aggiunto  e 
il  verbo.  Ess.  M.  1  sg.  «  lungo  DI  magna- 
nimi lombi  ordine  »,  21  »  i  mesti  de  la  dea 
Pallade  studi  » ,  45  «  I  nascenti  del  Sol  raggi  » . 
a     osservabile.  Me.  180. 

Comparazioni  insigni.  M.  63-76,  50ri-'09,  531- 
'36,  537-'42,  604-'19,  848-'65,  1135-'42,  1159- 
'68,  Me.  7-19,  78-90,  119-'26,  219-25,  295- 
302,  360-'66,  423-'30,  518-23,  S89-'98,  799- 
811,  860-'68,  1002-'09,  V.  284-'98,  329-'36, 
N.  206-'ll,  544-'46. 

('oiiiplementl  in  luogo  di  aggettivi.  Es.  M.  3S1 
Il  Di  senza  guida  e   senza   freno  arciere  ». 

Coordiuate  determinanti.  M.  806,  Me.  131. 

Correlativo  omesso.  N.  566. 


196 


OSSERVAZIONI  SU  L'ARTE, 


Costrutti-  all'uso  latino.  Ess.  O  te...  o  te...  con 
l'indicativo,  M.  48-52,  Me.  129-'36,  710-'42, 
V.  147-'55.  Di  due  azioni  l'una  espressa  col 
participio,  M.  1091.  Altro,  Me.  474  sg. 

Dativo  agente.  M.  787,  Me.  775. 

Desiiieuze.  poetiche  o  meno  usate.  Eia.  M.  306, 
641. 

Dimostratlro  con  riferimento  non  rigoroso  a' 
termini  più  vicini  o  lontani.  Me.  1163. 

Due  termini,  nomi  o  verbi,  per  una  idea  (cf. 
sopra  Asindeto  tra  aggettivi).  Ess.  M.  189 
«  Modera  e  guida  »  (ricorda  i  modi  latini 
regere  atque  movere,  administrari  et  regi), 
2  '3  «  lusinga  e  molce  »  (mulcehant  atque 
iuvrbant  Lucr.),  298  •  antiquo  e  vieto  », 
504  «  ripulisce  e  terge  »,  635  «  volge  e  go- 
verna n,  746  «  affretta  e  sprona  n,  832  «  e- 
duca  e  nutre»,  843  «Fregio  ed  onori), 
941  0  educa  e  scalda  »,  1101  «  premi  ed  ur- 
ta», 1114  «Primo  fregio  ed  onor  »,  1122 
n  indaghi  o  scopra»,  Me.  247  «  Stimola  e 
caccia»,  372  «desta  ed  infiamma»,  410 
Il  fulmina  et  arde  »,  413  o  l'agita  e  scuote», 
514  «  lacera  e  mangia  »,  541  «  sonnolenta 
(somtiieuìosa)  e  crassa»,  749  «irrita  e  mo- 
ve »,  1041  «va  lustrando  e  purga»,  N.  2 
«cerchi  e  guidi»,  31  «duri  ed  alpestri», 
422  »  Vincasi  e  domi  »  ,.  753  «  famoso  e 
chiaro  ». 

Endiiidi  (molti  ess.  posson  trovarsi  comuni  con 
l'articolo  precedente).  M.  616  «  all'urto  e 
air  impeto  »,  998  «  I  plausi  e  i  gridi  «  fcf. 
clamores  et  admirationes),  1022  «  La  fatica 
e  il  Budor  »,  1139  «impeto  e  forza»,  Me. 
510  «s'adopra  e  stanca»,  830  [e  N.  362] 
«Giudica  e  libra»,  879  «Col  profondo  si- 
lenzio e  con  la  notte»,  V.  336  «lambisce 
e  vola  »,  3  9  «  arde  e  balena  »,  ^.  125  «  spi- 
ra e  consol.i  »,  296  «L'ali  e  le  piume», 
382  sg.  «  da  la  guancia  enfiata  E  dal  torto 
oricalco  ». 

Emistichio  più  forte  soggiunto  a  un  primo. 
Ess.  Me.  189,    V.  501,  N.   811. 

Enumerazione  per  coppie  di  termini  corrispon- 
denti. Ess.  ìf.  468  sg.  «Vanne  torna,  t'as- 
sidi ergiti,  cedi  Premi,...  odi  domanda», 
647  Bg.  «  con  voci  successive,  or  aspre  Or 
molli,  or  alte  ora  profonde  ». 

Epiteti  epici  o  al  modo  epico.  Ess.  M.  125,  M^-. 
7U2,   V.  53,  413,  N.   161,  18^,  424  sg. 

Euritmie  e  rispondenze.  M.  820  sg.  e  823  eg., 
N.  36l-'83,  412  sg.,  702-'04. 

Flnml  per  le  città,  M.  870,  1106  sg. 

Imperativo  negativo  della  2'  singolare.  Ess.  M- 
812  «tu  non  pensa»,  979,  934. 


Indicativo  per  condizionale.  M.  736  «  v'era  as-  . 

sai  meglio»,   825    «Gran  tumulto   nascea, 

se...  *. 
Infinito  nell'esclamazione  enfatica.  M.  366  sg. 
Iperbato.  M.  5  sg.   «  le  adunate  in  terra   e   in 

mar  ricchezze   Dal  genitor    frugale  »,    104 

sg.   «  gli  opposti  Schermi  a  la  luce  ». 
Latinismi  con  particolare  intenzione: 

acuti  {orecchi),  Me.  1116. 

helva,    V.  77. 

comodo,  comodi,  V.  20. 

equo,   V.  503. 

favoloso,  N.  580. 

finto,   V.  299. 

forchette  (/urcillae).  Me.  908. 

gracile,   V.  68. 

viostruoso.  Me.  509. 

ozio,  ozi,  M.  14,  Me.  339. 

peregrino,  Me.  501. 

rito,  riti,  M.  7,  328,  401,  Me.  190. 

stomaco  M.  310. 

studi  (studia)  Me.  490,  N.  60. 

venereo,  M.  659. 

volubile,  M.  558,  Me.  210. 
Latinismi  diversi. 

accenso,  N.  606. 

aereo,   V.  17. 

agevole,   V.  48,  N.  622. 

agitare  (spingere,  incalzare).  Me.  34. 

alterno,  N.  114. 

animo  (passione).  Me.  964. 

argutamente,   V.  160. 

breve  (piccolo),  Ma.  358,  648,    V.  135,    149, 
N.  616. 

calamistri,  M.   606. 

capo  (vita),    V.  121. 

capripede.  Me.  728. 

carpentiere,   V.  354. 

caso  (casus),  Me.  881. 

cieco,    V.  506 

commettere,  M.  416  Bg. 

comporre,  N.  587. 

consigli,  M.  130,  Me.  260. 

contenere  (trattenere),   V.  56. 

corna  (d'un  fiume).  Me.  889. 

cosi  (desiderativo),  M.  709. 

cucùrbita  M.  525. 

cura  (oggetto  d'amore,  d'affanno),  M.  413, 
Me.  772,    V.  55,  131,  N.  179. 

dapi,  Me.  .391,  1035. 

dedurre  (condurre  giù,  far    discendere)  M. 
1208,  V.  398. 

degnare,  M.  633  «  cui  degni    Tu   degli   ar- 
cani tuoi  ». 

distinto,  M.  1004, 


LO  STILE  E  LA  LINGUA 


197 


donare,  Me.  341  «Dell'industria  donalo  ». 

dottor  (maestro),  ìf.  298. 

dubbio  marte,  K.  165. 

due  volte  sei  (cf.  bis  leni).  Me.    1146. 

durare  (assolutam.,  reggere,  resistere  ;  resi- 
sti e  dura,  Tasso  O.  L.  xvm  52  e  altr.) 
M.  621,  1052. 

duro  a...,  agg.,  Me.  593. 

ebete  (ottuso),  Me.  326. 

egro,  Me.  1043. 

esaurire  (vuotare  suggendo),  Me.  6G7. 

esercitare,  Me.  57,  N.  342. 

estremo,  M.  35,  193,  N.  201. 

facile,  M.  32,  ife.  16. 

fanatico,  Me.  560. 

favola  (scenica),  Me.  798. 

/edo,  Jf.  687,  1137. 

flagello  (frusta).  A'.  174. 

fra  (intra),   V.  214. 

frequente  (numeroso,  popoloso)  Me.  833,  V. 
350,  N.  63,  431. 

genero»©,   V.  374. 

geniale,  J/«.  371. 

giovare  (piacere).  Me.  433. 

gracile,  N.  722. 

grazia,  N.  597. 

imo.  Afe.  210. 

impaciente  di....  Me.  406. 

i»iacee««o,  iV.  432. 

incremento  (rampollo),    V.  92, 

infelice,  N.  338. 

in/imo,  ife.  145,  699. 

ingenuo,  Me.  211. 

insigne  (che  spicea:  cf.  in  Cic.  insignem  et 
illuttrem),   V.  31. 

invidiare,  M.  1121. 

irritare  (eccitare).  Me.  849. 

ig<i.  Me.  703. 

labbro  (ovlo-labrum),  N.  693. 

lahendo,  Me.  277. 

lamentabile,  Me.  798. 

lato  (largo),  3fe.  85. 

Jen/o  (lentus),  M.  661,    T.  178. 

librare  (pesare),  M.  130,  J/e.  193,  830. 

liquido  {aere),  N.   713. 

lituo  (bacchetta),  M.  613. 

lumi  (occhi),  Jlf.  83,  107,  1175... 

lustrare  (purificare),  Me,  1041. 

madido,   V.   130. 

mano  (stuolo),  N.  197. 

mescere,  (sconvolgere),  3f.  1112,  -  la  pugna, 
V.  414. 

mille  passi  (un  miglio),  N.  406. 

ministrare.  Me.  341,  586,  1057,  iV^.  367. 

ministro  (minister),  Me.  21t). 


tiato  a  -  ,  Me.  342. 

non  sema  M.  236,  416,  467,  587,  605,  V.  52. 

nostro  (mio).  Me.  772  «  sua  dolce  cura  o  no- 
stra n   {noster  amor). 

nota.  Me.  6GJ. 

notato  (su  cui  è  scrìtto),    M.    931    sg.,    Me. 

1118,  N.  461. 

n!t«o,  nuUa,  agg.,  M.  395  Jl/e.  53,  261,  xV.  507. 

n!j?ne  (nu)Hen),  Jl/.  109.>. 

oblivione.  Me.  434. 

occupare  (prendere  per  primo  un  luogo"), 
N.  184. 

officina  (del  fabbro)  J/.  47,  (de'  cuochiì  Me. 
210. 

orfio,  J/^.  13. 

ordine  (sociale),  M.  790  —  (fila)  1174. 

ornarsi.  Me.  918. 

ornati  (ornaraeuti).  Me.  33. 

osta  (ostis),  M.  855. 

padri  (senatori),  M.  1193. 

pàtera,  J/e.  1007. 

pàtulo,  N.  292. 

pegno  (oggetto  prezioso),    V.  218. 

per,  agente,  M.  758. 

pera  (pereat),  JW.  325,  Me.  650. 

perfetto  {da  perficere),  M.  48. 

perseguire,  con  un  gerund.,  J/d.  '.•35. 

pertinace,  K.  63S. 

pompa  (schiera,  processione),  M.  170,  K.  29. 

preparare  (cagionare),  M.  457. 

presso  (latte).  Me.  1017. 

prima  (primum),  Me.  650,  .y.  134. 

procace,  K.  b03. 

produrre  (tirare  in  lungo),  M.  67. 

prostrare  (avvilire,  umiliare).  Me.  55. 

pruriginoso  (d;i  pritrio),  M,  79. 

pupilla  (oceitus),  F.  453. 

ramili  eccelsi,    V,    308. 

rapire  (preudore  o  condurre  via  in  fretta), 
M.  499. 

ravvolgersi  in  mente,  M.  461  sg.  (cf.  Me. 
1093  sg.  e  la  nota). 

reale  (di  gran  signori  —  regum),    Me.  343. 

ridolente,  Me.  1040. 

rigido,  M.  60. 

scendere  (in  ce?ta7«en),  i\/^.  162. 

scotere  {cxcutere)   M.  5G4  sg. 

scutica,  V.  316,  iV.  378. 

sermo?ie  (lingua),  M.  218,  Me.  927,  iV.  236, 
554. 

sollecito    (premuroso).  Me.  452,  505,    V.  184. 

soZyeie,   Jf.  92. 

»07«mo  Me.  678,  i^.  549. 

sorgere  {exsistc'e),  M.  509,  I\r.  402. 

spargere  di,   M.  351   sg. 


198 


OSSERVAZIONI  SU  L'ARTE 


state  (calore  estivo  -  aestas),  M.  1211. 

stendere  (vie),  M.  1206. 

strati  (strata\,  N.  260. 

sublime  (alto,  in  alto),  M.  1154,  Me.  569. 

tavole,  tavolette  (tabulaef  tabellae),   Me.  981 
8g.,  Me.  1118. 

temere  (astenersi,  rifuggire),  Me.  153. 

temprare,  M.  217. 

tenore  (maniera),  Jlfe.  686,  N.  570,  619,  751. 

tentare  {templare),  M.  500,  V.  47,   i^.  429. 

testudo  {tartaruga),  M.  191,  1005. 

tre  volte.,,,  tre  fiate  e  quattro   {terque  qua- 
terque),  M.  537,  Me,  167,  671,  685. 

truculento,  Me.  652. 

tifici  (officia).  Ma.  437,  Me.  692,  F.  119. 

uno  (unico,  eccellente),  N.  393. 

variare  (essere  o  fare  iridescente),  M.   995, 
Me.  274,  346. 

venenoso  Me.  125. 

cerio  (parola).  Me.  1116. 

veriore  (scotere  nell'urna),  N.  412 

vipereo,  Me.  170. 

volgere  {xaata,ro-vertere),  Me.  207,    iV.  627. 

volatile,    V.  232,  2\r.  517. 
Mitologie  e  personificazioni.  Il   Sonno,  M.   84, 

447  sg.,  e  Morfeo,  92,  429  (nell'ed.   1763  ac- 
centato Morfeo);  Amore  e  Imene,    M.  330- 

403;  Amori,  M,  494-504  ;  Como,  M.  510  sgg. 

e  Me.  813  sg.  ;  Filauzio,  M.  628  (cf.  u  l'Amor 

di  sé  sol  .1   Me.  822);  Necessità,  M.  733  sgg.; 

Lusso,   M.  737-'40;    Gelosia,  M^.   lG9-'75  ; 

Voluttà,  Me.  251  sgg.;  il  Piacere,  Me.  275- 

'89  ;  il  Motteggio,  Me.   372  sgg.;  Racconti  e 

Licenza,   Me,  379  sgg.;  Imene    e    il   Sonno, 

Me.   415  sgg.;    il  Bongusto,    Me.   547   sgg.  ; 

Mercurio  e  il   Trictrac,  Me.  110.'>-1179  ;    la 

Notte,  V.  494  alla  fine  e  N.   140  '47  Amore 

e  il  canapé  A".  275-318. 
Partieipio  con  un  modo  fluito,  a  esprimere  una 

prima  aziono.  M.  1091,  Me.  621-'24. 
»     passÌTO,  per   un   astratto   e    sua   specifica- 
zione. M.  181,  214,  455... 
Perifrasi.  Kss.  M.  102  sg.,  283-'88,  747  sg.  e  772 

sg.,  992  sg.,  1119  sg.,  Me.  41,  47U-'82,  578  sg., 

1024  sgg.,  1061-'68,  V,  397,  N.   VJò  sg.,   250- 

'52,  366  sg.,  664-'78,  759-'64. 
Polisindeto.  Ess.  M.  83S,  Me.  175,  301,   331  sg. 

V.  158  sg. 
Prolessl,    K.287. 

Tocaboll  e  modi  oseervabili  : 

altero  (sublime,  grande).  Me.  1070. 
altriee,    V.  6. 

altronde  (di  stato  e  di  moto),  Me.  1105,  N. 
504. 


anguierinite  (le  furie),  M,  76. 

aprire  (le  tenebre,  il  velo,  la  caligine),  M. 
72,  256,  706. 

arnese,  collettivo,  M.  493. 

arredo,         ■  M.  955. 

arretrare,  transit.,  N.  106. 

arsenale,  gran  quantità,  M.  1034. 

atto  {in),  posposto  ad  agg.  masch.  o  femm., 
M.  390. 

beni  (ricchezze),  M.  1024, 

bere  (ascoltare  avidamente),  M.  269. 

bizzarro  (focoso),  Me,  863. 

capre  {aeree),  V.  17. 

capriccio  (raccapriccio,  ribrezzo,  brivido), 
M.  444. 

ceffo,  M.  1215,  Jlfe.  709. 

chiostri.  Me.  677. 

conca  (conchiglia),  Me.  133. 

contendere  di...,  Me.  822  {contendere  nobi- 
litate Lucr.). 

convolgersi,  V.  408. 

dicchi  (dighe),  Me.  8S4. 

dispettarsi  (indispettirsi^  A".  867. 

dissimile  a...,  Me.  583. 

dittatore,  Me,  5. 

Edipo  (accento),  ilfe.  802. 

esile,  N,  481. 

falcato  (che  ha  la  falce).  Me,  629,    V.  14. 

fraga,  Me.  286. 

fronte,  masch.,  M.  493,   V.  130,  N,  548. 

grave  di...,   V.  20. 

indice,  agg.,  M.  6G7. 

ingannare  (il  tempo),  M,  8,  et.  Me,  1103. 

inverso,  Me.  717. 

lamentare,  transit..   Me.  621. 

loggia  (palco  di  teatro),  M.  961,  Me.  135, 
150. 

luci  (occhi).  Me.  166,  179,  2j8,  810. 

mamme  (del  palato),  3/e. 

naturalmente,  .ironico,  M.  23. 

nauseante,  att.,  Jl/e.  635. 

nettareo  (divino),  M,  898. 

nevoso  (niveo),  J/e.  143. 

onde,  congiunz.  di  fine  con  o  senza  il  rela- 
tivo inchiuso,  M.  290,  531,  818,  964,  luOJ, 
1009,  1071,  1155,  N.  602. 

oprare  (adoperare),   M.  569,  Me.  864. 

óra,  N.  124. 

pascere  (un  luogo,  abitarlo),  A'.  339. 

pedestre  (a  piedi),  M,  1068. 

percotere  e  tornare  (del  raggi),  3/.  898  sg. 

permettere,  V,  503. 

pericolare  e  perigliare.  Me.  594,  A\  87, 

petroso,   Me.  18. 

piangere,  transit..  Me,  616,  iV.  572. 


LO  STILE  E  LA  LINGUA 


199 


placalo  (pacato,  placido),  V.  90. 
popolare  (render  frequentato),  3/«.  235. 
pubblico,  M.  869. 
qual,  qualunque,  Me.  858  —  quello  che,  M, 

1025. 
rai  (occhi),  M.  419. 
rehoato,  Me.  790. 
reggere  (o  certa  meta),  M.  312. 
ridere  (un  riso),  N.  724. 
rimescolare,  V.  498. 
salma,  M.   935. 
scorzo,  Me.  641. 
scopo  (bersaglio).  Me,  162. 
senso,  Me.  833. 
«orna,  i^.  924. 


spatsare,  7.  499  (1*  lez.). 

stallone,  M.  308. 

stentare  (cocchiere),  N.  83. 

stupido,  att.,  ^e.  417,  W'.  415. 

subentrare,  transit.,  N.  183. 

talento.  Me.  643,  JV.  384. 

toilette  e  tavoletta,  M.  485,  513,  ^V.  67. 

umani,  sostant.,  Ife.  260. 

vaghi  e  vaghe,  sost.;  3/.   233,    F.  386. 

vegliante  (idolo),  Me.  136. 

uejKare  a,..,  ^.  132. 

vigilia  (veglia),  M.  457. 

virali,  M.  1112. 

zazserato,  N.  '238. 


."^ 


INDICE 


PREFAZIONE Pag,      m 

Alla  Moda xxxin 

Il  Mattino 1 

Ili  Mezzogiorno , 67 

Il  Vespro 129 

La  Notte 153 

Giunte  e  correzioni 193 

Elenco  e  éupplemento  di  osservazioni  su  l'arie,  lo  stile  e  la  lingua 195 


I 


o3 


r 


-15 

co 

H 

Ci 


ito 

CM 

Ito 
Uà 


.i- — — *' 


o 
a 

o 


e> 


o 


L 


University  of  Toronto 
library 

DO  NOT 

REMOVE 

THE 

CARD 

FROM 

THIS 

POCKET 


Acme  Library  Card  Pocket 

Under  Pat.  "Ref.  Index  FUe" 
Made  by  LIBRARY  BUREAU